Monday, December 31, 2018

sulla cosa del post della fine dell'anno [la piccola psicopippa sul fatto si faccia a fine anno è nella parte precedente] /2 - pars construens

ennnnnnnnniente.
facciamo che il pipponcino della circolarità delle cose, il pattern, l'arrendersi vittoriosamente al fatto di farlo il trentunodicembre e non il ventisettemaggio lo diamo per fatto. sta placidamente nella pars destruens di questo post bi-partito.
e quindi passerei al dunque.
quindi la pars construens di questo anno così pari, nonché maggiorenne del terzo millennio.
siccome le cose vengono, e a volte si intorcigliano ad inventarsi divertenti paradossi, è una parte che fatico a scrivere così, di getto. come se venisse ispirato dal momento. neanche una settimana - forse - le dita tamburellanti sulla tastiera avrebbero faticato a star dietro ai pensieri.
perché di congiuntura in congiuntura è come se mi fossi spento di colpo, tipo quando va via la luce, szziuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu [tunck]. per rendere onomatopeico la sensazione.
e quindi la pars contruens è come se fosse da scrivere tipo una cosa scrittura creativa o, meglio ancora, meditata, invece che flusso di coscienza.
e però, un altro paradosso, è proprio questa consapevolezza che non sarà un flusso di coscienza, bensì afflato meditato, che è essa stessa pars construens.
anzi.
forse è la parte construens che ho costruito in quest'anno. 
e stigrandissssssssimicazzi [con semantica corretta, quella romana] se il post non verrà fuori scoppiettante, frizzante, dai caldi e luccicanti riflessi cangianti.
perché significa che - forse - ho capito la storia dell'assorbimento. che tutto quello di positivo, meritato, conquistato, ammonticchiato si fa struttura e nutrimento. e serve per irrobustire quella moderata soddisfazione di essere sul pezzo, centrato per quanto non ombelicale, conscio di come si timona la svolta. rasserenato con il coinquilino, che sarà pure una testa di minchia, ma gli si può voler bene ugualmente. che magari così sembra persino meno testa di minchia.
insomma, quelle cose lì che somigliano alle frasi d'effetto che si possono trovare nei libri del tipo ffffinchpositiv. solo che io mica le ho lette lì. credo di aver capito come scriversele dentro.
e fottesega se, in queste giornate infra festifere, è come se una bruna malinconica fosse scesa, rischiando di offuscare tutto questo. corcà non mi metta di buzzo buono ad annusare l'aria e percepire che sopra c'è il famoso cielo stellato, e dentro c'è la percezione che non son più tenuto assieme con lo sputo. anzi. c'è da lavorare ancora, occhei. ma in fondo siamo un po' sempre in cammino e il blog non ha dentro il gerundio di odissea? sarà mica un problema resti ancora da fare qualcosa, no?
si è un po' tutti in divenire, dall'anno che finisce perché ne viene uno nuovo, l'inverno che morde ma intanto già le giornate si stanno allungando. lo svolgersi del pattern, insomma.
e 'sta cosa me la sto conquistando un tocco per volta. momento dopo momento. anche quegli attimi brevi, volatili, pigolii luminosi che spesso è stato importante riconoscere quasi nel momento in cui avvenivano. e quando la latenza è minima è qualcosa di bello che ti esplode dentro.
dettagli che si recuperano con meno rimpianto, perché c'ero consapevolmente quando accadevano.
