Monday, November 27, 2017

cucccccuruccccccuuu, paloma, e gli auguri che non dimenticai

roba di quale miGlione di anni fa. potrei dire un cazzo di quarto di secolo [cazzo. cazzo. cazzo. si invecchia], come oggi.

invitai l'amica simona al politecnico. non era la prima volta, in quelle settimane. non al politecnico, dico, quella era la prima volta al politecnico: intendo gli inviti all'amica simona. quella sera come oggi c'era battiato che parlava nella S02, vai a ricordarti chi avesse organizzato l'incontro e con quale tema. battiato, al politecnico, figurarsi.
[quando mi è tornato in mente 'st'episodio mi è sovvenuto fosse un venerdì. però poi ho pensato che fosse strano che di venerdì sera io me stessi ancora a milano. quelli erano gli anni in cui uichend significava tornare all'hometown, convintamente. più che per babbo e mamma era per rituffarsi nel contesto uterino oratoriano. con tutte le sue dinamiche un po' perverse ed asfissianti, a cominciare e finire dal prete oratoriano. che ancora non ho capito quanto pervasivo è stato il suo influsso, acciocché io sia poi finito per sminchiare un buon numero di fondamentali negli anni a venire, soprattutto in ambito sentimentale-affettivo. ma tant'è. è andata così. e non so quanto quell'esperienza mi abbia strutturato in un modo per cui tendo ad essere [moderatamente, ovvio] praud e quanto invece sia stata un'esperienza castrante. ma tant'è, di nuovo, è andata così.
comunque poi ho fatto i calcoli a mente, e continuava a tornarmi dovesse essere un venerdì. poi ho controllato sull'internette: ed in effetti era venerdì. quindi, per quanto fosse strano, era un venedì sera ed io ero a milano. qualcosa doveva avermi trattenuto colà. forse era battiato al poli, forse era per invitarci l'amica simona].
infatti.
dicevo.
l'amica simona.
non era la prima volta l'invitavo. avevo iniziato col planetario. cercavo cose un po' sui generis. io mi sentivo un poco imbarazzato. un po' perché son sempre stato piuttosto impacciato, allora ancora peggio. un po' perché avevo la sensazione che l'amica simona fosse financo contenta di essere invitata. e fosse molto più sul pezzo, centrata nel momento in cui si magnificava l'evento per cui era stata invitata. sì, insomma, avevo impressione sapesse cosa volesse. poi forse aspettava un mio cenno. una qualche mia scintilla proattiva, che andasse oltre alcuni miei imbarazzanti approcci, cervellotici e intimiditi, con uscite un po' grottesche ed un po' esilaranti. spesso ci ospitavamo vicendevolmente [allora stavo in una casa fichissima, in un luogo fichissimo. non avevo del tutto contezza non mi ci sarei più potuto avvicinare ad una magione simile]. poi la ri-accompagnavo a casa sua, e salivo da lei a prendere una tisana. le sue coinquiline in breve tempo si eclissavano. e si rimaneva da soli in cucina. dove ovviamente continuavo solo a parlare. una volta mi disse che lei in casa a volte non utilizzava il reggiseno. credo di aver lasciato cadere l'argomento. già. anche perché non so quanto - quand'anche mi fossi deciso, ed avessi capito che non avevo intuito male - avremmo potuto prendere quello che verosimilmente desideravamo. un po' per le castrazioni. un po' perché ci avevano detto che bisognava andarci lenti, e cogliere i doni dell'altro solo a tempo debito. [beh, sì, in effetti sono castrazioni queste, già detto.]
io non mi decisi perché forse mi cacavo in mano. forse perché non provavo quell'innamoramento sbandevole e sturmunddranghistico che mi immaginavo dovesse essere. almeno a seguire certi paradigmi con cui mi ero imbellettato il cervello in quegli anni. e che per altre provavo, con struggimenti inenarrabili, per il semplice fatto non mi cacassero. ero così, banale, nella mia cervellotica illogica complicazione: se non ci si struggeva perché rifiutati, significava non c'era amore.

poi ovvio che uno ad un certo punto ha bisogno di odg.

