Tuesday, April 23, 2019

su quella prima fotografia matrimonialista [post un po' melodrammatico]

in effetti avevo rimosso la data, l'anniversario. gli sposi, di allora, ovviamente no.
quel giorno, diobonino, quant'acqua che veniva.
incidentalmente è stato anche il primo matrimonio in cui ho fatto da fotografo, non sono stati molti altri, invero. me lo chiesero gli sposi, il regalo da parte nostra. andai in contemporanea in debito di ossigeno dall'apprensione, oltre a gonfiarmi il petto perché avevano scelto me [ex-post mi domando, retoricamente: ma perché, anche allora, non ribaltar la sensazione dovessero essere loro quelli onorati dal fatto avessi accettato? vabbhé, manco non si sapesse già la risposta]. comunque giusto per non farmi salire l'ansia: cercai una pubblicazione sulla fotografia matrimonialista e mi feci prestar l'album di nozze, scattato una quindicina d'anni prima dal miglior fotografo dell'hometown. studiai: cosa e come riprendere. mi feci prestare un secondo corpo macchina. andai in un negozio di fotoprofessionisti - era in un seminterrato da qualche parte di via de amicis, nemmeno troppo lontano da qui, ma non mi par di averlo mai più ritrovato. comprai delle pellicole fiche, talmente fiche che mica potevi tenerle come le altre, andavano conservate in frigo. qualche giorno prima sognai che aprivo il notolino contenitore di plastica [fico pure quello, come si conviene ad un notolino che conserva pellicole fiche] e ci trovavo dentro una specie di yogurt, impastatato, ed io che andavo nel panico perché non avevo più di che fotografare. comprai un paio di batterie di batterie per il flash. e mi sentii più o meno pronto.
e poi quel giorno pioveva, diobonino come pioveva.
e questo solo in parte complicò la situazione. perché scattai ripetutamente: a partire da casa della sposa - che aveva questa gran fretta e prescia di arrivar in chiesa. scattai con tale tensione da ansia da prestazione che mi fece vivere quella giornata in quasi totale surplace. trovai forse giusto un paio di momenti di commozione, durante la messa. in fondo erano i primi di noi, parrinarioratoriani colla verità rivelata in tasca, che convolavano. con tutto il portato emotivo che si portava appresso 'sta cosa [anche la suggestione che avrebbero trombato quella notte, noi si viveva con questa occlusione contra-natura, almeno io, che peraltro vivevo con struggentissimo rimorso il farmi le pippe, visto che nemmeno di baci con la lingua potevo avvilupparmi con chicchessia [ero nel pieno della più ottundente - e respingente - ossessione abbia mai vissuto]]. in quella funzione non suonai, dovevo fotografare. con l'idea anche di cercare inquadrature un po' sui generis. tipo da una posizione quasi verticale sull'altare, sfruttando un pertugio che mi pareva di aver colto in una salita precedente. non ricordo se effettivamente feci di corsa quella serie di rampe di scale - invero - scomode, però ho il vago memento di essermi stirato il muscolo di una coscia ad un certo punto.
fu ventiquattroanni fa.
ero un cattolico convinto. mi adoperavo indefessamente nella comunità giovanile di quelli che pensano di aver la verità rivelata. sapevo che da lì a un paio di mesi il prete che era il centro di tutta quella congrega di emozioni, persone, situazioni, realtà uterina, se ne sarebbe andato [lo sapevamo in due-tre]: quindi qualcosa sarebbe cambiato. mi trastullavo ancora l'idea che far l'ingegnere mi avrebbe portato un sacco di onori e belle cose. e poi ero un canonista, con la smaccata propensione ad usare zoom con caratteristiche teleobiettive. che danno quell'effetto schiacciato-vicino, che a volte può essere anche tracotante. in cui però l'angolo di presa è fottutamente ristretto. in definitiva mi immaginavo davanti un futuro niente male [magari da fotografare con quella serie di fotocamere mi sarei acquistato da lì a un po', con lo stipendio da ingegnere]. onusto di soddisfazioni et ricompense dalla vita et serenità et facilità di felicità. e tutto questo come una specie di effetto di un nesso causale che mi era dovuto. [poi se mi aveste chiesto da chi o per quale motivo, probabilmente, non avrei saputo rispondere qualcosa di meno saccente che ero una specie di chiamato, oltre che benvoluto da un dio che se ne stava in una qualche dimensione di un qualche universo].
quel giorno pioveva una fottia. e non so se davvero lo ricordi come un giorno lieto. faticoso sì, molto. ad un certo punto, nelle foto di gruppo al ristorante, nonostante le batterie di batterie, il flash impiegò quel paio di secondi in più ad esser di nuovo pronto a scattare. non si fece mancare la battuta tagliente dello sposo, che quasi sembrava scocciato di dover aspettar quel zic in più. tono e modalità molto del suo porsi in quella modalità fastidiosa - chi lo conosce, sa come può essergli uscita.
oggi, altresì, son passati ventiquattro anni. al netto che ormai le pellicole non si acquistano più, per quanto farebbe ancor di più fico, sono tendenzialmente un nikonista, anche se potessi acquistar una leica a telemetro, perché no? poi in realtà fotografo con lo smartofono, che acquistai pagando decisamente tanto per uno smartofono, ma perché aveva la migliore fotocamera a disposizione. in ogni caso avrei la propensione ad utilizzare obiettivi tendenzialmente grandandolari, possibilmente luminosi. che così si può fotografare anche con poca luce - quando il buio picchia un po' più forte - e con un'apertura di visione ampia, a contemplare meglio la complessità della realtà. sono agnostico. ho bruciato la mia laurea [ma non vivo nemmeno di parole - semicit.]. quel prete non lo sento da tempo, e sono moderatamente onusto di rabbia nei suoi confronti. ogni tanto mi scarliga [dialettismo: scivola] un piede a subodorare quella vaga sensazione di fallimento su abbastanza tutta la linea [oggi, per dire, per quanto situazione contestuale, ho impiegato quasi cinque minuti a smettere di frignare non appena mi son seduto sulla sedia davanti ad odg]. così come ho la vaga percezione che qualcosa mi sia sfuggita di mano, anche se non riesco a capire come e quando sia capitato; e che sia fottutamente difficile riprenderla abbastanza. sul perché, figurarsi, se ora la vedo come l'effetto di un nesso causale. è capitato, nel mezzo di altri privilegi che comunque ho.
anche se.
anche se.
anche se.
naturalmente non c'entra nulla.
è stato il caso.
ma mi è tornato in mente un dettaglio. come se ci fosse una specie di piccolo episodio simbolico, legato a quel giorno, a quelle foto. se non rischiassi di finire nell'oracolostico melodrammatico direi: premonitorio, quasi profetico.
sbagliarono a sviluppare i negativi. nel senso di temperatura di colore cui fecero virare la resa della pellicola. quando vidi i provini mi venne quasi da piangere. colori smunti, sfalsati. come se nonostante tutto l'impegno, la fatica, ci si fosse messa di mezzo qualcosa di irreparabile. rimediammo - molto in parte - nelle stampe effettive, facendo tirare artificiosamente la resa della temperatura di colore dalla parte opposta del danno fatto sui negativi.
da che ne so gli sposi furono financo contenti. loro però su quelle foto rimarranno per sempre ad avere un incarnato pallido, con sfondo il cielo grigio.
pioveva. anche se loro comunque paiono felici. come sembrano esserlo oggi - apparentemente.
a me rimane la sensazione di qualcosa di sottotono, sfalsato. nonostante tutto il gran culo. [senza che nessuno abbia necessariamente sbagliato a svilupparmi i negativi].

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