Sunday, March 30, 2014

quelle cose che sono qui ed ora

sono arrivato in controtendenza ai pendolari settimanali. domenica pomeriggio, trascindando il trolley con le rotelle sotto. la luce del sole non ancora tramontato ma già abbastanza radente ha dato al prato quel sapore di cose belle. per quanto sia da tagliare, il prato. il primo taglio della stagione. la natura può permettersi di offrire, compiutamente, l'eterno ritorno delle cose. la circolarità delle stagioni. senza patire gli acciacchi. dell'imperitura decadenza fisica. roba da qui ed ora. per sempre.

ecco. la luce radente e l'erba che ha dato ai fili d'erba un non so che di dorata tridimensionalità. un attimo, un momento di intensa e volatilissima felicità. qui ed ora.

mi ha fatto venire in mente come quegli attimi ci sono. passano, ma ci sono. quelle cose da qui ed ora che bisognerebbe essere scaltri da intuire stiano avvenendo, sonendo [gerundio derivato di sono]. il più vicino possibile al momento che poi passa. vederli fruire nel momento in cui accade quel momento, se proprio si è fortunati. oppure, poiché non credo nella fortuna: consapevoli.

certo. quelle cose qui ed ora poi se ne fuggono nel passato. come tutto del resto. ed il qui, ora, non è lo stesso di quello che sarà un altro momento. dove, che ne so, riprenderanno a pretendere attenzioni sull'ora e sull'essere qui cose tipo la solitudine, la precarietà esistenziale, la sfiducia, il comodo rifugiarsi in una non meglio specificata oligo-socialità. toh. tutto questo nonostante i momenti da qui ed ora, si rimetteranno in opprimente sopravvento quelli che sembrano ovunque e [troppo] spesso.

però se li prende al volo, quei momenti da qui ed ora, si possono metter lì, a far da pragmatico ed emozionale spessore. sono passati, certo, però prenderne il lato construens della faccenda: sono passati perché non sono ora, ma sono passati, appunto, da qui. sono stati vissuti. è come se ci si fosse fatti attraversare.e non si fossero solo attraversati. e quando ci attraversano è come se lasciassero una traccia del passaggio. un piccolo punto di appoggio su cui, punto d'appoggio dopo punto d'appoggio, poggiare le nuove consapevolezze.

tipo quella che quelle cose da qui e ora ci sono state. non è il tempo verbale ad essere così importante. ma che è un verbo: volontà ed atto.
tipo che quando ci sono quei momenti, attraversarli. come arrivare col trolley con le rotelle, osservare il prato con quella luce radente, entrare in casa e poi decidere di uscire di nuovo. il primo pomeriggio con la luce fino a più tardi. perché non goderselo fino in fondo. visto che, tra l'altro, per guadagnari quell'ora di luce in più, il uichend è durato un'ora in meno.

Thursday, March 27, 2014

il ventennio, quello che ci siamo cuccati pure noi [meno cruento, occhei, ma quanto ancora ha da passà a nuttata...]

ieri mattina l'hanno ricordato alla radio, dei vent'anni. dal mio punto di vista non ce n'era bisogno. non l'ho mai dimenticato. il ventisette di marzo è il giorno di quelle elezioni politiche che ha segnato i destini di questo povero stivalone.

ero ai seggi, quel giorno, come segretario. quindi una delle due tabelle di riscontro dei voti [frontespizio rosso e frontespizio nero] ce l'avevo io. e le vedevo crescere le crocette, di quel partito azienda, di plastica. i cui rappresentanti locali giravano tronfi per i seggi. loro e leoro agende con su l'adesivo. parlavano rumorosamente al cellulare, etacs non c'erano ancora i gms. smaccatamente cafonavano dati di sezioni che andavano a comporre la marea di consensi di un partito che - tecnicamente - tre mesi prima non esisteva.

occhei. occhei. è pure vero che sono residente - tecnicamente - in un paese che è un gran bel posto, peccato la gente. roba che durante la bulimia cracsiana anni ottanta era riuscito ad avere avere ben due psi. ridente cittadina che vota percentualmente più a destra di una zona smattacamente virata da quella parte. utopia del sol dell'avvenire tanto che cinque anni fa, ultime amministrative, v'erano 4 liste [successone], tre di destra/centrodestra/verdemarcioleghista ed una di centrosinistra. è riuscita a perdere, quella di centrosinistra dico.

ricordo che pensai che stava iniziando qualcosa di brutto. pensavo sarebbe stata bruttissimo ma tutto sommato poco lungo. ecco, magari, non così brutto da compromettere alcune le libertà fondamentali, come raccontai allarmato qualche giorno dopo, la voce quasi strozzata, ad un incontro da bravo parrinaro da giovedì santo. no. niente di così ferale. ma per certi aspetti non meno insidioso. obnubilante. mitridatizzante. roba che ti avveleni e non te ne rendi conto.

io sono fermamente convinto che berlusconi sia stata una iattura per questo paese. una delle cose peggiori potesse capitarci in un contesto continental-storico come quello che vivevamo e abbiamo passato. avrebbero dovuti essere gli anni più importanti per una generazione come la mia. e ci siamo cuccati costui. e tutto quello che si è tirato dietro.

