Wednesday, October 19, 2016

dialoghi immaginificamente lievi, oltre che belli

- ti ho raccontato di mia sorella?
- sì. cioè, no. che ha fatto in questi due anni?
- si è laureata. ha fatto il concorso per la specialità. diventerà un fisico esperto di quark esotici: il laringmuone e l'otorione(+).
- accidenti! come dicono i ragazzi d'oggi: tanta roba!
- già.
- sei contento?
- per lei sì, ovvio. e sono contento che sia proprio lei a togliermi qualche piccola illusione.
- tipo?
- che il più figo, il più intelligente, quello più capace ero io. alla fine si è dimostrata lei quella più avanti, più capace.
- uhm...
- ...
- anche dal punto di vista dell'intelligenza emotiva, sociale, empatica?
- ...
- su. su. lo sai benissimo di essere passi avanti rispetto la media campanosa delle altre persone. chissà fossi stata donna quanto più oltre avresti potuto essere. probabilmente avrei perso la testa. mi sarei ribaltato un po' dentro.
- uhm. sì. forse hai ragione. da quel punto di vista forse sono più bravo io. ma è poca roba.
- non sono convinto. non foss'altro per quanto mi renda sempre più conto di come sia importante proprio quel tipo di intelligenza. non vorrei fare classifiche, ma faccio fatica a pensare qualcuno di più abile di te, da questo punto di vista. e penso di essere molto esigente. forse ancora di più che con le donne, quelle per cui vale pena perdere la testa, dico.
- grazie. sai che detto da te mi fa piacerissimo. in un'altra vita avremmo potuto innamorarci.
- beh, senza scomodare queste emozioni funzionali alla riproduzione... avremmo potuto viverci il mutuo ribaltamento.
- magari ci saremmo trovati delusi l'uno dell'altro. non trovare sopportabile i difetti. io, ad esempio, ne ho di alcuni che non immagini.
- credo di intuirli. e credo ci sia qualcosa che ho notato, ritrovandoti dopo tutto questo tempo.
- cosa?
- mettiamola così: quell'intelligenza di cui parlavo prima, è come se producesse tanto, tanto, tanto, materiale intepretativo dell'altro, del contesto. mi segui?
- non capisco...
- è come se tu fossi in grado di percepire una quantità enorme di sollecitazione emozionali, percettive, empatiche. e tutto quella montagna di informazioni dovessero essere elaborate, interpetate, anche non del tutto consciamente. macinate. ecco, secondo me produci un sacco di materiale lavorato. e questo rischia di appesantire, di rendere meno lieve il tutto. come se per sostenere  quell'ammasso dovessi dimostrarti più teso e capace e pronto di sostenerlo. e questo rischia di farti sembrare più umbratile di quel che invece sei.
- credo di cominciare a capire...
- dovresti sfrondare, eliminare, e rendere tutto più leggero. ecco: dovresti conquistare levità.
- interessante. e come si fa?
- sei abbastanza intelligente e capace per scoprirlo nel profondo da solo. però, ad esempio, mi verrebbe da suggerirti che far propria l'arte dell'autoironia può aiutare. e molto.
- già. io non sono autoironico, ve'?
- diciamo che conosco gente che lo è di più. però, se ci pensi, è un modo per sgravarsi dal peso di prendersi troppo sul serio. la seriosità non ha mai prodotto niente di buono, incista le persone a sostenere dei carichi inutili. ci pensa già la vita ad essere complessa. scarichiamoci le spalle di fardelli inutili.
- levità per autoironia. faccio un po' fatica a pensare a come.
- beh. quella cosa lì poi viene. credo sia anche una specie di conquista dell'età. quando in fondo smetti di esser costretto di dimostrare qualcosa al mondo. non serve più di tanto centrarsi, cercare una struttura d'essere. e se ce l'hai e ti è chiara: puoi anche divertirti a decostruirla in parte. sorridendoci sopra con intelligenza.
- l'ironia come forma elegante e raffinata di intelligenza. non ricordo dove devo averla letta. però non è facile.
- no. però, ad esempio, se prendi coscienza delle tue nevrosi è un modo interessante per smontarne la presa, il peso: ironizzandoci sopra.
- e come le scopro le nevrosi?
- ci vuole qualcuno che ti dia una mano in questo.
- peraltro è una delle cose che stavo pensando di cominciare a fare, ma non per diventare autoironico. cioè: non fino a questo momento.
- tu ti fai dare un mano. e tutto lo scarto che via via si distacca da te puoi sminuzzarlo con un sorriso lieve sulle labbra. e se, comunque, percepisci appena il desiderio di cominciare a farti dare una mano da qualcuno: non aspettare. fallo. non perdere tempo. ogni giorno che passi con il fardello di una zavorra, è un giorno in più di fatica. con poca, meno autorinia.
- ...
- ...
- ci penserò.
- no. fallo. pensaci quando comincerai a smontare. vedrai che comincerai a ridacchiare: autoironicamente.
- bene. ordiniamo?
- occhei. tu che prendi?
- una cioccolata. senza panna.

