Saturday, July 26, 2014

un ventiseiluglio, di un po' di anni fa. una data un po' qualunque, o forse no.

la sera prima mi accompagnarono ad ivrea, col ford transit nove posti, livrea rosso pompieri e la banda bianca - longitudinalmente disposta - in mezzo. eravamo dove finisce una strada e dopo non c'è più nulla di carrozzabile, in cima ad una valle, depandances di quella dell'orco, nel piemonte che non è il mio. santuario, casermone per i pellgrini di un tempo. ottima lochescion per i campi scuola dei parrinari. di quelli dove alla fine si fanno i falò e un po' si piange perché il giorno dopo si torna a casa, a valle. ma le sensazioni sono così forti che spaccherai il mondo, sull'onda della carica emotiva di quei giorni un po' comunità a sé. il 95% dei partecipanti neanche una settimana si è già dimenticato tutto. al limite rimira l'innamorato/a che su di là aveva quell'aura un po' così, speciale. e poi illuminato alla luce del falò dell'ultima sera, coi canti accompagnati dalla chitarra.

io ero nel restante 5%. convinto di essere chiamato a chissà quale missione salvifica del mondo intiero. e se è solo per questo la mia innamorata io già la rimiravo ben prima dei falò. solo che lei ancora non lo sapeva mi avrebbe amato. era questione di tempo. anche il fatto si disamorasse del tipo belloccio, coll'orecchino, che era un po' il cocco del don. che poi lo ero anch'io. ma in maniera diversa. e in ogni caso lei guardava lui, con occhi innamorevoli. naturalmente tutto in pectore. nessuno sapeva nulla. tutti sapevano tutto. come percezione o come pettegolezzo, magari appena sussurrato fugacemente, come a confidare il più prezioso segreto. e la mano a coprir le labbra e il risolino alla fine.

comunque. appunto. mi accompagnarono alla stazione di ivrea.

poi da lì il treno per chivasso. e quindi la coincidenza per milano. su quel secondo treno sentii scattare quella cosa struggente e torchiabudella. il fatto di essermi allontanato da lei. il mio amore senza più la presa diretta del suo complemento oggetto. poco importava se fossi tornato solo il giorno dopo. mi stavo allontanando, anche se a lei probabilmente importava tanto quanto il fatto la coincidenza per milano fosse in orario, o in ritardo, tanto chi se ne fotte. tanto sarei arrivato a milano.

sul treno cominciò a farsi largo l'afa di fine luglio. nuvoloni struggenti che esalavano qualche lampo là, in fondo alla pianura. la montagna è bella. la pianura però ti fa vedere molto lontano. come il violaceo dei fronti perturbatori in cui ti stai infilando. alle spalle la luce radente del tramonto ad occidente. insomma: un bel mescio. e poi il pensiero a lei, lei che pensava all'altro. e lo struggimento. o forse era anche un po' di fifa per l'esame del giorno dopo. fisica I. che in realtà era uno di quelli che fungeva da filtro al primo anno, appena dopo analisi I. io altresì lo percepivo come una cosa molto fattibile. a dire il vero, a quel giro, ero un cazzo pronto. lo provavo giusto per non lasciar nulla di intentato. ma, come dire, le sicumere sulla preparazione sarebbero state, avrei scoperto, ben altre. e infatti, nonostante tutto un po' mi agitavo. ripassavo, giusto per tener a bada l'agitatia da ansia da prestazione.

sul treno c'erano ragazze, nere, molto nere. truccate molto pesantemente. parlavano una lingua rumorosa. verosimilmente mercimoniavano il proprio corpo. ero abbastanza convinto non la propria anima. io non osavo guardarle. un po' imbarazzato, un po' intenerito per quello che - verosimilmente - sarebbero andate a fare, una volta scese dal treno. mi rifugiavo abbassando lo sguardo sull'alonso finn, il testo del corso, e gli appunti. figurarsi quando passavano dei ragazzi neri, molto neri, che offrivano oggetti monilistici in oro, grandi, kitch, roba pesante da indossare, meglio non chiedersi come fossero arrivati lì, in mano loro, a smerciarli contrattando sui prezzi. mi colpì il contrasto netto tra la pacchianità dorata e le loro mani, anche se coi palmi più chiari. intanto, ogni tanto ripassavo, col cagotto che si stemperava senza soluzione di continuità allo struggimento per illa. che intanto pensava all'altro.

