Saturday, August 19, 2017

post un po' banale, sulla rambla di barcellona, e la fatica conseguente

ogni azione terroristica è un po' ormai [ahimè] consueta, e pungolo per riflettere come fosse un'altra volta la prima volta.
prima volta, perché almeno non ci si rassegni al fatto sia una cosa che riesca a far capolino nella norma delle cose. se ogni volta c'è un pungolo, si prova a guardar in faccia la complessità della cosa.
anche perché questo ho voluto lasciar passare un paio di giorni.
avevo bisogno di leggere lo scorrere delle notizie. attendere il clangore delle opinioni. lasciar che tutto distillasse qualche straccio di pensiero.
e questa volta, lo spunto, tra l'altro me l'ha dato ada colau. che poi sarebbe la sindaca di barcellona. quella che ha deciso di prendere dalla parte più complicata, ma credo utile per l'intelligenza collettiva dell'umanità, la questione dei migranti. noi, a milano, ci siamo arrivati il ventimaggio. l'idea l'hanno avuta loro. o forse proprio lei.
comunque.
ada colau ha dichiarato, poche ore dopo l'attentato, che "Barcellona è una città di pace ribadendo che il terrore non avrebbe cambiato la natura della città. Ovvero che Barcellona continuerà ad essere una città aperta al mondo, coraggiosa e solidale".
questa volta non mi sono sentito ammantare, quasi orgoglioso, di voler ribadire voglia far così anch'io. specie per quel che riguarda la faccenda del terrore che non avrebbe cambiato la [mia] natura.
cioè.
questo ormai, dal mio punto di vista, è istanza che voglio continuare a sentire, e sostenere. forse per questo meno pelledoca il pensiero di questa prouditudine.
però, mentre cucinavo il farro, giovedì sera, ho pensato che ada colau stava - di nuovo - prendendo la strada più complicata. ma che, di nuovo, è l'unica da fare. se il senso è quello di farla evolvere, collettivamente, 'sta fottuta umanità.
provo a dettagliare un concetto forse già chiaro di suo.
la paura [il terrore] è una emozione installata nel kernel del nostro cervello. è roba che ci portiamo dentro da quando eravamo sugli alberi. forse prima. la paura, al pari della rabbia e della tristezza, sono funzionali alla prosecuzione della specie. sono emozioni negative. ma senza di quelle ci saremmo già estinti, e forse saremmo ancora in tempo ad estinguerci.
poi vabbhé. siamo scesi dagli alberi, abbiamo messo su un po' di struttura. siamo diventati senzienti con la consapevolezza della nostra senzietà, e del nostro essere, della nostra finitezza. e quei tre sentimenti negativi, sono un'eredità importante. servono ancora, eccome. solo che su marchingeni così complessi come siamo, a volte, qualche casino lo creano.
ora.
ada colau ribadisce si debba andare nella direzione di mandarla un po' affanculo la paura. ma è qualcosa di antigravitazionale. che poi, occhei, fa l'effetto di elevarsi. che, guarda caso, è la similitudine che associamo al crescere, all'evolvere. è chiaro che è fottutamente più semplice aver paura. ce l'abbiamo nel kernel. invece un'altra istanza ci dice di andare nella direzione opposta. verso quella che - verosimilmente - è la chiamata alla nostra natura. nostra. di tutti. mi arrogo l'idea di coinvolgere l'umanità.
quella natura che non ha paura, e che lo fa in nome di certi principi di solidarietà che è roba antigravitazionale pure quella. perché, in ultima istanza, significa rinunciare ad un pezzo del qualcosa che è [solo] mio, per farlo [anche] di altri, o [anche] di tutti. al netto del quanto e del come è chiaro che non è come il sasso lasciato andare al decimo piano del palazzo: che tende ad andare in giù. no, qui si tratta di lanciarlo il sasso, verso l'alto [che poi, sì, cadrà giù, ma non sottilizziamo troppo, forse ho preso la similtudine non perfetta].
insomma, andare contro una natura per seguirne un'altra.
solo che è più complicato. però [forse] è l'unica strada da fare per andare avanti. o più in alto. che poi è il senso perché noi ci si sia, ho la vaga idea. il riprodursi e starsene vivi è la componente accessoria [poi si muore, occhei, è funzionale al mantenimento e quindi evoluzione della specie].
ecco.
appunto.
evoluzione.
pare che siamo ben dentro la convizione che per evolversi non basti mantenersi vivi [ed i tre sentimenti negativi servono a quello]. ma anche far cose antigravitazionali. anche se è cosa faticosa.
non so se ada colau pensasse esattamente a questo. ma in quello che ha detto mi pare di vederci, in controluce su campo lunghissimo, qualcosa di simile, omologo.
è per questo che tutte le istanze che titillano solo ed esclusivamente la paura sono contronatura. più comode, certo. come far cadere il sasso. ma fanno tornare indietro.
nell'italica masnadia della classe politica [che la parte di classe dirigente che dovrebbe educare i cittadini alla responsabilità della democrazia basata sui diritti-doveri], quasi tutti fanno un po' quello: fanno cadere il sasso verso il basso. ovvio, con diversi gradi di salvinità. ma, quasi tutti, a loro modo e con diverso grado [ribadisco: diverso grado, non sono tutti uguali, ovvio] ci fanno tornare indietro. abdicano al ruolo di classe dirigente politica. che poi è una delle colpe peggiori.
e siamo tutti un po' soli.
anche e soprattutto nella complessità del mondo che ci si irradia addosso. sempre più complicato.
provo a metter in campo, per quel che posso far di mio, quella manciata di strumenti culturali. e l'irrefrenabile automatismo a ragionarci sopra, psicopippa o meno: vuoi con la complicità della solitudine, creativa, da certi punti di vista.
ed in tutto questo, titillato dalla colau, mi viene naturale pensare [e sono contento che ora, oggi, mi sia appunto naturale] che io no tiengo miedo.

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