Thursday, October 31, 2019

il rito, l'eco lontana, il riverbero profondo, il senso che balugina

credo che non sia del tutto scorrelato a questa nuovo, intimo, personalissimo zeitgeist.
ma a 'sto giro, ad esempio, ho superato in surplace e con leggerezza financo il cambio dell'ora. quando di colpo si fa tutto più buio più presto. e manca la luce dove, solo il giorno prima, non era ancora notte, che se ne stava cacciata un po' più in là.
e quindi, qualche giorno fa, ho avuto questa fugace, eterea, incartavelinata intuizione. come se questa specie di giocherellare di strati fessurati sovrapposti, d'un tratto, avessero inanellato la combinazione giusta, e allineate le piccole aperture che ospitano. e per quell'attimo abbia intravvisto là in mezzo, come se ci fosse stata luce per poter vedercivisi attraverso. forse il giocherellare di strati in questo [nuovo] periodo ha rallentato un poco. o forse non avendoci molto altro rumore di fondo, distrazioni di sorta, giaculatorie da reiterare, viene più semplice. e succede.
e quindi mi sono immaginato più o meno in questo momento, in questo posto soppaclato, con questa luce alle spalle, questo tepore coccolante e rassicurante, questa meticcia cagnolosa a ronfare accanto - dopo che mi fa sentire obbligato a portarla in braccio, in cima a scale che da sola non osa fare ogni volta.
e mi sia visto fluire, armonicamente, nel cogliere il senso lontanissimo nel traguardare queste ore, di questa serata, di questa notte in cui è stata messa la bandierina per ricordarci l'inevitabile ciclo delle stagioni, e quindi quello della vita. un qualcosa tipo la radiazione di fondo del weltanschauung.
per anni sono stato distratto da un'inspiegabile antipatia, con la sottilissima inquietudine, verso il mese di novembre. facile poi prendersi il bias verso la scimmiottatura commercial-manieristica dell'allllllovvuiin. poi ci hanno pensato i punti angolosi, proprio di questi periodi, a corroborare il tutto.
quindi che passasse il prima possibile 'sto novembre, e meno attenzione possibile. a cominciare dal rituale che gli gira attorno.
ora ne sono meno ossessionato, vai a sapere il perché. ma in fondo possiamo anche non pensarci al riguardo.
però c'è la storia delle ritualità di questa notte. mi piacerebbe essere meno ignorante per poter contestualizzare meglio, nella mia testa soprattutto. sapere meglio del filo rosso che tiene assieme usanze che ogni popolo, ogni cultura, ha modellato con le proprie peculiarità. ma il senso primigenio mi pare di percepirlo, flebile ma inevitabile, come una specie di bordone di fondo. lontano, soffuso ma non smorzabile.
ci son di mezzo i morti, i trapassati, coloro che se ne sono andati per quei sentieri di tenebra, sconosciuta. senza tornarsene indietro mai. e quindi provare a pensare come contrastarlo quel senso profondo ed un po' angosciantello. e tirar fuori dal cappello quei pochi elementi, che si declinano nelle fantasie delle genti.
così ci sono le fiammelle di luce e fiaccole per difendersi, squarciando i muri bui e neri come la pece.
così ci sono gli esorcismi per dar addosso alle cose mostruose, che mimeticamente prendono un po' di quelle sembianze. ci fate paura? e noi proviamo a farla a voi, creature che siete andate al di là, proviamo a spaventarvi.
tutto questo nel suggello di questo periodo. quando la luce ed il volgere della natura cambiano. come se andassero appunto a morire. quella specie di ripresentazione ciclica delle cose che vanno a spegnersi, i declini che si approssimano. ed il memento per l'inverno, lungo, incerto, che sta per arrivare. e da cui [giova ricordarlo] per secoli, millenni, non era mica così certo se ne sarebbe usciti.
dev'esserci questa consapevolezza condivisa, archetipa, fondante, che tira fuori tutto questo. e lo si declina nei modi e nelle manifestazioni più disparate. mossi da quel tic fondante, quell'eco che ci è nascosta dentro, talmente sotto tanti strati, che si diverte a non farsi avvertire. però c'è.
ed è un qualcosa di decisamente rasserenante intuirne la presenza, scorgerla in qualunque modo, accada anche solo per pochi attimi.
è come cogliere il senso di un fluire condiviso, che seppur nel proprio tempo, da vivere attimo dopo attimo, scorre dentro un tempo antichissimo, iniziato prima ancora della consapevolezza del suo andare, inesorabile e ciclico.
come essere immersi nella storia dell'umanità che ci portiamo dentro, e percepirlo nello scandirsi del tempo presente.
che scivola anche ora, mentre scrivo in questa specie di situazione chiara e precisa, che prova ad afferare questa eco così labile, ma così sicura che racconta di quello che siamo stati e quello che saremo.
non si butta via nulla.
basta la volontà di volerlo cercare.
e poco importa se, alla fine, il senso di tutto questo potrebbe essere: nulla, tranne il fatto si continui a provare di scoprirlo, all'interno delle ciclicità delle cose che sono venute, vengono e verranno.