ovviamente il problema non si incarna nella sua persona, anche con tutto il solipsismo che ormai gli ha fuso il cervello. il personaggio è egotico, occhei, ma così tanta sciagura in un unica persona sarebbe banale e fuorviante pensarlo. il problema è la conseguente classe dirigente che si porta appresso un personaggio come questo. il polo d'attrazione, il buconero, che catalizza personaggi che in un paese normale probabilmente farebbero i posteggiatori abusivi, iperbolizzando. molti di costoro non sono arrivati con lui. ma da lì ha tirato fuori il meglio del loro peggio. in lui, e nella sua bassezza, hanno trovato la giusitificazione, lo stimolo, la ragion d'essere mediocramente pessimi. ed hanno cominciato a spolpare il paese. dalle cerchie più intime fino ad arrivare all'opposizione: ne è venuta fuori quel che ne è. mediocricissima quando non collusa, se non nell'etica nella non confutazione dell'etica stessa.

ed è questa classe dirigante che dirige e gestisce l'italico stivalone. in queti anni complicatissimi. come aver a disposizione con medici che hanno copiato, male, agli esami del cepu, in una situazione pandemica.

berlusconi, in tutto quello che è moralmente ed eticamente è all'opposto da quel che credo, è geniale. quasi non riesco ad avercene così a male. per quanto sia il l'elemento scatenante, in cui è stato grandioso. tanto che la deflagrazione di tutti i correi, tutti i santificati dal berlusconismo, sbiaditissima copia della sua genialità. e quindi il peggio che potesse venire.

è venuto. e siamo a brandelli.

e mentre ora che se sta uscendo di scena - forse - c'è la prova, quasi plastica, di aver costruito una classe dirigente famelicamente marcinolenta. tanto che l'unica cosa che cercano di fare, disperati, è un altro che si chiami come lui. una successione taumaturgica, per evitare il trauma. ché altrimenti sanno che finirebbero a scannarsi fra loro. tipo le iene di tarantino.

apoptosi, solo che sono talmente poco avveduti che non lo sanno di avercela programmata quella fine.

noi, l'italico stivalone, ne pagherà ancora le conseguenze per un sacco di tempo. nonostante la versione lait che pare sorgere, radioso, all'orizzonte. [e che sia la classe dirigente che adveniente che, al limite, non ci faccia fare la stessa, sminchiante, fine].

Monday, March 24, 2014

perché poi farli solo di notte, i post? lo sfavillio del lunedì mattina.

occhei che il fascino della notte.
occhei che "ma sia molto tardi che si va a dormire" [cit.].
occhei che a quell'ora, ispirazioni del ritmo circadiano, viene bene creare, e quindi a volte mi piace scrivere.

se però poi si perde l'onda? magari perché si è in controfase?

ecco.

ora è giorno. lunedì mattina. il mio ecs compagno di corso fabio paracchini, eravamo in mensa universitaria, una delle pochissime volte ci andai, mi disse che alla general motor le auto fatte di lunedì mattina costavano meno. legata alla minore affidabilità della [s]forza lavoro, statisticamente provata, alla ripresa dopo il uichend, ovvio. non l'ho mai verificata 'sta cosa. in compenso l'ho ri-venduta un sacco di volte. chissà se è solo leggenda metropolitana.

che poi le settimane iniziano in un modo, e magari finiscono in tutt'altre. ad esempio la mia la sto iniziando piuttosto male. cioè, nemmeno: stanco e già spossato. forse per il fatto non sia ancora finita quella scorsa, di settimana. e senza soluzione di continuità me lo sono fumato, il uichend. ho litigato con pc da migrare a guindowseven. ed ancora non ho mica finito.

occhei.

è altresì vero che me ne sono uscito per ampi tratti. giusto per non picchiare la testa tutto il tempo contro il muro arancione del mio appartamentino di questo palazzina, la più pezzottata di una viuzza altrimenti costellata di edifici di ben altra fattura. me ne sono uscito, c'erano le giornate FAI. nonché uno spettacolo sugli scioperi del '44 dei tramvieri milanesi. [uhm... così così].

insomma: ho pianificato. pianificato a come gestire quel momento a doppio taglio che può essere il tempo libero nel uichend. che spesso è l'angoscia delle persone sole, o con problemi relazionali importanti con le relazioni teoricamente importanti. ho pianificato, a tratti sotto il pelo dell'acqua della consapevolezza.

tanto che quei tratti sono usciti fuori, come ad emergere, tipo i delfini che oooophhh... saltano fuori [occhei, occhei, poi si ri-immergono, vabbhé].
sì. son saltati fuori mentre mi immergevo sotto il piano stradale per cercare di prendere la metropolitana a porta venezia. il fatto è che stavo cercando di visitare uno dei luoghi FAI. e per l'ennesima volta ho trovato coda chilometrica. e cercando di reperire informazioni dal volontario, imbarazzato, che poi sarebbe stata la conferma non sarei entrato, mi sono sentito un po' distaccamente altro, rispetto gli altri accanto a me: tutti molto delusi e un po' irritati per il fatto non ci si sarebbe riusciti. io, altresì, mi son sentito financo lieve.

ed ho provato a pensare al perché.

una risposta, più sociale e condivisa, mi è venuta col fatto di vedere così tanta gente. perché questi sono eventi che hanno a che vedere con la ri-scoperta di luoghi che si portano appresso fascino e bellezza per il valore della storia che li accompagna. una specie di ricerca di una bellezza che sminchia i paradigmi facili, kitch, posticci di quello che il mainstream oggi ci affastella. è un po' come andare a ri-cercare un'autenticità che nel quotidiano provano a servire, ma che forse non ci convince del tutto. insomma, qualcosa che forse puzza di luddismo, o forse no. ma che mi ha ricordato la storia dei mille alberi che crescono che non fanno notizia, al contrario di quello che cade. però crescono. e quindi se c'è qualcuno che ha voglia di questo genere di bellezze, e la ricerca, è perché si ha voglia comunque di provarci. e quindi non tutto è davvero perduto [posto che non sono mai stato convinto che tutto sia perduto, socialmente intendo. sul piano personale, parliamone].

