Sunday, February 22, 2015

non gli ho mai chiesto se conosceva "il bandito e il campione"

non ricordo esattamente se fu la volta che lo conobbi. o se c'erano già state occasioni prima. però, ormai qualche anno fa, una delle tappe del giro d'italia partì dalla hometown. e per l'occasione venne anche lui, dal monferrato. era un sabato, la corsa rosa si sarebbe conclusa il giorno dopo. ci incontrammo nel bailllllàm del carrozzone che doveva partire da lì a poco. mi [ri?]presentai, non so come venne a sapere che mi piaceva scrivere. quando poi gli dissi che un paio di anni prima avevo progettato i contenuti di un sitarello che raccontava il tuordefrance, qualcosa scattò in lui. provai a spiegargli che era stato una specie di stage non retribuito, un divertissssssmmant. e invece no. mi prese in coinvolgente simpatia. cominciammo a parlar di ciclismo: io per quelle due cose che conoscevo. nulla al confronto delle millemila che sapeva lui. mi raccontò delle diatribe da prima donna di alcuni corridori. salutava alcuni giornalisti come un vecchio amico. e diceva loro quanto fossi un loro collega, che si era occupato di tour.

quello sarebbe stato anche l'ultimo giro di pantani, che fotografò in mezzo alle sciantose hostess della sua squadra. e volle farmi una foto accanto una di costoro. venni con la solita faccia da perplesso ontologico. per non dire del malcelato imbarazzo per aver accanto una donna che mi pareva di plastica, tanto era truccata, e col sorriso artefatto stampato sul viso.

ho l'impressione mi abbia un filo sopravvalutato. ed era sempre un piacere re-incontrarlo. cordiale, forse un po' nostalgico di un mondo che non c'era più. soprattutto pensando al ciclismo, di nuovo. raccontava di momenti epici, di quello sport duro e spietato. e non mancava mai di riportare l'attenzione e l'emozione a chi lo raccontava, ai giornalisti, che citava quasi come degli aedi della penna al servizio del pedale. evocava di un passato sportivo, quasi romantico. nemmeno comparabile con la mollezza dopante di quello attuale, che gli interessava meno. era come se non volesse staccarsi del tutto da quei momenti. forse legati alla sua gioventù, con quell'inevitabile odore di primavera. per quanto credo che almeno il dubbio gli sia venuto, che neppure quelli erano perfetti, tanto quanto non lo sono quelli di oggi.

ecco. sì. il ricordo. se ne cibava anche con musicassette, registrazioni di trasmissioni alla radio, sempre di ciclismo. me ne fece sentire una la penultima volta che lo vidi. fu a casa a sua, ad acqui terme. eravamo colà a pranzo, di domenica. il weekend più caldo dell'anno. il condizionatore fuori uso. e tanta, tanta roba preparata per pranzo. per poi scivolar in una delle situazioni più kafkiane para-familiari mi sia capitato di assistere. chi dormiva smargiassamente davanti alla tivù accesa sul gran premio di formula uno. chi faceva maieutica sui vari soscial. chi montava tendaggi, con tanto di surplus di caldo, a starsene in cima ad una scala. mentre lui mi faceva ascoltar quella cassetta, tramissioni radiofoniche di parecchi anni fa. e se le gustava come fossero in diretta.
e poi, ad un certo punto, ne prese un'altra. mi disse che era speciale. e lo disse con un tono ed un'espressione di incolmabile nostalgia. uscrì da riproduttore la voce del suo figlio minore, da bimbo: recitava poesie e rispondeva ad alcune domande su quelle. me la fece sentire quasi di nascosto. ma mi fece capire che lo faceva spesso, e con piacere. ma con quel tono che racconta, appunto, della malinconia struggente per alcuni momenti del passato. a cui ci si aggrappa con una musicassetta che gli era tanto preziosa. forse perché c'era dentro il suo mondo: il ricordo della moglie, i figli, le passioni, i desideri, le cose preziose della sua vita. sintetizzate magneticamente sul nastro di una musicassetta.

quasi un anno fa mi capitò di passare per il velodromo vigorelli. c'erano esposte alcune biciclette d'epoca. lì, nel tempio magggggico per chiunque ami il ciclismo. mi venne da pensare a lui, immediatamente ed inevitabilmente. scattai la foto alla bici con cui fausto coppi fece il record dell'ora. arrivò in bicicletta da tortona. salì su quel mostro di rapporti tra la corona anteriore e posteriore, senza freni. corse alla morte per un'ora. quando scese, sfinito, subissato di complimenti e festeggiamenti disse una cosa del tipo: non provate mai più a farmi fare una cosa così faticosa, ho pensato di morire, non ne voglio più sapere.
una storia di quelle che mi sarei aspettavo avrebbe amato conoscere. per poi raccontarla. posto non la conoscesse già.
davanti alla bici sulla curva del velodromo - che bisogna esserci sotto per provar un timore reverenziale tanto è in pendenza - pensai che quell'inquadratura è come una storia. e quell'inquadratura era per lui. e proprio per lui scattai. gli feci solo sapere avessi una foto per lui. ma non sono riuscito a far di più.

se n'è pedalato via prima potessi fargliela avere. credessi in un aldilà, io lo so che una capatina a raccontarla e raccontarsela col fausto se la farebbe volentieri...


1 comment:

Anonymous said...

BELLISSIMO RICORDO