Thursday, April 23, 2015

è un po' quella cosa che uno non pensa arrivi. poi, però, arriva

ecco.
sì.
una delle prime cose che mi viene da fare è quella di scrivere. come peraltro facevi tu, quando l'emozione, l'ispirazione, l'idea ti prendeva la penna in mano e, come faccio io ora, cominciavi a scrivere.

uso il tempo presente, qui e ora, e mi rivolgo direttamente a te. non tanto perché penso che tu possa essere chissà dove e chissà come da qualche altra parte. ma perché sento vivo e cogente il fatto che l'eternità sta nell'essere nei ricordi e negli affetti di chi rimane. tipo qui, ed ora, mentre anch'io, appunto, scrivo.

probabilmente non era l'unica cosa che ci rendeva così simili nelle nostre rispettive diversità. tu te ne sei accorto prima potessi accorgermene io. tutta l'esperienza, il bagaglio di vita che avevi ammonticchiato con la capacità di discernere e di intuire. ed andare oltre le apparenze che, avevi già capito, celano la sostanza che non è da tutti cogliere così velocemente. è per questo che sei stato tu, libero dai pregiudizi, a venir a cercare me, così intento a pormi, per provare a capire come essere.

probabilmente di questo non ti ho mai ringraziato. sono quei dettagli che ti sfuggono, quando vivi le coincidenze di alcuni incroci come qualcosa di naturale, e forse inevitabile.

però, se non ti avessi incrociato, non avrei potuto toccar con le emozioni, la gioventù che ti portavi dentro, la curiosità, l'ironia, la freschezza primaverile che mi assaporavo nel discutere di un po' di tutto. di politica, di senso della vita, di dio o del fatto possa non esistere, del mistero dell'eternità e del fascino delle donne. che per te era si sintetizzava nella tua lola. non mi era mai capitato di ascoltare parlare un uomo, in maniera così viva, lirica, ed innamorata, della sua sposa. qualche mese fa si era fatto un conto, assieme: le tre lettere che le hai scritto ogni anno. moltiplicato per gli anni che l'hai fatto. sei anche dentro lì, in tutte quelle minute, in quel riassunto di una vita.

per una qualche coincidenza, di cui non mi sento di aver grandi meriti, sei stato il quinto nonno. quello della maturità. colui a cui batteva dentro forte, più forte del suo cuore che ha retto fino alla fine, l'inevitabilità ad essere un uomo dalla schiena dritta, che non concepiva l'inevitabilità delle ingiustizie, delle arroganze, dei qualunquismi, degli opportunismi. il nonno con cui mi son sentito libero di parlare di qualsiasi cosa. e di sentirmi accolto nelle mie laocoontiche perplessità. quello che ha saputo insegnarmi andar a rompere alcuni pregiudizi. che tu fossi un generale, ed io un obiettore di coscienza convinto, è stato quasi da subito solo un dettaglio insignificante, rispetto all'afflato della sostanza. e mi viene da sorridere di come smontasti con garbo il mio pathos irsuto di allora.
mi raccontasti di quando, giovane tenente eri in centro italia, ti trovasti d'un tratto alleato con gli eserciti che fino a qualche mese prima avresti dovuto combattere. e mi dicesti: però, se fossi stato al nord, sarei salito in montagna.

tra tre giorni è il 25 aprile. sono settant'anni dalla liberazione, che anche tu hai contribuito a regalarci. ora che ci penso è l'ultima cosa che ti ho detto, qualche giorno fa, prima di salutarti ed andarmene. non sono riuscito a finir la frase e aggiungere: grazie. anche perché avevo già il groppo alla gola.

sabato ti porterò con me, in manifestazione. per ricordarti. e ricordarmi la libertà di poter essere una persona umana, che prova con tutta la sua intelligenza e la sua emozione ad essere giusta.

Sunday, April 19, 2015

eravamo in novecentocinquanta.

mi rendo conto di avere il troppo-pieno appena sopra il livello di dove galleggio or ora. quindi mi ci vuol poco, molto poco, per sbroccare, con tutto il rinculo emotivo che rifluisce.

anche per questo, da stamani, mi sento più stranito che mai.
si ribalta un barcone, annegano sette-otto-nove-cento bambine, bambini, donne, uomini, humankind insomma, e tutto ciò mi turba e mi scuote e fa alzare il livello.
non sbrocco. però c'è tutto il rinculo emotivo.
che forse non è solo di tristezza, ma anche di molta, molta incazzatura.

perché io son nato nella parte giusta di mondo.
perché se la soluzione del problema - quel tipo di immigrazione - figurarsi se io so come può essere risolta, so che la causa sono le guerre, la fame, l'ingiustizia che sta in quella parte di mondo.
perché questa volta, lontano dalle telecamere, lontano le lagrime [coccodrillesche], sarà tronfia la retorica che bisogna fare altro, che tutta l'europa deve essere coinvolta, che bisogna stabilizzare quelle regioni. per non dire l'indifferenza, o il cinismo. se non i commenti di tutti gli ignoranti, fascinati dalla narrazione di affabulatori che pur di conquistare consenso rimestano nella melma più putrida.

davvero.
io non so come si possa risolvere questa cosa qui. so che sto scrivendo un post pezzottatissimo e sgarruppato perché in questo momento voglio tenerne traccia, qui dentro.

e forse sono financo soddisfatto di esserne così scosso, al netto del mescio nevrotico che sto coaugulando.
perché che, nonostante tutto, sono molto vivo e molto vegeto. nonostante il quasi-troppo-pieno, nonostante lo sbrocco ad un amen. scosso, triste, col groppo in gola. ma vivo.
ed il minimo che posso fare, è di quello avere anche di un degnoso incazzo, non spegnere le telecamere dell'attenzione. glielo si deve, noi nati - per solo culo - nella parte del mondo.