Thursday, October 13, 2016

il giullare che fa knock-knock on heaven's door

asserire che conosco bene il giullare tanto più il menestrello sarebbe cosa poco onesta. un po' mi spiace e me ne faccio un piccolo cruccio. mica per altro: con tutto il tutto che hanno scritto o fatto meriterebbero ben altra canoscenza.

ma la mia ignoranza è sconfinata.

però. però. però.

oggi è stata una giornata dalle emozioni decisamente contrastanti. stamani, che se ne fosse andato il darione, è la prima cosa che ho letto. alla radio stavano già riverberando le prime emozioni: quello che fo è stato per radiopopolare credo di non averlo ancora circoscritto del tutto. hanno osservato che se n'era andato il giorno in cui avrebbero il nobel per la letteratura. quel nobel che lui aveva vinto. probabilmente ho abbozzato il pensiero che un nome sui generis, inaspettato, sarebbe stato una coincidenza per celebrare anche il giullare. probabilmente ho cominciato ad allineare le sinapsi per dar principio ad un pre-pensiero che sarebbe stato un coup de théâtre geniale, per un genio che se ne andava, se fosse toccato al robert zimmerman più famoso che esiste. deve esser rimasto al di qua del conscio. quindi non lo posso razionalizzare. ma mi voglio convincere che sia stato financo così.

dario fo è immenso. tanto che ripensare a quello che è stato anche per milano, e per un mood di gente che a milano e intorno vive, e si sente in quel mood, pare quasi cosa provinciale. roba che sarebbe una specie di torto claustrofobico. però in qualche modo mi son sentito avvolto in una specie di abbraccio moodico per vicinanza a quel mood. credo che fosse l'emozione che usciva dalla radio, che ascoltavo con un'auricolare mentre spulciavo la posta e provavo a ri-tuffarmi nella banalità di quel lavoro moderatamente immmmierda. e dar un senso al senso di alterità che vivevo nel trovarmi in quel posto, circondato da quei bravi nerds evoluti. tutta gente se va bene per bene, neh? ma che ho sentito lontani come non mai come questa mattina. ed io nel posto sbagliato. come se l'immensità di quel giullare [che sta raccontando del giullare francesco, in questo momento alla tivvvvvù] mi avesse fatto risuonare quegli anfratti che sento vivi dentro, e tittillanti, e che suggestionano come eco lontane. a volte lontane, a volte un poco meno. mentre devo stare in quel lavoro immmmmierda per poter fatturare. situazioni strane insomma. di commossa alterità.

poi ho dovuto un po' infilarmi in questa giornata. seppure con più alterità del solito.

e poi sono tornato dalla pausa pranzo. dopo aver osservavo con ancora più straniamento tutti i commensali.

e ho letto di bob.

le sinapsi delle mattina che avevano cominciato allinearsi per il pre-pensiero di cui sopra sono rimaste un po' spiazzate. e si sono emozionate, arrossendo come stavo facendo io in quel momento. leggevo e mi pareva una cosa da non crederci, e nello stesso momento mi sembrava la cosa più ovvia. come sdoppiato. e l'ho sentita tutta quella specie di reazione. sdoppiata, come quando viene un abbozzo di pelle d'oca e nel frattempo avvampa un colpo di caldo. devo aver buttato lì il cianciar di qualcosa con la voce un po' strozzata. un collega, lì accanto, non so come, deve essersene accorto: mi sembri che 'sta cosa ti abbia colpito - ha detto. non sono riuscito a replicare immediatamente.