tipo l'augurio genetliaco che ha sciolto mesi di tensione con una persona importante. la strada rotolante sotto le ruote dell'auto di matreme con matreme oramai operata, e quando si è rimessa in piedi. le mail che solo qualche settimana prima non avrei mai pensato di scrivere, e poi smontano mesi e mesi e mesi di increspature relazionali là dentro. arrivare esausto ad un rifugio ed intuire come il rifugio, nel suo darti ristoro, sia il contrappasso positivo e memoria importante. la sensazione di rigettare l'incazzo e la delusione, ribaltandola nell'attenzione alle difficoltà dell'altro. la rasserenante capacità dell'amica monica e la sua [bella] famiglia di essere ospite e di accoglierti a cena. la cappella degli scrovegni e la pasta con le vongole per asciugarsi dall'acqua a catinelle. venezia che a tratti può essere struggente. il tramonto a miramare di trieste in t-shirt e ian letto col sole che si getta nel mare. l'amica laura nel viaggio di ritorno. alcuni calici alzati. così come alcune birre. quando per festeggiare la fine della convalescenza dell'amico emanuele, quando per ascoltare le difficoltà altrui, quando con persone che prendono il bicchiere con la tua stessa mano, quando per discutere animatamente, fin quasi allo scazzo, ma che poi si scioglie negli abbracci finali.
l'attimo che ho guardato oltre la tenda beduina in mezzo al deserto: intuendo fugacissimo ma intensissimo il magnetismo imprescindibile di quel luogo, e la cazzimma di quel popolo che resiste agli israeliani e che al deserto ci da del tu.
le persone nuove conosciute, o scoperte che è valso veramente la pena conoscere o scoprire: anche intuindone le loro pars destruens
e poi il lento fluire della consapevolezza: del ruolo che mi son conquistato là dentro, al netto che potrebbero cacciarmi dopodomani, che si può far pace col principio di realtà sapendo di poter bastarsi per un sacco di cose, che una fottia di intralci son bagatelle e che siamo a prescindere dalle bagatelle. il ghigno appena abbozzato, quasi complice, di odg, quando le ho spiegato cosa avevo capito del fatto mi fossi dimenticato una seduta.
e poi l'arminuta, irene némirovsky, i tre manifesti a ebbing missouri [per quanto si incroci con l'acme della pars destruens, fottesega], l'antigone in versione quasi comica, invito a teatro [anche perché va bene andarci anche da solo], alcune momenti di propaganda live [che ti senti meno solo nel bailamme dell'incazzo mainstream], la bellezza che salva il mondo che costa meno di un aperitivo, alcune foto sia guardate che scattate, alcuni post che ho letto e che avrei voluto scrivere io, e qualcuno che ho scritto io che mi è venuto discretamente, le stille di bene [nel senso più lato, laico, agnostico, razionale possibile] che ho intelletto nei modi più disparati, gli episodi che mi hanno commosso, quelli che mi hanno fatto ridere, quelli che mi hanno fatto riflettere, distillando la tintura madre del fatto che spesso, se le cose non vanno male, hai già scollinato. e che si può essere un neuroncino per un fottutissimo mondo che, domani, potrebbe mettersi meglio: quanto meno nel pezzo che ci sta attorno. non basta, ovvio, figurarsi se basta. potrebbero essere solo poche gocce d'acqua in un mare di mmmmmmerda [tipo battir patrimonio dell'unesco, nel mare magnum dello scandalo dei territori occupati]. ma se non ci fosse sarebbe comunque peggio. per questo ogni fottutissima goccia, è fottutamente importante.
tutto questo è construens.
ecco, anche per questo, vorrei continuare con 'sto pattern.
da solo, e se capita in compagnia, che sia intima o meno. 
tutto qui.
potrebbe non essere nemmeno tanto complicato.
ricordandosi, nel caso, di pensare ebbro e decidere sobrio.
ci vediamo al di là di quel piccolo traguardo volante, che si traguarda assieme.

