Sunday, December 30, 2018

sulla cosa del post della fine dell'anno [con piccola psicopippa sul fatto si faccia a fine anno] /1 - pars destruens

che poi ci casco di nuovo, nella storia dei due post di fine anno. che fanno un po' bilancio, ed in effetti lo sono.
prima però farei una [lunga] premessa, anche se è una premessa che arriva dopo un incipit.
ho avuto una piccola intuizione, qualche giorno fa, su 'sta storia che finisce un anno e ci si guarda indrio, per valutà la pars destruens e quella construens. non tanto il bilancio, perché quello è un po' un effetto. la causa invece è il fatto della chiusura dell'anno. mi sembrava una cosa un po' naif avercela un po' su, del fatto fosse proprio il trentunodidicembre. per quanto sono ventanni almeno che dedico un pensiero a questa peculiarità da cui, annunciaziò, annunciaziò, vorrei affrancarmi, ma poi mica lo faccio. il fatto è che la circolarità, la periodicità, il ritorno cadenzato, è dentro il nostro essere più profondo, un favoloso e ritmico archepito. perché la terra gira su se stessa, ed intorno al sole. perché la luna ha il suo ciclo, che dura come quello delle donne [magari, 'sta cosa, un giorno qualcuno me la spiegherà se è mai stata abborracciata una teoria su questa coincidenza fantastica]. perché il sangue ci pulsa grazie al battito ritmico del nostro corazon. inspiriamo ed espiriamo con la regolare continuità. quindi quello che torna, con cadenza, intuiamo sia qualcosa che ci è fondante. lo intuiamo chissà quanto prima di quel di cui abbiamo contezza.
di più.
quello che ritorna circolarmente permette di individuare una struttura, una trama, un qualcosa che possiamo pensare di conoscere, di far nostro. se intuisci il pattern, lo hai fatto tuo. se non esistesse pattern saremmo una lunga scia desossiribonucleica che non chiude il cerchio. e prosegue in ordine sparso, come le cifre del pigreco. che non è un caso sia qualcosa che dà i brividi, perché è inconoscibile. è l'infinito dentro il rapporto tra una circonferenza e la sua corda più lunga.
il ritorno delle cose [ci] serve per esserci. perché possiamo trovare il pattern, quindi conoscere. forse è per questo che trovai sconvolgente quando mi raccontarono del teorema di fourier. tutti le funzioni periodiche possono essere descritte con una sommatoria - pesata - di sinusoidi con frequenza multipla intiera della frequenza della funzione, detta fondamentale. se hai il pattern, lo puoi scomporre in cosine più semplici, conoscibili più facilmente.
probabile, così, è per questo che è così sacro - nel senso più laico possibile - la ritualità del finire delle cose, che poi si gettano in quelle nuove, il pattern che si rivela. anche la natura vi si è adagiata sopra. e noi con essa.
che poi questo - convenzionalmente - si demarchi in modo significativo il trentunodidicembre è una formalità. potrebbe accadere lo stesso anche il ventisettedimaggio. ma il fatto che non mi importi più fare il naif con un'altra data è come se avessi fatto pace con la convenzione. non tanto perché la convenzione mi ha avuto. ma perché ho capito che chi se ne fotte darci addosso, alla convenzione dico. accettando il fatto come una vittoria.
fine della premessa.

in realtà, poi, la premessa psicopipponica me la son presa un po' lunghetta perché, a dirla proprio tuttatuttatuttatutta, di pars destruens, nel senso giaculatorio più hard, non è che ne avrei molto da scrivere. anzi. non ne avrei proprio.
cioè.
ci ho anche pensato, neh?
ma in fondo, per dar la tara alle cose che ho dovuto cercare, la cosa più destruens è stato un duedipicche anticausale. peddddddddddddire.
certo che ci son stato di merda. eccome. anche per la beffardaggine che mi è sembrata ammantasse quel baillame da quindicenne deluso.
ma di un fottutissimo, e banalissimo, duedipicche anticausale si è trattato. per giunta una roba congiunturale, mica strutturale.
al limite si potrebbe ragionare sul perché mi sia intestardito su una cosa che - congiunturalmente - non aveva senso. quasi che la struttura mi portasse a queste cazzatelle, per cui son stato di merda, per quanto, invero, per nemmeno troppi giorni.
poi ci si potrebbe arguire chissà che al pensiero che, per reazione, mi ero ripromesso di scopare quanto più e con quante più donne possibili. ed il carniere [trivia questa metafora da maschio alpha-dominante cacciatore panspermartico], è desolantemente e sbertucciatamente vuoto.
poi non ci si dovrebbe nascondere che questo ha dato il la a delusioni verso altre persone e percepite dalle medesime e/o altre. che fanno il filotto al fatto che, qualcuna persona, ho lasciato andare: chi appena conosciuta, chi meno. chi rapido passaggio, chi incrocio importante.
poi ci si potrebbe colleagare il fatto che son finito in quel duedipicche anticausale perché son storto e soprattutto [ancora, a volte] poco addentellato a prendere in mano le cose. e questo può riverberare in altro. tipo zizzagare in un lavoro che è ben lontano dall'entusiasmarmi, per attività, dimensione, ambiente, ruolo [teorico].
poi si potrebbe non dimenticare che alcuni passaggi di sconforto con odg - con la voce incrinata e condotti lagrimari in attività - ci son pure stati. perché la sensazione di soverchiamento, cui è difficile sottrarsi nella pragmatica del quotidiano, sembrava soffocarmi [ed intuendo una certa amarognola sorpresa di odg medesima. roba del tipo: ehi, e 'sta cosa frignosa da dove salta fuori? il fatto non intuissi avvisaglie è perché mi son rincoglionita? o è piccola burraschetta congiunturale da mestruato? [iperbolizzo, naturalmente, come fosse una specie di autodialogo immaginifico di odg]].

insomma, appunto, passaggi.
congiunture.
episodi.
pure quelli per cui non vado fiero e di cui son per niente garrulo.
ma son momenti.
che trovano l'acme in un coglionissimo duedipicche anticausale. capite un due duedipicche?
che poi forse mi riverbera dentro più per scena melodrammatica che pregnanza: per far, appunto, scena.
o perché proprio in questi giorni la solinghitudine, che è amiacugggggggggggina quel duedipicche anticausale, mi fa da pungolo, che però diventa più spuntone non piacevolissimo. ed un po' di malinconia mi assale.
per quanto forse è un fio da pagare a queste giornate un po' particolari. in cui questa sorta di sentirsi dimessi è in sincrono, un gran respiro in simultanea, a quel che accade in quel che ci circonda: le giornate cortissime, il freddo, la sensazione di andatura al minimo, l'eco del letargo che la natura cerca per poi ricominciare. [ri]costruendo il pattern, insomma.

è una pars destruens che non ci piace, ma di cui forse non possiamo far a meno [masochismi a parte, ovvio].
perché serve per costruire il contraltare. perché se non ci fosse il destruens, non potremmo goderci il construens.
ed in fondo, capirlo giù nel fondo, e poter limitare il destruens nelle congiuntura, non è nemmeno più accettare il fatto come una vittoria.
è andare anche un pochettino più in là.
con moderata soddisfazione.
anche per percepire, pensare, decidere il construens, che sta qui, visto che questo è un post bi-partito.

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