l'altra risposta è più intima. nel senso che quel senso di levità l'ho provato pensando che comunque ci avevo provato. qualcosa che biascica, come da antologia trovata nelle patatine, il concetto di pessimismo eroico leopardiano. e mi ricorda che mi ero, appunto, attivato per. e mi è son sovvenuto il libro sull'autostima, roba molto più prosaica e banale. ma la storia dell'azione che cambia tutto, tipo quel tipo di pianificazione, rappresenta un addentellato importante nella mia interrogativa esistenza [di cui appena sopra, il senso della perdutanza, o perditudine, o ontologico fallimento che dir si voglia]. insomma, è come se mi fossi scoperto molto indaffarato a darmi da fare senza quasi averne consapevolezza. a darmi da fare per me medesimo e  sfangarmi da questa paludosa, a tratti, situazione. e che il cambiamento, forse, è già bello che in atto. è solo terribilmente ancora in nuce. meno in nuce lo sconforto che, invece, ogni tanto riaffiora. insomma una fiduciosa disperazione ottimistica. cose così.

tutto questo tuuurbiòn, mentre scendevo al piano mezzanino della metropolitana, e la volontaria FAI si prodigava in scuse, ché da lì si accedeva al luogo da visitare. e stava già cominciando a ripetermi: "mi spiace, ma c'è troppa gente..." "a dire il vero sto cercando di prendere la metro" le ho risposto col sorriso. perché mi ero sbattuto, ci avevo provato. insomma stavo facendo [o fando]. e a me il gerundio piace assaie.

Sunday, March 16, 2014

sul perché penso che renzi non mi piaccia /4 e sul perché penso piaccia ad una certa fetta di italica gente e perché soprattutto penso fallirà

masssssì. diciamolo. che poi questo post ce l'ho in mente dal giorno in cui sono iniziate le consultazioni del più giovane primo ministro della storia d'italia. giuringiurello. poi sono venuti prima gli altri, perché mi è presa la diarro-logorrea a riguardo. ma in fondo questo volevo scrivere. e lo scrivo. prendendo pure una pausa tra i blaterii relativi i miei malesseri più o meno esistenziali.
cosa di meglio che blaterare su twittatore di palazzo chigi?
almeno blatero di uno che invece non ce l'ha proprio il [mio] male-esistenziale. anzi è immagine esattamente dell'opposto. prendo pausa dallo scriverne. non penso dal viverlo.
vabbhé.
pensavo a questo post da tempo. perché volevo acclarare una cosa che mi convinceva fino ad un paio di giorni fa. che cioè il nostro capodigabinetto, la svolta proprio non l'avrebbe fatta: svoltiamodavèrostocazzo. e per questo avrebbe fallito.
a dire il vero penso, ancor da più a monte, gli abbiano tirato il trappolone. ci provano a bruciarlo. dal punto di vista della neo-comunicazione è fortissimo: che si sfracelli, e l'esposizione mediatica acclarerà questo. finito, un altro lìder di centro-sinistra[?] fatto fuori. apoptosi.
non penso si siano messi d'accordo neh? non si sono inviati dei pizzini, o trovati in pizzeria a discuterne. non serve parlarsi tra i vari soggetti, in teoria variegamente contrapposti, cui non dispiacerà dovesse non farcela. l'ambizione bruciante avrebbe acceso una bella pira rovente alle sue roventi ambizioni: tipo la benzina sul fuoco o quella che ci sta mettendo a far le cose di fretta. appunto. perché tutta 'sta fretta poi? al netto del dinamismo, un po' da futuristica esaltazione, del piglio decisionista che piace tanto. beh, almeno mediamente, suvvia. una convergenza di interessi per fini diversi. il titillo dell'esca del comando del gabinetto. ambizione sfrenata, gnam. abboccato.
e pensavo avrebbe pagato seriamente pegno.
perché avevo, ed ho, impressione si scomodino parole impegnative, quali rivoluzioniamo il paese, mentre mancano alcuni fondamentali. non siamo alle vette del guru casaleggio che voleva [vuole?] demolire la democrazia rappresentativa e la separazione dei poteri mediante web-form. roba che un paio di secoli fa ci si son messi fiori di filosofi, e costui pensa che nel 2128 lo scardinamento sarà completo. per ora comincia a sviluppare l'impianto scardinalesco a programmatori php+mysql che è tutto open source, per coerenza [so cose del web, per l'altro che legge e non lo sa].
pensavo che il nostro [non il casaleggioassociati] si poggiasse [si poggia?] solo sull'onda mediatica dell'annuncio, con apparenze nuove e mirabolanti, ma dalla sostanza consueta. il tutto con la concezione della politica dell'io, invece che del noi. la paracula simpatia del nuovo primato della politica, come rassicurante alternativa al grigiore dei tecnici che pure di minchiate ne hanno fatte. insomma: se essere tecnici non è sufficiente ciò non implica che non sia nemmeno necessario. e se tecnici non piace, almeno competenti, via. quindi - che ne so - l'idea di un del rio ministro dell'economia, se è vero, è un'improvvisazione da guappo toscano: con tutto il rispetto per il suo braccio destro, neh?. per fare però il ministro dell'economia servirebbe altro. oppure - che ne so - gratteri alla giustizia, per quanto ammiratore di quel magistrato, è un passaggio 'sì ardito, pure troppo, pure sguaiato e di facciata, con la sprintosa fiducia si portasse dietro pure della ciccia di sostanza. il peccato originale dell'esserci arrivato colà smentendo se stesso. il tentativo catartico ex-ante del "ci metto la faccia, se fallisco me ne vo": al che viene da domandarsi se non si smentirà una seconda volta, visto che l'ha fatto la prima. il paradosso della riforma al mese che necessiterà di legislazione in prevalenza governativa, parlamento passacarte: insomma, nulla di nuovo rispetto agli ultimi tre governi. a parte la promessa di ribaltare come un calzino, tutto in frettissima, subito: rivoluzione, insomma.
volontà dell'[iper]ottimismo, pessimismo della pragmatica, dimenticanza della teoretica.
in italia, di capacità di rivoluzione ghe n'è minga.
si cambia, certo che si cambia. ma il sostrato è quello. e le leve pragmatiche, non disintermediabili, sempre ostinatamente quelli: dal parlamento, uguale a quello del gabinetto precedente, i funzionari ministeriali, i primi con l'addentellato del fare, dopo tutto il suo dire ed annunciare piuttosto inamovibili.
e quindi? perché tutto questo annunciar da ganàsa, come si direbbe quivi?
basta parlar in senato con la mano in tasca per garantire la #svoltadavvero? bastano le slide alla presentazione del primo pacchetto del fare? [con pure il refuso, che è un bel paradigma lapsusistico. per quanto io non dovrei parlare a proposito di refusi, ma una controllatina? tattica per far passare, messaggio subliminare, che si va di fretta?].
eppoi tutto compresso nei primi tre mesi. sembra che delle due, una: o si fanno in tre mesi, o ciccia
com'è possibile?
perché è tutto così fuori squadra? sono del tutto obnubilato dalla paranoia antipaticistica io? sono totalmente sminchiati lui e tutti i suoi collaboratori [alcuni più renzinieschi del re, peraltro]?
e se ci fosse sotto altro? niente di dietrologico, niente versione politica delle scie chimiche, neh?
e se questo fosse una sorta di azzardo? se tutto questo annunciare, con la voglia di farlo, sicuramente, fosse una specie di falso bersaglio per far guardare da un'altra parte?
io una mia idea, sminchiatissima, me la sono fatta. mettendo insieme un sacco di suggestioni, pareri di gente che dicono ne capisca. poi forse non ne capiscono così tanto. io sicuramente no. però, ecco, un'idea ce l'ho.
se gli riesce, sciapò [cfr: chapeau]: continuerà a non piacermi, ma mi levo il cappello e gli faccio i complimenti, sinceri.