Sunday, December 30, 2018

sulla cosa del post della fine dell'anno [con piccola psicopippa sul fatto si faccia a fine anno] /1 - pars destruens

che poi ci casco di nuovo, nella storia dei due post di fine anno. che fanno un po' bilancio, ed in effetti lo sono.
prima però farei una [lunga] premessa, anche se è una premessa che arriva dopo un incipit.
ho avuto una piccola intuizione, qualche giorno fa, su 'sta storia che finisce un anno e ci si guarda indrio, per valutà la pars destruens e quella construens. non tanto il bilancio, perché quello è un po' un effetto. la causa invece è il fatto della chiusura dell'anno. mi sembrava una cosa un po' naif avercela un po' su, del fatto fosse proprio il trentunodidicembre. per quanto sono ventanni almeno che dedico un pensiero a questa peculiarità da cui, annunciaziò, annunciaziò, vorrei affrancarmi, ma poi mica lo faccio. il fatto è che la circolarità, la periodicità, il ritorno cadenzato, è dentro il nostro essere più profondo, un favoloso e ritmico archepito. perché la terra gira su se stessa, ed intorno al sole. perché la luna ha il suo ciclo, che dura come quello delle donne [magari, 'sta cosa, un giorno qualcuno me la spiegherà se è mai stata abborracciata una teoria su questa coincidenza fantastica]. perché il sangue ci pulsa grazie al battito ritmico del nostro corazon. inspiriamo ed espiriamo con la regolare continuità. quindi quello che torna, con cadenza, intuiamo sia qualcosa che ci è fondante. lo intuiamo chissà quanto prima di quel di cui abbiamo contezza.
di più.
quello che ritorna circolarmente permette di individuare una struttura, una trama, un qualcosa che possiamo pensare di conoscere, di far nostro. se intuisci il pattern, lo hai fatto tuo. se non esistesse pattern saremmo una lunga scia desossiribonucleica che non chiude il cerchio. e prosegue in ordine sparso, come le cifre del pigreco. che non è un caso sia qualcosa che dà i brividi, perché è inconoscibile. è l'infinito dentro il rapporto tra una circonferenza e la sua corda più lunga.
il ritorno delle cose [ci] serve per esserci. perché possiamo trovare il pattern, quindi conoscere. forse è per questo che trovai sconvolgente quando mi raccontarono del teorema di fourier. tutti le funzioni periodiche possono essere descritte con una sommatoria - pesata - di sinusoidi con frequenza multipla intiera della frequenza della funzione, detta fondamentale. se hai il pattern, lo puoi scomporre in cosine più semplici, conoscibili più facilmente.
probabile, così, è per questo che è così sacro - nel senso più laico possibile - la ritualità del finire delle cose, che poi si gettano in quelle nuove, il pattern che si rivela. anche la natura vi si è adagiata sopra. e noi con essa.
che poi questo - convenzionalmente - si demarchi in modo significativo il trentunodidicembre è una formalità. potrebbe accadere lo stesso anche il ventisettedimaggio. ma il fatto che non mi importi più fare il naif con un'altra data è come se avessi fatto pace con la convenzione. non tanto perché la convenzione mi ha avuto. ma perché ho capito che chi se ne fotte darci addosso, alla convenzione dico. accettando il fatto come una vittoria.
fine della premessa.

in realtà, poi, la premessa psicopipponica me la son presa un po' lunghetta perché, a dirla proprio tuttatuttatuttatutta, di pars destruens, nel senso giaculatorio più hard, non è che ne avrei molto da scrivere. anzi. non ne avrei proprio.
cioè.
ci ho anche pensato, neh?
ma in fondo, per dar la tara alle cose che ho dovuto cercare, la cosa più destruens è stato un duedipicche anticausale. peddddddddddddire.
certo che ci son stato di merda. eccome. anche per la beffardaggine che mi è sembrata ammantasse quel baillame da quindicenne deluso.
ma di un fottutissimo, e banalissimo, duedipicche anticausale si è trattato. per giunta una roba congiunturale, mica strutturale.
al limite si potrebbe ragionare sul perché mi sia intestardito su una cosa che - congiunturalmente - non aveva senso. quasi che la struttura mi portasse a queste cazzatelle, per cui son stato di merda, per quanto, invero, per nemmeno troppi giorni.
poi ci si potrebbe arguire chissà che al pensiero che, per reazione, mi ero ripromesso di scopare quanto più e con quante più donne possibili. ed il carniere [trivia questa metafora da maschio alpha-dominante cacciatore panspermartico], è desolantemente e sbertucciatamente vuoto.
poi non ci si dovrebbe nascondere che questo ha dato il la a delusioni verso altre persone e percepite dalle medesime e/o altre. che fanno il filotto al fatto che, qualcuna persona, ho lasciato andare: chi appena conosciuta, chi meno. chi rapido passaggio, chi incrocio importante.
poi ci si potrebbe colleagare il fatto che son finito in quel duedipicche anticausale perché son storto e soprattutto [ancora, a volte] poco addentellato a prendere in mano le cose. e questo può riverberare in altro. tipo zizzagare in un lavoro che è ben lontano dall'entusiasmarmi, per attività, dimensione, ambiente, ruolo [teorico].
poi si potrebbe non dimenticare che alcuni passaggi di sconforto con odg - con la voce incrinata e condotti lagrimari in attività - ci son pure stati. perché la sensazione di soverchiamento, cui è difficile sottrarsi nella pragmatica del quotidiano, sembrava soffocarmi [ed intuendo una certa amarognola sorpresa di odg medesima. roba del tipo: ehi, e 'sta cosa frignosa da dove salta fuori? il fatto non intuissi avvisaglie è perché mi son rincoglionita? o è piccola burraschetta congiunturale da mestruato? [iperbolizzo, naturalmente, come fosse una specie di autodialogo immaginifico di odg]].