in stazione venne a prendermi l'amico marco. da lui avrei passato la notte. faceva caldo, nonostante il fronte perburtaborio si fosse fatto raggiungere dal treno, ed esalato violento la sua liquida interiorità. fulmini e saette comprese, giusto per essere più sintonici col mio struggimento, unitamente al cagotto per l'esame che comunque sapevo non avrei passato.

la casa di marco non era distante. ci arrivammo a piedi. così come a piedi avrei raggiuto l'università il giorno dopo. quindi l'esame, che non avrei passato. sarebbe passato il cagotto, e lo struggimento per illa si sarebbe colorato della lieta certezza l'avrei rivista entro la sera. probabilmente lei a tubare vestigialmente verso l'altro, con tanto di civettuosa e sedicenne smentita.

a casa di marco, che era avanti e che mi fece capire che ero di sinistra [non solo quella sera, ovvio], parlammo dell'ultimo album di baglioni che lui irrise col suo cotè un po' da intellettuale sinistroide, che guarda con distaccata sufficienza le emanazioni del pensiero mainstream alla matriciana, per quanto complicato come quell'albumtantarobabaglionesco. mi raccontò il suo punto di vista sull'ovvietà  [come fai a non capirlo, pirla] che i missionari in africa fossero ben visti dalla povera gente. e non perché portavano loro il dono della fede giusta, o vera. [all'apostasia io sarei arrivato un po' di anni dopo, venivo da un campo parrinaro dove c'era la donna amata [non ricambiato, ovvio] ed ero convinto di incarnare una qualche parte nella telenovela della teleologia salvifica mondiale. non la presi serenamente, la storia dei missionari, dico].

faceva caldo. andammo a dormire. è verosimile io mi si sia svegliato a metà della notte un po' per il cagotto dell'esame. un po' perché mi trovai bagnato, nel senso di lì, senza peraltro pisciarmi addosso, e benché non avessi sognato chissà che di erotico. avevo letto erano fenomeni che sarebbero scomparsi dopo il primo rapporto sessuale. sarebbe passato ancora troppo tempo, anche solo per scoprire che sì, tutto sommato, è vero. [la storia che poi non ti svegli più bagnato, dico]. Naturalmente non avevo sognato lei. e ci mancherebbe. prima bisognava innamorarsi [lei, almeno], poi fidanzarsi, e poi, magari uno strappo proprio perché ci volevamo molto, ma molto bene, farlo prima del matrimonio. perché era ovvio che l'avrei sposata.

comunque.

la mattina del ventisei andai al poli. naturalmente con lo stomaco chiuso dalla tensione. e non funzionava ripetersi che tanto ero lì per provarlo, non avevo fatto in tempo a studiarlo per bene. in fondo l'ansia da prestazione colpiva già feroce, ancor prima di sapere cosa fosse la prestazione. come dire: il sintomo precede la comprensione della diagnosi.

la professoressa si chiamva gamberini. una donna che annichiliva sia il concetto che la sua  femminilità. indossava spesso dolcevita bianchi inguardabili. aveva occhialini dalla montatura sottile. parlava con una erre arrotata che sarebbe stato interessante sentirla cantare l'inizio di "samarcanda" di vecchioni. ma, soprattutto, era didatticamente un disastro. le sue lezioni si svuotarono quasi subito. migrammo quasi tutti all'altro corso, omologo. quello per quelli con la parte fortunata del cognome e un professore con il dono della maieutica. ricordo ancora lo stupore da bocca aperta quando spiegò, con una facilità da fuoriclasse, dell'intervallo clastico che può verficarsi nella caduta di un grave, quando energia potenziale ed energia cinetica si litigano la rendita energetica di quello.

comunque.

visto che ero lì ci provai, anche per giustificare lo sbadtimento: dal passaggio col ford transit, allo struggimento, all'ospitata dell'amico marco. c'era una domanda relativa alle trasformazioni di lorentz di massa e dimensioni, ovviamente con risultati apprezzabili a velocità che si approssimano a quelle della luce. io mica le sapevo dimostrare. però ricordavo di aver letto un libricino sulla relatività ristretta qualche mese prima. al che mi dissi "posso dimostrarlo senza passare per le dimostrazioni del libro, non potrà non apprezzare la soluzione non canonica". forse era decisamente troppo poco canonica, o forse non avevo capito granché di quel libercolo. fatto sta che il ragionamento che sviluppavo, nella mia versione solutoria eterodossa, portava ad una conclusione che andava nella direzione inversa a quella che avrei dovuto dimostrare.

