Friday, February 22, 2019

molto ben conosciuti sentismi [sulle eterogenesi dei fini, in contesti genetliaci - post triste]

1)
essendo stato un relazionarsi con molto interloquire su panchine, gliel'ho segnalato. intendo uotsappando che la stavo aspettando sulla panchina vicino alla metro. quando poi lei è arrivata le ho letto sul viso, per quanto stanco, una radiosità particolare. anche quel filo di trucco che le ho visto addosso poche volte. un accenno, tanto quanto basta me ne accorgessi. nulla di più. ma con l'effetto di starle proprio bene.
quindi ha cominciato a raccontarmi, così come ho fatto io. solo che lei ha questa specie di cifra stilistica narrativa. se si cimentasse nella scrittura creativa potrebbe venirne fuori una stile avvincente. tipo inpennata improvvisa della storia. quando meno te l'aspetti. non è proprio banale da gestire, però con una resa interessante. perché è come se raccontasse, con una placida sistematicità analitica, di contesti che ormai fanno parte della sua vita. portando avanti una specie di tecnica mimetica. nel senso che ti parla di normali dinamiche lavorative, poi, di colpo, quasi facendo scivolare il piccolo colpo di teatro con una naturalezza che spiazza , dice: comunque tra un mese mezzo me ne vado dall'italia.
ah.
ed io penso che è una cesura che, pragmaticamente, cambierà poco. ma simbolicamente invece significherà molto. però nel frattempo non posso che essere felice per lei. un nuovo inizio. il poter ricominciare a studiare. nuove possibilità che le si apriranno, tutte da inventarsi, dove magari è più semplice riuscire a farlo. dopo anni di lavoro che definirlo intenso non rende abbastanza l'idea. che le ha dato molto, chiesto altrettanto, ma da cui andarsene con le fierezza di tutto il tanto che si è fatto. e di quello che si porterà dentro, le intenzioni di ricordare quello che ha fatto, con coloro con cui ha lavorato.
sono contento. davvero. un po' l'invidio. perché intuisco anche il brivido emozionante del nuovo che le si spalanca di fronte. se lo merita.
è che la tecnica narrativa, se riesce a stupirti una volta, perché non farlo di nuovo? perché mi racconta che sì, vorrà un po' riposarsi, per ambientarsi, per dedicarsi a se stessa e non solo. perché aggiunge: mi servirà un po' di tempo libero, quest'estate mi sposo.
ah.
ed io penso che fa strano sentirselo dire da chi ti ha fatto perdere la testa, anni prima. talmente una cosa condivisa - nel senso che ne ha ben contezza anche lei di questo fatto, non che abbia condiviso la perdita della testa - che ormai è un'istanza di cui si parla serenamente. però il matrimonio è un'altra cesura, definitiva. per quanto non mi ponga più il dubbio potesse essere lei a cambiare il mio paradigma, da quasi altrettanto anni prima. mi aveva mescolato i pensieri per qualche mese, in un modo che poi non si è più [ancora?] verificato. non c'erano le condizioni, allora, perché osassi più quel che ho osato. [come mi è stato fatto notare] è rimasta appesa la fascinazione di una storia mai vissuta, quindi bellissima, senza che ci debba confrontare con il quotidiano del calzino appallotolato in disordine ai bordi del letto, l'eponimo della ferialità caduta di ideali innamorevoli. una storia, simbolicamente, che finisce ancora più in dentro l'iperuranio. di dove era già. ora che si sposa. spero per lei per la prima e unica volta.
sono contento. davvero. perché la vedo serena e convinta ratificare quello che già decise qualche lustro fa, ben prima di incontrarmi. è un nuovo punto di arrivo ed uno per ri-cominciare. sono felice per lei perché tutto questo se lo merita. e quando a qualcuno riesce non posso che essere felice, specie se voglio molto bene a questa persona. per quanto non ci sarò, là. perché son contento della mia felicità per lei. ma esserci, a quel matrimonio, sarebbe una sfida un po' azzardata alla fonte inesauribile di malinconia, che le situazioni possono rappresentare.
quando la saluto, in metropolitana, ancora riverbero un po'. sono contento. glielo ribadisco poco dopo con un messaggio. prima di spegnere tutto. e andare dormire.
il giorno dopo sarebbe stato il mio genetliaco.