insomma, appunto, passaggi.
congiunture.
episodi.
pure quelli per cui non vado fiero e di cui son per niente garrulo.
ma son momenti.
che trovano l'acme in un coglionissimo duedipicche anticausale. capite un due duedipicche?
che poi forse mi riverbera dentro più per scena melodrammatica che pregnanza: per far, appunto, scena.
o perché proprio in questi giorni la solinghitudine, che è amiacugggggggggggina quel duedipicche anticausale, mi fa da pungolo, che però diventa più spuntone non piacevolissimo. ed un po' di malinconia mi assale.
per quanto forse è un fio da pagare a queste giornate un po' particolari. in cui questa sorta di sentirsi dimessi è in sincrono, un gran respiro in simultanea, a quel che accade in quel che ci circonda: le giornate cortissime, il freddo, la sensazione di andatura al minimo, l'eco del letargo che la natura cerca per poi ricominciare. [ri]costruendo il pattern, insomma.

è una pars destruens che non ci piace, ma di cui forse non possiamo far a meno [masochismi a parte, ovvio].
perché serve per costruire il contraltare. perché se non ci fosse il destruens, non potremmo goderci il construens.
ed in fondo, capirlo giù nel fondo, e poter limitare il destruens nelle congiuntura, non è nemmeno più accettare il fatto come una vittoria.
è andare anche un pochettino più in là.
con moderata soddisfazione.
anche per percepire, pensare, decidere il construens, che sta qui, visto che questo è un post bi-partito.

Tuesday, December 25, 2018

piccolo post veloce /5 - natalifero [anche se è un po' lungo]

ieri pomeriggio sono uscito, apposta, per immergermi nel bailamme conformista del natale. ho scattato foto volutamente un po' kitch. "natale, nun te temo", ho quindi socializzato sul feisbuch.
che poi è una specie di prosecutio del post di ieri, in declinazione natalifera.
vivo sensazioni di rasserenante garrulità come non accadeva da millemiGlioni di attimi. e, paradossalmente ma non troppo, proprio oggi ho avuto percezione di come tutto questo aiuti a contenere, ri-assorbire, neutralizzare gli incazzi percepiti nemmeno troppo sotto pelle di alcune istanze di là dentro. che oggi, nelle quiete del posto lavorativo mezzo deserto, sembravano acclararsi più intenso.
quasi una cosa del tipo: fanculo il natale. anzi, sono ancora più incazzato, specie perché siamo proprio a natale.
in effetti c'è da merivliarsi fino ad un certo punto.
forse perché è maggiore lo iato. tra quello che è più o meno indotto dal mainstream, e recuperato dalla nostra testolina bimba, e la percezione di quanto può sembrare incasinato e fottutamente poco garrulo il divenire.
magari anche per qualcosa di puntuale, di un passaggio che capita proprio in questo periodo, in questi giorni.
natale nun te temo, anche perché - con mooooooooooooolta fatica e lavoro - ho recuperato da un fuori asse che a tratti rendeva iperbolico, a tratti ellittico, il tutto. però 'sta sera, mi trovo con una specie di nostalgia per non bene cosa, come quando il cielo - d'inverno - non è azzurro, ma il grigio non l'ha ancora spuntata. o forse non è stato ancora fatto recedere dall'azzurro.
una malinconia lontana, come l'eco delle tristezze che percepisco vicine nelle sintonie affettive, perché acme di questi giorni, o si propagarranno nella vita a venire. che però, fottuto natale, fottono riverberando un po' di più. l'amico daniele, l'amichetta ilaria.
l'eco di ingiustizie troppo più grandi di noi, tra le millemila, tipo i fatti di battir, l'irrazionale incazzatura media che sembra aver intorcigliato le corde vive emotive di sempre più persone. la banalità intellettuale che si fa vanto e cifra stilistica che pare divenire irrimediabile.
fottuto natale.
che questa solitudine quasi ontologica, da rassicurante, proprio in 'sto sembra mostrarmi un ghigno un po' perculante. una cosa del tipo: abbiamo deciso di andar d'accordo, tu ed io, occhei; però lasciami prenderti un po' per il culo, in questi giorni.

