Friday, August 28, 2015

appunti per quando rivedrò odg

in questo lavoro mi adopero per dare il la alla risoluzione di problemi. le chiamano production issue, in inglese, che fa più fico. poi si abbreviano in piiaaiiii. l'amico omar, là dentro, le chiama pi-ii, acronimizzando in italiano, e se ne fotte che la sigla venga dall'inglese. lui che peraltro l'inglese lo sa molto meglio del 98% di quella compagnia di pazzi.

in buona sostanza analizzo piiiaaiii. che diventa l'unità di misura della numerica su cui stabilire l'efficenza e l'efficacia del gruppo: per decidere, con un tratto di penna, se smantellare tutto o continuare così com'è adesso. la piiaaaiii è l'elemento molecolare che scandisce l'operatività e muove il nostro agire. poi vabbhé, ci sono molecole banali, quasi inorganiche. e polimeri complessissimi. non importa, per certi aspetti numerici: una piiiaiii  è una piiiaiii. e tutte uguali sono, a cubarle: una livella che se ne fotte dello sforzo profuso per. le piiiiaiii sono il puntellarsi di punti di accumulazione di un processo che è pezzottato a monte. da un certo punto di vista inevitabilmente: non esiste il software senza bachi, figurarsi [e queste suggestioni rieccheggiano come ricordo degli arbori della pezzottatissima carriera lavorativa, di cui l'amico omar fa parte [dell'inizio di carriera, non che sia pezzottatissima: ovvio. su quello ci ho messo della gran costanza io, e le mie titubanze per far una cosa ed essere decisamente altro]]. il problema al limite è quando a monte di tutto ci si mette un'approssimazione un po' arrogante, verosimilmente troppo cantinara e per un cazzo teoretica: noi si sviluppa come a scopare libidinosamente, le analisi funzionali facciamole sulla carta da formaggio [figurativamente, ovvio]. figurarsi poi quando, in questo delirio, ci si affidi a fornitori che alla bisogna mettono a disposizione degli scappati di casa.

in pratica la piiiaaii è il guano che si raccoglie nei canali di scolo. è l'avanzo che si accumula a monte delle grate messe a mo' di filtro, dove passa quest'acquaqua. la piiiaii è l'epica surrogata di quello che non va. e noi le si deve sbrogliare. quando non si confonde il fatto che la merda l'ha vaporizzata qualcuno a monte, non colui che la deve metabolizzare a valle, magari facendone anche concime per provar a migliorar un po' il tutto. però il senso è un po' quello. così come son visti quelli degli autospurghi: quando hai a che fare con quella roba, per metonimia, non ti viene in mente possano cucinar manicaretti, o immaginino il bello e il nutrimento per la mente o lo spirito. figurarsi poi quando sono consulenti esterni, cordoncini del badge bianchi, coloro che possono essere dismessi senza troppi problemi. ed anche in maniera spiccia: la copertina sindacale è attenta solo ai dipendenti.

questo il contesto, anche se dipinto un po' pipposamente, ovvio.

ebbene: naturalmente nella mia testa mi prefiggo di risolverne un numero sempre maggiore di quello che riesco a fare effettivamente. perché poi le piiiiaiii hanno una loro vita, a volta da golem, e quando ne gestisci 3-4 per volta ci si accavalla il tempo, il sentimento, l'anzia performativa collegata. specie poi quando qualcuno stabilisce: siamo indietro, troppe piiiiaiii rimaste non risolte - ma questo è un altro discorso, o forse non del tutto.

comunque.

obiettivi piiiaiiistici troppo elevati. poi non ci riesco. e quindi sono frustrato. e credo di valere meno di un cazzo. da qui ennesima frustrazione condita col fatto che - verosimilmente - potrei pisciar in testa al 95% di quella compagnia di pazzi. ed invece sono l'ultimo dei peones, consulente, un po' tipo del tipo di quelli sezione autospurghi, di cui sopra. a disposizione degli utenti [i clienti sono altra categoria], di tutti gli utenti: loro sono quelli che aprono le piiiaiii, e sono i nostri clienti. tutti. dall'idota più incompetente, al più frustrato dei personaggi tristi che si sente ignorato, lui e le sue piiiaiii, che magari nessuno di noi considera in prima battuta. ci sarebbe da scriverne per intieri post. ho già sbrodolato abbastanza questo.

