Sunday, January 6, 2019

la baaaanda, la baaaaaaaanda [cit.]

la banda. quella cosa in cui uscii trentacinque[minchiatrentacinque]anni fa. perché non si entrava in banda, ma si usciva. inteso come la prima volta che si suonava dentro una banda, davanti ad un pubblico, fuori. quella sera fummo in sette. una data un po' sui generis. perché di solito si usciva in banda al concerto di santa cecilia, fine novembre, l'ultimo atto formale della banda. a noi toccò il settegennaio, che nell'hometown ha un valore particolare. è la festa. all'hometown non si ha un santo patrono. si ha un miracolo, peddddddddire. il giorno del miracolo si presentavano le fidanzate in casa. io uscii in banda.
suonavo uno strumento particolare. un anno prima, forse meno, mi era toccato assegnato dall'aldo. l'aldo, grande musicista, maestro di banda inadatto, pessimo insegnante e maieuta. lui ed io mai entrati in sintonia. lui forse mi stimava pure. io ero la persona meno adatta ad entrare in armonia col suo modo di fare spigoloso, spiccio, poco empatico, maschilisto-machista. chiesi, in un sussulto di impavidità, mi assegnasse il flicorno sopranino in mib. invece mi toccò il flicorno soprano in sib. il flicorno soprano è quello strumento che quando rispondi alla domanda "che strumento suoni", quasi chiunque esclama "ehhhhhhh? ma che strumento è?".
a dirla tutta io sapevo già suonare "quella specie di tromba". che poi era come cercavo di spiegare cosa fosse, appunto, il flicorno soprano. solo che l'aldo non doveva accorgersene, perché pensavo avrebbo potuto rompermi i coglioni [anche se allora non avrei mai osato dire coglioni]. avevo imparato per i fatti miei, con una vecchissima tromba di mio padre. quando, orgoglioso, gli chiesi di ascoltarmi lui decretò che non suonavo ma "ci cantavo dentro", quindi mi proibì di suonarla ancora fintanto, che l'aldo non mi avesse spiegato come farlo. in fondo non andava d'accordo nemmeno lui con l'aldo, ma era il maestro della banda, era anche il suo maestro: doveva insegarmelo lui. provai a obiettare che "non ci cantavo dentro". niente. non ci fu nulla da fare: non immaginava avessi potuto imparare da solo. forse una delle poche cose che, comunque, non sono ancora riuscito a smettere di rimproverargli. fu una delle poche cose in cui disobedii apertamente. sgattaiolavo in solaio, e me la suonavo quando non c'era nessuno per casa.
il giorno del debutto, si suonava la sera, fu un giorno di attesa delle grande occasioni. per vincere l'attesa e distrarmi dall'emozione mi ero stirato le parti, e costruito una specie di libretto porta spartito con del cartoncino nero. la sera, ancora più emozionato, con la banda già schierata - i flicorni e le trombe, sempre nelle ultime fila - mi cascarono le parti, l'aldo se ne accorse e me le raccolse con un grugnito e stropicciandomele.
i nuovi sette conoscevano e avevano provato solo due marce brillanti, quindi "noi vogliam dio" e l'inno della festa. e furono solo quelle due marce che la banda suonò nei due giorni di festa, oltre - ovvio - che l'inno, ieratico, della festa [o nostra viva gloria, santissima pietà. e così via]. io felicissimo. tanto che mi chiesi impaziente: quando potrò suonare ancora con la banda?
non mi avevano ancora spiegato che dal venerdì successivo ci sarebbe stata "scuola". nel senso le prove per preparare i concerti. la "scuola" era quella cosa che per me mio padre usciva il venerdì e tornava tardissimo. tanto che immaginavo fossero "scuole" con una durata da provare un sacco di persone.
quel primo venerdì c'era la luna piena. che quella sera, forse, era la prima volta che mi colpiva la luna piena. oltre alla prima "scuola". e per anni, ad ogni luna piena, non mancai di ripescare dalla memoria il ricordo, speciale, di quella prima "scuola".
e quindi cominciai le "scuole" con la banda. che in effetti nel giro di un'oretta e mezzo erano concluse. mio padre faceva il doposcuola come capo cantiniere. il primo concerto fu in chiesa, quando ancora si potevano fare i concerti in chiesa. sembrava suonassimo addirittura meglio. o forse era l'effetto del riverbero. in quel primo concerto suonai mediamente di merda [anche se allora non avrei mai osato dire merda, soprattutto in chiesa]. o almeno, così mi parve. probabilmente una delle prime manifestazioni della nevrosi perfezionista - e fin qui sticazzi. il problema è che ci rimasi davvero male, e me la presi con non so bene chi, oltre che con me medesimo.