per quanto, intuisco se chiudo gli occhi, come la presenza di un qualcosa al di là del portone. tipo la rasserenante garrulità. o tipo del cielo grigio 'ché ancora non ha recesso del tutto all'azzurro. che non sono nuvole, ma una specie di velatura madreperlacea.
e sono quelle situaizoni dove può addirittura spuntare un arcobaleno.
le rifrazioni sulle goccioline di vapor acqueo di raggi solari. per quanto chisssssssnefotte di cos'è in realtà. è comunque arcobaleno.
augurarlo, specie qualcuno tra i quasi tanti, ha un non so che di pelosamente apotropaico. eviterei.
non lo auguro, quindi.
so che intuiranno la presenza al di là del portone.
[non si direbbe, ma potrebbe anche essere un post natalifero].

Sunday, December 23, 2018

piccolo post veloce /4 - farewell strategy

una diecina di giorni fa ho dimenticato, per la prima volta in millemiGlioni di volte, una seduta da odg.
ero convinto fosse per il giovedì. invece era stata fissata il mercoledì. quando ho letto il messaggio sul uotsapp mi si stesse aspettando è stata una cosa del tipo svuotamento e poi riempimento, con tanto di rumore nella mia testa, tipo svvvvvvuoooop-ffffuoooooo per il cambio di pressione intraemozionale.
l'ho chiamata subito. da una parte volendo sprofondare per l'ansia da prestazione miseramente riuscita miserrima, dall'altro con questa sensazione di stranimento, per la cosa nuova che mi si palesava nei pensieri, sulle guance, negli alveoli.
mi ha risposto molto più serena di me. ho quasi intravisto - per quanto si possa intravvedere una cosa al telefono, ascoltanto una voce - un vago odorar di sorriso appena accennato.
ho continuato a riverberare un poco. ma era talmente una cosa strana che l'ho comunicato ad un paio di persone. e così l'amico luca e l'amica paola mi hanno subito fatto notare una cosa talmente banale che non si poteva non intelleggere. per quanto l'inconscio fa un po' quel cazzo che gli pare. e quindi non ho saputo o voluto riconoscere, da subito.
e cioè, che neppur troppo in fondo, era una buona notizia.

in effetti il sorriso appena accennato gliel'ho intravisto, poi, ad odg. quando le ho raccontato della cosa che avevo intelletto.
una cosa da moderata soddisfazione.
condivisa.
chissà quanto, appunto, per la condivisione delle cose intellette - significa che si comunica nella maniera più sopraffina, cosa che aiuta una che fa quel mestiere.
chissà quanto per il fatto di star ad intravvedere la chiusura - parziale, ma significativa - di un suo lavoro.
chissà quanto per il fatto che, come le ho detto - non senza che un groppo in gola, improvviso, di disorientante presa di consapevolezza mi incrinasse la voce e mi inumidisse i condotti lagrimari - non mi senta così serenamente in garrulità da - forse - anni.
io non sono molto abituato andare a chiudere, in un certo modo, un percorso terapeutico. lei è un po' più pratica, per ovvie ragioni esperite.
è probabile si abbia da organizzare una farewell strategy.
che poi quando ne prendi contezza, tutto diventa più possibile.

