Saturday, August 1, 2015

lato umanistico, fattene afffffanculo

lo ricordo bene il momento in cui ebbi la personalissima epifania. era verosimilmente settembre, più probabilmente ottobre di troppi miGlioni di anni fa. e la magistrini - forse la professoressa tra le più lontane dalla top-ten delle bellezze che un alunno incrocia dalla prima elementare alla tesi di laurea - spiegò il cantico delle creature, uno dei primi documenti della letteratura italiana. citò il concetto del logòs, con riferimenti al prologo di giovanni [nel senso di vangelo, quello che si legge la notte di natale, nel rito ambrosiano. che non serve essere credenti per avvertirne la meraviglia e la vertigine che ti si spalanca sotto a farlo proprio]. insomma, io guardai costei, i suoi ricci arcigni, il neo sporgente sulla punta del naso, gli occhiali fondo di bottiglia e pensai: questa donna mi sta aprendo uno spiraglio su un'immensità che ora solo intuisco essere così stordente e magnifica.

occhei: non pensai esattamente queste parole. ma il senso di boccuccia spalancata dallo stupore era più o meno questo: epifenomicamente.

l'ho sempre ricordato come un momento fondante.

questa sera, mentre bevevo una birraccia mangiando una poco estetica caprese, ho pensato per la prima volta sia stato, altresì, l'inizio della fine. una consapevolezza ex-post, ovvio. ma, ribadisco per la prima volta, vorrei che quel momento non fosse mai venuto. perché ammmè, sta minchiata dell'animo e dell'attrattiva umanista, è foriera di più danni che benefici. perché è stato rendersi conto di una dualità e sovrastruttura - anzi: wrapper, voglio fare il nerddiimmmerda - che a conti fatti mi ha frustrato, mi ha fatto disperdere la spinta proattiva. è come il diagramma di radiazione delle antenne, che voglio ragionare come un tecnico che nelle mappe polari trova la sua poesia e soddisfazione: i fottuti dipoli irradiano in un senso e nell'altro quindi serve molta più energia e non si è focalizzati sull'obiettivo. ecco, ho dilapidato anni, possibilità, entusiasmi, senza saper bene che fare. perché ho studiato da tecnico - e la cosa, diciamolo, non è che mi riesca poi così male, suvvia - mentre desideravo far altro, far l'ummmmanista [il tono, schifato: come quello la madre della cuccinotta ne "il postino", quando cita quella parola strana e quasi insultante: metaaaafòre. con la quale il postino-troisi sta ammagliando la sua procace figliola - rubando quelle di neruda].

ecco. no. quanto sarebbe tutto più semplice immediato, diretto, lineare, se mi fossi gonfiato il petto orgoglioso di sentirmi pragmaticamente da perito, fino ai più altri gradi del sacerdozio laico-tecnologico dell'ingengere per esserlo, una volta proclamato, per sempre [come la monaca di monza]. come avrei diretto in maniera diretta e senza inciampare nel seme del dubbio che quella era la mia strada, immarcenscibile, inevitabile, epicamente eponima del mio essere. quante soddisfazioni in più, anche alla luce della mediocrità - tecnica e d'approccio - che ritrovo nella grande-mecojoni-azienda. dove, in fondo, mi basta fare quello che mi viene di fare per ritrovarmi inaspettamente encomiato [gratisssse, neh?]. farlo, per giunta, senza l'entusiasmo di una cosa così interessante.

ecco. quanto avrei potuto quagliare, ottenere, consolidare, fatturare, strutturare se mi fossi limitato a vedere con passionevolezza il recitar i sermoni di specifiche, analisi funzionali, design-architetturale, networking, processi biz da strutturare dal punto di vista dei sistemi informativi. chissà, magari avrei financo potuto far il [piccolo] imprenditore senza che questo significasse farlo con fallimentevolezza ontologica.

quanti cazzi in meno da svangare. quante frustrazioni risparmiate. quante serate in meno sputar bile. quante occasioni in meno rimpiante. quante meno birre anestetizzanti. tipo quella di 'stasera. masticando amaro nella sacra serata del venerdì, inizio weekend. e la banalità consolante a scoprir il fascino di un override di una classe java.

glielo devo dire ad odg. quando mi ricorderà che ho l'animo umanista che è represso dalla necessità di espletare una forma tecnologica. che si piglia l'onorario della seduta [anche] a causa di quello. glielo devo dire che se non ci fosse stato quella fottuta lezione sul cantico come sarebbero state migliori, o quanto meno complicate, le cose. avrei seguito con sufficienza e poca sopportazione le lezioni della magistrini per soli tre anni. tanto avrei compensato con i risultati nelle altre materie: anzi, col diagramma di antenna solo in quella direzione chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, risultati ancora migliori di quelli già encomiabili di allora.

afffanculo quella lezione. affffanculo lo stupore di allora. affffanculo magari anche la magistrini. e financo il cantico. che se lo studino gli umanisti che sono solo umanisti e non frustrati tecnici incastrati in un guscio: che non vanno né di qui, né di là. ma stanno in un equilibrio birroso e incazzoso.

cosa sarebbe stato se non? certo. certo. quanti miGlioni di post in meno. tipo questo. un risparmio che avrebbe giovato all'ecologia del Gueb, di cui mi sarei appassionato a conoscere gli stack TCP, in loco di quello che si può pubblicare e condividere. tante seghe mentali in meno, con tutto il guano pre-intellettuale conseguente. ma molte, molte, molte molte compilazioni .net in più, con l'ultima orgasmizzante versione di visual Studio [e nessuno mi toglie dalla testa che avrei trombato molto di più].

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