Tuesday, December 31, 2019

sulla storia del solito post che a fine anno divido in due, e questa è la parte construens

uh, dunque.
la parte construens.
in senso minimalista la potrei chiudere con l'estrema sintesi della prima parte del post che di solito butto giù a fine anno. la parte destruens, dico.
perché non ho davvero un cazzo di cui lamentarmi.
e forse il distillato di quello che regala l'esperienza di quando si comincia ad invecchiare è tutto qui: le cose vanno bene quando non vanno male.
sembra un approccio mimino. forse che uno smette di guardare a qualcosa che butti al meglio. o forse è il semplice punto di partenza. da lì è tutta discesa, con davanti anche delle praterie. forse non è così nemmeno semplice discernere. dove finisce lo scampato inciampettio di buchette. e dove iniziano quelle briciole da seguire per giungere a sentirsi se non felici, almeno serenamente garruli. come osservare quei disegni che ingannano, perculandole, le interpretazioni di quel che giunge dal nervo ottico. quell'immagine è il volto di una donna anziana, con naso gibboso, sguardo triste? oppure è quello di tre quarti di una giovane donna, impellicciata ed una striscia di taffeta a gingerle il collo sinuoso?
c'è dentro uno e l'altro, senza distinzione, come un continuo eppur così distinto. come l'ambivalenza onda-particella della luce, e quindi della materia.
ma questo non significa, ovvio, che non si possano cogliere quella specie di boccioli, che sono spuntati qua e là. un po' inattesi, un po' conquistati tocchettino a tocchettino, per quanto a volte senza accorgermene poi mica tanto. e che - ooooohhhhhh - ad un certo punto c'era un prato fiorito. ed io ci ho camminato dentro un po' estasiato, un po' con la titubanza di rovinar qualcosa, un po' sopreso a vedere tutto quel puntinellinare di steli, petali, rizomi a cingermi i passi.
tipo quando sei in montagna ed attraversi i pianori che ti si spalancano di fronte, al termine della salita. si aspetta qualcuno, se il passao è stato più sostenuto del tuo compare. oppure c'è qualcuno che ti aspetta che il suo è stato più rapido di quel che è riuscito a te.
che poi anche questa è una specie di ambivalenza. che a camminare in montagna è bello di suo, che sei te, con il tuo respiro, la tua fatica, il tuo cervello che si adegua al resto del corpo, non il contrario. ma è bello farlo con qualcun altro, che è da par lui, con il suo respiro, la sua fatica. poi ci si ritrova e so condivide insieme l'acqua. ambivalenza particella-onda.
è stata così anche la parte construens, quella oltre la specie di bordone di fondo delle cose che non vanno male. è stata così spesso camminando a piedi da solo. che è poi l'esperienza che sto vivendo adesso, in questo momento [anche se, invero, non sarei del tutto onesto a ommettere di scrivere che un po' di malinconia 'sta cosa me spalma addosso. dev'essere la sensazione atavica di attraversare - da solo - il limitare di un'esperienza andata, ed entrare in quella nuova. guarda un po' che strani scherzi che giocano gli archetipi. solo ci rimango tutte le sere, spesso nei uichend, ma è davvero molto diverso. solitudine diversa].
dicevo.
la parte construens camminando solo. e scoprire da me di avercela fatta. la spianata quel pomeriggio da odg. non c'è nulla di tangibile, nulla di concreto, nulla di esteriorizzato. ma sento quella sensazione che tanti nodi sono sciolti, e che gli ingarbugli di tanti anni passati è come se fossero lì, cime che se ne stanno paciose e dispiegate. ed è la sensazione dell'esserci andato oltre che, ogni tanto, ancora mi commuove. a volte la sento arrivare quando metto in fila ricordi spigolosi, e complicati, ma che sono roba andata. a volte d'improvviso, e magari nei momenti o nei posti meno indicati, tipo nell'intimità con una donna. e mi si strozza la voce in gola, tipo quando provo a cantare in contesti numerosi "bella ciao".
e poi c'è la parte construens camminando con altri. tipo i baci rimandati, rimandati, rimandati, e poi che sono arrivati, illuminati solo da alcune candele glimma; sentirsi accolti in una casa calda e lenzuola di flanella; il tramonto struggente nella pianura che se guardi con la città alle spalle davanti ci son solo campi; la schiena nuda mentre ti accomodi nel giardino interno di un cascinale che sembra roba di decenni fa, mentre è solo quindici minuti dal capolinea della cinquanta.
e poi gli amici che ti cercano e che ti fanno sentire accolto e coccolati a casa loro. i prosit ed i calici alzati. il terrazzino, che basta guardare il mare, che è sempre onda su onda, ma ogni volta è cosa diversa. o la coorte con le candele a rischiarare i visi e i muri antichi, l'amico che ti mostra tutto questo soddisfatto e garrulo, vellicando la birra, il cane che dorme sotto il tavolo dopo essersi quietata alla fine della perlustrazione nella casa che non conosce dove l'ho portata. la birra con le amiche un po' in daun, che però non capisci come ti escano quelle cose piene di buonsenso che sembrano quasi intelligenti, che forse la birra le fa scivolar fuori meglio. mia madre che nel viaggio verso l'hometown, quando ritorno, mi racconta le peripazie delle sue interlocuzioni sociali, che sembra quella che continua ad essere sul pezzo, ed io che quando ci entro, nell'hometown, non ho più quel senso di soffocamento. il ringraziamento di alcuni colleghi, o i complimenti che - comunque - continuano a mettermi in imbarazzo.
i sogni quando la luce del tramonto è struggente, e l'acqua è limpida.
e poi i libri, non così tutti eccezionali, ma quei due o tre che dici alla fine: uau, checazzodifottuto libro, tempo ben speso.
qualche post. che magari è financo venuto benino.

e quindi la storia del progetto. che se lo chiami progetto ha tutto un altro senso. che è punto di arrivo ed insieme di ripartenza: ambivalenza onda-particella. chissà se e quanto riuscirò a metterne in pratica un qualche pezzo importante. occorre provarci. anche perché è qualcosa da raggiungere, che è poi significa avere speranza [semicit]
ci provo.
mettendoci dentro quel quid, che sembrerebbe un'altra ambivalenza. invece è solo valore aggiunto: pensare ebbri, agire sobri. buttandoci dentro il proprio essere sempre più civili e sempre più cordiali.
neuroncini per l'intelligenza collettiva.