[e comunque non ostante l'eco, anche questa volta, quando novembre sarà finito, sarà un piccolo sospiro soddisfatto. dicembre suona già più sbarazzino, lieve. e poi: l'inverno che si porta dietro, finirà anche lui.]

Thursday, October 24, 2019

la spianata

oggi, alle 18.00, c'è stata una seduta con odg.
non mi pare di averlo mai scritto così precisamente, in tutti questi anni e questi millemilapost.
sono felice? no [però in maniera tale che il contesto lo semantizzi con un estigrandissssssssimicazzi].
sono sereno? abbastanza [ed abbastanza per goderne come qui, presente, rassicurante].
ed ho capito di esser riuscito a far mio l'adattamento. non nel senso del mibastaquesto. ma in una declinazione psichico-darwiniana.
e la capacità di adattamento è il fondamento per l'equilibrio psichico.
l'equilibrio psichico è riuscire a mettere in atto l'adattamento.
ad un certo punto è come se mi fossi visto arrivare alla fine di una salita, quasi di slancio, sospinto dal moto tenuto in moto, come un abbrivio finale per arrivare a conquistare una specie di spianata, in alto. e da lì prendere fiato e guardare il panorama: si è fatto proprio un lavoro, importante.

poi succederanno cose. belle e meno belle. il gerundio nel nome del blogggggghe non è lì a caso. è tutto un divenire. e quando le cose divengono, le cose accadranno.

quindi non è che si sta fermi lì, sulla spianata.


odg parlava lenta e pacata, come sempre. ma un po' si percepiva quella specie di sorriso nel suo tono: ha proprio fatto un bel lavoro, importante.

ad un certo punto mi sono venuti gli occhi un po' lucidi.

ci rivedremo ancora, ovvio. anche perché succederanno cose. e non si sta fermi. ma penso che il tutto che sarà fatto avrà un altro senso.

oggi, ho la sensazione di rasserenante malinconia, è terminata la mia psicoterapia.