il mio mito divenne l'erminio. che suonava nella banda da un po' di anni. lavorava per mio padre come giardiniere. lui suonava le parti da primo flicorno, nipote dell'aldo. personaggio tanto timidamente riottoso quanto io stravedevo per costui. intuii qualcosa di magnetico e che avrei voluto imitare. forse fu la prima persona che mi fece questo effetto. forse fu davvero l'unica. da svariegati anni è frontaliere, ma fa il giornalista. è un punto di riferimento intellettuale della comunità, ed anche un po' oltre. per quanto sia diventato ancora più orso rispetto allora. ha sempre amato fotograre, oltre che guccini, de andrè e de gregori. forse è per mimetismo che mi ci sono appassionato anch'io a tutte 'ste cose. probabilmente ha una cifra stilistica ancora più intorcigliata della mia [pedddddddire]. come scrittore creativo non dà il meglio di sé. in compenso è su un suo libro che vidi scritto occhei.
pochissimi anni dopo poco l'erminio se ne andò dalla banda. e l'aldo decretò che le parti di primo flicorno sarebbero spettate a me. io me la tiravo - dentro di me. ogni tanto, davanti a qualche istanza che poteva metter in dubbio qualcosa di me medesimo - invero succedeva spesso, quando l'autostima arrancava a consolidarsi - mi ripetevo ed avrei voluto buttar in faccia a costoro che ero "il primo flicorno della banda, io".
non solo.
quando mi toccò il primo assolo, lo stornello di lola nella riduzione de "la cavalleria rusticana", provai e riprovari e riprovai e riprovai. la sera del concerto andò benissimo. forse l'aldo mi fece pure alzare in piedi, per ricevere gli applausi. mi dissero che, mentre suonavo davverso quasi da solo, mio padre si commosse.
probabilmente ero pure bravino, bravo suvvia. mi chiamarono a suonare anche in un altra banda. quella del paesino a fianco l'hometown. un po' perché avevano bisogno di elementi, un po' perché forse me la cavavo niente male. alla prima "scuola" dell'altra banda il maestro portigliotti spiegò a tutti noi il pezzo che stavamo andando a provare. prima ancora di soffiarci dentro la prima nota, ci spiegò l'opera di ingegno musciale saremmo andati a soffiar dentro note. fu una specie di epifania. io mi ero immaginato che essere maestri di banda significasse essere come l'aldo. quello che avevo davanti, invece, stava magnificando il concetto di direttore di banda. in quella banda, a suonare, eravamo metà di quelli della mia di banda. ma dio come si suonava in maniera magnificamente più appagante. c'era una ragazza, in quell'altra banda, che suonava il flicorno baritono, che poi si chiama  anche bombardino. in quella banda le parti per il bombardino erano in chiave di basso, e non in chiave di violino come nella mia banda. e per quanto non fosse uno strumento molto femminile lei mi appariva di una bellezza sconvolgente. capello biondissimo, occhio chiarissimo, viso gentile, e con me sempre molto sorridente. percepivo qualcosa di strano, una tensione che non capivo. io allora mi innamoravo di tutto [cit.], ma non pensai potesse essere una cosa simile, per il semplice fatto lei avesse quei sei-sette anni più di me, diciassettenne - invero anche quel filo rincoglionito, in certi ambiti. non concepivo nemmeno l'idea lei potesse essere interessata a me. eppure, c'era quella tensione, che non era esattamente sentimentale. ventanni dopo ho scoperto di come lei fosse "innamorata persa" di me. quand'anche me ne fossi accorto, avrei combinato casino. e se fosse pure iniziato qualcosa, sarebbe durato nemmeno il tempo di cominciare a struggermi. ma ho il vago sospetto avrei conosciuto le meraviglie dell'origine del mondo nel modo più importante ed utile per un ragazzetto intimidito qual ero. e forse veramente molte, molte, molte cose, poi, sarebbero state diverse.
continuai a suonare nella banda anche una volta iniziata l'università. tornavo il venerdì per "scuola", oltre che per infilarmi nella realtà oratoriano-uterina.
suonavo bene. mi esercitavo poco, ma suonavo bene. forse, davvero, qualcosa che avrei dovuto coltivare in altro modo. però forse mi bastava la banda. o forse non osai pensare oltre.
capitò invitassi a dei concerti della banda amici da fuori e compagni di corso. in una di quelle volte l'amico andrea - grandissimo ingegnere, grandissimo stigmatizzatore della mediocrità altrui - sgamò il fatto che le flautiste non suonasseo il flauto traverso in maniera ineccepibile e corretta. "gliel'ha insegnato l'aldo" gli spegai "che suona il trombone, quando non fa il maestro". "e come può uno che suona il trombone, insegnare come si suona un flauto traverso?" domandò, con la sapidità che sapeva tirar fuori in quei momenti. "in banda, qui, funziona così. è l'aldo che fa tutto".