ecco.
presa la storia delle piiiaiii e moltiplicata per un po' di volte vien fuori il mio esistere da barbino solitario.

vorrei fare millemila altre cose. con ben altre finalità e/o financo eticità, o quanto meno soddisfazione e pienezza. ovviamente punto troppo in alto. i risultati non arrivano, difatti sto analizzando piiaiii a servizio di utenti spesso frustrati, mentre probabilmente potrei pisciar in testa al 95% di costoro. coi risultati in ben altri settori del versante soddisfazionesco.

la mancanza di soddisfazione e di "risultati" è mannaia per l'autostima, che difatti è in picchiata. che uno ha la percezione di essere un buono a nulla, che nulla stringe. e così il cechio si chiude, con l'epiciclo dei post lamentosi.

fine.

piccolo post lamentoso [strano, no?]

se muoiono in qualche decina asfissiati in un tir abbandonato in autostrada.
se affondano, e non si sa quanti siano quelli inghiottiti dal mare.

se accade tutto questo ed io non riesco nemmeno più ad aprire la pagina per legger la notizia, ingabbiato nelle mie turbe o piccoli lamentismi personali, valutando come merdosa il mio sopravvivermi allora significa che da qui in avanti potrebbe veramente succedere di tutto.

senza riuscire a capire se sia diventato cinico. oppure irrecuperabile. oppure una solispistica testa di cazzo.

solo la sensazione stia gettando nel cesso l'esistenza. [quasi] incurante di quelli che la perdono, tipo, asfissiati in un tir abbandonato in autostrada. oppure affondati, senza sapere in quanti.

Monday, August 24, 2015

monologo amaramente et ignavamente immaginifico

a prenderla dal punto di vista della psicologia positiva vorrei tanto smentirmi, da qui ad un po'. e financo - magari - vergognarmi di questo post, di quelli che bisogna aver il coraggio di non cancellare, a futuro et imperituro memento.

vorrei tanto sbagliarmi. o forse essere un poco più tollerante. o le due cose assieme.

ho fatto lo scemo per non andare in guerra. preferisco passar "per l'adulto che nonostante la sua intelligenza sopra la media è così infantile" [cit].

ecco. partirei da qui. dal confondere e far di un mescio piuttosto insopportabile il comportamento con la persona.

è uno di quei fondamentali che, dal mio punto di vista, rappresentano il terreno comune, il mezzo franco, l'ambito condiviso con cui poter interloquire e confrontarsi. così come non riesco a concepire di potermi confrontare in maniera sincera e profonda con una persona per cui l'importante è dire quel che si pensa, non importa come, basta essere schiettamente sinceri. ebbene: continuo a considerare cafone e zotico voler chiarire un malinteso con una persona menando sberle [figurativamente, ovvio]. perché è come se si magnificasse una contraddizione insostenibile. e non è questione di travisar le parole: è che se si ha in testa solamente il proprio significato, fottendosene del significante nel senso più lato del termine, è come non voler prendere in considerazione l'interlocutore. la sostanza non sono solo le motivazioni o quel che si comunica, ma è anche [e forse soprattutto, per me: scontato] entrare nell'ottica che nella comunicazione c'è anche l'altro. non solo le proprie [sacrosante] ragioni.

sennò, davvero, dal mio punto di vista il confronto si sposta su altri piani, formali, forse anche un po' strutturati e non completamente trasparenti et genuini. cioè lontano da quelli per cui penso valga la pena esistere [molto altro, al momento, non mi sovviene].