Monday, December 30, 2019

sulla storia del solito post che a fine anno divido in due, e questa è la parte destruens

a 'sto giro vado diritto.
sì, insomma, la storia del post che faccio alla fine dell'anno mi piace. e non devo giustificarmi, costruendoci sopra psicopippe, come impalcature. tipo quella dello scorso anno. me lo sono riletto quel post. cercavo un dettaglio che non mi sovveniva, piuttosto che per auto-esibizionisimo. solo che il dettaglio non l'ho mica trovato. [forse sovviene all'amico luca. ultimo giorno dell'anno. ero sul pullman savda, quello per la val d'aosta. stavo raggiungendo gli amici a casa loro. noto la foto del profilo uotsapp dell'amico luca, un'immagine nuova, strana. la ingrandisco, è una frase. la leggo e mi pare interessante. poi mi dico: "ehi, ma 'sta cosa l'ho già sentita, dove?". ci ho messo qualche attimo a rendermi conto fosse il dettaglio dello screenshot di un mio post. quello che avevo peraltro scritto qualche ora prima. era la pars destruens del post di fine anno. la pars construens, l'avrei scritta dagli amici, quella sera stessa.].
dicevo.
ho riletto il post dello scorso anno.
il dettaglio non l'ho mica trovato. però mi sono detto: "diooommmmmmmmmmmmmmioooo. che contorcimento". il post dico. soprattutto nella parte iniziale, con la psicopippa del perché scriva il post di fine anno, al netto di separarlo in destruens e construens. quindi ho proseguito nel dirmi "mmmammmmmmminchia, scrivilo e basta. cazzo ti arrotoli attorno ad un canape cosparso di grasso. scrivilo e basta". intendevo il post.
era come se l'ecodisseando di oggi, rimbrottasse - bonariamente - l'ecodisseando di trecentosessantacinquegiorni fa.
per via di quel sacco di attorcigliamenti inutili, come sembrano a quello di oggi. che chissà cosa diranno a quest'ultimo quelli che verranno dopo
quindi vado dritto, perché la storia del post che faccio alla fine dell'anno in fondo mi piace.
e per prima sintetizzo la pars destruens.
contorcimenti e fatica.
potrei finirla così.
invece proseguto, giusto per dettagliare un minimo.
tipo che non mi posso un cazzo lamentare. specie se torno indietro di altri post di fine anno. e provo a ricordare le voragini destruens che avevo unito, come il gioco dei puntini da tirar le righe tra uno e l'altro, e vedere che viene fuori. solo che non erano puntini, ma appunto voragini.
no.
niente di tutto questo, a 'sto giro di parte destruens del post di fine anno.
certo.
ci sono state giornate meno semplici. ovvio sia stato così.
ma è come se fossero cosa di congiuntura. una combinazione di concause che prese singole, forse, avrei ovviato con un buffetto, o una puzzetta - dipende da quanto mi sarei sentito greve in quel momento.
congiuture tipo la stanchezza a lavorare troppo e troppo intensamente. e quindi la consapevolezza di essere incompatibile con una relazione compiuta. e quindi il cane che sta male ed io non so esattamente come comportarmi, che se avessi evitato di lavorare come un pazzo anche tutto agosto forse avrei potuto portarla dal veterinario prima. ed io che scoppio a frignare istericamente davanti a matreme, testé tornata dal mare, con la sensazione di "io non ce la faccio ccccchiù, non reggo più"
ecco.
questa è stata la cosa più destruens dell'anno.
per dire.
poi la stanchezza si è alleviata. la consapevolezza dell'essere incompatibile con una relazione compiuta è stata condivisa, e come tutte le cose condivise si sopporta meglio [e comunque poi abbiamo fatto all'ammmmore ancora più intensamente]. il cane, operata ed isterectomizzata, è più che guarita, financo più ingestibile di prima, quasi l'avessero regredita a poco più che cucciolo.
tutto qui.
direi che non c'è proprio un cazzo di cui lamentarsi.
poi vabbhé. c'era la storia dell'intorcigliamento. che potrebbe avere una doppia spiega. racconto la realtà che percepisco, aggrovigliandone l'ordito e la trama. quindi un pat-pat di stima solidale ai tre che leggono, che non ce ne saranno molti altri di più. oppure è proprio la realtà che mi pare più ingarbugliata di quel che l'è. quindi è tutto un florilegio di nodi che non ci sono, ma in cui potrei inciampare.
ed inciampando aver prova provata di quella sensazione che ogni tanto mi coglie. che non sono più tenuto su con lo sputo. ma le strutture elastiche e resistenti, che sono sintesi auspicabili, sono ancora un bel po' a divenire. tra quanto ancora non saprei. tanto per cambiare dipende. è probabile che prima o poi 'sta cosa sarà da scoprire. o vagliare.
poi vabbhè. c'è la storia dei tre lettori. che non è quello un problema in sé. figurarsi. piuttosto il fatto non mi interessi 'sto granche diventino sei, dodici, dozzine. è roba figurata, ovvio. e dipinge il fenomeno di me medesimo che mi rintano, mi acciucciolo. e va bene così. forse è saggezza, forse è stanchezza, forse sono i remi in barca, forse è la vecchiaia. forse è resilienza, forse è lasciar andare [troppa?] assertività. chi lo sa. forse sono post che si sfarinano, forse non mi viene [più?] niente di raccontare di interessante.
niente di che, neh? forse solo una nota dissonante, sullo sfondo. giusto per non lasciar andare nulla.
anche se poi, a guardarla meno titubante, non ho proprio un cazzo di cui lamentarmi in questa parte destruens del post della fine dell'anno.
sono andato dritto. però non esattamente sintetico. cosicché ho disquisito su quello che potrebbero essere future parti destruens. cose di cui non ho proprio un cazzo di cui lamentarmi.
approccio scaltro non dimentircarlo, possibilmente mai.
e per il resto ci vuole poco altro.
un po' di culo - nel senso di caso che arride quel pochino, per quanto tutta roba fuori dalla nostra giurisdizione.
ricalibrare i desideri, distillandone solo la parte che merita essere desiderata. meno roba, ma migliore.
osservare quello che viene con il viso rilassato, tipo il solco lungo il viso. come appoggiati su un divano a le braccia allargate, distese.
accumulare serenità fintanto che va così. per accorgersi che così ce ne vorrà un po' di più per farci tirare i muscoli del viso, nonché spingerci mangiucchiarsi le pellicine delle dita.

questa non sembra nemmeno una parte destruens.
non ho proprio un cazzo di cui lamentarmi
come finire senza soluzione di continuità nella parte construens.

Friday, December 27, 2019

sui paradossi [quantistici e non quantistici]

sarà la storia del natale. ed il mood psicotropo che tende a portarsi dietro. o forse è che c'è poca luce, il sole poco alto all'orizzonte, ombre lunghe pure a mezzodì.
comunque.
se provo a scrivere, quindi cominciare a risolvere, l'equazione delle funzioni d'onda di questo contesto, mi sento pervaso da sensazioni delocalizzanti.
come se una funzione d'onda mi raccontasse delle armonie che in maniera costruttiva si stanno mettendo in fase.
e nel contempo sbucassero attorno a me funzioni d'onda intorcigliate, sghembe, non derivabili. punti angolosi che deviano persone non troppo lontane rispetto a me.
e tutto procede simultaneamente.
insomma un puttanaio, spiazzante.
è come se, d'improvviso, fosse esploso su scala macroscopica il campionario più curioso, o forse esoterico, dei paradossi quantistici. che sono paradossi, perché siamo cresciuti sulla percezione della meccanica, che non a caso viene definita classica.
ecco.
a 'sto giro è come se quei paradossi, o cose normali a dimensioni quanstiche, si riproponessero nelle dimensioni a noi consuete. come un isomorfismo interessante.
è qualche giorno che ci penso.
forse suggestionato da questo video qui, che ci segnalò l'amico QuiTo. che è un giochetto leggero, o forse questa polynerdeia ha qualcosa di molto grazioso a prescindere. [piccola parentesi che forse può sembrare bacchettona. in realtà è esattamente il contrario. l'immagine poster di uno dei video ce la mostra - apparentemente - discinta. è un primo piano, ma sembra voglia far intendere che anche sotto le spalle sia del tutto scoperta. credo sia fastidiosamente inutile. perché è brava, senza dover usare 'sti trucchetti. e se sei così convinta delle tue potenzialità, non ammiccare usando quell'immagine, che dura peraltro pochi secondi in sei minuti di video. se fai divulgazione anche in quell'ambito, divulga in maniera compiuta. concretizza il paradosso provocatorio, unendo quei due piani. non mezzucci succedanei.].
tornando tosti all'idea di qui sopra.
come se questo periodo in cui mi sembra di essere uscito dalle buche, altri attorno a me ci son finiti dentro. e sulle mie emozioni gli effetti si sovrappongono. e le porto dentro entrambe, ed entrambe sono simultaneamente vere: vitali e vivide nello stesso momento. come il gatto di schroedinger fintanto che non si apre la scatola, facendo collassare la funzione d'onda corrispondente.