Sunday, October 20, 2019

volevo andare a praga, ma poi c'è la storia del viaggio parte della meta

c'è un momento in cui ti manca casa tua, e non vedi l'ora di tornarci. lessi una cosa del genere, pochi giorni fa, durante le giornate di proluvio di miGlioni di ore di straordinario. l'autrice scriveva questo a proposito delle vacanze.
posto tutto ciò sia vero, devo esser inciampato in un falso allarme. e questa specie di nostalgia l'ho giusta intuita, lieve come una sorta di eco-miraggio, nei primissimi giorni. ma poi proprio non è più capitata.
poi sì, ovvio, forse son stato via troppo poco tempo per.
comunque.
volevo andare a praga.
poi mi son ricordato "che il viaggio è parte della meta" [cit.] e quindi mi è tornata l'idea di un mini interrail. tre città europee e millemilachilometri su rotaia, a leggere, a guardar fuori, ascoltare musica, e titillare l'epidermide con quadri cangianti ed emozionevoli, 'sì da coglierne il pizzicorio della cosidetta pelle d'oca.
una variante della specie di versione vacanzifera che improvvisò l'amica laura e che - a sua insaputa - mi incuriosì ormai più di un anno fa. per quanto l'amica laura possegga un auto e verosimilmente quella capacità di buttar qualcosa in un baule e partire. e vedere cosa ne viene fuori. io non sono dotato d'auto [anche se proprio da quella suggestione mi venne l'idea di acquistarla, cosa che rimando da ormai 15 mesi], e forse sono un po' più timido di ella. per questo l'idea era di virare su una declinazione del tipo "la locomotiva ha la strada segnata" [cit.].
[una parentesi sull'amica laura. che tecnicamente non è che siamo amici. anzi, a dirla tutta non ci siamo proprio mai incontrati. fotografa pazzescamente, e questo immagino sia solo uno dei motivi per cui ho idea sia, soprattutto, una persona interessante. però ella è anche una specie di realizzazione esperita del principio di inderterminazione di heisenberg. fugace come una particella sub-atomica: se ne conosci la posizione, diventerà molto più indeterminata la velocità - che la porta da altra parte. e viceversa. poi al limite ti invita ad eventi nell'unico uichend in cui io non posso che essere nell'hometown. una volta ebbi addirittura l'ardire di invitarla ad ammirare il mare d'inverno. mi spernacchiò, per quanto, invero, con molto garbo e cortesia].
ma torniamo alla vacanza e al mini-interrail.
ad un tratto ho poi pensato che, considerati i ritmi di lavoro degli ultimi mesi, forse non sarebbe stato molto scaltro percorrere quei millemilachilometri, e toccar fugando tre città europee.
occorreva un'alternativa meno esosa energeticamente, e con una via di fuga più agevole.
quindi, italia. ma dove?
lo scorso anno fu rumiz, ad incuriosirmi sulla giulia e sulla sua trieste.
questa volta è stato un romanzo ambientato a livorno. nulla di fenomenale, il romanzo. però con un'insolita e riuscita capacità di pennellarla così bene, far diventare la città una co-protagonista del libro, imprescindibile. tanto da vederteli i colori, le sfumature, intuire la brezza del mare, il caldo, il cielo striato, la parlata, persino l'odore di schiacciata rustica, dello iodio durante il libeccio, la salsedine stantia dei canali.
insomma, livorno.
al netto dell'effetto di sentirselo raccontare e raccontarlo. dove vai? maaahhh, pensavo a livorno. poi farò capatine qua e là per l'alta toscana. tutto in treno. apprezzamenti di circostanza, forse nemmeno troppo convinti negli interlocutori, più che altro straniti. ed in alcuni lampi di sguardo che sembravano domandare: livorno? che cazzo ci vai a fare a livorno?