Wednesday, March 12, 2014

condizionamenti, o condizionismi, o condizioni tra dentro e fuori

in termini di smaccata obiettività c'è sempre uichipidia. se non altro chiunque può correggere. che poi è il pensiero terzo, o quarto o miGlionesimo. ma soprattutto senza l'enfasi del rigurgito emotivo.
condizione necessaria e sufficiente.
quando c'è la condizione sufficiente non è necessario, necessariamente, ci sia la necessaria. la sufficiente, insomma, spacca.
quando c'è la condizione necessaria non è sufficiente, insomma il minimo sindacale, di meno proprio è meglio lasciar perdere.
quando c'è la condizione necessaria e sufficiente è roba da palati fini, oppure da insicuri cronici, che poi significa gente con l'autostima bassa, o nevrosi perfezionistiche. o tutte queste cose assieme, magari miscelate in una bella combinazione lineare.
quando c'è la condizione necessaria ma non sufficiente è come se si fosse nel regno del fattibile ma non definitivo. che può voler dire - in maniera destruens - un coglionantissimo approccio da ignavo. oppure - in maniera construens - che si lasciano le strade aperte per, o non si fanno saltar i ponti [il nonnetto generale in pensione potrebbe dissertare e spiegare parecchio a riguardo [peraltro se avesi messo il refuso e avessi scritto disertare in loco di dissertare, sarebbe stato sufficiente per generare un divertente paradosso ermeneutico]].

insomma.

condizione necessaria e sufficiente acciocché io possa sopportare il peso di questa serata: birra, 7.9 gradi alcoolemici, mezzo litro, senza cenarci sopra nulla.

condizione sufficiente acciocché io domattina mi svegli con lo stomaco pieno di bruciori e incipit di nausee: birra, 7.9 gradi alcoolemici, senza cenarci sopra nulla. oppure darmi del disonesto intellettuale per generare sbrocco relazionale, financo taglio definitivo dei rapporti interlocutori.

condizione necessaria ma non sufficiente acciocché io finisca nel buco di culo del tunnel depressivo:
  • il senso liberatorio nell'andare a dormire
  • il senso soffocante del risvergliarsi la mattina dopo l'essere andato a dormire
  • la negazione più o meno volontaria dei momenti di piacere
  • l'accentramento sui propri problemi
  • senso di fallimento pervasivo
  • misconoscimento sistematico, irrazionale, patetico, delle poche o tante qualità o peculiarità
oppure titolare una mostra col titolo contentente "Klimt" e "genio" acciocché sia una cosa imperdibile, se più tra più di 100 pezzi, quelli degni di nota estatica non sono più di 4.

condizione non necessaria e non sufficiente acciocché si abbia una vita, se non felice e di successo, quanto meno serena ed appagante è possedere presunte capacità intellettive o intelligenze, in tutte le sue eclatanti declinazioni. è il mondo anti-meritocratico per eccellenza questo, bellezza. insomma il sol dell'avvenire che promette giustizia per ciascheduno stocazzo.

condizione nevoticamente sufficiente è crededere che siano sufficienti gli altri per tirarti fuori dalla buca.
condizione necessaria per tirarti fuori dalla buca è che lo voglia tu.
condizione sufficiente acciocché uno nella buca, fallito, ci rimanga, è che sia sia io a dovermene uscire grazie a me medesimo che è quella necessaria di cui sopra. non mi sento, insomma, nemmeno condizione necessaria.

