1)
essendo stato un relazionarsi con molto interloquire su panchine, gliel'ho segnalato. intendo uotsappando che
la stavo aspettando sulla panchina vicino alla metro. quando poi lei è
arrivata le ho letto sul viso, per quanto stanco, una radiosità
particolare. anche quel filo di trucco che le ho visto addosso poche
volte. un accenno, tanto quanto basta me ne accorgessi. nulla di più.
ma con l'effetto di starle proprio bene.
quindi ha cominciato a
raccontarmi, così come ho fatto io. solo che lei ha questa specie di
cifra stilistica narrativa. se si cimentasse nella scrittura creativa
potrebbe venirne fuori una stile avvincente. tipo inpennata improvvisa
della storia. quando meno te l'aspetti. non è proprio banale da gestire,
però con una resa interessante. perché è come se raccontasse, con una
placida sistematicità analitica, di contesti che ormai fanno parte della
sua vita. portando avanti una specie di tecnica mimetica. nel senso che
ti parla di normali dinamiche lavorative, poi, di colpo, quasi facendo
scivolare il piccolo colpo di teatro con una naturalezza che spiazza ,
dice: comunque tra un mese mezzo me ne vado dall'italia.
ah.
ed
io penso che è una cesura che, pragmaticamente, cambierà poco. ma
simbolicamente invece significherà molto. però nel frattempo non posso
che essere felice per lei. un nuovo inizio. il poter ricominciare a
studiare. nuove possibilità che le si apriranno, tutte da inventarsi,
dove magari è più semplice riuscire a farlo. dopo anni di lavoro che
definirlo intenso non rende abbastanza l'idea. che le ha dato molto,
chiesto altrettanto, ma da cui andarsene con le fierezza di tutto il
tanto che si è fatto. e di quello che si porterà dentro, le intenzioni
di ricordare quello che ha fatto, con coloro con cui ha lavorato.
sono
contento. davvero. un po' l'invidio. perché intuisco anche il brivido
emozionante del nuovo che le si spalanca di fronte. se lo merita.
è
che la tecnica narrativa, se riesce a stupirti una volta, perché non
farlo di nuovo? perché mi racconta che sì, vorrà un po' riposarsi, per
ambientarsi, per dedicarsi a se stessa e non solo. perché aggiunge: mi
servirà un po' di tempo libero, quest'estate mi sposo.
ah.
ed
io penso che fa strano sentirselo dire da chi ti ha fatto perdere la
testa, anni prima. talmente una cosa condivisa - nel senso che ne ha ben
contezza anche lei di questo fatto, non che abbia condiviso la perdita
della testa - che ormai è un'istanza di cui si parla serenamente. però
il matrimonio è un'altra cesura, definitiva. per quanto non mi ponga più
il dubbio potesse essere lei a cambiare il mio paradigma, da quasi
altrettanto anni prima. mi aveva mescolato i pensieri per qualche mese,
in un modo che poi non si è più [ancora?] verificato. non c'erano le
condizioni, allora, perché osassi più quel che ho osato. [come mi è
stato fatto notare] è rimasta appesa la fascinazione di una storia mai
vissuta, quindi bellissima, senza che ci debba confrontare con il
quotidiano del calzino appallotolato in disordine ai bordi del letto,
l'eponimo della ferialità caduta di ideali innamorevoli. una storia,
simbolicamente, che finisce ancora più in dentro l'iperuranio. di
dove era già. ora che si sposa. spero per lei per la prima e unica
volta.
sono contento. davvero. perché la vedo serena e convinta
ratificare quello che già decise qualche lustro fa, ben prima di
incontrarmi. è un nuovo punto di arrivo ed uno per ri-cominciare. sono
felice per lei perché tutto questo se lo merita. e quando a qualcuno
riesce non posso che essere felice, specie se voglio molto bene a questa
persona. per quanto non ci sarò, là. perché son contento della mia
felicità per lei. ma esserci, a quel matrimonio, sarebbe una sfida un
po' azzardata alla fonte inesauribile di malinconia, che le situazioni
possono rappresentare.
quando la saluto, in metropolitana, ancora
riverbero un po'. sono contento. glielo ribadisco poco dopo con un
messaggio. prima di spegnere tutto. e andare dormire.
il giorno dopo sarebbe stato il mio genetliaco.