ecco.
poi non è andata esattamente così. per quanto a livorno ci sia andato. ed ho trovato quelle vaibrescion che mi ero immaginato. come se ci fossi già stato.
solo che a metà pomeriggio me ne sono ritornato. tra l'altro si era messo a piovere anche lì.
già.
perché sono stato per tutto il tempo nella casa col terrazzino.
dovevo passarci tre giorni, quasi improvvisando la visita. l'ospite che mi stramalediceva via uotsapp mi stessi negando. ed invece poi ho respirato iodio che saliva in presa diretta venticinquemetri più sotto, a picco. ed ho fatto evaporare un po' della stanchezza accumulatasi negli ultimi mesi.
forse non avevo tutta 'sta gran voglia di starmene da solo per più giorni.
inoltre mi sono accorto, con il mare d'autunno, di quanto mi fosse mancato quest'estate, quel fottuto terrazzino. non tanto per il mare, ma per la sensazione di lasciamounpo'tuttoindietroeguardiamocil'orizzionte. forse invecchio, ma mi basta.
[parentesi meta-licenziosa: su quel terrazzino sono partite cose, intese, sollecitazioni, tutte intermediate dallo strumento smartofonico. alcune concretizzate bene, altre carambolate meno fattivamente. questo pomeriggio in treno, mentre me ne tornavo, mi è sgorgata una specie di visione: io che faccio all'amore nella stanza che dà sul terrazzino, guardando il mare dalle finestre che occupano quasi tutta la parete. [naturalmente qualora dovesse prestarmela l'ospite, la casa. e naturalmente senza avere la minima idea di chi possa essere la fanciulla con cui condividere quel momento d'ammmmmmore immaginato]].
quindi è stata tutta una vacatio abbastanza improvvisata, viene quel che viene, saltando su di un treno ogni giorno, e tornando al terrazzino e agli ospiti la sera.
e son stati momenti che un po' non ti aspetti, ma che quando son venuti ti è venuto un po' di battere il cinque, o abbracciarli con quei colpetti sulla schiena di intensa fraternità. come se fossero delle piccole stille di serena consapevolezza che si è lì, presenti, a farsi attraversare dall'unicità del momento.
tipo quando inizia piovere, ma i piedi sono comunque all'asciutto ed il resto anche se si bagna un po' chi se ne fotte.
tipo quando piove anche oggi, ma in fondo va bene così uguale. me la godo lo stesso.
tipo quando si alza il vento freddo sul ponte pedonale che traguarda il polcevera, ed alzi lo sguardo e c'è un vuoto, pieno di quel che c'era prima, riverbero ed eco di immagini, stampigliate nella memoria che si è fatta ormai condivisa e comunitaria.
tipo quando, dopo qualche chilometro camminato, poggi il culo sullo scalino della calata al canale di fronte la fortezza nuova, senti i muscoli che si rilassano, e ti godi il crocchiare sotto i denti della focaccia rustica.
tipo passare dai vicoli "dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi" [cit.] alla piazza più centrale ed elegante in pochi minuti a piedi.
tipo ripercorrere, lento, le vie che camminavo durante il servizio civile. immaginando le più strampalate illusioni, e che son state il limite estremale più prossimo al principio di realtà, narratore inflessibile e spigoloso, a raccontarmi che le cose, poi, sarebbero andate in altro modo [ma su questo, mi sa che ci faccio un altro post].
tipo quando sto cercando l'albergo per livorno, e mi dicono: ma che minchia fai la sera, da solo, a livorno? torna qui. ed accorgermi che no, tutta 'sta voglia di starmene da solo non ce l'avevo, e di come sarebbe stato piacevole cambiare il programma, ancora una volta.