sì.
condizione sufficiente per definire, in potenza, un depresso e/o un etilista. o una combinazinoe lineare delle due cose è che riguarda me in questi giorni bislacchi.

ed a proposito: la coscienza è potenza ma non atto. quindi è condizione necessaria, ma non sufficiente.

ed ora il momento più bello.
poi, vabbhé, mi risvegliero. [probabile. ecco, a proposito, probabile: altro campo di gioco rispetto alle condizioni di cui sopra]

Tuesday, March 11, 2014

amoreternostocazzo - reprise

[non c'entra, in senso stretto, coll'amoreternostocazzo di cui il post precedente. lo completa, diciamo]
il fatto è che dopo il momento più intenso e felice della giornata, andare a dormire dico, viene che ti svegli.
cazzo.
[per non parlare dei sogni, del male al braccio e alla schiena]

amoreternostocazzo

sto assistendo al disfarsi di alcune coppie. amoreternostocazzo.
e peraltro neanch'io sono messo benissimo. amoreternostocazzo, per portarsi avanti, da singol.
queste coppie lo fanno dopo aver esaurito la spinta propulsiva, com'è che si diceva per le V2? ...agggggià brennschluss. poi cadevano, per giunta in maniera totalmente causale, lo si è capito inferendo la distribuzione dei bersagli.
ecco. non saprei se la distribuzione casuale delle coppie che vedo disfarsi sia altrettanto casuale. forse è la solita questione dell'impatto emotivo non oggettivo. tipo quando la 67 passa che sei appena uscito di casa: ti rimane in mente quella volta lì, non tutte le altre volte che sei riuscita a prenderla più o meno agevolmente. non è una questione di sfiga. ma di riverbero mnemonico dell'evento.
o forse è proprio questo il finale inevitabile, così peraltro mi dicono. la noia, oppure il disfacimento. brennschluss comunque.
resta il fatto che le vedo disfarsi. e non è un bello spettacolo. roba che sono ulteriormente avanti a me. hanno già anche sminchiato. mentre io sto qui che mi ciondolo in maniera nevrotica nell'eterno ritorno delle cose. solo che ad ogni giro si è meno tonici e splendenti. e per giunta riverberanti mnemonicamente delle coppie che si sono disfatte nel mentre. dopo aver serotinizzato ed ossitocinizzato per quel che è servito o durato. poi, vabbhé, lo brennschluss. brandelli e scie di detriti smaciullatelli lungo la via. però intanto io brennschluss prima ancora di finire sulla rampa di lacio. nonché paranoidi ex-ante. roba da giunture scricchiolanti e ossidate a furia di fare un sacco di cantdàun che poi ricominciano ad minchiam, o a caso.
già il caso. "non si dimentichi, come ricordava un attimo fa, che alcune situazioni sono legate al caso. nonostante tutte le analisi che lei può fare fare, magari un po' spaventato da quello che può accadere". così mi è stato suggerito, giusto l'altro giorno. il caso, appunto. così il progetto irene ad ottant'anni. quando non potrò ovviamente tenerla in braccio [semi-cit.]. [nel frattempo può essere che saremo riusciti a chiudere l'azienda. peccato, dopo tutte le soddisfazioni che è riuscita a regalare].
il caso. già. m'è capitato questo. poco da offrir resistenza. piuma sospinta dal vento.
credo che mi avvierò verso il momento più intenso e felice della giornata. quando mi metto a letto.
e dormo.

Monday, March 10, 2014

ispirazionismi

ho finito un altro libro, qualche settimana fa.
quello di augias [e vannini] "inchiesta su maria". un libro miniera, per certi versi.
ad un certo punto si fa un curioso parallelo: la visionarietà delle "mistiche" [a guardarle con distaccato razionalismo qualcosa di prossimo la follia, dal mio punto di vista] e la "necessità" di espressioni di un artista. la forza dell'opera d'arte che sgorga da analoghi desideri o stati di necessità, ogni opera d'arte resta anch'essa a metà tra visibile e invisibile.
in un altro punto si ricorda di come la creazione "artistica", spesso, sia una sorta di bacino di decantazione per un malessere del vivere che chiede di essere spiegato, acciocché non sopraffagga: evitando una sorta di di apoptosi per via psichica. la figuratissima valvola di sfogo, insomma. il malessere che, tossina, si fa causa scatenante, ispirazione poliedrica, humus da coltivazione per qualcosa che nasce dal di dentro, che poi trascende l'autore stesso.
ecco.
facendo le proporzioni, con le opportune riduzioni a millesimi, mi sovveniva e constatavo, mentre leggevo quelle pagine, che avevo praticamente smesso di scrivere. soprattutto i post.
fatte le debite proporzioni, con le opportune riduzioni a millesimi, mi sono rimesso a scrivere. molta ispirazione e voglia di buttarla in cose piene di refusi. tipo la mia esistenza.