anche se, finito l'effetto psicotropo del video, del periodo, e del sole così basso a mezzodì, tutto può essere letto in maniera molto più classica. sono gli [apparenti] paradossi della complessità del principio di realtà. le cose che viviamo sono complesse. a volte talmente tanto che tagliamo le visioni laterali, già quelle appena fuori dallo sguardo dritto e oltre il nostro nasino. forse per sopravvivere, forse perché è troppo oneroso dal punto di vista delle energie da impiegare. quindi forbiciate all'empatia.
non solo.
la complessità della realtà è talmente sfidante che mi fanno un po' di tenerezza coloro che credono di avere la soluzione pronta, anche solo per una delle istanze. in maniera metoniminica, per autosimilarità alle piccole e puntuali esperienze dirette. è successo un numero interessante di volte, specie in questi giorni. durante un pranzo natalizio ho ascoltato rimedi pronti all'uso per caratteristiche endemiche di una nazione spaesata come la nostra, fin su all'europa unita.
la cosa interesante è che una volta mi sarei accapigliato, bollando come stronzate banalizzanti tutto ciò. ora osservo in silenzio il metaverbale dei risolutori, distaccato. e ben rasserenato sulla forma d'onda di questo momento. forse do l'impressione di esser quello senza [più] idee, o non buono a prendere una posizione. stigrandissssssssssssimicazzi. un po' mi sto riposando. un po' forse le cose mi sono addirittura un po' più chiare di prima.
pedddddddddddddire...

Tuesday, December 24, 2019

post più o meno natalifero [o giù di lì]

qualche anno fa mi scrissero che la psicoterapia non è una spesa. è un investimento.
oggi mi è tornata in mente questa suggestione dell'amica psicoalchimie. incidentalmente lei è anche una psicoterapeuta, ma sono certo che non me lo scrisse per un conflitto di interessi di suggestioni. ma a ragion veduta. d'altro canto l'amica psicoalchimie/alba ha sempre scritto di essere una persona fortunata [anche] perché ha la possibilità di fare un lavoro che ama. e mi prendo la fantasia di intuire, seppure da lontanissimo, la sensazione che dà osservare i suoi pazienti prendere contezza del valore di quell'investimento.
incidentalmente, inoltre, oggi l'amica alba/psicoalchime compie gli anni. e mi piacerebbe ricevesse tutti gli auguri che si merita, a prescindere.
amica alba, avevi fottutamente ragione sulla storia di quel genere di investimento. dovesse capitarti di leggere è un po' che lo sto scrivendo. per quanto declini in qualcosa che i tre che passan di qui credo abbiano ormai colto, e di cui forse cominciano un po' ad essere stufi. qualcuno, a lettura superficiale e sprovveduta, potrebbe financo definirmi buonista. sull'onda che ormai è cosa che han provato a far diventare un qualcosa tra il dileggio e l'insulto. ma d'altronde i tre che passan di qui, non sono lettori superficiali, tanto meno sprovveduti. ne son certo. e d'altronde, come si dice, buonista un cazzo.
per quanto, in effetti, posto post che stendono una specie di fill rouge blogghico-logorroico di questa specie di presa di consapevolezza. e le sensazioni conseguenti. tipo quella specie di voce strozzata in gola dall'emozione commovevole che ancora mi prende. tipo questo pomeriggio quando, davanti al lago - discretamente frescazza l'aria - mi è venuto di scrivere gli auguri festivevoli ad odg.
non ostante non riuscissi a sottrarmi quella specie di malinconia avvolgente. che è malinconia, ma non è cosa che fa danno.
e d'altro canto non è mica nemmeno lontana parente delle giaculatorie dei post indietro, e di blog passati. quelli che raccontano di qualcosa di difficile.
no. questa malinconia è che comunque percepisco lo iato. l'eco di quella cosa che è stato un faticoso investimento individuare, capire, cominciare di smontare e nel contempo accettare. di come mi senta abbastanza oltre quegli infossamenti. un po' per caso - fortuito - un po' perché ci ho lavorato sopra, investendo energie importanti. ecco, quell'eco di quel che son stati quei momenti - difficili - miei, riverberano nei momenti variegatamente complicati di persone più o meno vicine. un po' per salute, un po' per intorcigliamenti, un po' perché il caso è meno fortuito. e quindi c'è 'sta storia della storia del natale e quel che di specchiante gli gira intorno. e che tira staffilate più forte proprio a chi è un po' in difficoltà. o che per ragioni variegatamente declinanti non ha molto modo di festeggiare alcunché, o qualcosa che gli si approssimi.
non posso guarire me medesimo, figurarsi se riesco a guarire il mondo, anche solo quello attorno a me.
però lasciar correre un po' di empatia, quello sì.
che a vederla da un certo punto di vista è una variante di I care, di cui parlava don milani.
figurarsi, pure a parlà di un prete vado a fare. manco fosse una notte santa, come ostentavo a infilare nel profondo del crederci, quel quarto di secolo orsono.
anche se, a proposito di suggestioni correlate a questa notte, ci sarebbe pure quella dell'amico Itsoh. un giorno, ispirazione geniale, ricordò che l'annuncio degli angeli riguarda un po' tutti, mica solo chi ci crede. perché ci sarà pure la parte trascedente del "gloria a dio nell'alto dei cieli" che, vabbhé, c'entrerebbe la faccenda della fede. ma c'è la parte immanente del "pace in terra agli uomini di buona volontà".
e se per la pace ci si deve ancora lavorare, si dovrebbe partire dalla buona volontà.
e la buona volontà agisce meglio al di qua, dopo l'investimento. come se si fosse efficientato il tutto. che sarà pure fatica, e zizzagare la complessità disordinata di un sacco di cose. ma è come si avesse la sensazione che qualcosa funziona.
ecco. se proprio ci fosse da augurare qualcosa è questo: riuscir a farla funzionare il meglio possibile 'sta fottuta buona volontà. non avremo che da guadagnarci tutti. tipo quella scintilla di pace in terra.

