Sunday, November 30, 2014

determinazione dei problemi

domattina finisco la mia parentesi para-bohemien.

è durata complessivamente 14 mesi, giorno più giorno meno. la fase asfittica finale di un progetto aziendale che non è mai decollato veramente, che è stata una zavorra emotiva, nervosa, di speranza. un accrocchio il cui fallimento era scritto nei prodromi costituenti. mi sono fatto un culo pazzesco - imparando, invero, un sacco di cose nuove, e non solo tecnologiche. l'altro giorno ho fatto un conto della serva di quanto mi sia costato tra cash versato e mancati guadagni. dovremmo essere abbondantemente oltre la centomila.

aveva, come indubbio vantaggio, il fatto di permettermi di gestire abbastanza agevolmente il tempo. anche solo per decidere in quale periodo di una giornata lavorare anche 11-12 ore, nei passaggi più hard di taluni progetti.

domani invece si cambia. tornerò ad essere un para-impiegato, dove ci si aspetterà che più o meno a tal ora dovrò stare in un punto preciso. siccome sono un incrocio tra un pirla ed un'anarcoide snob è qualcosa che mi pungola, dentro. per fortuna si impara a gestire anche questo tipo di pungoli [cfr: "e non solo tecnologiche", di cui sopra]. però fatturerò alla fine di ogni mese una tariffa oraria più che dignitosa. e proverò a portar avanti qualche progettino mio, che nel mentre ho rimesso in circolo, dopo che la testa ha fatto click[on]. insomma: libero professionista [finalmente] meno libero. mi farò un gran culo, ma potrebbe financo essere che troverò un riconoscimento, quanto meno economico. non son diventato avido. ci ho smenato un sacco di soldi, devo rimettere fieno in cascina.

in questo contesto neo-lavorativo ho intravisto un paio di potenziali criticità. vedremo, dovessero acclararsi come risolverle e/o gestirle.

questa sera sono un po' nervosetto. credo sia un po' come quando non ci intimitizza con una donna per anni, quando si arriva un po' prima del momento topico che si ri-finisce nell'intimità, ci sta che uno sia un po' teso.

per chiudere la giornata, e il periodo bohemien mi guarderò "gazebo" della domenica.
dopodiché, domani sera, me lo riguarderò con altro spirito.
[un bel respiro... e si va...]

Tuesday, November 25, 2014

problemi secondari, et alter


io credo che renzi stia dicendo una cosa tutto sommato vera, quando afferma che l'affluenza così bassa nelle ultime elezioni è un elemento secondario [o problema secondario].

secondario perché il nuovo trend maggioritaristico, sulle nuove leggi elettorali advenienti, tendono ad andare sempre più verso corposi premi di maggioranza. si arriva per primi, si piglia molto di più della proporzione dei voti effettivamente presi.

secondario perché nel momento in cui si è objective-driven dalla propria visione escatologica, in quanti ti votano, che siano pochi o tra i tanti, cambia poco: basta siano di più. l'obiettivo fondamentale è cambiare l'italia, chi ci sta ci sta, gli altri facciano un po' quello che credono. sono elementi secondari, appunto. si deve ribaltare tutto: quando sarà fatto, saranno in molti ad ammetterne il merito del risultato, a partire da chi non ha partecipato - elettoralmente e non solo - a riconoscere quel primato, quella chiamata, quella missione.

non è un problema piacere a [relativamente] pochi. perché è grazie alla maggioranza di quei pochi che si può dare il la a tutto il resto. ed è secondario che quel resto passi da istanze, o da altre: basta che attirino quanti più potenziali votanti. il fatto che ora plauda un determinato blocco sociale è semplicemente perché è quello che ha un bacino di voti più ampio.

l'esercitare il potere per il potere, ma precipuamente come pre-condizione per aver la possibilità di compierla, quella visione escatologica.

che siano pochi a dargli la delega, non è così importante. basta avercela. tutto il resto sono elementi secondari. massimo rispetto, neh?, ma chiacchiere. bisogna cambiare l'italia. ha una sua logica.


o forse semplicemente, dal punto di vista comunicativo-retorico, è una paraculata.

