Sunday, July 24, 2016

perché il "terrorismo" ha [un po'] vinto la sua battaglia

alzo un po' lo sguardo dall'ombelico.
sono giorni inquieti.
a dirla tutta, per i profughi che scappano da guerre, carestie, regimi dittatoriali è da mo che sono giornidemmmmerda.
quindi i giorni inquieti, questi giorni inquieti, lo sono per noi pasciuti occidentali.

penso che il delirio nazislamico di daesh abbia abbastanza vinto un pezzo di battaglia. e non solo perché vuol rendere inquieti i nostri giorni. che siamo tutti apostati che meritano la morte. figurarsi, questi nazisti della religione considerano già colpevoli tutti i sunniti che non siano salafiti. figurarsi i musulmani sciiti. figurarsi i cristiani. figurarsi i cristiani secolarizzati. figurarsi i laici. figurarsi gli agnostici, scettici e fottuti razionalisti [e ci aggiungo pure un faticosamente nascosto desiderio di fare del sano sesso corroborante per il puro piacere di farlo.] [quindi, probabile, sia proprio in cima alla graduatoria degli infedeli].

hanno vinto la battaglia perché ci hanno reso schizofrenici nel reagire eziologicamente alla violenza di cui siamo mediaticamente resi partecipi.

perché?

perché quella violenza dei vari comandi jadhisti, o dei cani sciolti ha acceso la miccia, più o meno emulativa dei folli. folli che sono folli per problemi innestati tra le pieghe della loro mente. "Che, come ci insegna l'esperienza, sono ovunque" [cit]. gente in potenza pericolosa. la [s]ragione di essere all'atto, oltre che la potenza. come se avessero acceso l'interruttore dello sbrocco di costoro.

perché dietro ogni violenza di un folle, ormai, si cerca quasi con riflesso pavloviano, la matrice terroristica, magari religiosa, che dà il destro - subconsciamente o meno - allo sbrodolamento populista destrorso. e fa quasi stupore, se non addirittura delusa meraviglia, quando magari si trova solo l'interrutore acceso dello sbrocco di un folle.

perché ci hanno [quasi] assueafatti alle violenza che ci viene proposta mediaticamente. che ne abbiamo accumulata talmente tanta da aver superato il troppo-pieno. e quindi quasi ci scivola addosso. non riusciamo ad assorbire l'empito emotivo di assimilare una notizia di "attacco" che viene già quello dopo. una sequenza che ci si aspetta debba divenire senza soluzione di continuità. come fosse "una assurda normalità" [cit]. poi, al solito, dietro il problema della percezione del problema, ci sono paesi, posti, luoghi dove non è nemmeno più tanto assurda. è quasi solo normalità.

i nazisti di questo millennio avranno vinto la guerra quando sarà solo l'inevitabile normalità.

[piccola parentesi construens: restare umani, in fondo, è [anche] cercare di non cancellare il fatto sia, appunto, assurda quella normalità. qui, dove stanno i pasciuti occidentali, è più semplice. non come in quesi paesi, posti, luoghi, dove è cazzutamente più difficile. quindi, poiché qui è più facile, ci correrebbe l'obbligo, a noi pasciuti occidentali, di provare a guardare la prospettiva degli eventi. magari anche non cadendo nei meccanismi mediatici dei riflessi pavloviani. la prospettiva permette di intuire la complessità delle cose. che magari non si riuscirà a comprenderla tutta la complessità: proprio perché complessa. ma almeno non appiattisce, e non si viene rapiti del tutto dalla paura, ed il suo condito paralizzante.]

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