Monday, April 7, 2014

il bianco è nero. e il nero è bianco. sull'ermeneutica dei "sentimenti" /1

mi stanno venendo un sacco di altre psicopippe. giusto per avvisare i tre di qui. e sapere cosa c'è oltre, nel post e forse n altri advenienti. sarà che queste giornate sono diventate una specie di susseguirsi di suggestioni, tutte con 'sto fil rouge, o come diavolo si scrive. a partire dall'ultimo post. che hanno letto tre volte. e tre significa tre, no per sentito dire.

no. ecco. il razionale di fondo è molto semplice. ho vissuto sensazioni, che pensavo fossero chiare. di quelle cose che sembrebbero entrare nella categoria dei sentimenti umani, di quelli che vivono le persone normali. con caratteristiche tutto sommato definite. magari i bordi un po' sfumati, ma tipizzazioni facili da inscatolare.

durante l'adolescenza, ed anche un filo oltre, sono stato molto amico di un prete. non avevo mai pensato, allora, cosa potesse aver scatenato tutto ciò. pensavo fosse stato un semplice caso della provvidenza. a quei tempi ero suscettibile a queste visioni pre-teleologiche. a dirla tutta, qualche tempo fa, non molto, sono financo giunto a parziali conclusioni, che avrebbero potuto spingere lui. parziali e provvisorie, come tutte le conclusioni, del resto.. l'altra sera, altresì, mi è sovvenuta un'altro pezzo della faccenda. lui probabilmente è stato il primo a intuire la complessità - laocoonticamente adolescenziale - del mio psicopipponare: intuirla e con la decisione di interloquirla. con il mio beneplacito: cosa che, banalmente, non avevo dato ai tempi ai miei genitori, so' testediminchiaz i brufolosi quindicenni. sì, insomma, quello che per la vocazione di pascer pecorelle se n'era trovata una che - tra l'altro - maramaldeggiava di considerazioni molto poco pragmatiche e molto cervellotiche, sublimava le donne con cavalleresca distanza, infiocchettava tutto quel sentir "profondo" nel professare una fede che pensava fosse incrollabile.

intanto io ci avevo l'amico mio prete, con cui era interessante perdersi in lunghissime chiacchierate. cose così. c'era molta soddisfazione "intellettuale", una bella scarica di adrenalina mentale e di confronto. mi trattava da adulto, ascoltava le mie considerazioni che sgorgavano che almeno lì niente continenza. insomma. ci vedevo un senso relazionale. il concetto più puro e immarcenscibile di amicizia. con tanto di situazione uterina oratoriana. lì, insomma, ci stavo bene: avevo conquistato una mia posizione di alterità nella comunità. figata.

quando studiai l'illuminismo, di botto, mi accorsi che in fondo potevano aver ragione loro. con la storia della religione come elemento fondante dei secoli bui. si insinuò il seme del dubbio. fu drammatico. la ragione mi diceva una cosa, chiara, netta, consapevole. quello appena sotto il conscio mi fece capire che dar ragione alla ragione avrebbe significato far venire giù tutto. dalla situazione uterina, all'amicizia con lui.

furono giorni di autentico struggimento interiore. per quanto quasi monodimensionale, tanto quanto possono offrire le sfumature di un diciottenne strutto di emozioni qual ero. risolsi tutto in un bel giorno di aprile, leggendo - e struggendomi - con alcuni brani delle confessioni di sant'agostino, uno dei padri della chiesa e della filosofia [il suo contributo all'ossegione sessuofoba - da compulsivo di ritorno - nel pensiero ufficiale della chiesa lo scoprii molto tempo dopo]. insomma. ce l'avevo in nuce, l'agnosticismo. farlo venir fuori avrebbe comportato dei costi che, romanticone innamorato sublimato, non ero in grado di sostenere, allora.

e poi venne l'università. e il desiderio di tornare alla hometown tutti i uichend. e la vita intensa vissuta là, e non qua. per poi arrivare alla tesi, con la dedica anche a lui [e la citazione del DeGre, ad aprire il lavoro più inutile della storia del dipartimento di elettronica e informazione del politecnico di milano].

