Saturday, December 30, 2017

in effetti quando preparando i maffffinz mi ricordai di aver dimenticato il lievito non fu una bella sensazione [pars destruens]

e quindi direi che ci sto ricascando. hai voglia dire che le scadenze - di una bolletta, di una garanzia, di un anno - sono come i confini, convenzioni. però poi prudono le ditina. e ti viene da tirar la linea, guardar indietro, e ammonticchiare un po' tutto. chiamarlo bilancio forse è un po' sboffonchiante. ma è qualcosa che gli si ispira, via.

poi, vabbhé, ci sarebbe anche l'annosa questione del separare dicotomicamente l'elencazione delle faccenduole mie. sono svariati gazzilioni di secoli che ci si arrabatta a raccontar variazioni sul tema fondante, la quisquilia tra bene e male: epiche, filosofie, culture, tradizioni, saghe di guerre stellari. poi alla fine scopri che siamo tutti un tutt'uno, quindi dicotomia de li me cojoni.

non pretendono così tanto, l'elencazione delle faccenduole mie, dico. quindi facciamo che planiamo sulle cose che sono andate meno bene - destruens - e quelle andate più bene - construens. l'ordine, savàsandiiiir, non è casuale.

quindi la pars destruens.

girano gli anni, ma uno rimane fedele alle proprie ontologiche sicurezze di ciuccare in quei tre-quattro fondamentali. e quindi non è una questione di capodanni che passano, ma proprio una [lunga] strada per ciuccare un po' di meno. o per tratti meno lunghi e faticosi da trattare per cercare di uscire dalle buchette, grandi o piccine che siano.

poi, ovvio, c'è sempre il confronto inevitabile con il principio di realtà e cosa la realtà - oggettiva - ti butta lì sul camminare. roba che non si controlla, c'è e tocca zizzagarle, oppure saltar da un sassone all'altro macigno: leggero o greve che sia e continuar a farsela 'sta strada.

destruens, a dirla in breve, è stato un blocco per diversi mesi, i primi tot.

a dirla meno breve destruens è stato quel sottile bordone di fondo, che mi son tirato dall'anno indietro [son convenzioni, come i confini, i capodanni]: una splendida e inevitabile sequela senza soluzione di continuità. un raccordo tra i due anni, nell'estate, poi l'autunno, poi l'inverno, e poi un gran pezzo di primavera. niente punti angolosi, quelli li eviterei, grazie. un sottile bordone di fondo, un misto disarmonico di insoddisfazione esistenzial-lavorativa, desideri rintucciati di una compagna - o forse di un'amante - e poca propensione all'azione, affogata nella speculazione interiore. [ho trovato sul feisbuch un finale di micro-post di fine gennaio: "poi ci sono io, che il 10% delle cose che analizzo sono il 90% delle cose che sintetizzo. poi ovvio che uno si perda un po' via..."]. un bel mics piuttosto invalidante, nel senso che uno ristà. e magari non è perché sta affffà 'na beata sega. no: è che si tira da più parti in contemporanea, e non ci si [s]muove. tipo rimanere in attesa di cose che si desiderebbero, ma senza troppa convinzione, o senza far sapere in maniera chiara cosa o chi.
anche per questo ho passato un compleanno discretamente di merda. o forse me lo sono imposto per una qualche propensione ad un autodafè dei poveri. ho spento il telefono e la voglia di comunicare col mondo. poi, però, ho dovuto riaccenderlo quel fottuto telefono. e forse è stato peggio: bisognerebbe pensarle le conseguenze, ogni tanto. il nesso causale non è cosa poi così complicata da immaginare.

non sono state albe facili. roba che da una volta chiesi ad odg di vederci anche la settimana successiva. faticavo al pensiero di dover attendere quindici giorni. pensiero che ha anticipato di un nulla la sua idea di propormi la stessa cosa. ero seduto lì, in fronte a lei, le spalle un po' chine. un rinculo di singhiozzo lagrimoso. guardavo avanti, vedevo una cosa plumbea. 

destruens è stato quel richiamarmi, ossessivo, la difficoltà di affrontare in quei giorni, settimane, mesi, le frustrazioni, i momenti spigolosi, gli scazzi. ammonticchiavo e non riuscivo a scaricare, e il fluire delle cose sparpagliava rena. faticoso andar avanti. anche quando mi è capitato di camminare - sul serio - lungo la circonvallazione della 90/91, per svariegate fermate: non arrivavano filobus. impotenza, tentativo di porvi rimedio, incazzo. camminavo ma i passi non lasciavano sulle suole la tensione, la caricavano.
una mattina successiva pensai di preparare i maffffinz per la colazione: facciamo una cosa construens, per scacciar via il destruens sottile e duro, come i crostoni di neve ghiacciata che non si sciolgono col sole che c'è. non so se pensai proprio ai crostoni di neve, anche perché era appena finito aprile. ma il senso era quello.
quindi spignattai, tutto perfetto e rassicurante, fino allo riempimento delle formine maffffffinistiche. quando realizzai - piccola epifania - di non aver messo il lievito, mentre l'impasto color cioccolato scendeva nei pirottini. fu una scarica violenta, uno spike disgustato. con l'idea fosse da illusi pensare di scampare a quel plumbeo che sembrava non volermi abbandonare: impotente di fronte a quell'ineluttabile. e quindi venne la reazione isterica, oltre che di impasto burroso che volava - e sporcava - qua e là nella cucina, quasi a voler rappresentare schizzi di merda sciolta ejettata, dalla mia rabbia carica di lagrime nervose, e voglia di punirmi fisicamente: solitamente sono le mani, o le nocche che si arrestano veloci sul muro, ad aver la peggio. mi vidi addirittura con la voglia di sfondare il vetro della porta della cucina, analizzando - savàsandiiiir - le probabilità potessi finire in un qualche pronto soccorso a farmi dare dei punti. non fu una bella sensazione.
però non ruppi nulla. riuscii a placarmi scrivendo, per alcune ore successive, un flusso di coscienza. niente scrittura creativa, un enorme giro per arrivar a raccontare del lievito dimenticato. [flusso di coscienza, peraltro, di cui non ho più nemmeno una copia. questo post, per fortuna, è più breve].

ecco. una medesima sensazione d'impotenza, come dovessi venirci risucchiato, mi colse, poche settimane dopo. in giornate in cui pensavo di esserne venuto un po' fuori, o che riuscissi a cominciare a farlo. soffiato dal vento e da questo cotto, in mezzo ad un braccio di mare, di cui intuivo la potenza immensa e annichilente - ovvio poi che i marinari siano così superstiziosi - aggrappato alla draglia di una barca a vela che a tratti mi sembrava troppo inclinata: paura no, ma forte disagio. impotente dentro una situazione che speravo potesse arrivar a significare altro, dopo grumo importante di mesi, molti mesi, anni. mi sembrava si stesse reiterando tutto. un ritornare al punto di partenza relativa, dopo averci provato. il bordone di fondo, come inevitabile: tranquillo brò - sembrava mi dicesse - ci son qua io a farti compagnia, non ti lascio. e quindi, a tratti stringendo un po' di più la draglia, pensavo che quella sera sarei sceso dalla barca per non rimetterci mai più piede, me ne sarei tornato lontano dal mare e per dispetto sarei salito in montagna, a finire quelle prime vacanze dopo tutto quel tempo. che fosse pure destruens, ma che andassero a cagare tutto e tutti.

il giorno dopo mi hanno riportato al pontile. e poi, su quella fottuta barca, ci sono risalito. questa però è la pars construens.

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