è in quel tipo di rapporto e di confronto, anche più a meno cor ad cor, di cui tu non fai più parte. con te mi ci sono sottratto da un po' di tempo. da quando son rimasto per primo io amareggiato dall'incazzatura ed il livore che sei riuscita a cavarmi, e rivolgerlo verso di te. tu [naturalmente?] ti sei fermata all'epifenomeno: come si può litigare sullo svolgimento in diretta del "barbiere di siviglia"? peraltro non era nemmeno il "barbiere", ma la "traviata". e a scatenar il tutto è stato il vedermi di fronte l'approccio da chiacchiere e distintivo, da parvenù culturale. verosimilmente ci deve essere altro, di cui magari non sono del tutto conscio e di cui potrei financo non essere così fiero.

per questo ho preferito cercare di non scendere più in contraddittorio con te. pace: continua pure a porti con uscite un po' così, che trovo squadrate col falcetto mentre tu pensi siano cesellate con lo scalpellino di precisione. me ne stavo zitto e pensavo: vabbhé, finirà pure 'sto viaggio.

e tu credevi invece fosse come andar d'accordo da mimì e cocò, amicale s'intende. e quindi non potevano che essere amorevoli, di cui amorevolmente approfittare, quei viaggi, quei passaggi, che per me rappresentavano qualcosa che mi faceva risparmiare, in un momento in cui ogni euro era da spendere con attenzione: per quanto più per nevrosi mia, che per reale necessità.

ovvio che deve esserti cortocircuitato il sentimento, nel veder manifestarsi un atteggiamento per te così immotivato. per questo, dal tuo punto di vista, c'è stato il sacrosantissimo nesso causale della tua rabbia financo livorosa. non so se per la meraviglia incazzosamente inspiegabile, o per il fatto io potessi far a meno della tua compagnia: o le due cose messe assieme.

ti son mancate un po' di informazioni, è vero. si sono sovrapposte altre situazioni, del tutto a te estranee. e soprattutto non ho avuto il coraggio di dirti quanta poca sia la stima, per una serie di tanti piccoli episodi, percezioni, sensazioni che ho avuto l'arroganza di infilare in una specie di patchwork collanoso piuttosto poco piacevole.

non so quanto sia amareggiato per il fatto di provar così poca stima. per il fatto di esalare un sentimento non propriamente irreprensibile. per il fatto di nascondertelo. per il conseguente atteggiamento ignavo [infantile, secondo te]. o le cose mischiate assieme. delusione per delusione: forse preferisco farti incazzare, senza offenderti tanto quanto accadrebbe se ti raccontassi tutto.

e soprattutto non so se amareggiarmi per il fatto che, di nuovo, in fondo: non me ne fotte più di tanto. per non esalar il mio fiele piuttosto definitivo del: non me ne frega un beato cazzo.

non ne vado per nulla fiero, ovvio. e probabilmente è un altro epifenomeno di una specie di misantropizzazione, per cui sono già stato rimproverato, peraltro. e che anche per questo spero passi, prima o poi. meglio se prima di aver fatto troppi danni.

in questo momento storico, di riparar quelli creatisi tra di noi - di nuovo - mi importa piuttosto poco.

Sunday, August 9, 2015

di nuovo sulla cosa delle blatte che si fingon morte.

tanatosi.

eccome si chiama la storia delle blatte, di cui l'altro post, che si fingono morte per far il a da passà 'a nuttata. lo fanno anche alcuni rettili. è verosimile un comportamento etologicamente codificato, un'altra invenzione dell'evoluzione per tirar a campà. per quanto le blatte fa più effetto dei rettili.

queste cose me le ha dette l'amica viburna. che s'adopera, tra l'altro, acciocché si riduca l'orizzonte degli eventi della mia sconfinata ignoranza. amica viburna che anche per questo rimarrà comuque sempre mel mio cuoricino-cinico-serenamente-sfiduciato. quand'anche, e caso mai, dovessimo smetter di interloquirci. che poi si sanno come vanno - apparentemente - le cose a seguir taluni paradigmi: ci vi vede per un caffè, poi magari anche un altro. il terzo, vedremo, tanto che ci si va affffà?

comunque. dicevo della tanatosi. che mi veniva anche in mente un libro che lessi miGlioni di anni orsono: un mezzo saggio facile. si intitolava "l'elogio della fuga", di cui non ho granché memoria, tranne di alcuni casi un po' mezzi umani che venivano narrati. ricordo fosse solo un certo periodo di merda. quanto meno con meno percezione e con meno pregnanza di me medesimo. tempi da rimpiangere zero.