quando fo vinse il nobel avevo appena iniziato il servizio civile. e proprio allora lessi che se la reale accademia di svezia era riuscita a far una scelta così sui generis, allora si poteva pensare che anche bob dylan lo si potesse premiare. ero un giovincello [peraltro pieno ancora di belle speranze. anche quello di essere riverberato da un po' di anfratti che sapevo di avere, ma di cui mi ero preso cura fino ad un certo punto. pensavo di avere un sacco di tempo e che si poteva fare tutto assieme. che ingenuo baganetto ero]. ora sono un po' più cresciuto. osservo desolato le lande tanto, troppo dimesse delle misere messi raccolte nei vari ambiti. ogni tanto gli anfratti risuonano. mentre continuo in questo lavoro immmmmmierda e mi sento financo poco utile.

però. però. però.

l'hanno proprio preparate bene la sceneggiatura di questa giornata. se c'è qualcosa lassù in alto bisognerebbe farle i complimenti  [farle, perché deve essere necessariamente maschio?]. il giullare che fa knock-knock on heaven's door.
[poi non esiste nessuno lassù in alto. ma per un momento, in questo momento, fa quasi bene e così levità pensarlo - lieve come continuare ad ascoltarlo in tivvvvù, in sottofondo raccontare del giullare francesco. o certe melodie delle canzoni del menestrello].

Saturday, October 8, 2016

piccola psicopippa sull'amore/2.2 [ma lei c'entra qualcosa? i film e i trip. ma si ha controllo solo sulla prima mail...]

[qui è quando vidi lei].

in effetti il tripppppe, nel senso compiuto del termine cominciò più di un anno dopo.
nel mentre andai ancora un paio di volte tra il pubblico della trasmissione. ed ogni volta la guardavo muoversi sicura e bellissima in quel guazzabuglio ordinatissimo. è pazzesco cosa accade in uno studio tivvvù. c'è un momento dove tutti calcano la scena: truccatori, operatori di camera, assistenti, autori [tipo lei], venditori di noccioline, tecnici audio, gente con un sacco di cose elettroniche attaccate, cartomanti, visagistadelledive, il divo, certuni che si muovono come se quella fosse tutta roba loro. poi ad un certo punto spariscono tutti, si svuota la scena e rimane il conduttore con il suo sorriso di plastica. roba da rimanere basiti per come riescano a non scontrarsi fra di loro, o calpestarsi i piedi, o inciampare nei cavi mentre eseguono questa ritirata in sincrono. e si può andare in onda.

vabbhe.

il tripppppppe. dicevo. cominciò un anno dopo. stavo raccongliendo le foglie di novembre, dopo che furono state come d'autunno. in quel momento mi sovvenne che avrei potuto o dovuto conoscerla. perché era una donna che trovavo bellissima. faceva un lavoro interessante, cuore pensante di una trasmissione tra le più interessanti. quindi doveva essere anche lei interessante. un nesso causale che a mente fredda fa venire un po' i brividi. per, allora, decisi così per un mics di sensazioni emozional-sentimentali corroborate da un sostanziale distacco dalla realtà. solo che allora mi crogiolavo lisergicamente nelle sensazioni e non capivo quanto stessi distaccandomi. o meglio: ne avevo la vaga percezione, me non mi curavo troppo delle possibili conseguenze.

insomma. era deciso. l'avrei conosciuta. avevo il suo gancio feisbucchiano. bastava mandarle un messaggio. già. il messaggio. cosa avrei potuto scriverle? cominciai ad elaborare versioni variegate. era un bel modo per prendere tempo. e nell'altro tempo coinvolgere in questa macchinazione pezzottata qualche conoscente. nel senso che cominciai a raccontare di quel che avrei voluto fare, introducendo il personaggio che tanto mi aveva colpito e che desideravo conoscere. proabilmente da una qualche parte dei recessi della mente intuivo era una nevrotica minchiata. al di qua del raziocinato ne intuivo l'aspetto - quanto meno - sui generis. però me lo giustificavo pensando che, sì, insomma, era un eccesso di fantasia, ma quando la fantasia va al potere sai che figata! scrissi dei post per smascherare il mio ordito. era il blogggghe precedente questo. ogni tanto la storia di questa da conoscere mi ispirava financo le psicopippe di blog.libero.it/odisseando. coinvolsi qualcuno, forse, perché poco consciamente pensavo che qualcuno tra questi qualcuno mi dicesse: è una minchiata, niente di pericoloso, neh? ma minchiata rimane. e invece quei qualcuno non mi distrassero mai dal proposito. o perché risultavo illusorisamente credibile. o perché chi gliela faceva fare nel portarmi alla realtà? avrei smoccolato o solo abbozzato. e non avrei ascoltato e comunque bastava ci picchiassi il naso. ma in fondo va bene così. perché il naso dovevo picchiarcelo da me. e curarmi l'epistassi.