Sunday, November 23, 2014

daje sam...

tra poche ore samantha cristoforetti sarà la prima donna astronauta italiana a varcare le soglie dello spazio. son poco più di 400 chilometri, ma fanno una fottuta differenza. e se ne starà su là per sei mesi.

ho seguito con la coda dell'orecchio il seguito mediatico dell'approssimarsi al lancio. poi 'sta sera son rimasto incollato alla tivvvù un po' per colpa di quel gran affabulatore di fazio, un po' perché c'è di mezzo l'astronautica, e per di più italiana, e per di più donna, la prima.

son rimasto sorpreso dall'emozione, che non mi aspettavo, che ha riverberato all'inizio quasi di sottecchi, per poi riverberare.

credo il fatto sia italiana c'entri, ma fino ad un certo punto.

che sia donna, invece, è una cosa che mi riempie di molta garrulità. perché si riempie - pocopochissimo, ma si riempie - il senso dell'andare verso una parità che è lunga da venire. [le donne sono mediamente migliori degli uomini. per quanto, quando fanno danno, possono farlo meglio degli uomini, quindi peggio in termini assoluti].

ecco. samantha è quel genere di donna che nella sua acquaesaponità mi spingerebbe a girarmi e guardarla meglio. saranno gli occhietti. sarà che dev'essere di un'intelligenza spaventosa - quanto meno quella logico-formale. boh. in una vita e nevrosi precedente non escludo mi sarebbe titillato il desiderio di approssimarvici con finta indifferenza mediante le misture della rete internettara. posto che ora penso pensi a tutto tranne che gli uomini, nel senso di maschi.

eppoi c'è la storia dell'astronautica. l'affabulatore faziesco ha suggestionato una cosa interessante, 'sta sera, ai sei astronauti italiani presenti in studio. l'astronauta rappresenta una delle sommità di essere adulto, in termini di preparazione psico-fisico-intellettuale-tecno-scientifico-operativo. e quella sommità di adulto prende per mano il bambino che è stato ogni astronauta, quando ha sognato di diventarlo, astronuauta.

io non l'ho mai sognato. però di poter far un'attività - professionale - legato all'astronautica sì, eccome. l'acme delle mie aspirazioni da quattordiciquindicenne era quello di finire a controllare una missione dello sciattttol. e mentre ascoltavo le sensazioni emozionate un po' paracule di fazio ho provato a pensare perché si sia così attratti dal volo spaziale.

e ho voluto trovarci una risposta a-scientifica, molto suggestionevole, quasi di riverbero evocativo. oltre al fatto di guadagnare la terza dimensione, e volare, c'è il fatto che è una specie di eco dell'andare verso casa. nel senso di casa casa, l'origine. da dove noi si viene. non è il regno dei cieli opportunamente codificato ed incul[c]ato nella nostra tradizione culturale. ma il fatto che - molto verosimilmente - le componenti organiche sono arrivate da lassù. cometa, asteroide, corpo celeste, qualunque cosa sia stata i mattoncini ce li hanno portati da lasssssssssù a quaggggggiù.

forse è anche per questo che ci affascina tanto lo spazio profondo, che è anche uno dei modi più semplici e sensitivamente immediati di concepire il concetto di infinito, di cui siamo colmi. e da dove - molto verosimilmente - si viene.

daje sam, molta garrulità con te. sarai un filo più vicino casa. nonché con la fortuna di intuire - anche fenomenologicamente - si sia tutti sotto lo stesso cielo, roba che i confini tra nazioni e genti sia una delle cose più distoniche ci si sia potuti inventare, noi piccoli mocciosetti che siamo.

Tuesday, November 18, 2014

le fontane, la disperazione, l'ottimismo


questa è una fontana. a parte la forma un po' sui generis, parrebbe una fontana come miGlioni di altre.

poi ci sono le valenze riverberanti dei simboli, che usano come appiglio fenomenologico alcuni oggetti, cosicché questi trascendano dalla mera realizzazione e percezione sensibile. smettono di essere cose, per quanto finemente manufatte, ed acquisiscono un portato che va ben oltre.

questa fontana è stata posata, di notte, il diciottodinovembre di qualche anno fa. ad essere precisi sei anni fa. in sei anni succedono miGlioni di cose, un po' come il mondo che, in fondo, non è più lo stesso di allora. così come il mondo, nel mio piccolo punto angoloso, si è un po' ribaltato nove anni fa. più o meno in questi giorni.

ieri, proprio ieri, matreme, che è una tecnologa epppppol-soscial-addicted, ha pubblicato una foto di mio padre su feisbuch. in quella foto è ritratto alla somma di una vetta, quota quasiquattromila, suona la grancassa, duetre anni prima che se ne andasse. quando l'ho vista con tutti i commenti un po' mielosi dei soscialamici, ho provato un po' di imbarazzata vergogna. peraltro già le avevo condiviso la mia riservata perplessità a pubblicar quel genere di foto con quel genere di commenti in quelle ricorrenze. mi ha ribadito, sacrosantamente, di non condivedere quel mio punto di vista. e ci mancherebbe.