comunque. per tornare alla viburna e le sue sollecitazioni: giusto poco più di un anno fa mi disse una cosa che mentre me lo diceva mi atterrì un poco. era in altro periodo di merda, ma diversamente merdoso. ero in quel mentre dove stavo cercando di capire che fare della mia esistenza, quanto meno lavorativa. scrissi financo un post tassonomico: elencazione delle possibilità con i relativi pro e contra. una di queste era il tornar afffffà il libero professionista, quello che però ha più clienti. la viburna mi disse: però questo significa, tra l'altro dover spendere parte del tempo ed energie, a proacciarsi clienti. e poi correr dietro loro per farsi pagare.

seppur ovvio e scontato in quel momento la cosa mi paralizzò. quasi mi si parasse davanti la mia incapacità di provar financo solo a presentarsi. cercar clienti significava proporsi con la propria proattività e l'epos di porsi col dire: io sono capace, in grado, adatto alla tua richiesta, caro cliente. in quel momento, in quei giorni, era un modo di percepirsi lontano miGlioni di anni luce rispetto a quanto fattivamente accadeva. e non era falsa modestia. mi sentivo semplicemente inadatto esistenzialmente. con tutte le ricadute del caso. era come provare a salir su di un monticello irto, aggrappandosi, ma facendo leva su un terreno di sabbie mobili. non era possibile accadesse: tutto qui.

rimaneva solo un lumicino. che era un periodo. e che qualcosa sarebbe accaduto ed io avrei cambiato la percezione. in quel momento sprofondavo, quando facevo leva. dovevo lasciar andare il momento, punto. ed avrei financo capito quando sarebbe stato il momento di cominciare a preoccuparsi che il momento non sembrava passare.

in attesa.
come le blatte.
tanatosi.

ed il momento in cui passò il momento arrivò. a dirla tutta non me l'aspettavo quel giorno, anzi quella sera. né tanto meno durante il raccontar i momenti degli ultimi mesi ad una persona che non vedevo da tempo. ma che contattai perché qualcosa bisognava pur cominciare a fare, per far arrivar l'altro momento. sono convinto che la sensazione placida e morbida di quella minuscola epifania è stata corroborata dall'aver già vellicato un po' di birra [anche vellicare, ad ascoltarla bene, ha un suono placido e morbido].

mi propose un'attività un po' sui generis, in cui - tra l'altro - ci sarebbe stato da scrivere. e quindi mi disse: e nel mentre puoi cercare di far altro, altri lavori, ti organizzi. semplice. ovvio. quasi scontato secondo i suoi paradigmi. però io intuii un baluginio in fondo al tunél. anche perché capii che la suggestione della viburna, semplice, ovvia, scontata non mi atterriva più. avrei cercato e/o trovato clienti. e avrei detto loro: sono capace, sono in grado, sono con la consapevolezza di esser io.

era come se avessi sciolto un nodo. su cui ero stato invitato a riflettere. senza sapere [lei] cosa mi si era scatenato dentro. ma sono quelle cose che sono parimenti necessarie, anzi forse più ancora essenziali della soluzione: perché sollevano la domanda, che serve per la risposta.

ecco. quello era il primo. perché adesso il nodo è doppio. a 'sto giro c'è di mezzo odg, ed ovviamente ancora la viburna. sono un po' atterrito. e difatti sto facendo la blatta. e la tanatosi. ma con un altro spirito e con ben altre preoccupazioni. anche per il semplice fatto di esser un blatta che fattura ogni giorno della sua tanatosi. e non è che son diventato avido. ma perché mi sembra di vivere una riproposizione della piramide di maslow: in chiave esistenziale, nell'accezione più alta e meno materiale.

ora il nodo è ben più proattivamente tosto. ma ci sono le condizioni per scioglierlo.

e il lumicino, di cui sopra, di un altro colore. fa molto baluginio delle lucciole. quelle che appaiono nelle serate più serene e di bellezze che tolgono il fiato.