già. perché poi, dopo più di un mese di reticenze, variazioni sul tema del fondamentale primo messaggio, divinazioni razionaliste-scettiche del momento o della combinazione simbolica di eventi per trovare l'attimo più propizio: pigiai sul fottutissimo tasto send [ci ho il feisbuch in inglese]. fu di sera tardi. mentre rincasavo e decidevo che era il momento di farlo ricordo cumuli di neve sporca, ai bordi di viale gramsci a sesto san giovanni. che canticchiavo 'ho visto nina volare' [prima che metta neve]. era tutto un mood piuttosto cupo e un po' da condannato che va a scontar la sua pena. ed in piena contraddizione scrissi quel fottutissimo messaggio: l'ultima propaggine di ciò che mi era possibile controllare.

dopo, il bagno di realtà.

già. perché in realtà il tripppppe prevedeva anche una sorta di sceneggiatura. perché qualcosa sarebbe dovuta o avrebbe potuto succedere dopo quel fottutissimo tasto send. era il bagno di realtà. appunto. perché la cosa si sarebbe acclarata pure a lei. fino all'attimo prima di quel fottutissimo send era un tutto un volume considerevole di matasse fastasioseggianti mie. più qualche post scritto e qualche amico coinvolto e un po' sfrancicato [oltre eventualmente i suoi coglioncini] dalla mia surrealistica impresa nevrotica. dopo il fottutissimo tasto anche l'autrice del programma che mitizzavo, quella bellissima rappresentante dell'acqua e sapone, con i suoi occhiali, il suo quadernone da usare a mo' di scudo, il sul cellulare appeso al collo con l'apposita cordicella ne sarebbe stata coinvolta. pochi percentili rispetto a tutto il construtto che mi ero fabbricato prima di quel fottutissimo send. avrebbe continuato ad osservare il pubblico seduto in attesa nello stesso modo. forse, per una piccola increspatura del vagolare dei pensieri, le sarebbe anche sovvenuto che ce n'era stato uno che, da un punto lontanissimo del suo mondo, l'aveva contattata. avrei potuto esser lì la puntata precedente, dal suo punto di vista. probabilmente il pensiero più lineare, semplice, diretto. da che ne sapeva lei c'era voluto un pezzettino di sbattimento a scoprir come si chiamava ed abbozzare un messaggio e premere il tasto invia [magari lei ha il feisbuch in italiano]. ma tutto iniziava e finiva lì. poco o nessun iato tra la curiosità di quella cosa, magari sui generis: un messaggio di uno del pubblico della volta precedente e la lieve e veloce sensazione di leggerlo, magari farci un mezzo sorriso sopra, e poi proseguire nella sua realtà. camminarla senza nemmeno farsi sfiorar dal dubbio che la sua, di realtà, potesse mai essere nemmeno impercettibilmente deviata. tanto meno lontanamente immaginare lo iato che invece scorticava me: tutti gli artefatti nevrotici cubati in quelle settimane e l'attesa di un qualcosa che poggiava il suo fulcro sopra un terreno simbolico, consistente come zucchero filato. che di dolce non aveva proprio nulla.

il trippppppe divaricava. il mio turbinio, che si era un po' fatto loop, e l'inconsapevole levità di una ragazza che teneva il suo quadernone a mo' di scudo protettivo e che ignorava tutto il [mio] resto. e per fortuna, del resto. come se lei, in fondo, non c'entrasse praticamente nulla. se non la piccola causa prima - inconsapevole ovvio - tipo il sassolino scalciato che rotola, e poi viene giù la valanga. anche questa distonica proporzione era trippppppe.

era bastato quel fottutissimo send. per quanto ci fosse voluto un sacco prima di arrivarci. aveva unito il lanosissimo sgorbio dei miei puntini, che sembravano una nebulosa, al suo. tecnicamente è lì che si è creato una specie di legame, di contatto, dopo tutto il mio maremagnum di peregrinazioni fantasiose. per quell'attimo è tornata a c'entrare anche lei: per il resto fuori dai giochi, visto che giocavo a svariegati solitari.

e soprattutto, quel fottutissimo tasto, era il punto apicale di tutto quello che potevo tenere sotto controllo nel mio inventarmi svariate realtà future. un discreto numero avrebbero potuto propagarsi da quel momento. avevo solo facoltà di decidere cosa scrivere in quel fottutissimo messaggio. dopo il send poi sarebbe venuta la realtà delle cose. io le avevo solo immaginate, e nemmeno tutte, ovvio. e per ciascuna c'erano dialoghi immaginifici. che davano il contributo interlocutorio ai miei film, per quanto brevi che se li avessi anche allungati e allargati allora sì che uscivo dalla nevrosi ed entravo nella psicoticità.