lui nel frattempo era stato trasferito. incarico diocesano. fui uno dei primi a saperlo. fu il sabato di carnevale. intuii che la mia vita sarebbe cambiata: su quello ci azzeccai. per un paio di mesi mi portai appresso questa specie di segreto. la cosa interessante fu che nel segreto delle nostre chiacchierate lunghissime ci promettemmo amicizia eterna. di quelle cose che avrebbero saputo resistere, immarcescibili, alle ere e ai continent e ai fusi orari di eventuale distanza.

finì tutto molto prima. semplicemente sentii che non c'era più molto, e dall'altra parte una serena rassegnazione. quello che era in nuce, il mio agnosticismo, risaltò fuori con le belle convinzioni di uno che, per alcuni eventi, nel frattempo uscì dal guscio uterino. e si guardò intorno dicendo: ehi, ma se fosse tutta una specie di invenzione 'sta cosa del regno dei cieli? ed un bel giorno non entrai più in chiesa, nell'edificio dico. fu durante uno sbandamento edonistico con la tipa del post precedente. ma penso sia un dettaglio. semplicemente non c'erano più le condizioni.

non fu facile. perché c'erano una serie di relazioni che su quello facevano abbastanza perno. non è che venni rejetto, ci mancherebbe. mi sganciai io. e ricominciar a tessere altre amicizie fu un po' destrutturante. il caso mi ha poi messo sulla strada persone che apprezzavano il buon vino ed il buon tavolare assieme: come elemento di socialità. mi ci sono infilato pure da anosmico. ho ricominciato da lì.

e il prete? della mia abiura non se parlò mai. provarono a dirgli di parlarmi. lui si rifiutò, lo riteneva inutile, o forse non valevo il suo tempo e lo sbadtimento di interloquire di una cosa così fondante: che si fotta la pecorella - tecnicamente - smarrita. la cosa non mi meravigliò, non era la prima volta che si sottraeva a passaggi non propriamente lieti.

perché 'sto pippone sui sentimenti?

perché avevo categorizzato quello con lui, l'amicizia che mi legava a lui, come una delle cose più assolute e incorruttibili, potesse capitare di vivere. il concetto stesso di amicizia, a braccetto di quell'avverbio assoluto: sempre. di più, se possibile: il contraltare intellettuale all'amore eterno tra due persone. un po' banale, forse. quanto meno un bell'assolutismo fondato su smaccata inesperienza, oltre che qualche consapevolezza non del tutto strutturata.

evaporò come rugiada al mattino quando il sole sorge [eeeeesticazzzi]. doveva traguardare il tempo e lo spazio. finì in maniera decisamente più rapida, e forse un po' inevitabile.

il fatto è che venne giù prima che riuscissi a staccar il contraltare di cui appena qui sopra. e se quindi era finita quell'amicizia, sparita senza saper dove fosse finita, perché mai avrebbe dovuto resistere in eterno l'amore tra due persone? e che senso poteva avere quella promessa matrimoniale? nessuna, o meglio: altro rispetto alle categorie di cui mi ero imbevuto fino ad allora. ermeneutizzavo i sentimeni un po' così, semplicemente.

la realtà, e quindi pure le sensazioni sentimenali, travaricano sempre oltre il bordo di ogni ragionevole tazza. pian piano, ma ci sto arrivando a comprenderlo per bene. e come tutte le conclusioni sarà una cosa parziale e temporanea [e forse è proprio questa la cosa interessante. fa decisamente gerundio].

3 comments:

Unknown said...

Il nero è bianco, il bianco è nero.
E in grigio stat virtus.
Che i "sentimenti" sono roba più da logica sfumata che da ermeneutica.
Io almeno so quello che sento, ma mi sfugge sempre il momento in cui cambia il mio sentire.

odisseando said...

invece che grigio, direi tono cromaticamente neutro. che poi è il modo in cui si bilancia il bianco, e si sistema la temperatura di colore, nella post-produzione fotografica.
ed è come veder le cose sotto una luce meno lisergicamente traviante.
e quindi anche questa è ermeneutica.
il bianco è nero e il nero è bianco era l'iperbole. peraltro presa da un filme. sono in vena di citazioni, a 'sto giro...

Unknown said...

Ecco, tono cromaticamente neutro! Ci si può coreggere in post-produzione memorica anche il rosso-eritema solare? [che firme?]