Wednesday, September 12, 2018

spin-off dello spin-off del post del buon analista [distocazzissimo]

e quindi gNente. a proposito dell'evento corrierifero dell'ultimo uichend. di cui i riverberi nell'altro post.
uno dei più toccanti è stato quello sulla condizione carceraria delle donne.
c'era - tra gli altri - come relatore vittorio andreoli, che un po' ci fa un po' ci è ad essere lo psicanalista che sembra stia abbastanza sulle nuvole, o nel suo mondo [fatto di cazzate [cit.]].
e quindi c'è 'sta cosa che ho scoperto/intuito/baluginato/psicopipponato da lì e poi a discendere da lì.
ho scoperto che per ogni donna carcerata in italia ci sono ventiquattro uomini. detto in altri termini: le donne sono il 4% della popolazione carceraria. ed è così praticamente da sempre. quel numero, quella percentuale, immagino lasci un po' basiti. così è stato per me. così il fatto che anche quando - in parte - le donne hanno cominciato ad emanciparsi, ad uscire - in parte - dalle quattro mura del focolare domestico, non è cambiato granché. circa il 4% era, circa il 4% è rimasto. emanciparsi significa - anche, ovvio - dare sempre più possibilità sociali, relazionali, topologiche di essere in quei contesti in cui gli uomini delinquono. un effetto dell'emancipazione, avrebbe potuto essere che le donne cominciassero a delinquere un po' come fanno i maschi. per quanto si sia ben lontani dalla totale emancipazione. e invece non è successo.
sembrerebbe che le donne delinquano meno.
sembrerebbe...
è un dato di fatto, corroborato da una serie storica.
ovvio che, anche per uno non necessariamente compulsivo psicopipponico come me, il passo dopo è chiedersi: perché?
sbobino gli appunti presi sullo smartofono dell'intervento di andreoli. perché gli stimoli saranno pure di andreoli e del suo porsi coi ricci coerentemente forastici. però son le cose che mi son passate in mezzo. ed ho voluto appuntare.
in sintesi.
le donne delinquono di meno degli uomini perché sono diverse. [e fin qui...]
c'è una differenza biologica. nel fisico, ovvio, e nel cervello. il cervello di una donna è diverso dal cervello di un uomo. diverso non significa migliore o peggiore. è diverso. punto. e la cosa affascinante è che è grazie alla diversità si può attingere al grande dono della complementarietà.
c'è una differenza di personalità. e, soprattutto, la personalità è un qualcosa di plastico. muta con le esperienze, proprio perché il cervello è plastico. la qualità non sta nella massa, ma nella quantità e qualità dei collegamente sinaptici interni. e a fronte di istanze, di cose che non vanno, di situazioni esecrabili, non si può mai dire: non c'è nulla da fare. questo, in carcere, ha veramente la valenza e la potenza [in potenza] delle cellule staminali. sembra la sostanza corroborante del dettato costituzionale: quello che dice che il carcere deve avere uno scopo rieducativo, non punitivo. sembra che le donne, nei fatti, mediamente, lo recepiscano meglio degli uomini. e sappiano quasi [s]fruttare quel momento, per cominciare a ricominciare una vita.
e c'è una differenza di visione d'insieme. mediamente, ovvio, che si potrà pure inciampare nella storia del pollo di trilussa, però dà la vista di prospettiva, attraverso l'esperito di quella parte metà del cielo.
la donna è accoglienza, è speranza dell'attesa. c'è una costituzione fisiologica. c'è il fatto che concepire, gestare, partorire una creatura necessita di quelle cose lì. e se - per fortuna - la realizzazione di una donna possa anche non passare necessariamente per la maternità, le possibilità è la predisposizione è quella.
la visione dominante della donna è il noi. quello dell'uomo è l'io.
[che poi ciascuno di noi conosca casi in cui si confutano sia l'una che l'altra delle cose è pulviscolo statistico]

io lo so che 'sto post non restituisce quell'emozione. forse anche per il fatto lo abbia scritto solingo, nella stanzetta giorno/notte. alla fine dell'ennesima giornata massacrante. mentre all'incontro eravamo in una stanza e ci si guardava molti nel viso di un altro, attorno ai relatori. ed eravamo in almeno un paio di centinaia. maschi, meno di venti. ovvio che le vaibrescion, d'insieme, han giocato un fottutissimo, lisergico [e bellissimo] ischerzo.
in mezzo a tutte quelle donne, che si son sentite cantate, ammirate, riconosciute nella loro unicità. e che quindi diventano ancora più belle. nel senso più profondo e fondante di quello che tutto questo può significare.

[ed anche in questo c'è la tensione disarmonica del mio insieme. vivere quelle vaibrescion, e sentire presente, prepotente, quella tensione al basso ventre, le mani che affondano ad afferrare seni sodi e tutto il soft-porno del post precedente. sono io. siamo sempre noi. anche la più bella donna che si traluce in quelle vaibrescion angelicate, deve sapere e voler vivere nel modo più intenso l'acme nella carnalità dell'incrocio lubrico [si, insomma, i muscoli pelvici vibrano comunque, durante il gemito dell'orgasmo][per quanto in quest'ultima parentesi c'è un salto furbo et surrettizio, che non mi sfugge]. sono loro e sono io. e quelle parti che fatico a raccordare, per chissà quali motivi [per quanto non so più quanto sia importante conoscere quali possano essere]. con le mie tensioni contrapposte, anzi, com'era?... scomposte. ovvio che poi uno, alla fine, rimane sul posto esausto. e tutto il resto scorre via, dalla bicicletta, alla barca a vela, qualunque mezzo è buono, per garantirmi l'immota distopia]

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