Thursday, December 19, 2019

sul puntualissimo zeitgeist [post dei mood quasi antipodali]

questo è un post tipo da quelli del diario.
ci sono mood del personalissimo et puntualissimo zeitgeist. e lo spirito del tempo, puntale e del personalissimo senso del fluire delle cose, è ambivalente. in maniera quasi antipodale.

la pars denstruens è che non devo abbassare la guardia, credendo di scoprire un aziendalismo per cui, proprio, non sono stato sviluppato.
l'azienda medio-grande non è cosa per me. non è la mia dimensione ottimale. lo sapevo già prima di entrare là dentro. ma avevo da rimettere in sesto i conti, oltre che un futuro molto incerto. ho impiegato mesi et mesi et mesi di giornate a masticare [molto] amaro, per cercare di provare a prendere le misure su 'sta cosa. e magari provare a cambiare idea.
e invece nulla.
cioè.
non che non abbia provato a cambiarla. anzi. tanto che ho anche spalancato un po' le braccia in segno di [intesa] reciproca accoglienza. e invece tutto è tornato a scoppiarmi sotto il culo, quando meno me l'aspettavo. per quanto, aver tirato come un mulo per mesi et mesi et mesi, forse non ha aiutato. occhei la fatturazione. liquefatti i coglioni, però.
e quindi il mio pessimo rapporto con l'autorità. un sacco di pezzi più o meno grossi che potrei stracciare a trivial e nei fondamentali dei rapporti con il prossimo, per cui invece sono l'informatico dal cordoncino bianco consulente da fuori che, da trasparente, alla bisogna diventa utile.
forse sono stanco. forse do troppo potere a figurini piuttosto chiacchiere et distintivo: mica meritano di carbonizzarmi l'umore e la serenità. per quanto non riesco ad inquadrare con precisione dove abbia colpito il sassolino schizzato dal caso, per riuscire a far franare questo bel po' di materiale. 'sì che ci è finito sotto quel senso di identità, ruolo, costruito con molta fatica, ed ora ne vagoli alla ricerca da chi manco mi vede incrociare nei corridoi. figurarsi che ideona.
potrebbe essere una cosa congiunturale. e soprattutto è memento che il mio progettino è un altro. accumulare ancora un po', essere nelle condizioni di fare l'investimento grosso, accumulare ancora un po'. e poi riuscire a salutare tutti con un simpatico e riconoscente vaffanculo. riconoscente non foss'altro per il conto in sicurezza e per la contezza di taluni abilità che non immaginavo di avere - al netto della mia incompatibilità con le aziende medio-grandi. abilità che forse nemmeno meritano troppo, là dentro. informatico dal cordoncino bianco, persona trasparente, eventualmente utile alla bisogna.

che poi magari è il periodo, neh? ma in questi giorni ho trattenuto un sacco di vaffanculo. tipo gli starnuti, che comprimono perché non vengono uscitifuori. mi prendo il contentino succedaneo del post. e naturalmente: e a culo tutto il resto.

la pars construens è che una volta accastavo legna, appena fuori casa, ora non più.
per qualche anno, dopo la morte di mio padre, era una specie di rito di commiato domenicale. la catastra grossa della legna per il camino è qualche metro in mezzo al giardino. di notte, proveniendo dal tepore di casa, magari con la pioggia o la neve, sono pochi metri che è fastidioso fare. quindi la domenica ne accumulavo quanta più possibile nel cassone accanto al camino, dentro casa. o appena fuori la porta. era una specie di carezza che facevo a matreme. quasi per giustificarmi me ne stessi andando. e quindi - verosimilmente - fuggendo dalla mestizia sottile e permanente, tipo radiazione di fondo del lutto. un bordone continuo che ho percepito per tanto tempo, ancora dopo. e che nelle domeniche pomeriggio, poco prima partissi, specie quando sapevo non sarei tornato per quindici giorni, mi sembrava sentire riverberare. e quindi accumulavo legna, in piccole cataste anche azzardate. cercavo di metternegliene, lì comoda, quanta più possibile. fare in modo non dovesse attaversare il giardino per prepararsi la legna per la serata.
all'inizio dell'inverno portavo in casa la cassa della legna, e ne accumulavo quanta più possibile lì nei dintorni. alla fine dell'inverno riportavo la cassa della legna accanto la catasta grossa. sollevato che stesse arrivando la bella stagione. sollevato dall'idea, forse sbilenca, che quando le temperature si alzano e il giorno si allunga, il bordone di fondo della mestizia risuonasse meno intenso.
forse lo percepivo solo io. ed in fondo ancora non so quanto abbia fatto davvero pace con il mio di lutto. specie in questi ultimi tempi, ogni tanto, mi sovviene di domandarmelo, quando il groppo in gola improvviso, pensando certi pensieri, mi si concretizza e poi se ne va.
forse era una specie di moralizzazione della fuga lontano da lì. anche perché spesso tornandomene dopo quindici giorni, trovavo gran parte della legna non utilizzata. "non sempre ho voglia di accenderlo, va bene così ugualmente" la spiegazione di mia madre. così il rabbocco successivo era più rapido. ma sempre che ce ne fosse il più possibile. per potermene partire con l'idea ne avesse abbastanza, anche se mi sembrava non bastasse mai, non ostante non la bruciasse mai del tutto. senza accenderse il camino tutte le sere. come avrebbe fatto mio padre se ci fosse stato.
pochi giorni fa mi è preso il ghiribizzo di accendere il camino. in sala, quella sera, non ci sarei stato. però mi faceva piacere potesse starsene davanti alla tivvù, giochicchiando al piccì, con quel tepore in più. lei, a dirla tutta, nemmeno ne sentiva tutta 'sta necessità.
ma mi era preso il ghiribizzo.
e mi sono accorto che ho trasportato legna necessaria per una serata, e poco più. un solo piccolo viaggio, con il contenitore all'uopo con ruote, che se ne sta comodo nell'angolo accantao al camino. scomparsa la sensazione non ce ne fosse abbastanza. senza fare numerosi viaggi con carriole ben più capienti.
legna per una serata. quella che bastava. senza l'ansia sottile di accumularne come da farne scorta di prossimità, come non ce ne fosse mai abbastanza.
ed è sembrato tutto più leggero, serenamente il necessario. senza addossarmi l'obbligo di aggiungere alcunché in più.
una cosa che va bene così.
finalmente.