tipo cincischiarmi che, per il rientro, avrei potuto non prendere il treno successivo, ma quello dopo ancora: dopo peraltro averne già lasciati andare quattro-cinque. e poi di colpo, veder comparire questa coppia di sposi, coi fotografi al seguito. sposi non proprio di primissimo pelo: occhioni azzurri lei, pelle-viso non proprio velluto nonostante il troppo fondotinta, ma soprattutto la giacca più improbabile di lui. vederli arrivare sulla terrazza che dà sul piccolo lungomare e il signore sulla panchina così vicino a loro in posa, che non dà idea di spostarsi da lì, con la sua pipa in bocca che osserva tra il perplesso e il divertito. come se stessi aspettando quella scena per sapere che, a quel punto, avrei potuto decidermi a tornare sul terrazzino.
e tipo la sensazione di sentirmi accolto, coccolato, ospitato come uno di famiglia. nonostante o soprattutto la singolarità del padrone di casa. un po' finto-stralunata, un po' con lo sguardo che nel fondo intuisci una tristezza irrisolvibile, un po' che di colpo si fa silenziosa e sembra di sentire il proluvio dei pensieri che si dispiegano. il tutto annichilito alle nove di sera dal crollo verticale, con sbadigli importanti ed il suo "io vado a letto... tu fai un po' quel cazzo che ti pare". o della sua figlia tredicenne, nel pieno della sua adolescenza un po' da ennuì, un po' faccio quel che mi pare. un po' ancora bimba, un po' già ragazzina, che ci rammenta e ci spiega, quasi dovesse essere chiaro a noi, che la pelle del suo viso non è così liscia come prima perché lei è "nella tempesta del pieno della pubertà"; che ha passato la notte a casa del nuovo fidanzatino - così cortese ed educato - dormendo nella stessa stanza: "io sotto e lui sopra", parlando ovvio del letto a castello, e non capendo esattamente l'erompere di quella risata sottile, ma forse anche un po' invidiosa di quell'innocenza che si è persa nei tempi che furono.
sì, una sensazione davvero piacevole. davvero un bel percepire, che ogni tanto sento ancora l'eco della meraviglia: cioè, tutto questo affetto per me? ma son proprio sicuri? però è eco sempre più rado e che dura sempre di meno.
son tornato a casa, per quanto non ne sentissi tutta questa nostalgia.
dopo aver cambiato, smontato, adattato i programmi più volte. ogni tanto non pianificare ti regala anche queste cose così.
son tornato però anche con la convizione, oltre al fatto sia una persona privilegiata, che fosse una vacatio necessaria. per rimettermi a resiliare questo periodo un po' così, impegnativo, piuttosto solitario, con questi picchi improvvisi ed inattesi, di struggentevolezza et emozione commovevole.
è una parentesi, e bisogna viverla più sul pezzo e convinta possibile. che le cose possono anche combinarsi in maniera interessante e favorevole. forse mi ricorda il quinto anno di università. quando in quattordici mesi inanellai undici esami. mi ero iscritto al pelo in corso al quinto, ed arrivai lanciato all'ultimo rettilineo prima della laurea [poi vabbhé, buttato nel cesso, simbolicamente, con la tesi più inutile del DEI del politecnico di milano, ma è altra storia].
ora non mi devo più laureare. ma forse è un momento quasi tanto importante. non foss'altro per la percezione di essere piuttosto sul pezzo, come forse non era mai accaduto.
ci voleva la vacatio. per quanto troppo breve, che già un po' mi manca.
forse, improvvisando, l'ho pure imbroccata.
torno là dentro carico di 'stigrandissimicazzi. vediamo in quanto tempo li consumerò.
però, al momento, fa decisamente bene.