2)
mi ero messo di buzzo buono. avevo ordinato settantabrioschesettanta per
un po' di gente di là dentro. è il quinto genetliaco che incrocio da
quando varco quei fottuti tornelli. mi era sembrato un segno dei tempi
interessante desiderare e riuscire a vincere la ritrosia di ignorarlo,
festeggiandolo con quante più persone di là dentro. per quanto la cosa
un po' mi metteva in agitazione.
quindi non so cosa sia capitato
esattamente, dopo. forse il calo adrenalinico di essere fottutamente in
mezzo ad un sacco di gente, quasi avessi rimosso il fatto avevo dato io
il la a tutta 'sta cosa. sta di fatto che nella mia stanzettina, con un
gabazzo di briosches avanzate, tutto ha cominciato a venir giù. nessun
segnale, inaspettatamente, precipitosamente. quasi mi si fosse
spalancata di fronte tutta la mia irrealizzata insoddisfazione. come se il totem di acciottolati da corrente di fiume
fosse durato un cazzo, rovinando disordinato a terra, finendomi pure
sui piedi. ho avuto l'improduenza, stupidina, di accostare per un attimo
la contentezza della sera prima, per lei, al posticcio che mi si
trovavo di fronte: irrealizzato, incompleto, insoddisfatto, frustrato,
spossato dalle strutture, ciurlandomi nelle contingenze che sembrano
girar meglio, verso cui mi sembra una bestemmia lamentarsi, ma che poi,
appunto, rinsaldano la struttura. che è questa cosa qui, da cui sembra
io non riesca a venir fuori. come una specie di eterno ritorno.
l'impossibilità di ri-cominciare, re-iniziare: esser contento perché
riesce a lei, con la spietata consapevolezza che il fatto funzioni a lei
non ha nessun nesso causale col fatto possa riuscire a me. tutto questo
mi scorre davanti, come una beffarda eterogenesi dei fini, mentre trillano i messaggi che si assommano sullo
smartofono. ognuno dei quali mi ricorda - malgrado l'affetto di ciascuno
di questi - che è passato un altro anno. ma è come se fossi bloccato
dentro qualcosa che non riesco a farmi piacere del tutto, anche
decisamente meno del tutto. con nettissima la sensazione sia io
il primo responsabile di tutto ciò. come fossi un auto-sabotatore di una
qualunque forma di re-inizio.
non c'è proprio un cazzo da festeggiare.
senza
riuscire nemmeno a pentirmi troppo del malassorbimento verso coloro
che, appunto, volevano augurarmi un pensiero. ad oggi non ho [ancora]
praticamente risposto a nessuno. quel pomeriggio ho spento il telefono
presto, molto presto. negandomi. ho tirato non pochi pacchi per la
serata. tornato a casa sfinito e quasi strascicando i piedi, mi è pure
preso un veloce pianto nervoso. mi son preparato una minestra invero
anche piuttosto triste, rovesciandomi addosso anche un po' di brodo.
mi
sono coricato presto. prima del solito. per farla finire il più veloce
possibile quella merdosissima giornata genetliaca. solo. solissimo. la
simbolica privazione di affetto e di relazioni con cui mi sono punito.
forse sono le eco masochiste. forse rappresento la mia incapacità di
uscire da questa solitudine, o forse la capacità pervicace di continuare
a tenermici dentro.
non se ne esce.
c'era proprio un cazzo da festeggiare.
spento
la luce, rinsaldate le coperte fino a metà guancia, fatto un sospiro
profondo. finita [finalmente] la giornata. me l'ero immaginata diversa.
fanculo a tutto.
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