Thursday, December 12, 2019

l'italia del dodicidicembre

[post un po' retoreggiante, ma mi rendo conto di percezioni nuove, che sposano quelle che non solo non se ne vanno, ma è come se si barricassero].
non l'ho mai letto, o ascoltato espressamente. ma il deGre aveva visto lungo quando scrisse "viva l'italia". cosa peraltro tipica dei poeti. e cantò anche l'italia del dodicidicembre.
oggi è il dodicidicembre. che significa piazza fontana. che fu il [primo] punto angoloso della storia della Repubblica. dopo non fu più stata la stessa cosa. siamo tutti figli di quella strage. chi la organizzò voleva andasse diversamente: gli incidenti, i disordini di protesta, magari capeggiati dai partiti dell'estrema sinistra, dai movimenti, dagli anarchici. la scusa per promulgare misure eccezionali, per tutelare e garantire l'ordine pubblico, dare il la ad una svolta autoritaria. la giovane democrazia da soffocare nell'adolescenza. un sacco di reliqui del regime fascista in alcuni gangli: prefetti, questori.
invece non accadde nulla di tutto questo.
non ci fu la svolta autoritaria, ma non fu più la stessa cosa. e si produsse una frattura importante tra lo stato e gran parte dei suoi cittadini.
in questi giorni, ho ascoltato spesso, nelle considerazioni, ragionamenti, ricordi di avvicinamento al cinquantesimo anniversario, che quel tentativo di sovvertire i canoni democratici si infranse anche e soprattutto contro il silenzio composto delle trecentomila persone che assistettero ai funerali in duomo e dalla piazza. cittadini, lavoratori, gli operai delle fabbriche che scioperarono e parteciparono alle esequie. non accadde nulla. solo il silenzio rispettoso ed unificante, in una giornata piovosa, talmente buia con le luci dei lampioni accede a mezzogiorno.
milano e quello che gli stava intorno reagì così.
che non c'entrassero gli anarchici, che valpreda fosse innocente, pinelli assassinato e qualcosa di molto più pervasivo, pericoloso, putrido si muovesse al di là delle apparenze, io sono intimamente convinto, lo intuirono quasi tutti. forse percezione appena al di sotto della razionalità.
per quel tipo di razionalizzazioni ci vogliono gli intellettuali, che sono gli usignoli del vivere civile: percepiscono, prima e meglio, le fughe di gas delle miniere dei recessi delle storture delle istituzioni democratiche.
"io so, ma non ho le prove".
perché sono riusciti a non far arrivare ad una verità giudiziaria. ma ci dev'essere un'ostinazione ancora più grande, e inesorabile, e irrinunciabile, e indemandabile al dovere della memoria e al senso - istintuale - della giustizia che anela alla verità storica. e spesso alla fine ci riesce.
a mettere la bomba furono i nazifascisti di ordine nuovo. pezzi dello stato depistarono. è una colpa grave, che imbratta pure lei l'innocenza di una democrazia. e che allarga lo iato, di nuovo, tra lo stato e una parte dei suoi cittadini.
un sacco di gente si è sentita, più o meno consapevolmente, tradita da quel fare melmoso e parafascista. e si è sentita meno Stato. ha smesso di riconoscersi, o ne ha sfilacciato i legami nell'istituzione che ci trascende, a cui tutti apparteniamo ma da cui possiamo sentirci avulsi.
in decimilionesimi è anche in parte parte della mia di formazione e percezione. e non so quanto ci sia il pessimo rapporto che ho sempre avuto con l'autorità [istanza, che in altri tempi avrei discusso più con odg, che altri]. non so quanto dipenda dal fatto che, ad un certo punto della mia adolescenza, abbia preso come modello intellettuale un quasi sociopatico, cui suonavo accanto. lui figlio di quella ribellione movimentista che, negli anni settanta, lo portò a posizioni quanto meno contigue con situazioni limiti. fosse rimasto in città a studiare, chissà. tornò invece sul lago, a fare il giardiniere, che si presentava al lavoro col manifesto, con visioni critiche al massimo non comprese, più che da osteggiare. e lì in parte si neutralizzò [non avevo ancora dieci anni quando mi disse: "ricordati che l'unico errore che hanno fatto le bierre, è stato quello di ammazzare le persone". impiegai qualche anno per capirne il senso]. tutti filamenti in cui si sfilacciò gran parte del senso di riconoscimento e di appartenenza. un ulteriore mazzata ad una nazione che non era venuta su ancora compiutamente, anche per ragioni storiche, culturali, sociologiche, di arretratezza sociale. qui si allargava il fronte del sentirsi meno stato dalla parte segnatamente antifascista, la percezione del tradimento della resistenza: aver combattuto per uno stato che teneva dentro sé, proteggeva, coloro che quell'ordine volevano sovvertire. e che hanno "colpevolmente depistato".
per non riuscire ad arrivare ad una verità giudiziaria. e obnubilando quella storica.
ci sono i piani diversi.
così come ci sono i diciassette morti della bomba.
e c'è la caccia all'untore pianificata da tempo, preparata quasi scientificamente.
poi succede che pinelli viene gettato da una finestra della questura, fu suicidato come si affrettarono a cercare di cristalizzare nella verità posticcia che stavano montando [dettaglio su cui non ci si sofferma spesso: a pinelli venne chiesto di seguire dei poliziotti in questura la sera del 12, per un controllo. ci entrò di sua spontanea volontà sulla sua motoretta. fu fatto volare fuori dalla finestra il 15. per quei tre giorni si sapeva solo fosse in questura, trattenuto senza un mandato, un ordine di un giudice, uno straccio di pezza giustificativa di uno stato di diritto].
la cesura, e lo iato che ne è conseguito.

ci sono voluti cinquantanni. ma solo ieri il sindaco beppe ha chiesto scusa ai famigliari del pinelli assassinato. lo ha ripetuto oggi. ieri come oggi con addosso la fascia tricolore. come sindaco, in rappresentanza della città, quindi dei suoi cittadini, nati o adottati che siano. sono dettagli, ma si portano dietro un significato importantissimo. ci son voluti cinquantanni, e forse pure la serenità della consapevolezza che la memoria e la verità storica sono istanze impegnative. ma nel contempo sono lievi per la loro inevitabilità, se si decide di starsene dalla parte dell'onestà intellettuale e non solo.
ci sono voluti cinquantanni. ma solo in questo anniversario c'è stato un Presidente della Repubblica a presenziare a milano. e che mai, prima di allora, ha parlato di depistaggi da parte di pezzi dello stato e della doppia colpevolezza che ne è conseguita.

lo sapevamo già. ma sarebbe il trionfo del benaltrismo più destrutturante [spesso si sentono pure, ai microfoni aperti in radio] ignorare il fatto che in un discorso ufficiale, il più alto rappresentante dichiara quel tipo di colpe ha un valore simbolico fondamentale.
specie in un contesto e in un perimetro di sensibilità provate, offese, urticate dal tradimento di un pezzo di stato, che ha rinnegato la sua ragione d'essere: quello di rappresentare le istanze Costituzionali a tutela dei suoi cittadini.
ora.
pragmaticamente non so cosa succederà. nel mio piccolissimo continuerò a lavorare, cercando di fatturare il più possibile per il progetto in divenire. e tutto continuerà a scorrere. i benaltristi continueranno a strepitare, la sinistra - probabilmente - a non rimanere del tutto unità. altri continueranno a punzonare la pancia della gente, fondamentalmente perculandola.
ma ho la sensazione che tra ieri e oggi un po' di quello iato si sia ridotto, la cesura un po' ricomposta. e che possa essere ripensato quel concetto di rappresentanza che sembrerà meno lontano e avulsa, e di appartenenza che sembrerà meno aliena, di minore alterità. non sarà una cosa immediata. ma forse è più importante che il gradiente prenda una certa direzione. ed il resto potrebbe ricomporsi senza che ce ne si accorga. roba che rimane appena al di sotto del razionale.
ma che va. hai voglia se va.
ne abbiamo bisogno un po' tutti [e non credo sia solo una cosa del perché invecchio]. non foss'altro che i tempi che ci attendono non saranno così semplici. sia per la zona di comfort di questo mondo occidentale, che per il pianeta e l'umanità tutta. meglio affrontarlo un po' meno soli. e con un'attitudine più marcata a non doverci sentire altro, rispetto uno stato che sentiamo non esattamente il nostro, per quanto dovremmo essere anche noi.

tutte cose che, peraltro, il deGre aveva già capito quasi quarantanni fa, prendendosi dei cazziatoni trombonanti da un sacco di gente, che probabilmente pensava di sapere tutto. cantava, il deGre, "viva l'italia", quando quel concetto, da certe parti, era qualcosa di retorico, chiacchiere et distintivo, sentirsi altro. l'italia del dodici dicembre. l'italia presa a tradimento. l'italia con gli occhi tristi e colpita al cuore. viva l'italia. l'italia che non muore.