il fottuto tasto e lei, un soffio lieve nella sua vita, ed era coinvolta, anche solo l'attimo di un respiro. il fottuto send ed ero di fronte la realtà: la cosa che non avrei potuto controllare ossessivamente come le parole - limate, ripensate, ri-organizzate - di quel coacervo di messaggio. tutto si raggrumava su quel fottuto tasto send. click.

tecnicamente poi, tra le altre cose, lei rispose anche.

[ma per questo, e per quello che avrei ripetuto anni dopo, ci vuole un altro post].

piccola psicopippa sull'amore/2.1 [ma lei c'entra qualcosa? i film e i trip. ma si ha controllo solo sulla prima mail...]

insomma, chissà se questa susanna...[di susanna, si parla in effetti un po' quivi...]

poi, in quel corrodoio stretto, con la gente un po' in fila un po' fremente di entrare nello studio, apparve lei.

sono stato uno da [pseudo]innamoramenti nevrotici, zerbinamenti infausti, invereconde ritirate dalle sterminate pianure dell'assertività. però quelle sensazioni dove si allenta la mandibola, le spalle un po' si piegano lasciandosi andare, e lo sguardo proprio non riesce a staccarsi da costei si contano sulle dita di una mano. non è una questione di colpo di fulmine. è qualcosa di ancora più catatonizzante. tutto il resto è rumore di fondo, quasi sfuocato. come guardare una scena di un film un po' didascalico e banale. tutto attorno a lei che si muove come comparse troppo artefatte. come un impetuoso vento che muove al rallentatore i capelli al vento di lei. che procedere convinta verso di te ma rimane sempre lì, mentre la luce è cono che fa brillare solo lei, lo sfondo che si distacca 'ché si fa più scuro. una scena [banalotte, suvvia] che però mi ricordo così, insomma. quando apparve lei.

ora. le donne brutte sono altra cosa. lei era oggettivamente graziosa. ma come capita ad un sacco di donne graziose. davvero, sono proprio tante. però in quel corridoio mi accadde quella cosa lì. mi si era consustanziata questa specie di intuizione. magnetica, totalizzante, spiazzante. non ero ancora riuscito a elaborare quella sensazione, che in un attimo mi aveva rapito e già iniettato in vena la sindrome di stoccolma, che lei era già sparita. apparsa e scomparsa. chiusi gli occhi un poco, scossi un poco la testa per ritornare un po' in me. le comparse erano scomparse ed erano riapparse le altre persone nel corridoio, quelle di prima. fremevano per entrare nello studio. lei, sparita. non so per quale consecutio mi venne da pensare fosse una che null'altro doveva fare, tranne che contare le persone in fila in quel corridoio, stretto.

poi entrai nelle studio. mi sedetti. mi guardavo in giro per cercare di scorgerla. e d'improvviso riapparve. solo che era quella che dall'angolo degli autori si alzava ed andava a confabulare col fabio nazionale. gli mostrava dei fogli, sottolineava, scriveva, rispondeva al telefono che teneva al collo con un cordoncino. osservava noi seduti su quegli spalti. pareva centrata in quel ruolo. sicura di sé e nel contempo signorilmente distratta da noi seduti ed in attesa. come se avesse visto così tante volte quella scena che ormai non la catturava più. tipo sulla metropolitana, che osservi persone mai viste e che non vedrai più. ma questo ormai fa parte del tuo vivere noto, gestito, macinato. dovevamo apparirgli così. mica poteva immaginare ce ne fosse uno lì in mezzo, con la mandibola lasca e che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. non contava le persone in fila nel corridoio stretto. contava parecchio in quella trasmissione - e che trasmissione. e quella trasmissione la scriveva anche lei.

al termine della puntata mi prese una nostalgia malinconica lancinante. non poterla più addocchiare in quell'angolo. era lei ad alzare il cartello quando fazio diceva "abbiamo ancora tre minuti". finì la puntata e lei sparì. nella serena coincitazione dopo il "grazie a tutti, ci vediamo la prossima puntata". fine.