poi ci ho ripensato. e ho constatato che in fondo lo faccio pure io. con le mie snobbissime differenze un po' diamesiche, diastratiche, diafasiche. perché di post che raccontino quel punto angoloso ne ho scritti, eccome. e cambia poco lo abbia fatto da dietro un nicccche, e filtri per sfinimento i miei fruitori, pazientissimi.

cosa c'entra tutto questo con quella fontana? c'entra.

anche perché si porta dietro una storia bellissima, a mio parere. talmente bella che tornai apposta da milano per esserci quando venne posata, di notte, a mo' di sorpresa e di omaggio alla popolazione dell'hometown. riparava un torto che l'hometown aveva subito. qualcuno di notte, anni prima, l'aveva rubata, verosimilmente su commissione. qualcuno di notte l'ha rimessa. una copia, ovvio, manufatta utilizzando il marmo rosa di candoglia, come l'originale rubata. per chi non lo sapesse è il marmo con cui è fatto il duomo di milano, la cava viene coltivata solo per le manutenzioni della cattedrale: materiale preziosissimo, ormai.

chi l'ha realizzata è riuscito a recuperarne un metro cubo - i preti, grandissimi maneggioni - proprio per rifare quella fontana. e posarla il diciottodinovembre. per dedicarla a colui che se n'era andato quel giorno qualche anno prima. un prete del santuario lì accanto. uno dei pochi preti di cui ho un ricordo bello, un vero pastore. emozione e condivisione con l'artigiano-artista, piuttosto scettico pure lui in ambito religioso. poi c'è la memoria delle persone, preti o meno, che ci precedono. il diciottonovembre, per caso, è anche il giorno dei funerali di mio padre. e la persona che l'ha pensata e realizzata mi disse, quando glielo feci notare, che in fondo abbiamo già vissuto nel calendario il giorno in cui ce ne andremo, e il giorno in cui ci faranno il funerale. mi è sembrata un qualcosa di financo rassicurante.

e quindi un po' la sento anche mia, quella fontana. quanto meno il valore simbolico che si porta dietro. il ricordo di quel funerale, che fu una testimonianza importante della hometown a mio padre. il materiale con cui è fatta, nel mio campananilismo meneghino, che significa un sacco di altre cose. il dono, per rifondare un danno. che a provocarlo, il danno, ci vuol poco, e ne gode asfitticamente uno solo. per rimediare ci vuole molto più lavoro, ma ne godono un po' tutti: soprattutto se lo si desidera, e se ne si è consapevoli. istanze, peraltro, accessibili a tutti.

il construens declinato per il noi, che parte dai punti angolosi. il disperato ottimismo. cosa che, accidenti, a mio padre non mancava mai, per una ragione che giorno dopo giorno provo a sintetizzare a mio modo. nella mia peculiare differenza rispetto a lui.

nel caso ci scrissi un articoletto, sei anni fa, pubblicato  nella rivistina locale. non racconta molto di più di questo sbrodolosissimo post. però mi piaceva condivedere pure questo. è qui.

Wednesday, November 12, 2014

post garrulo per il genetliaco dell'amica viburna

questo è un posto genetliaco. come scrivevo quando prima avevo un blog.

cioè. non è che non l'abbia più un blogggghe. d'altro canto che stareste e leggere, o Voi compari della mia orsitudine bloggghica. però, ecco, come dire, di là scrivevo in un certo modo perché aveva una certa percheenza. poi quella percheitudine è venuta un po' meno. e quindi ho smesso di scrivere di là, e quindi scrivo di qua. peraltro l'ho iniziato un giorno particolare, questo blogggghe qui intendo. che non ricordo se lo scrissi quel giorno, il perché. ma scelsi un giorno particolare. quello della scalata che solitamente faccio con un lanternino assieme a molti altri, l'ultimo sabato di gennaio. dal mio punto di vista l'inverno comincia a finire lì. che poi tecnicamente non è una scalata, benché il termine che può scivolar fuori per variazione diatopica, o perché non si ha il concetto di montagna dentro, o cose così [cose così, per chi non lo sapesse - mi è stato detto - è un device retorico].

missà che mi sono perso.

agggià.