Sunday, March 9, 2014

ci si potrebbe portare avanti col lavoro

occhei.
considerato la stravagante ipoteticità del progetto irene. cioè che la pars construens del post precedente fosse una bellissima chiusura di un libro. mezza paginetta di intuizioni financo liriche. talmente contraltare dalla psicopippa destruens, talmente l'effetto in positivo del mio calco in negativo che - che ne so - vuoi addirittura renderne edotta la terapista: ecco, però rimanessero giusto lì, sulla carta.
e che sì. la mia psicopippa è corretta. sfiduciato e disperato di futuro che quindi non sarò in grado di costruire mai una relazione di un certo portato. figurarsi il progetto irene. ed è così, diretto, lineare, consequenziale. senza ci sia bisogno di farselo spiegare da nessuno. ci arrivo da me, anzi, è lì che si dipana da sotto i piedi. a partire da adesso. che scrivo il post.
ecco.
allora.
perché fare tutta questa fatica?
se è destinata a finire a cazzo, allora perché tutta questa fatica?
perché dare retta a quel rompicoglioni di superio merdosissimo. e non cominciare a dare il la allo sfaldamento definitivo. tanto là bisogna finire.
mi sono sbattuto come un ossesso. e ho in mano un pugno di mosche. qualche riconoscenza affettiva. lo sbattere la frusta del frullatore che tiene in sospensione il materiale frullato: ecco l'idea dell'unico senso all'esistenza nelle relazioni, in generale. è una montatura che alimento perché se si spegne il frullatore il miscelato... plof... s'abbassa al livello iniziale. perché affannarsi tanto. le relazioni si srelazioneranno perché prima o poi spariranno tutti gli altri.
e allora perché non portarsi avanti col lavoro. senza sbadtimenti o precipitose precipuità. il tentativo è fallito: bene, si spegne il frullatore. alleggeriamo la realtà, che tanto è faticosamente pesante. ed inutilmente. disperazione per disperazione evito di raccontarmela su.
dal punto di vista tecnico è come se dicessi: fottiti, mondo. io mi arrendo. tanto è solo questione di tempo. per tutti, mica solo per me.

Saturday, March 8, 2014

intermezzo: sulla valigia da portare assieme, se una qualche irene sta in un [molto?] ipotetico futuro

qualche giorno fa lavavo i piatti. e naturalmente psicopippeggiavo. e di colpo mi sono chiesto se questa poca fiducia di poter, prima o poi, incrociare qualcuno di relazionalmente stabile e concreto non sia una specie di poca fiducia nel futuro.
sì. insomma. una relazione, una compagna, un qualcosa di presente fortemente e localmente accanto a me. tutta roba che mi pare veramente scivolata in una specie di universo parallelo a questo qui. quello col piano di marmo a rendere un po' più interessante la mia cucina ikea. constatarlo quasi asetticamente.
e chiedermi se è perché, da un certo punto di vista, è perché mi sono arreso. perché non ci credo ad un futuro diverso. e mi lascio trasportare dagli eventi, tipo una piuma. lontano, probabile, da quello dove penso sarà possibile portare la responsabilità di un qualcosa che non sia più [solo] la mia esistenza un po' da orso, a volte. ma che in fondo non disdegno poi mica tanto.
l'impegno di far assieme ad un'altra persona un pezzo di cammino. che dev'essere fottutamente complicato, e per questo deve valerne la pena. ecco: lascio perdere, perché ho perso la speranza nel futuro. smetto di voler volare.
disperato, nel senso etimologico del termine.
approccio destruens. sereno, ma destruens.
poi, sul traghetto, sull'acqua, leggo una cosa. e mi rendo conto che una cosa simile è psicopippa quanto meno condivisa. perché nelle ultime righe di un libro che parla di una strage [ancora] impunita c'è questa cosa qui. qualcosa che mi pare molto omologo alla mia domanda, che sapeva di disperazione. ma qui c'è l'approccio construens, sereno e contruens. [oltre che ad essere gradevole a leggersi più dei miei vaneggiamenti]
"l'amore ha sempre un peso. ogni legame è un vincolo. costa molto, in termini di libertà. si paga a caro prezzo, con la paura di perdere le persone amate, il terrore di vederle soffrire, e ancora di più di soffrire noi stessi, di perderle, di essere abbandonati. si paga con il rischio di un dolore così grande che qualcuno non riesce a sopravvivergli. non sono poche le persone che rifuggono un rischio simile [ehm... ndo], specialmente se sono già state ferite. ma sono i legami con gli altri e con il mondo a dare continuità, a conferire un'ossatura solida alla vita. a costruire senso. rifiutare il peso non significa volare come uccelli, ma soltanto farsi trasportare dal vento, come una piuma. rinunciare ad esistere fino in fondo. siamo tutti come l'angelo del cielo sopra berlino di wim wenders: per vivere, per amare, dobbiamo accettare il peso di essere uomini tra gli uomini, nel bene e nel male. una valigia stracolma, da portare insieme" [pag. 433].

Friday, March 7, 2014

sul perché penso che renzi non mi piaccia /3 e sul perché penso piaccia ad una certa fetta di italica gente