comunque. quella sera, mi piace ricordare, l'amica simona indossava un belissimo cappotto verdone. la slanciava, le stava bene, era molto donna in quel cappotto verde.
l'aula S02, invece, era un po' anonima. e battiato si mise nel centro della cattedra. e cominciò a raccontare. non ricordo granché.
tranne che ad un certo punto raccontò di come fosse stato chiamato a far da padrino ad una cresima. ed il vescovo avesse voluto parlargli, prima della lieta cerimonia sacramentale. per spiegargli e sincerarsi - raccontava battiato - avesse compreso il senso di quella celebrazione, il senso dell'essere padrino, il senso di star accanto al cresimando nel momento in cui sarebbe sceso lo ssp [spirito santo paraclito], invocato con apposita preghiera, specifica e prevista nel punto cogente della liturgia, e presente nel rito di solo quella liturgia.
e fin lì, tutto mi tornava.
quello che non mi tornò fu il commento di battiato tra lo scettico e l'irriverente: ma come, davvero devo credere a 'sta storia dello spirito che discende e fa tutte quelle cose? davvero è necessario perché io debba fare il padrino? siete proprio convinti di 'ste cose qui? o mi prendete per il culo?
un po' mi turbò la cosa: ma come? quello del e ti vengo a cercare, quello dell'emanciparsi dall'incubo delle passioni [poche e contrintissime pippe, molto imbarazzanti da confessare, peraltro], quello del cercare l'uno al di sopra del bene e del male che fa come l'eremita per tornare a te, quello dell'oceano di silenzio che scorre lento, senza centro né principio.
cioè, proprio lui, con quell'irriverenza iconoclasta?
com'era possibile arrivare a cantare quel genere di profondità, di ispirazioni, di intuizioni, di bellezza senza credere nel dio in cui, tecnicamente, credevo io? e tutti gli ammennicoli rituali che ne conseguivano: ssp compreso durante una cresima.
non ricordo come risolsi la distonia. distonia peraltro un po' solipsistica, come se il centro di tutto quello che sapeva - vagamente - di trascendente - di più - di non immanente, dovesse avere il copirait della chiesa cattolica. quasi mi faccio tenerezza, a pensarci adesso.
non penso ricorsi ad occam, che ancora non conoscevo: la soluzione più semplice, è quella verosimilmente più giusta [per quanto avessi la struttura neuronale pronta a superare, financo con nemmeno troppo sbadtimento, l'esame di analisi tre, da lì a poco.].
non mi pare ne parlai con l'amica simona, nel suo fascinantissimo cappotto verde.
non ricordo se e come la unii al pensiero che dovevo tornare a casa e telefonare a mio padre, che quel giorno, come oggi, compiva gli anni.
telefonai. mi rispose mia madre, quasi tirando un sospiro di sollievo: ti avevo cercato per ricordarti di telefonare per far gli auguri a tuo padre, sai che ci tiene.
e ricordo anche lì una certa distonia: ma come? come avrei potuto dimenticarmi e non chiamarlo? nonostante fossimo timidamente un po' estranei l'uno con l'altro. nonostante non ci fosse questo rapporto così profondo: ero notoriamente un complicatone che lui non capiva, ed io per sottrarmici ero un buon attore di me medesimo, e recitavo complicazioni che non so quanto avrei voluto in effetti avere. mi sembrò stranissimo. e mi dispiacque che avesse potuto pensarlo. ed un po' forse mi sentii anche stronzetto a mia insaputa ed ex-ante. per tutte le possibilità che in fondo avevo negato e avrei negato da lì per altri tredici anni.
e niente. ce ne si rende conto spesso solo dopo.
complice che uno cresce.
e gli artefatti li lascia lungo la strada. orpelli inutili.
e quindi niente.
auguri.

[e comunque l'amica simona, dopo un quarto di secolo, continua ad essere un donna fascinosissssssima, oltre che brillante come lo era allora. è madre ironicamente felice. superò l'esame di logica con trenta e lode. ma ora fa un bel lavoro, credo, in cui mette buon uso i suoi talenti, soprattutto in termini di intelligenza emotiva e sociale.
naturalmente si è meritata tutto, colle sue manine.
ad ascoltarla parlare, ancora oggi, non si può non notare la sua erre tra il moscio e l'arrotato. per questo non ama cantare il primo verso di 'samarcanda'. anche perché credo continui a venirle da ridere.]

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