il post genetliaco, che però non è propriamente come gli altri post genetliaci dell'altro blogggghe [varazione tra il diafasico e il diastratico, dentro]. ecco, faccio auting: in fondo quell'altro blogghe era un po' diverso perché ero diverso io, o forse dovevo capire un po' di cose tra me me.

faccio sommessamente notare che un poco ho capito, ragionevolmente, di alcune cose anche grazie alla viburna. che oggi compie gli anni, e quindi non potrà tanto menarsela per il fatto si sia quasi coetanei. no. no. come mi insegna le parole sono importanti, così come leggere bene le parole che si scelgono oculatamente e che è giusto riportare: sono poco più di tre mesi, e si scavalla l'anno. quindi sarò un più giovane di lei, anche contabilmente. tze.

però, al netto di questo mio revanscismo in sessantaquattresimi, alla viburna voglio molto bene. eccome se gliene voglio. chissà, forse in un altra vita avremmo potuto fidanzarci o addirittura compagnarci: non oso pensare quale marmoccaglia avrebbe potuto venir fuori. o magari, addirittura, avremmo potuto diventare amanti, ed quindi financo scambiarci dei baci alla francese. anche se ho qualche ragionevole dubbio avremmo altresì impiegato il tempo a psicopipponeggiare, speculando sui massimi sistemi della sociolinguistica piuttosto che dell'informazione mainstream piuttosto che le intelligenze relazionali o cognitive e quant'altro, e rispondere alla domanda "ma c'è gusto in tutto questo?" con un "assolutamente!".

poiché però la vita è quella cosa che ti capita quando sei intento a pianificare le cose, la viburna sta a 600 chilometri da qui. e benché qui o si portano appresso quella sdrucciolevolità della deissi, si capisce che è oltre la mezz'ora di metropolitana. quindi niente pensieri strani. anche perché la logistica potrebbe complicarsi.

poi, lo confesso, a volte è una scassaminchia tassonomica, che quasi riesce ad avvicinarsi alla mia di scassaminchievolezza. peculiarità che mi contraddistingue unitamente al mio carattere spigolosissimo. la sua ermeneutica a volte non copre la mia cazzosità. ci facciamo di quei pezzi che pure i bitte delle chattate secondo me un po' sono intossicati. la cosa che non mi spiego del tutto è che comunque, poi ci si ritrova - con variazioni diacronica sul concetto di "potevi farti sentire prima" - e superati i primi impacci ci si chiede: ma perché ci si era scazzati?

la viburna è e sarà sempre una persona importante. 'sta cosa qui non gliela leva nessuno. dovessimo non chattarci più da ora. perché, che ne so [altro device], non dovesse essere soddisfatta di questo post o delle variazioni sui pezzi che troverà vagolanti sulla nuvola internettara. è un'intelligenza titanica dentro un guscio fragile. solo che poi viene fuori che si titanizza anche il guscio. posso confessarle che ho sperimentato su di lei come provar a far sciogliere, in una nuvola rossa di pragmatica, le mie nevrosi perfezionistiche. e che funziona anche grazie al suo titanio di intelligenza, e il suo guscio fragile.

a volte non sono un compagno psicopipponico all'altezza. una con un'intelligenza come la sua saprà farsene una ragione. cosicché io possa impararci qualcosa. e saper vederci così lungo, come un coach navigato, che continua a valere quel verso di quella canzone dolcissima: la figlia del dottore è una maestrina, e mi piace poi tanto quel suo modo di fare.

[post]olofrasticamente auguri, vibù.

Sunday, November 9, 2014

quando venne giù il muro.

cazzo. son già passati venticinque anni. tecnicamente volevo fuggire il ricordo, mica per altro, ma la contabilità del tempo che passa l'eviterei. e forse anche perchè cerco di riprendere l'equilibrio in posizione eretta in questo complicatissimo presente, financo fiduciosamente. e quindi il risucchio nel passato potrebbe distrarmi a recriminar su quel che non è stato, quindi di nuovo passato. mentre vivo nel presente per andare nel futuro. non cerco l'oblio, figurarsi: dimenticare mai. però non avevo intenzione di rievocare.

poi però ho ascoltato un po' di radio stamani.

ed è stato un turbinio di emozioni, di sensazioni, di impressioni stampate così bene in testa che per un attimo mi son sembrate roba di ieri. invece sono venticinquecazzotantissimianni.