Friday, October 11, 2019

post cui in parte ho già condiviso con l'amico luca [volevo andare a praga, vediamo se tocco la toscana settentrionale]

e quindi niente.
sarei in ferie. dalle prime stime fatte ad agosto, sono in ritardo di un mese. nelle ultime due settimane mi raccontavo che i due giorni successivi sarebbero stati gli ultimi prima di staccare.
è quasi sembrato un piccolo caso, là dentro, che io mi assentassi. dal clangore sottile alcuni pensavano sarebbe stato per un mese. sarà per una settimana più un giorno. pedddddddddire.
sono uscito da là dentro col trolley, nel senso che pensavo di partire ieri. invece non ce l'ho fatta. e me ne son tornato a casa.
quindi parto domani.
volevo andare a praga.
volevo far un mini-interrail.
quindi farò altro.
ho pianificato per sommi capi, non ho prenotato nulla. questo credo sia una declinazione del personalissimo paradigma esistenziale. improvviso piccole tattiche, senza avventurarmi troppo. la strategia è da mo che non so che faccia abbia.
so che potrebbero venirne fuori soddisfazioni vive. ma anche piccole delusioni. nel dubbio, tergiverso. e quindi tutto scorre un po' via.
però, a dirla tutta, qualche attimo riesco a catturarlo. nel senso mi conto di vivere un battito d'ala di farfalla in cui si compie qualcosa di importante. non mi spingerei ad abusare del termine felicità. ma momento importante sì.
oggi è successo alle pendici del monte stella, al bordo del Giardino dei Giusti.
c'era un vociare di bimbi sugli scivoli et similari et regazzini nel campetto o al bordo ad ammiccare i primi ammiccamenti, cani che sgattaiolavano dai loro padroni garruli e con la lingua a penzoloni, questa botta di verde e di alberi, che poi è solo relativo si sia a milano: dagli un po' di corda, e la natura sa come imporsi, tanto lenta quanto inesorabile. stava cominciando a tramontare il sole, nel senso che l'alzo si faceva di quei colori che vanno a farsi più caldi, verso il rosso - è un mero effetto di fisica quantitica, però ti prende e ti strugge dentro.
è stato lì quanto mi son sentito trapassare da questa specie di sensazione dell'attimo, che batte, pulsa, mi attorciglia e poi [forse] se ne va. tuttuncomplessodicose di quella varia umanità che stava lì, in quel modo, i cani che sgattaiolavano garruli, gli alberi e i prati, il sole che cominciava a tramontare. e me medesimo, in quel momento ed in quell'incrocio del suo divenire. foss'anche per il primo giorno di ferie, che sono stanchinissimo, che non son partito ancora e che me ne vado al Giardino dei Giusti.
ed ho pensato che quella combinazione di cose è bastata a vivere quella sensazione dell'attimo. e quindi mi è partita la curiosità di capire quale tra le due cose.
se sono così sfranto e abbacchiatello, che mi basta così poco. tipo quando hai la crisi ipoglicemica in cima al monte, che il tuo amico molto più allenato in forma ha tenuto un ritmo asintotico da avvicinare. e tu sei lì, la testa che gira, il battito impazza, il fiato corto e la sensazione che potresti finire a terra da un momento all'altro. e poi l'amico ti offre la caramella, ed in un attimo passa tutto. quasi meravigliato che un attimo prima pensavi di essere finito.
oppure se sono diventato così bravo da riuscire a levare un bel po' di rumore di fondo, e accorgermi della melodia flebile et continua che è la sensazione dell'attimo. ed ascoltarci che sono una persona privilegiata, guardarci che va bene così nonostante tutto, nonostante si sia parecchio lontani da una qualche idealità, più o meno teorizzata. o psichedelizzata. come se, come i cactus, bastassa poca acqua, poca umidità per poter starsene ritti e maestosi in mezzo al deserto. condensano il poco e ne fanno linfa.
forse è la combinazione lineare delle due cose. perché la prima sarebbe di tipo destruens, o bicchiere quel po' vuoto. la seconda sarebbe di tipo construens, o bicchiere quel po' pieno. ed il bicchiere uno è.
e forse, a guardarla bene, non è che mi basti poco. è che in quel poco c'è dentro, invero, una gran fottia di cose. forse bisogna saperle guardare, appunto.

anche se, di nuovo, non siamo così così prossimi all'idealità. anche se non è così semplice conoscerla cos'è l'idealità. specie nel declinarla in cosa uno combina, cosa fa nella vita, quale segno può lasciare quando - tra le altre cose - si guadagna l'euro per campare. dove per campare c'è dentro quella cosa così ampia, da estremali anche moooooooolto distanti fra di loro.
inutile ribadire che, là dentro, non si realizza l'ideale. anzi. per quanto la fatturazione è più che dignitosa, non foss'altro per la montagna di ore in cui mi consumo.
però è una combinazione di eventi tutto sommato positivi. non ideali, ma positivi.
anche se, appunto, la psichedelia dell'ideale ha tante, troppe declinazioni.
poi però a propaganda live ospitano francesca mannocchi. che di mestiere fa la reporter. anzi, forse reporter è po' riduttivo. e nell'ospitata viene mostrato un sup servizio sulla guerra civile in yemen, per cui si è messa in gioco - a proposito di zona di comfort - per cui ha scritto, e per cui è il caso si vedano cose.
lasciando con il suo lavoro sì, un segno. e che segno. tanto che forse è nemmeno più un lavoro. è una missione [e così il contraltare con quello che non è il mio è ancora più stridente. ma per la serie: mi disseto con l'efficienza di un cactus, va bene così. per il momento va bene così. forse è un periodo di passaggio, necessario].
se quei tre che leggono passando di qui hanno da dedicarle quarantacinqueminuti, sono quarantacinqueminuti non spesi bene: meglio.
se uno arriva in fondo, sappiate che gli occhi, lo sguardo della bambina denutrita di otto mesi - che probabile, oggi forse non è più viva, chissà - è una frustata che fa malissimo. ma sopportarne la visione è necessario. giù in fondo, si impara anche a cogliere la sensazione dell'attimo.
dal minuto 1h17'30''.
davvero.
merita.