[vabbhè, non è propriamente un post veloce. ma mi è venuto di scriverlo così, senza pensarlo prima troppo]

Saturday, December 1, 2018

i kiwi e [forse] l'inconscio collettivo, ed altre psicopippe

stamani ho colto i kiwi. è stata una bella sensazione. mi è uscita la psicopippa.

prima un paio di premesse.
premessa 1. mi sento decisamente in bolla, la perezione di quando la voce si abbassa di mezzo tono, per diventare quel briciolo più baritonale, rassicurante, rasserenante. forse financo il battito cardiaco che rallenta un pochetto. tum. tum. tum. quindi la psicopippa quasi metafisica mentre si coglie il kiwi [kiwo?] è roba facile. prova a farla mentre ci sono altri millemila cazzi [reali] che attanagliano la voce e la tendenza alla tachicardia. e vediamo se non viene giaculatoria. però, in tutto questo, la realtà oggi è l'essere garrulmente in bolla. quindi, a culo tutto il resto.
premessa 2. pochi giorni prima che mio padre se ne andasse esclamò: appena sto meglio devo raccogliere i kiwi, prima che arrivi una qualche gelata e rovini tutto. questo a testimoniare[ci] non avesse nessuna contezza delle sue reali condizioni. sinceramente non ricordo se raccogliemmo i kiwi quell'anno. da quello dopo pero sì. sempre verso la fine di novembre, inzio dicembre, prima che arrivi una gelata improvvisa, e rovini tutto.
fine delle premesse.