Sunday, December 8, 2019

e le domande della conci [immacolata?]

di notte ho fatto gli auguri onomastici alla mia cummà.
indi mi sono coricato. apparecchiato la solita abbuffata di sogni strani.
appena sveglio sono sovvenute alcune considerazioni, come distillate, dal post precedente. è che quando sono un po' contento, tendo alla logorrea. anche perché mi si infilano una serie di pensieri che mostrano un loro senso, che ne innescano altri, che prendono senso, che ne innescano altri. e così via. alcuni di questi li scrivo. e sull'onda dell'entusiasmo provo a rincorrerli in rapporto uno-a-uno. quindi divento ancora più logorroico.
d'altro canto scrivo molto anche quando finisco nelle buchette, o il senso mi sembra di averlo perso del tutto.
quindi meglio l'altra di logorrea.
poi vabbhé l'amico professò, ieri ad un certo punto, mi ha scritto "calmati!". stavo condividendo i fuori artificiali emotivi del primo atto. fa sempre piacere quando qualcuno è pronto a condividerli con te [c'era dell'ironia, se non si era capito].
insomma.
il post di ieri sera è come il caffè compresso dentro il filtro della moka da uno, quella piccola. mentre lì accanto troneggia appena aperta la confezione famiglia.
alcune idee sono riuscite e infilarle dentro. è rimasta fuori un sacco di altra roba.
volevo riprenderle alcune, e rimarcarle. perché sono l'addentellato per un sacco di altra roba. che non so se scriverò, ovvio. anche perché è tutta roba molto più grande di me.
però ieri mi son venute alcune domande. che vorrei buttar lì. non perché abbia la riposta - è tutta roba ben più grande di me, appunto. d'altro canto le risposte, certe, univoche, inconfutabili, stanno scimmiottando di darle dei figuri, variegatamente loschi et perigliosi. e queste sono ripetute dagli emuli.
niente risposte, quindi.
penso possa essere più arricchente trovare le domande [forse] interessanti. e che nella mia testa, ieri, parevanomi assonanti con la storia del rapporto censis, i possibili antidoti personali, lo strabordare delle capitone, le sardine, i miei privilegi - in parte, financo lavorato per. e un sacco d'altro.
l'introduzione mi già ha portato via un sacco di posto nel post. quindi prendo solo spunto dalla prima, e la prima diffusa del santrambroeus come simbolica causa scatenante, in un luogo specifico, 'sta città moto a luogo del mio personalissimo progetto. è un qualcosa che, credo, sia simbolicamente significativa, 'ché si porta dietro sfaccettature, interessanti anche perché contradditorie.
quello è un evento topico. qualcosa di esclusivo, mondano, appariscente, elitario, sfoggio di presenzialità come testimonio di status sociale poco avvicinabile, contiguità col potere nelle sue forme sfaccettate, sfrontatezza di relazioni in essere.
è roba per nemmeno l'uno per cento. ci stanno quelli che sono arrivati. quelli che fanno parte di una elitè, variegatissima: dai parvenù ai [cosiddetti] professoroni. tutta gente che suscita, in vario modo, l'invidia sociale. specie da gran parte di quelli che hanno la percezione di non farcela, o che non ce la fanno. quelli che sono terzultimi, penultimi. quelli meno privilegiati. [parentesi, ma ho la percezione che costoro siano più incazzati coi [cosiddetti] professoroni, che coi parvenù. ma forse è una mia visione distopica. ma se così è, un suo senso ce l'ha. ma mica posso scrivere tutto adesso].
assieme a questo c'è, innervato e non districabile, l'evento artistico, di eccezionale unicità. la scala è [forse] il più importante teatro operistico al mondo. l'evento artistico unico, eccezionale, è l'opera che si mette in scena.
ed è talmente eccezionale, che concentra su di sé investimenti gazziGlionari. per un qualcosa che si ripeterà solo altre otto volte.
e fuori da lì piuttosto molto pochissimo d'altro. fuori da lì, come scala. fuori da lì come solo alcuni teatri e professionalità che vi girano attorno. non sono un esperto, ma da evocazioni degli addetti al lavoro c'è quasi da fare la fame. che recitare dia altre soddisfazioni che millemila altri lavori, occhei. ma la soglia della povertà è soglia della povertà per tutti.
e la prima diffusa, allora?
perché ne sono rimasto così suggestionato?
non è uno strapuntino? un succedaneo misero? un contentino alla stragrande maggiornanza diffusa, che magari pensa di esserne parte, solo perché va assieme ad altri a guardare la prima? una variante di preteso acculturamento rispetto il selfie con il potente o il famoso di turno? che questa prossimità, per quanto vista in tivvvvvù, dia l'idea di non essere escluso da quel topico elitario?
basta che la prima diffusa arrivi anche in periferia, per far sentire la periferia meno lontana dal centro?
è un lavarsi la coscienza che la prima diffusa arrivi a san vittore, al beccaria? quasi che l'animo illuminista e del laurà meneghino dia una carezza, laica, a quelli che sta bene stiano dietro le sbarre? mentre nel resto d'italia sia proprio lo stato delle carceri a testimonio di quanto si stia diventando sempre meno civili?
basta la prima diffusa, o ci vuole benaltro, benaltristicamente?
basta questo a definire una comunita? che poi significa riconoscersi dentro qualcosa più grande, che ci trascende, che è importante almeno tanto quanto noi singoli? un punto dove iniziare ad avere un ruolo sociale? che non ci fa sentire del tutto soli? specie in un contesto che può essere straniante come una città? e soprattutto nella città in cui, ormai, i single sono di più delle persone accoppiate, quindi in potenza ancora più soli?
che senso ha la prima diffusa?
perché ne ero così entusiasta?
per una cosa così eterea, sfuggente. ed anche difficile, complicata, che forse è anche necessario imparare ad apprezzare. come il buon vino ed il buon cibo. [solo che, in questo momento, il buon vino ed il buon cibo non vanno d'accordissimo con il mio stomaco. e costano molto di più.]
perché invece mi pare ci sia dentro una stilla di salvezza? è solo perché sto meglio, e mi pare di essere - al momento - non più tra i terzultimi, i penultimi, che ho la sensazione di potercela fare?
perché quell'eccellenza, diffusa e condivisa, per quanto elitaria, mi pare l'esatto antipodo delle cose urlate, sguaiate?
anche se sembra così tutto mischiato. dove l'urlo sguaiato è una specie di bordone di fondo cacofonico e continuo, l'eccellenza un volare etereo di un di un pomeriggio con le voci importanti e sublimi dei cantanti, del coro, la musica dell'orchestra.
perché è tutto così contiguo, eppure così nettamente diviso?
l'esempio sublime, di quella cosa elitaria ma diffusa, non è un di cui di un'altra cifra stilistica di porsi, di raccontare, di portare avanti le proprie idee? il modo ragionato, pacato, costruttivo, inclusivo che [tra gli altri] è l'intuzione più importante sardinesca [come declinerà, è altra cosa poi, ovvio].

insomma.
tutte 'ste favelle qui.
ce n'è di cui ragionarci sopra, e sbrodolare postico.
poi è mica detto che succeda.
ho poche risposte nette e definite.
ma mi vengono un sacco di domande.