Saturday, April 4, 2015

post pasqualinamente psicopipponico

roba per gente dallo stomaco psicopipponico forte. se non sopporti le contumelie di un cervellotico in ansia da psicopippa, allora ti conviene andar oltre.

l'incipit non propriamente ecumenico, ecco il cuore della questione.

a me 'ste campane pasquali, che a brevissimo andranno a sciogliersi, mi mettono un po' di malinconica turbamento. quasi mi si ribadisse, proprio ora, e soprattutto ora, e forse solamente ora la reprimenda riminiscenza di quel che mi perdo, dalla mia personalissima apostasia.

è incredibile come ogni anno sia un po' la stessa [forse noiosa] storia. per un po' di volte mi veniva da scrivere all'amica queen. che poi sarebbe colei che mi spinse, gazziGlioni di anni fa, ad iniziare a scrivere su di un blogghe. lei che la sua fede se le vive con l'intensità delle persone cinestesiche, poeticamente in distonia con il perbenismo apparente delle comunità che stanno dentro le chiese donde si andranno a sciogliere le campane a distesa. lei che alla sua fede, non di maniera, affianca la profondità e capacità di emozione che altro che codina delle gaussiane. insomma, scrivevo a lei, per raccontarle l'eco ex-ante che quella distesa di giubilo dalle torri campanarie mi metteva. lei che, per certi aspetti, avrebbe potuto coglierlo fin nel profondo, per la sintonia dell'esperienze vissute: io al passato, lei sui generis, nel presente.

ogni anno che passa mi convinco sempre di più che non è malinconia di quel che era e che avrebbe potuto essere. né che mi stia perdendo una qualche salvifica opportunità, che quelli sui banchi ordinatamente officianti, starebbero invece accattandosi. giusto per chiarir ancor meglio il concetto: se esiste un dio, o qualcosa di simile, dubito declini nella maniera in cui si celebra, comprese le campane a festa a distesa [che, tecnicamente, si stanno sciogliendo or ora, per tener traccia viva nella stesura del post psicopippnico].

se ne sento questa fottuta nostalgia malinconica è perché da lì passava una specie di illusione, su cui ancoravo quella specie di sete di infinito. che l'illusione è pure passata. la sete mica tanto.

per una serie di coincidenze, più o meno fortuite o casuali, credo di esser venuto fuori con un certo desiderio di capirci qualcosa. sempre più nel profondo, o nell'alto, o nell'ampio. qualcosa con cui prendere la misura con l'eco di insondabile che colgo, che mi avviluppa, che da qualche parte dovrebbe pur essere. ma che verosimilmente percepisco, intuisco essere oltre l'immanenza dei miei neuroni et assoni. qualcosa che, appunto, che trascende. a correre il rischio di non aver compiuto la mia apostasia scrivo financo di un bisogno di spiritualità. che non c'entra con la religione, o forse c'entra talmente tanto che la spazza via la necessità di una religione. che mi alberga, nonostante ora, in questo momento malinconicamente spirituale, desidererei [anche] pelle da accarezzare, corpo da abbracciare, titilli da distillare, emozioni da penetrare.

qualcosa sappia far intuire da lontano la scintilla d'infinito che si indaga da tempo, noi come humankind intendo. che non saranno tantissimi, da quando esistiamo come senzienti di un certo tipo. ma accumula accumula, hanno contribuito a metter su l'intelligenze collettiva. qualcosa che ha spinto qualche briciola percentuali, chi ne era capace, per altre coincidenze fortuite o casuali, a concretizzare il concetto di forma d'arte, in qualsiasi modalità.

quando celebravo le campane sciolte a distesa tendevo a confondere l'emozione per alcune forme d'arte, principalmente quella musicale, in alcuni contesti come prova provata della mia fede. ora quasi mi intenerisco a pensare quanto fossi ingenuo. anche se l'intuizione di fondo probabilmente - percepisco ora - non fosse poi così campata in aria. non era la mia fede. era la capacità di un ammasso di neuroni et assoni, sovrintendente un organismo superiore, di cogliere l'eco di un senso più profondo. io poi arrivo fino ad un certo punto, chi è più capace va oltre e magari le sintetizza pure certe ispirazioni. io mi limito a sfondare di caratteri e refusi un post solitario. ma il principio attivo, l'empito è lo stesso.

allora trovavo una risposta che pensavo fosse completa in una religione che per altri aspetti è dannatamente pulp, e probabilmente bella fomentatrice di nevrosi e generatrice di superIo ingombranti ed asfissianti. e quella [mia] religione aveva il suo acme nella veglia pasquale e le campane di sciolgono a festa. ce l'avevo messo lì per alcune ragioni che tutto sommato ora mi appaiono più chiare. ce l'avevo messo anche in virtù delle possibilità speculative che il mistero pasquale si portava appresso. e lì in qualche maniera è rimasto, l'acme. il fatto è che ora speculo con altre consapevolezze, che magari non sono quelle definitive, ma sono comunque altre ed oltre quelle di allora. poi al limite si rimane a specularsele da soli, la sera pasquale, per una serie di coincidenze e volontà sotto traccia l'inconscio. e quindi riempio di caratteri e refusi post psicopipponici.

forse è malinconia, forse è la stanchezza, forse è la solinghitudinità, forse son venuto fuori un po' sbagliato. però l'eco sì. sicuro che da qualche parte c'è. e con lei la sete. al netto del fatto che anche quest'anno le campane si sono sciolte a distesa.