raccoglievo quindi i kiwi, il cane a scodinzolarmi attorno. c'era pure discreto sole, col tepore interessante del mezzogiorno. il kiwi [kiwo?] si coglie dalla piante femmina, che per fare i kiwi deve averne vicino una maschio, al netto della forzatura di genere: pianta maschio. coglievo i kiwi tirando ciacun kiwi [kiwo?] fintanto che il picciolo riusciva nel suo compito di sostenere il frutto alla pianta. 'ché poi c'è lo stunc e ti rimane in mano il kiwi [kiwo?]. come per la mela, spesso è il picciolo che si stacca dalla pianta, non il contrario. così ho riposto, in quasi cinque cassette, kiwi e piccioli. nel cogliere un particolare kiwi [kiwo?] ho dovuto tirare con un po' più di forza, forse un picciolo più convinto. tanto che c'è stato un lieve rinculo del ramo appena dopo lo STUNCCC. uno strappo un po' deciso.
mi è venuto da chiedere scusa all'albero femmina. e già che c'ero di ringraziarlo per i frutti che mi stava donando mentre li coglievo. quasi nel mentre mi sono reso conto di due cose.
reso conto 1. che ho sempre osservato un po' basito mia cugina [a sua insaputa], ogni volta mi raccontava convinta e ed emozionalta la sua gioia nell'andare ad abbracciare gli alberi del bosco e ringraziarli. approcci, punti di vista bizzarri. che sentivo distonanti, per nulla armonizzanti col mio approccio scettico razionalista.
reso conto 2. quel pensiero di chiedere scusa e ringraziare, non era propriamente un pensiero. era un qualcosa non del tutto razionalizzato, come se sgorgasse dal molto di dentro. pre-razionale. istintuale, anzi no: archetipo. veniva da molto lontano.
ovvio che la sequela di considerazioni mi abbia incuriosito. che [mi] stava succedendo, in una mattina di inizio dicembre, quando la voce è mezzo tono più baritonale? era qualcosa che può confutare il mio approccio scettico-razionalista? mi metterò ad abbracciare alberi?
e con la stessa inevitabile consequenzialità è sgorgata una specie di risposta. molto razionalizzata ma anche molto spirituale. credo si sia trattato di un'eco di inconscio collettivo. quel portato che è dentro ciascuno di noi. è l'esperienza accumulata e sedimentata di tutte le generazioni raziocinanti e forse anche prima. è l'inconscio buono.
certo.
non è stato dimostrato. è uno dei capisaldi dell'analisi. quindi niente roba da scienza dura. non del tutto appagata la parte scettica. però, in fondo, stigrandisssssssimicazzi.
quindi ho anche pensato quanto sia veramente recente il nostro distacco con la terra, con quello che ci nasce sopra, e che peraltro - guarda te a volte il caso - ha contribuito a sostenerci per qualche gazziglionata di generazioni. la rivoluzione industriale/tecnologica è roba nostra da buffetto, rispetto a quanto è il tempo della storia dell'uomo, o di quell'essere con una corteccia che ha cominciato ad essere di una certa fattura. nelle cui pieghe si è infilato l'humus dell'inconscio collettivo.
stavo cogliendo kiwi, stavo prendendo il tepore del sole d'inizio dicembre, rifacendo un gesto che per me ha pure un valore simbolico. ero in un equlibrio omeostatico che vorrei regalarmi più spesso. e nel contempo ero dentro un rito collettivo da cui in gran parte è dipeso il fatto dell'evoluzione della specie. ero dentro un ritorno condiviso, di cui non cogliamo il senso profondo, perché possiamo avere i nostri cazzi, o distratti da millemiGlioni di altre connessioni sinaptiche orientate ad altro, per il contesto in cui viviamo, 'ché non abbiamo patito la fame. ma quello molto più naturale di quanto ci possa sembrare perché era dentro nel vivere i "contatti con la terra" [cit.], non tecnologico fino all'altro ieri, nella storia di noi tutti, portatori di inconscio collettivo. siamo scivolati avanti velocissimi, con i puntini di luce delle stelle che si fa linea allungata. il time warp che ci ha disconnessi e ci disorienta: troppo rapido il salto culturale della crosta percettiva, innestata su una struttura che ha fatto amicizia lunga, e carica di nottate a sorseggiare calici, con quell'armonia ed equilibrio. mi spingo oltre: un rispetto inevitabile, perché non si poteva che far così, e insconsapevole, perché veniva di fare solo così. e chissà quante declinazioni di quel ringraziamento, abbiamo sublimeto ed introiettato. roba che spiegherebbero i dotti antropologi, stimolandomi intellettivamente con un piacere tanto quanto quella erotico.
e questo si è depositato, stratificato, sedimentato, ed è diventato un [rassicurante] bordone di fondo. l'eco che riverbera senza che noi lo si chieda, o lo si meriti.
forse è 'sta roba qui di cui ho percepito la melodia, perché c'erano le condizioni favorevoli nel mentre stavo a raccogliere kiwi [kiwo?]. forse è roba simile a questa quando la cugina abbraccia gli alberi per riappropriarsi di condizioni favorevoli.
nel dubbio, comunque, scettico razionalista continuo ad essere. roba che peraltro non mi ha impedito di osservare la conturbante sinuosità dei due kiwi [nel senso di kiwi femmina e kiwi maschio]. abbracciati e con rami fogliosi gorgoglianti. ne avevo colto i frutti. li ho lasciati lì ad amoreggiare ad libitum.
[ci sarebbe pure la chiusa teleologica, per quanto meno centrale, nell'ottica del post. questo ri-contatto, questa ri-equilibrio, che è frutto della conoscenza e consapevolezza, cui la tecnologia da un primo supporto, oltre che metterci nelle condizioni per sputtanare tutto: sarà abbastanza rapido? oppure, appunto, sputtaneremo tutto prima che la questione ambientale smetta di essere questione ma diventi essenza nostra? perché noi siamo rapidi ed in sufficiente maggioranza a sputtanare. la natura, quel sistema retroazionato al momento in equilibio a noi favorevole, ha tempi diversi. può andare in temporanea instabilità. una temporaneità che significa latenze lunghissime [per noi], ma inesorabili. esce dall'equilibrio, il sistema è controreazionato, per quanto coi tempi suoi, occhei. potremmo financo essere nelle condizioni di portarci all'estinzione. ma non finirà la natura. finiremo noi. i batteri di un [lungo] inverno nucleare, o instabilità climatica definitiva, se ne battono. poco insconcio collettivo, ovvio. ma non hanno nemmeno abbastanza corteccia per doversene fare una ragione.]