Saturday, December 7, 2019

buon SantAmbroeus

sono appena tornato dalla prima diffusa. e mi sto cucinando un risotto.
in effetti non avrei dovuto essere qui, ma nell'hometown.
poi, qualche giorno fa, sono andato ad ascoltare davide livermore, dal vero. colloquio di storia e di attualità culturale. il tema "tosca", incidentalmente l'opera con cui si apre la stagione scaligera. a santambroeus. che al restares 'l patron de Milan. livermore è incidentalmente anche il regista della prima. ed è un personaggio che va dritto per dritto. pare piuttosto convinto di alcune idee fondamentali, e non mostra molte remore a ribadirle. cosa più semplice da fare nel contesto in cui lo ha fatto, che poi sarebbe la fondazione feltrinelli. il posto dove si offrono un sacco di spunti ad una certa categoria di eventuali radicalscìc. spunti peraltro sempre molto interessanti, dal mio punto di vista, ovvio. e gli spunti rimangono interessanti, al netto degli eventuali radicalscìc.
ero arrivato a quell'incontro piuttosto provato dalla giornata lavorativa.
ne sono uscito ringalluzzito.
livermore dapprima ha titillato evocando quello che sarebbe stato il tratto della sua regia. e mi è venuta un po' di acquolina in bocca per l'attesa. ma quello avrei potuto godermelo anche nell'hometown, guardandomela solitario con a fianco la cagnolina addormentata.
ma non sarebbe stata la stessa cosa.
già perché livermore ha anche aggiunto che quello che si fa alla scala, soprattutto per la prima, è patrimonio che è quasi un unicum al mondo. è importante per tutta l'italia, 'ché mostra un'eccellenza italiana nell'orbo terracqueo. e milano, per quella sera, diventa il centro di tutto questo.
ora.
può essere che costui abbia anche pisciato un po' fuori dal vaso.
può essere che sia l'uscita, molto orgogliosa, di uno che ha delle indubbie capacità. a cui viene messa a disposizione l'eccellenza modiale dal punto di vista musical-operistico, nonché la primizia delle maestranze, delle artigianerie, dei saperi teatrali. oltre che una imponente quantità di denaro per dar corpo alle sue visioni. e che da un ruolo apicale lui diriga - l'avvenenza erotica del potere - grandissima parte della baracca che è, appunto, unica.
ma i giudizi assoluti ed univoci comincio a credere siano veramente una strettissima minoranza [tipo che il razzismo ed il fascismo siano delle cose merdose. a prescindere, comunque, sempre. tipo].
e quindi può essere che oltre all'uscita [ipoteticamente] trombonante, ci sia del vero.
e quello che sono riusciti a far in quel teatro, 'sta sera, è stato qualcosa di pazzesco. effetto leva emozionale di un capolavoro di un visionario, qual è stato il giacomino puccini. uno che ha inventanto il cinema, con trent'anni di anticipo, componendo opere teatrali.
e quella cosa pazzesca sia a disposizione di tutti coloro vogliono fruirne, in tutto il mondo. in tutt'italia. a milano la diffondono in un sacco di spazi condivisi. perché farlo in maniera condivisa ha un'altro effetto leva emotiva. perché percepisci che è anche roba tua, come di coloro che sono dentro la gabbia dorata del teatro, coi frizzichi et lazzi et lustrini et papillon. e fai parte di tutto quell'insieme di cose che è 'sta città. dove quella cosa lì succede, grazie ad eccellenze che arrivano da tutt'italia e da gran parte del mondo. ma succede qui, non altrove. non perché è meritato, o che dia il permesso di guardar dall'alto verso il basso tutto il resto. però resta il fatto che da qualche parte succede. e succede qui. per questo è stato quasi un richiamo andarmelo a vederlo in un posto condiviso. per sentirmi dentro questa specie di comunità che - verosimilmente - non si vedrà più. farlo dall'hometown avrebbe avuto un altro senso. mi sarei emozionato anche lì, ovvio, ma sarebbe stata una roba diversa.
ora.
capisco anche che quest'ondata entusiastica viene via più facile, rispetto a contesti strutturali e congiunturali diversi.
se faticassi ad arrivare a fine mese, o fossi senza lavoro, o nelle millemila altre condizioni di minor privilegio che possono concretizzarsi. sai quanto me ne farei, di starmene in un posto quattro ore e mezzo - guida all'ascolto iniziale compresa. sai quato potrebbe farmi venir la pelle d'oca il finale da brivido, con quarantacinque secondi di musica in più rispetto alla partitura che solitamente viene eseguita. quarantacinque secondi dove livermore tira fuori dal cilindro un finale incredibile [l'aveva buttata lì: se rimarrete sorpresi sarà anche merito mio, se rimarrete delusi sarà solo colpa mia. paraculo, sapendo bene di aver tra le mani il meglio].
non solo.
mi entusiasmo per una rappresentazione teatrale. che è come fosse una ferrari costruita in edizione unica. ed intorno, nel contesto ampio culturale, è come se si avesse la possibilità avere dei macinini scassati, inquinanti, tenuti assieme chissà come. un unicum, che però se rimane unico, allora tanto vale. ed è solo il trionfalismo delle zetatielle di questa città che poterci vivere sta diventando sempre più caro. anche in considerazione del fatto abbia ripreso a marciare spedita, ed il resto d'italia arranca.
tutto questo non s'avrebbe da ignorare.
lo iato diventa sempre più ampio. da una parte insopportabile. dall'altra sarebbe anche poco onesto non riconoscere che visto sia a bordo, provo a prendermi il meglio. tipo la prima diffusa. con cui consustanziare un senso di appartenenza a qualcosa di molto più ampio. forse etereo, ma penso fondamentale: che è quello di comunità, per quanto di perfetti sconosciuti.
anche per questo 'sta città diventa il moto a luogo del progetto che mi pare di aver individuato. [progetto, che è parola facile, ma non mi veniva. è stata odg a tirarla fuori nel profluvio di considerazioni dell'ultima seduta, probabilmente la prima della nuova modalità].
a dirla tutta non è la prima volta che succede, per quanto con declinazioni e precisioni molto variegate fra di loro. lo fu trent'anni fa. poi quasi venti. poi una dozzina. quindi la statistica non mi è favorevole. per quanto aver fatto un po' pace col principio di realtà, una piccola mano potrebbe darla.

d'altro canto è proprio la realtà delle cose a trascendere i bordi di ogni ragionevole tazza [cit]. e la complessità, quando viene ignorata o sbeffeggiata, genera mostri di benaltrismo. ci vuol ben altro che entusiasmarsi per una prima, cui è possibile accedere solo se ricchissimi, ben introdotti, dove quasi nessuno capisce un cazzo di lirica. quella minoranza di una minoranza di privilegiati senza merito, in un paese stressato, diffidente, affacinato dall'uomo forte, cui guardare con astio, perché ci sono loro e non io.
già, vero.
però gli applausi entusiasti della mia vicina di posto, alla fine di ogni atto, erano un po' anche i miei. e mi hanno confermato che spesso è tutto lì, da fruire. anche se costa un po' di fatica, impegno, attenzione, concentrazione.
però alla fine rende un po' più redenti, laicamente. la bellezza dell'arte è punto di attacco della salvezza. perché è il meglio che 'sta pezzottatissima umanità continua a sentir la necessità di produrre, da quando ha cominciato a capire di non aver capito da che parte è girata.  salvezza che dovrebbe essere di tutti, ed ovviamente oggi non è così per ancora troppa umanità.
bisogna farci un po' pace, senza dimenticarsi del resto.
e godersela, quando giungon le stille, proprio per il privilegio di poterla cogliere. ed il fatto di sia statto a santambroeus, non me lo leva nessuno.