la trasmissione alla radio è stata la riproposizione del servizio del gierre di radiopopolare di venticinque anni fa, fatto dal corrispondente a berlino. il fatto è che è lo stesso corrispondente di oggi, così come la sigla del gierre: la qualità del suono fa un po' cacare, ma hanno imparato ad equalizzare meglio solo pochissimi anni fa.

ecco. la cosa che mi ha colpito è che io venticinqueannicazzotantissotempofa non sapevo neppure esistesse radiopopolare. e comunque non l'avrei ascoltata, per ragioni ideologiche o qualche poltiglia di roba che le si approssima. la corrispondenza di allora di walter raue era carica di emozione nota, così come l'impressione di essere in una di quelle paraboliche della storia che ti fanno dire: uau, cazzo, ci sto passando attraverso. lui che peraltro, avrei banalizzato allora, era il corrispondente di una radio di comunisti e là, a berlino, i comunisti stavano abbassando le braghe, perdendo la faccia. però ho avuto la sensazione ascoltandolo oggi fosse la stessa emozione che provai io allora, e che è risalita sususususù velocissima. tanto da pelledocarmi tutto, oggi venticinquecazzotroppissimiannidopo.

e credo d'aver intuito il perché. anche se poi sarebbero due, i perché.

il primo, quello più delle visione banale, era che il mondo sarebbe diventato un posto migliore. e non solo, succedeva quando io stavo per rullare sulla pista di decollo del mio diventar adulto: il mondo che avrei partecipato attivamente, da lì a poco all'università, e poi ingegnere [a quei tempi, mi sembrava fico sapere di diventarlo], e così via. il mondo mi si stava spalancando migliore, e capitava a me. cosa che forse era financo giusto accadesse: è il solipsismo egotico dei giovani. cadeva l'impero del male, trionfava la libertà, la giustizia, la democrazia.
occhei, occhei, occhei!
mi par ovvio che non sia andato affatto così: a partire dal fatto non credo sia così fico essere un ingegnere, che sarebbe la cosa meno ingenua tra tutte quelle che pensavo. il mondo non è affatto un posto migliore, anzi, e per quanto credo si faccia mooooooolta fatica non rimpiangere quel blocco che è venne giù, perché non poteva non venir giù. più che l'impero del male, era l'impero dello stantio catafalcesco. dove, tra l'altro, troppi diritti venivano  sì, insopportabilmente, negati. per i cinici che comandano il mondo, i vincitori temporanei di una guerra, fredda, quelli che sono una delle prove che non esistono poteri buoni, per loro era un effetto collaterale. la storia dei diritti negati, dico.

e invece è la scintilla fondante di quell'emozione di oggi, tale e quale a quella di venticinquennifa. perché su tutto credo sia difficile non ricordarsi la gioia di quelle persone che cominciarono a venir di qua. l'emozione, la sensazione per la vertigine che dà la libertà, nelle varie declinzioni, dopo che ne sei stato privato. l'intuizione che si stavano realizzando quelle istanze che permettono ad un uomo di esserlo compiutamente, per il fatto si dia il la ai suoi diritti: che non a caso si sono detti fondamentali. è la prima boccata d'aria dopo l'apnea, non si ha tempo di valutare il dettaglio di quello che sarà effettivamente. a partire dagli strani giri che la libertà può permetterti di fare. tipo le prime cose che molti fecero, allora, cercando di approvvigionarsi coi simboli di quell'occidente che vedevano al di là del muro [altra testimonianza alla radio, stamani, nel ricordo di allora]. come primo segno tangibile di quella specie di libertà il fatto di acquistare i levis, le nike. in fondo è come ri-cominciassero daccapo con la nuova identità di donne e uomini: omologhi ai bambini che strutturano il loro esserci anche grazie al desiderio di posseder i giocattoli. non era il trionfo del capitalismo, era che erano disponibili gli oggetti per sentirsi parte nel mondo che immaginavano migliore del loro.