smisi di suonare nella banda pochissimi mesi dopo. forse uno scazzo estemporaneo con mio padre, forse non sopportavo più l'aldo, forse quei limiti - tecnici, musicali, espressivi - che intuivo da tempo, si erano fatti insopportabili. forse mi si stava raffinando l'orecchio. faticavo a sentir suonare una banda con gli strumenti poco accordati, con poca dinamica nell'interpretazione dei brani. o forse stavo cominciando a lasciare l'hometown. a cominciare dalla banda.
forse fu per reazione che mi invaghii dell'idea di imparare a suonare il pianoforte. lo strumento che necessità di più tecnica, assieme al violino. ma che, a differenza del violino, è lo strumento più solitario ed indipedente esista. ad essere pianista si può far a meno di un'orchestra, figurarsi di una banda.
fuoco di paglia.
smisi di suonare.
e probabilmente qualcosa di importante, nel mio equilibrio intracranico, venne un po' a mancare.
pochi anni dopo mi proposero di tornare a suonare nella gugghen band del paesino svizzero, più prossimo all'hometown. bande di ottoni, percussioni, e poco altro che suonano pezzi facili, ripetitivi, quasi ipnotici, ai carnevali in svizzera. e li suonano forte, solo forte. quando si vuol mettere un poco di dinamica allora si suona fortissimo. la cosa all'inizio mi entusiasmò. disposto a partecipare a dei carnevali - cosa che mi è sempre stata sui coglioni - col rischio di farmi pure pittare la faccia - cosa che mi inquieta - pur di suonare.
e mi parve pure di trovare un nuovo senso, nuove consapevolezze, nel suonare in una banda. il sentirsi parte di un tutto, dove quel che suoni tu ha senso solo se suonato in armonia con gli altri: anche se suonano solo fortissimo. che ti ascolti mentre suoni, ma soprattutto ascolti l'effetto complessivo che ne vien fuori. ci andai con l'amico storico. eravamo visti quasi con rispetto, 'ché sapevamo legger la musica. peddddddire che tipo di banda fosse.
non poteva durare. non durò. un po' perché il carnevale continuava a starmi sui coglioni e pittarmi la faccia continuava ad inquietarmi. un po' perché mi invaghii di una cimbalista, e fui talmente stupido da farmi presentare dall'amico storico, in maniera tale se ne invaghisse la cimbalista. un po' perché con quel tipo di banda c'entravo veramente poco. o forse perché tutto accadde nell'anno del punto angoloso, di quando se ne andò mio padre. ed un sacco di cose virarono ad illuminarsi di un qualcosa che preferii lasciar perdere.
domani sentirò ancora la banda. suoneranno svariegate volte l'inno della festa, potrei quasi cantare le note a memoria. nella banda, di quei sette debuttanti di trentacinque[minchiatrentacinque]anni fa ne è rimasto a suonare solo uno, assieme a qualche musicante che già lo faceva allora. molti se ne sono andati, e non solo dalla banda. un paio di dozzine di fottie di cose sono ovviamente cambiate. l'aldo, invece, è sempre lì, a dare il via ai brani, e marcerà allo stesso tempo della banda, in posizione appena esterna, accanto a colei con cui civettuola da quarant'anni, dubito abbia mai concluso qualcosa con costei.
non mi manca la banda. forse mi è mancato il continuare a suonare, dopo aver smesso perché stanco di quella banda. la banda che continua, dopo ben più di un secolo, ad essere qualcosa che, ovvio, va molto oltre chi ci suona dentro. sono io che non mi sono adeguato alla banda. e quindi me ne sono andato dalla banda. ma oltre a quello non son riuscito a dar quello scatto, quel colpo di reni e cercare oltre. e continuare a suonare.
pare che il cervello di una persona, mentre suona, si plasmi. e nella sua plasticità, arrivi a scatenare reazioni, che portano a percepire stati di benessere di rara importanza. cosa che intuisco, seppure da lontano, anche nel senso che sono cose veramente molto lontane nel tempo.
sì. forse è stata un'occasione mancata. come molte altre, d'altronde. qualcosa che ho cominciato a cullare grazie alla banda. e che ho soffocato, dando un po' di responsabilità, alla banda.
riuscire a non crucciarsene, però, è una delle cose più importanti che mi sono regalato negli ultimi tempi.
dimenticarlo per la nostalgia di quel baganetto che ne sale in solaio a suonare di nascosto, oppure, emozionato, stira le parti che suonerà da lì a poco con la banda sarebbe poco scaltro. dimenticarlo, giaculando per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, sarebbe ancora meno scaltro.
anche perché, per fortuna della banda, la banda prescinde da tutto ciò. ed un sacco di persone domani, nella banda, ri-cominceranno a suonare. buon per loro.
avanti, marsch.

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