consegnai, sapendo di non averlo passato.

ma almeno potevo ripartire per arrivare in cima alla strada, che da lì in avanti non si poteva più andar avanti a conquistare niente con un mezzo meccanico convenzionale. dove ci sarebbe stata lei, all'ombra del santuario e la casa dei pellegrini di una volta.

quel giorno, il ventisei luglio, compiva gli anni pure il belloccio coll'orecchino. nell'ambito comunitario di quel campo scuola sapevo si sarebbe festeggiato. e quindi anche lei, di sottecchi gli avrebbe augurato più caloramente degli altri: buon compleanno. anche per una sorta di paracula contiguità un po' tafaziana, non volevo esser da meno. magari un regalo no. però un biglietto d'auguri sì, via. con tanto di pensiero [finto] profondo dentro.

feci il viaggio sul treno che mi riavvicinava a lei in una prima classe declassata. di quelle dove i sedili sono comunque più larghi. declassarla significa solamente far sì che quelli come me potessero viaggarci dentro. poco importa se si notava una certa decaduta esclusività, ma si stava più larghi. il fatto fosse declassato era segnato da un avviso attaccato con lo scotch sul finestrino. me lo ritrovai davanti mentre scrivevo il biglietto. lessi, al rovescio, da dentro al vagone, mentre l'avviso bisognava leggerlo fuori: "l'asportazione di quell'avviso sarebbe stato punito ai termini di legge". per amore di quell'anelito smorfiosetto lo staccai, col brivido momentaneo mi sgamassero, e mi punissero ai termini di legge. lo incollai nel rivestimento trasparente del biglietto genetliaco per l'anelito del mio anelito che non ero io. contemplai che era venuto fuori un biglietto augurale originale. lui sarebbe apprezzato. non c'era un nesso causale evidente del fatto avrebbe potuto apprezzare pure lei, e far sì potesse osservarmi con occhi nuovi. è che le nevrosi ti fanno saltare questi passaggi logici.

arrivato ad ivrea uscii dal centro città, e mi incamminai. deciso a far autostop: sai che botta riuscire ad arrivare fin su là, dove finiva la strada chiedendo passaggi col pollice? poi tanto, nel caso, avrei potuto telefonare, il ford transit nove posti sarebbe giunto a prendermi. invece fui fortunato. tre passaggi ed ero a casa, cioè, casa su là, dove finiva la strada. ad ognuno che mi caricò in auto raccontai, quasi ad ammantarmi di una qualche aura, che tornavo dall'esame di fisica I al politecnico. sì, vabbhé, non l'avevo passato. ma sono i fatti della vita, capitano. tralasciai il fatto avrei rivisto il mio anelito. fui fortunato col terzo passaggio. un hippi in pectore, un po' fuori tempo massimo. gironzolava a caso per il canavese con la sua due cavalli. io ero ancora piuttosto lontano dall'arrivo ma già a fondo valle. lui mi chiese: dove devi andare? ed io: là, conosci? e lui: no, ma tu sai come arrivarci? ed io: sì, è un po' lontano da qui e devi andarci apposta, quindi non è semplice trovar un passaggio. però a questo punto del tragitto è facile, non puoi più sbagliare strada. e lui: e questa è quella giusta? ed io: questa, più che altro, è l'unica, finisce lì dove devo andare, oltre non si può proseguire. e lui: allora voglio proprio vedere com'è la fine di una strada. quasi volesse intuirci un valore simbolico a quel pezzo di viaggio, uno di quelli da sono i fatti della vita.

appunto. i fatti della vita. pensavo di essere adulto, nonché maturo. avevo capito [da un certo punto di vista: fortunatamente] solo poco più che un cazzo, nonostante tutta l'erudizione, pure coi votoni, che avevo ammontichiatto fin lì. magari quel giorno, quello stesso in cui io bucavo l'esame di fisica I, "rubavo" l'avviso di declassamento di un vagone con tutto il corollario nevrotico ex-ante, qualcuno, suo malgrado, ne stava capendo molto più di me, pur essendo quasi coevo.

sono i fatti della vita.

appunto.

1 comment:

Anonymous said...

Questo post mi è piaciuto un sacco! 8-) ToeflExpired