Saturday, March 31, 2018

il limbo del sabato di pasqua

ci sono due straschichi che dalla mia vita precedente, quella di devoto fedele convinto et praticante, son rotolate bellebelle in quella agnostica attuale.
quelli bravi, che fanno carriera nelle aziende moderne, direbbero due elementi legacy.
la prima è quella di non sopportare né tanto meno adoperarmi nel bestemmiare - che in parte svapora, nei momenti di grande incazzo, con l'imprecazione di ooohhhccccristo.
la seconda è l'immersione nel riverbero emotivo del triduo pasquale. segnatamente, in questi ultimi anni, nel sabato prima di pasqua, che poi sarebbe oggi.
[apro una prima partentesi. di tipo variegatamente psicanalitica de noartri. del portato interiore di quella quindicina d'anni, intensi e convinti, ci sarebbero tutte declinazioni in millemila rivoli del concetto di peccato, di colpa, di espiazione, di condanna e di redenzione. credo che in realtà siano il filo rosso che mi lega alla parte nevrotica di una delle mie quattro famiglie di origine, quella materna di mia madre. madre che ha provato a fare da camera di compensazione, ricordandosi quanto le sfrancicarono i coglioni. ma evidentemente esistono degli effetti tunnel-quantistici per certe storture della testa. la [sotto]cultura bigotta, ben innaffiata dal moralismo [di quel cattolicesimo pruriginoso] per tre quarti di secolo di piccola provincia varesina, l'ambizione di elevarsi a ben-pensante e stimato cittadino di città, ha messo radici. contro cui lotto e ché io son altro, ma quelle radici sono. loro votano dove non ho mai votato io. peddddddire]
[apro una seconda parentesi. del portato di quella quindicina d'anni intensi e convinti ci sarebbero anche tutte le istanze di attenzione, considerazione esistano gli ultimi, i penultimi e via di reiezione. e di intenderle come un'ingiustizia assordante. un silenzio che grida, e di cui spero non arrivare mai - mai - a girar la testa dall'altra parte. quelle istanze che sembrano incastrarsi così bene con la dottrina sociale della chiesa. che esiste anche se il potere ecclesiastico se ne batte. quelle idee esistono e lottano nelle sensibilità di tanti. anche se per scopi diversi dai miei, ora [tipo per conquistarsi un sedicente regno dei cieli]. ecco, allora scambiavo la mia fede [anche] per quell'idiosincrasia a quell'ingiustizia. e il desiderio affamato di giustizia. al netto dell'entusiasmo ideale di allora: a tratti quasi ingenuo. in realtà non ero cattolico convinto e praticante [anche] perché la dottrina sociale aveva senso. io sono uno che i fondamentali, gli embrioni delle idee della dottrina sociale sembrano essere qualcosa di imprescindibile. io non ero cattolico perché questo - allora pensavo - significasse [anche] essere di sinistra. io sono di sinistra, a prescindere dalla dottrina sociale della chiesa [dove per sinistra si intende il concetto, quasi platonico, di precisa categoria politica. le ultime due X, sulle schede elettorali all'interno del riquadro di pap, sono quisquilie millemila rimbalzi avanti e quasi inutili rispetto alla categoria di cui sopra]. si entra in risonanza per determinate frequenze di battimento].
[fine delle parentesi].
insomma.
il sabato di pasqua.
è da più di un quarto di secolo che è un giorno particolare. il più intenso di tutti. verosimilmente anche della pasqua in quegli altri anni. e per altri anni, dopo che ho chiuso [tentato di] quel baule e consegnarlo alle pieghe del tempo dopo una svolta, il sabato, al tramonto, ha cominciato ad essere una specie di piccolo spavento. nell'attesa che le campane si sciogliessero a festa. e le sentissi suonare ovattate, dentro la stanzetta. ricordando bene cosa accade dentro la chiesa durante la veglia. il rito del sabato notte. che poi sarebbe anche la liturgia più lunga e - tecnicamente - importante del cattolicesimo. non ha un inizio vero e proprio. e scivola dentro la celebrazione di una messa diversa da tutte le altre. quasi il frusciare senza soluzione di continuità di un lenzuolo che viene fatto sfilare per andare a scoprire qualcuno. che poi potrebbe essere il sudario di un uomo morto in un sepolcro. come il passare senza soluzione di continuità dalla morte alla nuova vita. la chiamano resurrezione. con tutti le gesta, i momenti, che nel rito della veglia pasquale esplodono, rigogliosi nel loro valore simbolico.
[apro un'altra parentesi. da anarcoide ho sempre trovato una sorta di attrazione un po' perversa per - appunto - i riti. quasi volessi osservarli da fuori[?] per intuirne gli elementi ossessivo/rassicuranti, per provare ad esorcizzare, forse, la mia tendenza a baloccarmi in certe ossessioni mie].
[massì. un'altra parentesi. mi chiedevo, mentre scrivevo qui sopra, cos'è tutta questa veemenza retorica nel ricordare il rito della pasqua. non so se è perché mi manca. o perché voglia esorcizzarne - di nuovo il verbo esorcizzare - il fatto mi manchi, o addirittura non me ne sia mai andato. o forse perché esaltandolo possa sembrarmi qualcosa di posticcio, da cui è più facile convincersi dell'alterità. di certo, in quegli anni, avrei confuso quest'enfasi come una prova provata dell'esistenza di quel dio che professavo con tanta convinzione].
però, appunto, il sabato di pasqua.
e lo sciogliersi delle campane.
devo averlo già scritto da qualche parte in qualche bloggggghe. ma ci sono stati un po' di sabato di pasqua - sera - che scrivevo a queenfrancy [e a 'sto punto le manderò il link a questo post]. ed il soggetto della mail era qualcosa di simile: prima che le campane si sciolgano a festa. e via di psicopippe come questa. queenfrancy è colei che mi spinse ad aprire il primo bloggggghe. ci sono tante lettrici, mi disse, vedrai che qualcuna la cucchi: sì, insomma, occhei il triduo pasquale, ma in fondo fu l'evocazione della gnagna a convincermi a cominciare a scrivere i miei turbodeliri. quando si dice eterogenesi dei fini.
insomma.
il sabato di pasqua.
è un giorno emblematico.
se ne sta in mezzo.
dietro ha tra il venerdì della passione, l'acme [per non dire del pulp] della versione cattolica quella cosa che è il sacrificio [roba che gli antropologi disserterebbero per ore danti a birre del sabato sera di pasqua]. venerdì che è già stato, ineluttabile, inevitabile. ché la natura umana è fatta anche di cose che non vanno. non ci voleva la transcodifica della teologia cattolica - conviene ricordarlo - diecine e diecine di anni dopo i fatti di cui il triduo pasquale - ad intuire la coscienza del male nel nostro esserci. ci sono svariati secoli di elaborazione simbolica.
ed il fatto è che - dietro - il venerdì della passione è un fatto certo. è passato, ma c'è stato. tutto il climax pulp è lì. inchiodato [verbo scelto mica a caso, se non si era capito]. occhei. occhei. la passione è dell'agnello sacrificale che si sacrifica per noi. lo strazio della croce  - bisogna avercene di perversione dentro per inventarsi un supplizio del genere, era per i sottouomini, gli schiavi - è toccato a 'stucristiano, che era ebreo, verosimilmente della corrente degli apocalittici, e che probabilmente non aveva nemmeno tutta 'sta intenzione di inventare una nuova religione. lui quindi. ma per milleteradigazzilioni di volte, nella cultura occidentale, non si è fatto riferimento a quella passione come verosimiglianza di tutte le passioni, dolori, ingiustizie, paure, traumi, lutti, e tutto il cucuzzaro di cose che capitano e che vorremmo tenerci lontano? il venerdì della passione è l'eponimo magistrale di tutti i cazzi che ci toccano, e che ci toccheranno. piccoli e grandi siano. fino a quando finiremo di esserci: evento che pare essere l'unica cosa certa esistere a questo mondo. e che tocca a tutti. ma proprio a tutti: dal più buono al più stronzo sia mai venuto alla luce.
dietro, quindi, il venerdì. quel venerdì.
e davanti ci sarebbe la domenica.
anzi, le domeniche.
quella di resurrezione. il fantastico happy end. di potenza simbolica pazzesca. che giustifica il tutto quel baillame precedente. è l'atto fondante. l'alfa e l'omega assieme. i drappeggi nelle chiese cambiano, si fanno bianchi, da rossi che erano. re-inizia il calendario liturgico. domenica incastrata nel primo divenir della primavera [ho la vaga sensazione che questa mia affezione per 'sta cosa pasquale sia legata a doppio filo all'esplosione della rinascita di questo momento dell'anno]. un adagiarsi in simbologie immanenti, per celebrare l'estasi del trascendente.
già.
appunto.
trascendente.