molta prosopopea logorroica nei due post precedenti. lo so. mi auguro che almeno si intuisca che il più giovane presidente del consiglio della storia d'italia non mi piaccia. oltre al titolo ovvio. se non s'intuisce mi autofliggerò punizioni con l'attrezzo con cui si taglia la polenta, così imparo.
[piccola divagazione: potrei fare un sondaggio velocissimo all'uopo. siamo in due gatti qui dentro. la contatura dei lettori quivi è molto più fica che in libbbbbero. nun se scappa].
posto che non piace a me, occhei, assodato. ma figurarsi se sono minimamente sineddoche dell'italica gente. tze. mi spiacerebbe per l'italica gente, e non glielo augurerei. e penso sia abbastanza plausibile che ad un sacco di persone quel guascone colla c un poco aspirata piaccia. eccome: soprattutto ora.
posto che se su di me qualche ragionevole punto di vista è abbastana probante, sull'italico sentire la faccio ancor più fuori dal vaso. sul perché piaccia, non tanto che piaccia. se su di me davo un chiave psicanalitica delle balle, sulla media dei connazionali miei dovrei addirittura pescare - a caso - nelle categorie socio-antropologiche.
pfiu.
....
....
'spetta che smetto di ridere e poi riprendo a scrivere...
...
ecco. finito.
[prima un'altra divagazione: ora userò la prima persona plurale. per comodità, ovvio. perché io mica mi sento [del tutto] così. e chi lo appoggia animato da intenzioni profonde e sincere, non sta dentro queste categorie un po' sempliciotte. e ce ne sono un sacco, sono convinto. che si distinguono nella complessità dell'unicità dell'idea, della passione e delle convinzioni di ciascuno. è il discorso di fondo che mi si è attaccato dentro. e che provo a srotolare].
dicevo: la sparo ancora più grossa. ma tanto qui in questo cantuccio non mi pongo molti problemi nel farlo.
ecco. penso che, al solito la chiave di volta, sia quello che evoca il segretario del piddddì. che per narrazione, ammaliazione, simulazione, mimetizzazione incarna la figura dell'uomo solo al comando. uomo forte ormai, nell'era della morte del maschio, forse non funziona più tanto bene. di uomini della provvidenza ne abbiamo già avuti un paio, uno era pure unto, per dire. all'uopo si ha un po' bisogno quello che pare evocare un sogno, o giù di lì. e che ancor meglio ci leva dalle difficoltà del pensare: e mo che si fa? ci pensa lui, ci fa credere che l'entusiasmo, la carica, la voglia di fare, il giovanilismo, la velocità, la convinzione che - vabbhé, dice lui - ci dobbiamo mettere ambizione sia quel serva. e quel che basti. e a noi ci fa comodo provar a cullarsi nella mielosa idea che sia financo vera.
credo che sia perché siamo un popolo, una nazione, giovani. col senso civico e la percezione reale ancora da infanti. è una specie di debolezza di gioventù, da ggggente che deve crescere nel senso di sentirsi una comunità nazionale. il picciriddo ha paura, chiede amore. sa che solo non può farcela mica. ha bisogno di un grande.
ecco. il grande è l'uomo solo al comando. colui che intende la politica dell'io. e non del noi. ci mette la faccia perché trionferà o sbaglierà lui. è già un passo avanti, almeno nelle intenzioni. ma è un approccio paternalistico, verso interlocutori che non sono [o non si reputano] maturi. la politica è l'arte del noi [cit.]. cozza appppalla con l'accentramento su di una sola persona che si fa carico del tutto perché avvinto dall'aura.
credo, ad oggi, che poi ci si senta un po' avviluppati dallo sprintoso giovanilismo dell'ex sindaco, anche perché si è piuttosto affranti e disperati. che c'è chi sta peggio di noi. che la grande depressione fu altra roba. però della crisi si ha un po' tutti i coglioni pieni. e quindi, perché un po' pure infanti, viene più semplice lasciarsi andare pensare che qualcuno ce la farà. e se quel qualcuno dice: "ehiiii [pollice alzato e giacca di pelle] ma ci sono, ecco che la cosa si puote fare".
e quindi il refrain, che siamo un po' pieni della crisi, che se non ce la farà lui allora non ce la può fare nessun altro. che è l'ultima chiamata. l'ultima speranza se non per l'italia, per la sinistra. che dopo di lui... [pianto e stridore di denti? il diluvio? le cavallette? i buchi neri?]. e il fatto è che lo dicono eminenti giornalisti et corsivisti. alimentado una specie di maieutica che pare essere fatta per giustificare quello che è capitato. [o forse è proprio per questo?].
ecco che si chiude il cerchio, o circolo, che però è vizioso. è talmente necessaria una rivoluzione, però contempliamo quanto sia necessaria e che si sia all'ultima chance. però che la rivoluzione e la chance se la giochi uno solo. ci pensa lui, vabbhé se ci è arrivato lì come ci è arrivato: levaci le castagne dal fuoco e ce lo dimenticheremo. è l'effetto che ci interessa. al nesso causale possiamo anche non farci caso.
è una specie di cantata collettiva nazionale: canto e controcanto. i non ancora maturi e il deus ex machina, che fa comodo, oltretutto se non fosse arrivato sarebbero stati guai. invece sarà rivoluzione e ci troveremo rivoluzionati, comodamente seduti con la pappa pronta.
tralasciamo anestetizzati le complicazioni della realtà. quelle son cose per i grandi.
ed è per questo che [credo] fallirà.
[ma in un altro post psicopipponico].