poi la vidi uscire dalle porte a vetro degli studi di corso sempione. mi ero attardato con una specie di ex amico che mi ero portato appresso. senza crederci troppo sperevo di re-incrociarla. ed invece eccola, uscire sola, quasi dimessa, come un'impiegata qualunque. un quadernone sotto le braccia conserte a mo' di piccolo scudo, una borsa a tracolla. incrociammo lo sguardo. ed io pensai che dentro in quel quadernone probabilmente c'era la puntata del giorno successivo. e che lei era qualcosa di bellissimo. che una donne così bella e che faceva così bene il suo lavoro, quel lavoro, non poteva che essere una da incrociare per bene nella vita. perché la consecutio era che doveva essere una donna interessante. per cui valesse la pena innamorarsi, o quella cosa lì. una specie di conclusione di un teorma che girava solo nella mia testa.

prima, ovviamente, era da conoscere. bisognava trovare il modo per. stava già germinando la mia nevrosi nell'accezione lisergica del trippppppe.

di susanna, in effetti, non mi fregava già più nulla.

[che poi il trip deve ancora venir acclararsi. in un altro momento, suvvia. ora ho sonno]

Thursday, October 6, 2016

piccola psicopippa sull'amore/2 [ma lei c'entra qualcosa? i film e i trip. ma si ha controllo solo sulla prima mail...]

si partiva da quivi.

qualche anno fa mi partì un bel trip. c'è chi lo fa con le pasticche. io tecnicamente, poiché ho il braccino corto per questo genere di espedienti, me li faccio agggggratissse. tanto ho le mie nevrosi che mi fanno da pusher.

dicevo del trip.

andai ad assistere ad una puntata di chetempochefa. mandai una mail all'indirizzo che si vedeva scorrere al termine dei titoli di coda. allora i miei miti erano tutto sommato [più] banali che ora. da allora qualcuno l'ho fortunatamente demolito. anzi, probabilmente un po' tutti. fazio ed il suo programma, savàsandddiirrr, era tra questi. le ragioni erano variegate, ma non aiutano l'economia di questo post, quindi le lascerei perdere. insomma, mandai la mail. mi rispose susanna, che sostanzialmente doveva gestire ed organizare il pubblico non pagante. senza che nessuno l'avesse previsto cominciai ad avere una breve ma interessante corrispondenza con costei. quando arrivai agli studi di corso sempione ero piuttosto curioso di vedere com'era fatta. credo che la curiostià fosse tutto sommato corrisposta. la incrociai, un viso affilato, ed una voce profonda. un po' di imbarazzo, ma di quelli che si supera ostendando una sicurezza nel porsi con fare understatement-distaccato. sicurezza che in realtà era appena puntellata, tipo con gli stecchini. insomma. comincio a chiacchierare con susanna, per quanto lei sta lavorando e facendo la punzonatura di coloro che devono entrare in studio. depositiamo i cappotti o quelle cose lì. e poi le liberatorie. nel mentre lei si muove con sicurezza nel corridoio, stretto, dove siamo in fila. appone qualche pecina a marchi evidenti su maglioni o quelle cose lì. quando passa accanto a me butta lì una mezza frase, un cenno di intesa. come: sto lavorando ma in fondo sto mantenendo un livello di interlocuzione non distratta esattamente con te. sai che però, questa susanna, forse è financo interessante? c'è da trovare il modo di continuare ad interloquirci quando sarò fuori da qui. chissà quanto lo conosce bene fazio. chissà se ha qualche aneddoto da raccontare. chissà se c'è qualche margine di manovra, in qualunque ordine e grado, con lei. sembra a suo agio nel suo mondo, che un po' mi incuriosisce, suvvia. chissà se e come anche lei ha un qualche ruolo un po' più interessante che gestire le code degil spettatori. tra un po' si entra. chissà dove se ne va lei. ah, questa susanna. che colpo di fortuna che è stata. l'avrei mai pensato che uno si prenota per andare ad assistere alla trasmissione che rappresenta un personalissimo mito, e poi incrocia una che in fondo risponde a chi vuol far parte del pubblico, mette qualche pecina, si muove agevolmente in quei corridoi stretti. però magari saprà fare anche qualcos'altro. anzi, una che sembra così sveglia et smart, per forza dovrà essere impiegata in una qualche attività più all'altezza delle sue inevitabili capacità, no? ah, questa susanna. se mai capiterà di uscirci che non mi venga in mente di partire a canticchiare la canzoncina un po' idiota che porta il suo nome, al netto dell'esclamazione: oh [susanna].

[continuo in un altro post. in un altro momento. posto che il trip con susanna...]