e qui io scendo perché è proprio questo che mi manca. chiamatela fede o come diamine volete.
e quindi non riesco a passare a quel domani. a quella domenica.
infatti c'è l'altra di domenica. perché domattina, anch'io, prenderò meco matreme sull'auto e raggiungerò una piccola parte di quella parte di famigggghia di cui accennavo sopra. e tanti auguri di buona pasqua.
insomma.
il sabato prima di pasqua è una specie di cul de sac in cui si finisce per quelli come me. forse è anche per quello che avevo [ho?] questa specie di timore per le campane che si sciolgono a festa nella notte del sabato. perché mi ricordano che - tecnicamente - è altra la mia domenica. poi vabbeh, chi è dentro a celebrare sostiene che è per tutti, ma sono approcci un po' diversi all'intiera questione.
però niente. se non mi viene non mi viene di farmici trascinare. e quindi è ovvio che rimanga qui, un po' a baloccarmi in questo sabato. immanente. perché non è il momento di attesa per il passaggio del nuovo mar rosso [una delle sei letture che, durante la veglia, vengono lette prima del vangelo]. ma è il sabato in cui si finisce dopo il venerdì. e basta. e il giorno dopo è solo una domenica dopo un sabato.
senza che sia questo a far di-sperare.

il sabato di pasqua è un giorno un po' così [auto]simbolicamente importante. perché ricorda che si è finiti in questa specie di limbo. dove dietro il culo ci sta il venerdì che c'è stato. e che torna più o meno in intensità. e succederà in un modo o nell'altro sempre.
ma ricorda anche che - appunto - una qualche altra domenica dovrà pur venire. anche se le campane si sciolgono a festa per altri. [che poi chissà per quanti - davvero - quello sciogliersi ha senso, e quanto invece è rito ri-trito, tipo camminare in percorsi già fatti, tipo dentro le scannalature in cui si va senza chiedersi troppo il perché, o il come, o altro. ma non sono del tutto fatti miei].
è il sabato prima di pasqua che - nell'attesa di una domenica - si può fare una specie di punto della situazione. anche che non è così semplice rinunciare a quel distendersi di campane. e prendere coscienza - più o meno definitivamente o più o meno facilmente - che però è anche un po' inevitabile. e che mica per questo la domenica che viene non possa farmi trovare, a suo modo, agnosticamente migliore. o impegnato a provarci a sbattersi per. senza magari dimenticare che se si migliora un po', è come rintuzzare [stilla infinitesimale, ma non nulla] l'ingiustizia di cui sopra.
è, comunque, domenica per tutti.

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