Friday, August 7, 2015

le production issue, le blatte, i progettismi

al lavoro l'altro giorno - financo con un po' di soddisfazione - mi è capitato di dover gestire un'anomalia, e di chiuderla. la storia delle anomalie non è un'anomalia. visto che di quello, per ora, mi occupo. il fatto è che l'utente ha aperto la segnalazione poiché in uno dei file delle segnlazioni e degli scarti aveva notato un messaggio diverso dal solito, sconosciuto. "aggggià - ha anche aggiunto - ed inoltre questa mattina abbiamo 141 scarti, invece dei soliti 5-6 giornalieri".

l'amica ilà, il giorno prima, mi chiedeva notizie. "è un po' che non ci sentiamo, come butta?". la sera le ho scritto. è venuta fuori una mail psicopippa. ma gliel'ho inviata lo stesso. in buona sostanza le dicevo che non avrei nulla di cui lamentarmi, ma sono tutt'altro che felice o sereno. così è come se fossi sfiduciatamente, e come in attesa di qualcosa che non so bene cosa. e se altresì una piccola fiducia me rimane, è che ad un certo punto mi si acclarerà che è il momento è cambiato.

l'amica ilà mi ha risposto. e mi ha suggerito che è condizione che ha vissuto pure lei. poi rimane nella praivasiii della comunicazione nostra di come ne sia uscita uscita. mi diceva anche che è un po' quello che fanno le blatte. quando si approssima il pericolo, si fingono morte, per scamparla. e che a volte rimanere in balia delle onde nella buriana placida può essere un modo di uscirne ancora integri. e che quindi capisce benissimo la mia situazione. che poi magari uno esce dal surplace.

ecco. surplace. tanto che è la cosa che mi è venuta da dire all'amica viburna - che molto io diludendo lei in questo periodo - quando mi ha chiesto "come stai?". "sono in surplace, sono in attesa che succeda qualcosa. un progetto che scardini questo senso del divenire in cui mi uso il trucco della blatta".

lei, giustamente e ermeneuticamente, mi ha fatto notare che i progetti si preparano, non si attendono. l'etimo è quello di "gettare avanti". quindi ha disvelato un po' l'anomalia. che io pensavo ci fosse un progetto ad attendermi più o meno avanti. e che sarebbe bastato aspettar come le blatte. che però, a dirla tutta, in effetti, mica propositivamente gettano avanti alcunché. e che quindi il problema potrebbe non essere quello di riuscire ad aspettare abbastanza che le cose si acclarino: al limite preoccupandosi solo del messaggio nuovo che si presenta, aspettando come le blatte a fingersi morti e nel mentre continuare a fatturare [che comunque male non fa].

il problema è omologo al fatto ci fossero 141 scarti. invece che i soliti 5-6. perché i troppi scarti erano il punto della questione: causati dal vero problema. il messaggio nuovo era solo un epifenomeno.

[il briciolo di fiducia è che poi, appunto, alla fine, l'anomalia grossa è stata risolta. sentendomi financo soddisfatto per come sia riuscito a portarla a casa]

Saturday, August 1, 2015

lato umanistico, fattene afffffanculo

lo ricordo bene il momento in cui ebbi la personalissima epifania. era verosimilmente settembre, più probabilmente ottobre di troppi miGlioni di anni fa. e la magistrini - forse la professoressa tra le più lontane dalla top-ten delle bellezze che un alunno incrocia dalla prima elementare alla tesi di laurea - spiegò il cantico delle creature, uno dei primi documenti della letteratura italiana. citò il concetto del logòs, con riferimenti al prologo di giovanni [nel senso di vangelo, quello che si legge la notte di natale, nel rito ambrosiano. che non serve essere credenti per avvertirne la meraviglia e la vertigine che ti si spalanca sotto a farlo proprio]. insomma, io guardai costei, i suoi ricci arcigni, il neo sporgente sulla punta del naso, gli occhiali fondo di bottiglia e pensai: questa donna mi sta aprendo uno spiraglio su un'immensità che ora solo intuisco essere così stordente e magnifica.

occhei: non pensai esattamente queste parole. ma il senso di boccuccia spalancata dallo stupore era più o meno questo: epifenomicamente.

l'ho sempre ricordato come un momento fondante.