Sunday, December 1, 2019

sardinizzamenti [invero disincantati]

in effetti questo pomeriggio avrei voluto sardinizzarmi. non foss'altro per il gusto di riempire piazza del duomo, che fa sempre un certo effetto esserci con tutta quella gente.
invece ero in viaggio, sul treno, a scrivere di getto un racconto delle balle. per quanto sia stato divertente farlo.
ogni tanto guardavo gli aggiornamenti sul sito di repubblica.
avrei voluto sardinizzarmi. però con molto disincanto. d'altro canto uno dei lasciti più importanti di odg è il memento a non distaccarsi troppo dal principio di realtà. occhei a non farsi zavorrare, e fare qualche saltello leggero, tipo gli astronauti sulla luna. ma niente decolli per orbite eccentriche, che quando poi si incrociano si prendono musate dolorose.
quindi desiderio ma con judicio.
provo a spiegarmi. e parto da un po' lontano.
negli ultimi dieci anni si è sloganato a botte di vaffanculo, rottamazione, ruspe. non sono la stessa cosa, ovvio. ma tutte funzionano. sono d'impatto, arrivano dirette. smuovono e concentrano attenzione che si farà consenso. ma hanno una insidiosa caratteristica comune. sono denstruens. si portano dietro una palingenesi de noarti. de noartri perché chi, dopo la potenza, è incaricato di farsi atto, si è dimostrato essere - variegamente - incapace, quando non pericoloso. non guidano ed incanalano la pancia. la inseguono, quando non la pungolano pericolosamente.
la sardina invece parla di solidarietà, accoglienza, rispetto, diritti umani, intelligenza, non-violenza, antifascismo e allegria [se non si era capito, bisognerebbe prendere le iniziali di 'ste cose qui, e vedere cosa ne viene fuori. non è ovviamente idea mia]. chiaro sia roba del tutto opposta a quella di qui sopra. sono istanze anti-sloganistiche. che invitano al ragionamento, alla riflessione, non la reazione quasi istintuale. allargano l'orizzonte a considerare la complessità delle cose, non a banalizzarle. di certo però si fa ben più complicato l'addentellato tra la potenza e l'atto.
ora. per uno psicopipponico logorroico di sinistra come me, chiaro che tutta la vita la sardina. però mi sentirei uno sprovveduto se ignorassi un paio di questioni sul sardinamento. non è la parte di quello di sinistra che deve trovare da eccepire su tutto. ma è la parte dello psicopipponico che ha preso le musate, dopo voli pindarici lontano dal principio di realtà. e d'altro canto, far pace con il suddetto principio, aiuta tanto a trovarci sempre qualcosa di positivo, in [più o meno] tutte le cose.
provo a dettagliare.
come e perché nascono le sardine. nascono sardine perché si vuole stare stretti come, sul crescentone di piazza maggiore a bologna. sopra lì ci stanno seimila persone, strette come sardine, appunto. una in più del comizio del capitonEx di quella sera in un palazzetto. si va in piazza per manifestare contro il capitonEx. solo che il capitonEx sta all'opposizione, mica al governo. può essere che ci arrivi, ovvio. ma ora è all'opposizione. quindi più che il potere reale, interessa il potere percepito. quello che passa per l'attenzione mediatica che genera. starsene schiacchiati come sardine sul crescentone, in fondo, nasce per quella cosa banale lì. portargli via l'attenzione mediatica.
solo che ne esce una specie di eterogenesi dei fini. e quella cosa mediatica lì diventa altro, perché c'è una fottuta necessità anche di altro. è tipo quando sei in crisi ipoglicemica. basta una caramella, e risorgi. la caramella si è manifestata magnificamente quella sera a bologna. la fottuta necessità è quella di proporsi, manifestare, raccontare, acclarare che esiste un popolo, variegatissimo, che è in crisi ipoglicemica di rappresentanza.
ovvio che ci vuole pochissimo a riempire, oltre le piazze, soprattutto il dibattito, l'attenzione mediatica. è per quello che il capitonEx è nervoso, e non la sta prendendo bene.
ovvio che c'era talmente un vuoto, che ci è voluto il piccolo colpo di biglia, per genearsi un effetto non lineare. e c'è un vuoto così importante poiché chi dovrebbe farsi carico di essere da tramite, da potenza ad atto, è drammaticamente disconosciuto.
tanto che nelle piazze delle sardine non ci deve stare nessuna bandiera.
lascerei da parte le categorie morali, quindi fottesega se questa cosa qui sia giusta o sbagliata.
però farei sommessamente notare che, se non è un problema, è una questione precipua di cui si dovrà trovare il bandolo. se non si vuole far evaporare il tutto, sgonfiando la spinta propulsiva in essere.
l'addentellato, appunto.
perché io posso anche sardinizzarmi con una spontaneità rasserenante. mi viene naturale non portarmi appresso nessuna bandiera, non avendone nemmeno una. posso anche provare a cantare bella ciao [provarci nel senso che ci provo, ma faccio sempre una fatica fottuta, mi viene da piangere dall'emozione e mi si strozza la voce in gola]. ma poi, prima o poi, qualcuno che mi rappresenta dovrò pure votarlo. qualcuno che si faccia atto ad interpretare la mia potenza. la mia e quella di tutti coloro che si sono sardinizzati e si sardinizzerebbero.
perché non possono esserlo le sardine?
perché, stando così le cose, si farebbe la stessa fine dei faivstarrrrrrrrrrre. forse inanellando meno figure da pezzottamenti inguardabili. proprio perché fare politica è cosa complessa, e seria. non ostante facciano di tutto per calettarci nella testa l'idea opposta. e non basta l'onestàonestà ed il sacro furore nel culo di essere quelli più migliori di tutti e gli altri #eallllorailpidddddddì?
insomma, questa sera mi sarei sardinizzato più che volentieri. ma in questo momento sarei molto, molto, molto scettico a dar il voto alla sardina, in quanto tale. posto sarà mai presente sulla scheda elettorale. e se lo fosse, magari la voterei anche. lo farei però con lo stesso disincanto con cui ho votato il meno peggio nelle ultime elezioni.

per tutto questo osservo, disincantato. seppur ben disposto a sardinizzarmi come espressione di una potenza che sento molto simile. così come la crisi ipoglicemica.
figurarsi se so come finirà [ho idea non lo sappia davvero nessuno]. quello che mi augurerei è che quell'addentellato si strutturi, prima o poi. e che venga fuori un meccanismo che si avvicini e superi la decenza. da una parte con la potenza delle idee, dei titilli, delle suggestioni construens delle piazze sardiniche. e che dall'altro la si ascolti, la si interpreti, la si interiorizzi, senza scimmiottarla o approssimarla nel diventare atto.
potrebbero essere molto utili alcune delle loro intelligenze, fresche e genuine. qualcosa di più di quello che passa nella profferta attuale. e se fosse evitare il riflesso pavloviano che la vorrebbe cosa reiettevole, che infanga la sardina.
vuoi vedere che avremmo tutti da guardarci se qualche sardina contribuisse fattivamente?
delle minchiate pericolose dei pieni poteri, o la patacca della democrazia diretta sarebbe il caso di fare a meno. per il bene di tutti. tutti.
poi, se serve, si scenderà in piazza - anch'io - tutte le volte necessarie. [e magari riuscirò pure a cantare bella ciao]