è stato quello che mi emozionò allora come oggi. quel momento in cui si concretizza la presa di possesso dei propri diritti, quanto meno di alcuni di questi, fondanti. come una specie di conferma di essere donne e uomini con più completezza perché s'incarnano quei diritti inalienabili, connaturati nel fatto una donna ed un uomo siano. è una delle conquiste dell'umanità più importanti, la teorizzazione organica di quei diritti. il fatto oggi non siano rispettati tutti e per tutti non toglie nulla all'importanza di quella conquista. non foss'altro che è il dipolo positivo che crea la differenza di potenziale che spinge l'umanità da quella parte. perché è di lì che si sta andando. e il fatto noi non lo vedremo non dimostra nulla. alcuni tempi sono più ampi dei nostri, ma poi accadono.

la cosa curiosa è che proprio in quei mesi, venticinqueannifa, stavo prendendo consapevolezza di quelle cose lì. della pietra fondante che sono i diritti fondamentali dell'uomo. ecco, quello dev'essermi riuscito meglio, perché lo sento netto ed inequivocabile come allora. ed è anche su questo che ho scoperto il mio essere ontologicamente di sinistra. mi emozionavo, allora, anche perché ero di sinistra, per quanto non lo sapessi ancora, e non ostante si stesse sgretolando il blocco comunista. anzi, senza il non ostante: non c'è contraddizione. essere di sinistra parte da ancora più indietro, e porterà ancora più lontano.

Tuesday, November 4, 2014

buon lavoro [per chi ce l'ha e per chi non ce l'ha, e per banalissima fazenda dell'articolo 1]

sono stato a teatro. ovviamente aggggratis. ne avevo già sentito annunciar per radio. avevo mancato l'appuntamento. a 'sto giro però no, ci son riuscito. e ci son andato con financo una 'nticchia in più di convinzione, quasi di simbolico afflato.

per la storia del fatto che un lavoro si sta nuovamente modellando, e probabilmente sarà anche pagato. e quindi ritornerò ad avere una certa dipendenza economica. e magari smetterò di sentirmi impaurito a mia insaputa.

e poi per la storia che "c’è un disegno calcolato con cui si vuole dividere il mondo del lavoro e fare del lavoro il terreno sul quale spaccare in due l’Italia". solo che alle dietrologie complottistiche non ci ho mai creduto tanto. e non perché le acclarava il nano coi capelli di kevlar, o il buffone sputarabbia. ma perché son complottismi dietrologici. non è questione di chi li esala.

comunque.

lo spettacolo si chiama "buon lavoro". e questo qui sarebbe financo il sito del progetto. occhio, roba forte, non si parla di di imprenditori intavolati che creano il lavoro, e tra i promotori addirittura c'è la cgil: giusto per farché io possa far il disclaimer, faccia invece la tara chi va avanti a leggere.

tecnicamente gli attori hanno messo in scena gli incontri, la condivisione di tante storie di lavoro: quello che riempie la vita, che si ricorda con nostalgia, che riempie d'orgoglio, che spezza la schiena, che fa piangere di rabbia, che fa commuovere a tratti, quello che si cerca, quello che si trova sbrindellato. il lavoro precario, quello non c'è, quello flessibile, quello stabile, quello che bisognerebbe chiamare schiavitù, quello tutelato, quello che è cambiato, quello su cui si dovrebbe fondare la repubblica. insomma, la fazenda banalissima dell'articolo 1.

i ragazzi sono bravi, davvero. leggeri e pregni, quasi comici seppur amaramente, a tratti. ognuno una declinazione del lavoro e delle persone che vi e lo "lavorano". e poi assieme un'unica voce narrante polifonica. elisabetta vergani si prende il carico delle storie più intense, quelle che tolgono il fiato: un po' perché è brava lei a raccontarle, soprattutto per quello che raccontano.

ascoltavo, mi emozionavo e nel mentre mi sovvenivano un paio due cose.

di quanto sia fortunato anche in questo. che ho [ancora] possibilità di farne soddisfazione, di quel che mi posso inventare nel e per lavoro. con tutto il senso più profondo di quello che rappresenta, grazie anche alle nuove consapevolezze.

e di quanto sia ampio lo iato [nel senso di taglio, frattura] tra la classe dirigente "politica" e questo ambito: incidentalmente una grande fetta di quelle cose che danno dignità ad una donna ed un uomo. io non so quanto sarà cuuuul ed efficace questa riforma del lavoro, che se si chiama in inglese fa più fico. né so se e come si stia cambiando verso, invece che essere solo un altro degli slogan hashtagggggati. per affrancarmi dalla sindrome tafaziana tanto cara alla sinistra, e per un ecumenico buon senso dovrei augurarmi sia qualcosa di sostanziale e di effettivo. dubito sia esattamente così, e non è perché sia di sinistra, che ora pare faccia ancora meno tendenza. però, in fondo, basta aspettare per averne la conferma o la smentita.
so di per certo però che sarà fondamentale e quasi laicamente sacro passare anche di qui. per far sì che sia per sempre di più, per davvero, un buon lavoro.

roba da articolo 1, appunto.