Sunday, March 2, 2014

sul perché penso che renzi non mi piaccia /2

[#debordocoscienziosopipponico parte 1, qui]
e così mi sono detto: occhei, dai, vediamo che combina.
non mi dimentico che non lo sopportavo. ma mica per altro: per cercare di de-potenziare le eventuali "critiche". sì, insomma, una sorta di meccanismo di #autoriduzionedeldannosputtanatoriochevaperlamaggioreinstoperiodo. una cosa del tipo: ehi, a far quello che sputa fiele e lamentazioni si fa in fretta, e poi è così terribilmente di moda. basta scorrere la lista dei post su feisbuch ed eliminare i gattini nelle varie declinazioni e poco altro. voglio fare lo snob. voglio fare quello che sminuzza quest'insopprimibile stronzaggine che ci si porta dentro. non so se ci riesco del tutto. ma voglio provarci. quindi se il nuovo fonzie che posa su "Chi" mi sta sulle palle a monte, bene, me lo tengo ben a mente. e quando proverò a ragionare su quello che farà, o come si porrà, metto in conto che rischierei di essere un poco meno obiettivo che in altre occasioni. e quindi cercherò meglio vagliar una volta di più quello che mi sembrerà venir fuori dal ribollir psicopipponico. a partire da questa psicopippa qui con l'autoriduzionedeldannosputtanatorio e via di seguito.
però appunto di #PP [psicopippa] in #PP[psicopippa] mica ho ancora detto sul perché. e visto che sono già ad un pezzetto del secondo post, mi sa che devo sbrigarmi. quanto meno ho violato pesantemente la regola della piramide invertita per il web-content: subito la notizia, poi, al limite, la spiega di approfondimento.
 insomma: perché non mi piace.
ci ho pensato, ci sto girando in torno, ma ci ho pensato.
mi è venuta come risposta, parziale e provvisoria come tutte le risposte, una specie di chiave di lettura psicanalitica.
[prima piccola divagazione. i termini chiave di lettura psicanalitica è roba che uso per riempirmi la bocca, anzi la form del post. perché non ho gli strumenti tecnici, perché sono un perito degenerato in ingegnere, perché per coazione a ripetere [altro termine usato ad minchiam] provo a leggere molte cose che mi arrovellano in questo senso. per il semplice fatto mi tengo in allenamento. c'è chi fa le flessioni, le vasche a nuoto, gli allunghi e le ripetute di corsa. io mi alleno ad "analizzare", così rendono meglio  le sedute da odg, con quel che costano, mica per altro.]
credo che non mi piaccia il sindaco d'italia sostanzialmente per due motivi.
  • perché ne percepisco il piglio da #ghepensimichesosolitarioalcomando e
 contestualmente per 
  • la personale rejezione verso elementi con ego affetto da pericolosa ipertrofia. 
forse piscio fuori dal vaso, ma quel suo piglio italicamente autoritario de noartri intuisco sia legato al pessimo rapporto che ho verso l'autorità. penso - a voler scavare col manuele vinto nelle patatine - che a sua volta dipenda dal mio rapporto mai del tutto risolto che ho avuto con mio padre. ruolo ed identità [figlio di mio padre] che comincio a comprendere, accettare e far miei solo ora, dopo otto anni dalla sua scomparsa e perché sto facendo ordine nel coacervo neuronico interiore. mio padre era una persona fondamentalmente buona e - a suo personalissimo modo - istituzionalmente anarchica. e non so quanto abbia mai compreso quanto significasse essere padre, o almeno in che modo ne abbisognassi io. per certi versi mi ha sempre lasciato liberissimo. anche quello di non riuscire a strutturare alcuni capisaldi. tra cui, appunto, quello di autorità. di cui mi fido istintivamente poco. forse perchè ho fatto confusione tra quel suo porsi all'interno di regole emozionali, che si era dato, e libero verso il mondo strutturato piccolo-borghese-paesano, del cui giudizio conformista non si curava.
qualsiasi forma di autoritarismo mi irrita. anche quello cacio e pepe che ammanta l'italico lider, o che si crede tale. è la stessa avversione istintuale con cui ho aborrito er berlusca, il comico comiziante [intendo nel senso stretto: il grillinico sputacchiatore quando urla] e il nostro.
questo ovviamente non significa che sono tutti e tre la stessa cosa. affatto. però il piglio da sottile da risolutori col crisma è un fil rouge che li unisce, e che non riesco a non vedere. tecnicamente il più perverso ed insincero mi pare quello coi capelli ricci, per una serie di ragioni che magari un'altra sbrodolata postica.
e comunque il fare da #ciòilcarismacarismatemieseguitemi non può funzionare senza un egolatria che urla con rumori assordanti. tutto si può dire dei tre di cui sopra tranne che siano ammantati di modestia ed understatement. ad avere ego pericolosamente debordanti in effetti ce ne vuole. ma ho idea che loro sappiano #cenevogliarne parecchio. che poi la si dica: 
  • sono l'unto del signore
  • sono il portavoce del popolo [ecco la surrettizia cazzata insincera]
  • tengo un'ambizione smisurata ma perché dobbiamo averla tutti [paraculata da lancio di falso bersaglio] 
da quel punto di vista, dal mio punto di vista, cambia poco.
poi, a dirla tutta, non nascondo di essere in pieno riflusso pre-revanscista. con gli egotici, intendo. ci ho avuto giusto a che fare per troppo tempo, seppure a insaputa di tutti: degli egotici e che stavo subendo il loro debordare inconsapevole. io senza volerlo ho lasciato fare, lasciando spazio a quell'assertività con cui mi sono trovato un filino [auto]schiacciato.
ora che sto mollando la zavorra quando intuisco situzioni, egotiche, drammaticamente più roboanti mi sale quel minimo di incazzo, o di fastidio. magari lasciate sopite per tempo. ma poi che saltano fuori. tipo quella per l'hashtaggatore alle 6.43 di mattina da palazzo chigi. che così passa l'idea dell'uomo del fare.
che a me non piace, credo ormai si sia capito. ma perché si porta dietro parecchia popò di roba. parte della quale è in questo sbrodolatissimo post. non so quanto azzeccata. però io ci ho provato a capirne il perché di questa #nonmipiacenza che neanche io so come.
figurarsi se so perché invece piace ad un sacco di altra gente. magari la gente che piace a cui piace. di cui percepisco una sorta di infatuazione che boh. per inciso: non è la cosa che intuisco dell'amico itsoh. che lo appoggia per motivi - credo - legati più alla classe dirigente che può tirarsi dietro. confidente in una speranza che crede ben riposta nel gruppo che ne scaturisce. penso.
appunto. roba diversa dalla fascinazione del lui, che l'italico corpo elettorale promana in gran parte.
mi sono chiesto, di nuovo, il perché.
voli pindarici in altri #pistolottipipponici. però in un altro post.