questa sera, mentre bevevo una birraccia mangiando una poco estetica caprese, ho pensato per la prima volta sia stato, altresì, l'inizio della fine. una consapevolezza ex-post, ovvio. ma, ribadisco per la prima volta, vorrei che quel momento non fosse mai venuto. perché ammmè, sta minchiata dell'animo e dell'attrattiva umanista, è foriera di più danni che benefici. perché è stato rendersi conto di una dualità e sovrastruttura - anzi: wrapper, voglio fare il nerddiimmmerda - che a conti fatti mi ha frustrato, mi ha fatto disperdere la spinta proattiva. è come il diagramma di radiazione delle antenne, che voglio ragionare come un tecnico che nelle mappe polari trova la sua poesia e soddisfazione: i fottuti dipoli irradiano in un senso e nell'altro quindi serve molta più energia e non si è focalizzati sull'obiettivo. ecco, ho dilapidato anni, possibilità, entusiasmi, senza saper bene che fare. perché ho studiato da tecnico - e la cosa, diciamolo, non è che mi riesca poi così male, suvvia - mentre desideravo far altro, far l'ummmmanista [il tono, schifato: come quello la madre della cuccinotta ne "il postino", quando cita quella parola strana e quasi insultante: metaaaafòre. con la quale il postino-troisi sta ammagliando la sua procace figliola - rubando quelle di neruda].

ecco. no. quanto sarebbe tutto più semplice immediato, diretto, lineare, se mi fossi gonfiato il petto orgoglioso di sentirmi pragmaticamente da perito, fino ai più altri gradi del sacerdozio laico-tecnologico dell'ingengere per esserlo, una volta proclamato, per sempre [come la monaca di monza]. come avrei diretto in maniera diretta e senza inciampare nel seme del dubbio che quella era la mia strada, immarcenscibile, inevitabile, epicamente eponima del mio essere. quante soddisfazioni in più, anche alla luce della mediocrità - tecnica e d'approccio - che ritrovo nella grande-mecojoni-azienda. dove, in fondo, mi basta fare quello che mi viene di fare per ritrovarmi inaspettamente encomiato [gratisssse, neh?]. farlo, per giunta, senza l'entusiasmo di una cosa così interessante.

ecco. quanto avrei potuto quagliare, ottenere, consolidare, fatturare, strutturare se mi fossi limitato a vedere con passionevolezza il recitar i sermoni di specifiche, analisi funzionali, design-architetturale, networking, processi biz da strutturare dal punto di vista dei sistemi informativi. chissà, magari avrei financo potuto far il [piccolo] imprenditore senza che questo significasse farlo con fallimentevolezza ontologica.

quanti cazzi in meno da svangare. quante frustrazioni risparmiate. quante serate in meno sputar bile. quante occasioni in meno rimpiante. quante meno birre anestetizzanti. tipo quella di 'stasera. masticando amaro nella sacra serata del venerdì, inizio weekend. e la banalità consolante a scoprir il fascino di un override di una classe java.

glielo devo dire ad odg. quando mi ricorderà che ho l'animo umanista che è represso dalla necessità di espletare una forma tecnologica. che si piglia l'onorario della seduta [anche] a causa di quello. glielo devo dire che se non ci fosse stato quella fottuta lezione sul cantico come sarebbero state migliori, o quanto meno complicate, le cose. avrei seguito con sufficienza e poca sopportazione le lezioni della magistrini per soli tre anni. tanto avrei compensato con i risultati nelle altre materie: anzi, col diagramma di antenna solo in quella direzione chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, risultati ancora migliori di quelli già encomiabili di allora.

afffanculo quella lezione. affffanculo lo stupore di allora. affffanculo magari anche la magistrini. e financo il cantico. che se lo studino gli umanisti che sono solo umanisti e non frustrati tecnici incastrati in un guscio: che non vanno né di qui, né di là. ma stanno in un equilibrio birroso e incazzoso.

cosa sarebbe stato se non? certo. certo. quanti miGlioni di post in meno. tipo questo. un risparmio che avrebbe giovato all'ecologia del Gueb, di cui mi sarei appassionato a conoscere gli stack TCP, in loco di quello che si può pubblicare e condividere. tante seghe mentali in meno, con tutto il guano pre-intellettuale conseguente. ma molte, molte, molte molte compilazioni .net in più, con l'ultima orgasmizzante versione di visual Studio [e nessuno mi toglie dalla testa che avrei trombato molto di più].