Saturday, October 5, 2019

surplacismi

sono tempi strani. percezioni stranine.
che poi non sarebbe 'sta gran novità.
quello che c'è di nuovo è il come, quel po' di divenire, mi appaia scorrere.
c'è di mezzo questo transare dall'estate così faticosa, all'autunno di cui non ho voglia: forse anche per il non aver vissuto poi tutta'st'estate.
c'è di mezzo questa accettata sottile che ho dato, senza quasi rendermene conto, senza premeditazione: tutto è venuto giù di colpo.
c'è di mezzo lo sceicheramento delle fusione di idee, sollecitazioni, suggestioni congrumante - tra le altre - negli ultimi tre post.
però.
è tutt'unaspeciedi surplacismo con onda emotiva vibrante.
se fossi [ancora] scaramantico forse mi direi che sto in equilibrio, financo un po' silenzioso, per non tirarmela, nel senso di tirarmela addosso. zit-zit immobile, acciocché nulla di così manifestatamente non positivo possa appoggiarsi qui, nei pressi miei e ristrettissima cerchia.
nel frattempo vibro di emozioni da magone facile, quasi inevitabile.
come se, d'un tratto, bastasse un niente per attirarmi a stringermi seduto sotto un albero dalla chioma ampia e rassicurante, con la schiena poggiata ad un robusto tronco, raccogliere ginocchia al petto, stringerle con un abbraccio e poggiarvi il capo, ed il viso rivolto di sguincio. il tutto figurativamente ovvio.
ma con la sensazione, in quei momenti, di sentire fino giù il battere la singola diastole e sistole, il soffio d'aria che entra ed esce dagli alveoli, la chimica degli scambi osmotici, il baluginare delle connessioni degli assoni coi neuroni.
sentire, cioè, come dentro un riverberare unico, quella sensazione di serena coerenza di questa infilata di istanti. che passano uno ad uno, per ciascuno dei quali sgranare la convinzione che va bene così. anche se non è esattamente a ridosso dell'ideale: immaginato o intuito che sia.
va bene ogni singolo attimo, anche se inzaccherato di malinconia, glassa che uno non capisce bene se meglio senza, oppure - di nuovo - va bene così.
va bene anche il magone, che d'improvviso qua e là mi coglie. per un nonnulla, apparentemente: un tramonto, un ricordo improvviso, un gesto quanto più variegatamente construens si possa immaginare.
va bene anche questa stanchinitudine, ossessione lavorativa, poca capacità di riuscire a far altro se non quello di spalar guano seppur financo costruttivamente [costruttivamente isdegniublech].
va bene ogni afflato. come se il contesto ed il pormi trovassero armonia, quasi non sapessero far altro in 'sto periodo.
armonia.
liscia e coordinata.
forse sta arrivando chissà quale fortunale, ed intuisco la famosa quiete prima della famosa tempesta.
forse avviluppo col pensiero e l'emozione la somma dei privilegi che in questo momento mi toccano, col quel solco lungo il viso al percepire che c'è gente che lo è di più - privilegiata - ma poi non se ne rende conto.
e comunque mi basta il mio, quindi quella specie di sorriso.
in surplace, ecco come mi sento. perché mi respiro il momento. non scatto da nessuna parte [anche] perché stanchino. ondeggio in equilibrio sul pignone dello scatto fisso a realizzare quell'ovvia semplicità.
le cose non vanno male, quindi va bene così.
mi sarei aspettato altro di più alto?
forse.
ma per qusto surplace va bene, appunto, così.