2)
mi ero messo di buzzo buono. avevo ordinato settantabrioschesettanta per un po' di gente di là dentro. è il quinto genetliaco che incrocio da quando varco quei fottuti tornelli. mi era sembrato un segno dei tempi interessante desiderare e riuscire a vincere la ritrosia di ignorarlo, festeggiandolo con quante più persone di là dentro. per quanto la cosa un po' mi metteva in agitazione.
quindi non so cosa sia capitato esattamente, dopo. forse il calo adrenalinico di essere fottutamente in mezzo ad un sacco di gente, quasi avessi rimosso il fatto avevo dato io il la a tutta 'sta cosa. sta di fatto che nella mia stanzettina, con un gabazzo di briosches avanzate, tutto ha cominciato a venir giù. nessun segnale, inaspettatamente, precipitosamente. quasi mi si fosse spalancata di fronte tutta la mia irrealizzata insoddisfazione. come se il totem di acciottolati da corrente di fiume fosse durato un cazzo, rovinando disordinato a terra, finendomi pure sui piedi. ho avuto l'improduenza, stupidina, di accostare per un attimo la contentezza della sera prima, per lei, al posticcio che mi si trovavo di fronte: irrealizzato, incompleto, insoddisfatto, frustrato, spossato dalle strutture, ciurlandomi nelle contingenze che sembrano girar meglio, verso cui mi sembra una bestemmia lamentarsi, ma che poi, appunto, rinsaldano la struttura. che è questa cosa qui, da cui sembra io non riesca a venir fuori. come una specie di eterno ritorno. l'impossibilità di ri-cominciare, re-iniziare: esser contento perché riesce a lei, con la spietata consapevolezza che il fatto funzioni a lei non ha nessun nesso causale col fatto possa riuscire a me. tutto questo mi scorre davanti, come una beffarda eterogenesi dei fini, mentre trillano i messaggi che si assommano sullo smartofono. ognuno dei quali mi ricorda - malgrado l'affetto di ciascuno di questi - che è passato un altro anno. ma è come se fossi bloccato dentro qualcosa che non riesco a farmi piacere del tutto, anche decisamente meno del tutto. con nettissima la sensazione sia io il primo responsabile di tutto ciò. come fossi un auto-sabotatore di una qualunque forma di re-inizio.
non c'è proprio un cazzo da festeggiare.
senza riuscire nemmeno a pentirmi troppo del malassorbimento verso coloro che, appunto, volevano augurarmi un pensiero. ad oggi non ho [ancora] praticamente risposto a nessuno. quel pomeriggio ho spento il telefono presto, molto presto. negandomi. ho tirato non pochi pacchi per la serata. tornato a casa sfinito e quasi strascicando i piedi, mi è pure preso un veloce pianto nervoso. mi son preparato una minestra invero anche piuttosto triste, rovesciandomi addosso anche un po' di brodo.
mi sono coricato presto. prima del solito. per farla finire il più veloce possibile quella merdosissima giornata genetliaca. solo. solissimo. la simbolica privazione di affetto e di relazioni con cui mi sono punito. forse sono le eco masochiste. forse rappresento la mia incapacità di uscire da questa solitudine, o forse la capacità pervicace di continuare a tenermici dentro.
non se ne esce.
c'era proprio un cazzo da festeggiare.
spento la luce, rinsaldate le coperte fino a metà guancia, fatto un sospiro profondo. finita [finalmente] la giornata. me l'ero immaginata diversa.
fanculo a tutto.

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