Tuesday, August 5, 2014

post un po' foscoliano ex-ante, o forse foscolo non c'entra per nulla

oggi sono andato ad un funerale.

paesino vicino alla hometown, solo che è ancora più piccolo dell'hometown. una donna, che se n'è andata troppo presto.

ci sono andato perché conosco la figlia. oddio: conoscere è un verbo forse un po' sproporzionato. diciamo che abbiamo interloquito solo negli ultimi anni, sporadicamente, via mail e cose similari.

già. perché per anni avrei voluto conoscerla, ma non ne ho mai avuto l'occasione. a dire il vero è stato uno dei miei timidi pre-deliri da pre-adoloscente, quasi adolescente. prendavamo lo stesso pulmann per andare alle scuole superiori. lei saliva alla fine del paesino dopo la mia hometown. autobusssse pieno: le rimaneva il posto vicino l'autista, in piedi. la notai così. arrivati a destinazione, attraversava la strada e aspettava quello che l'avrebbe portato al liceo classico. sempre sola, forse timida, col ponpon in testa. non era una ragazzetta di quelle che fanno schiantare i futuri maschi alfa-dominanti. difatti colpiva e incuriosiva me, vai a sapere il perché. la osservavo, sempre da lontano. naturalmente non sono mai riuscito a dirle nulla in quegli anni.

mi raccontarono di lei, poi, durante l'università, compagne di classe. io spesso non capivo subito chi fosse e poi mi sovveniva: era la ragazza con il cappello col ponpon, con cui non avevo mai interloquito.

durante il servizio civile la incrociai spesso, io andavo in riviera, passando da milano. lei prendeva il mio stesso treno per fermarsi a pavia. la riconoscevo, probabilmente lei riconosceva di vista me [son paesini piccoli, almeno i visi ce li si ricorda]: nemmeno lì ho mai avuto il coraggio di presentarmi. rimaneva ad essere colei che ai tempi aveva il cappello col ponpon.

si era fatta donna, naturalmente. una bellezza ed un fascino non ostentato, di quelli che non attizzano i maschi alfa-dominanti. e continuava ad incuriosirmi, forse anche per via di quella sicura timidezza che pareva emanare. c'era qualcosa di magnetico in quell'aura molto acquasaponesca. probabilmente è il fenotipo femmineo che non mi inquieta, che non mi spaventa. me lo son chiesto spesso: non per solo per lei, ovvio. ma proprio per quel paradigma di donna. lei inoltre mi dava anche l'impressione, l'intuzione, l'idea potesse essere una persona che valeva la pena conoscere. suggestione, fin lì, mai verificata.

poi ci conoscemmo, un po' per caso, via mail. le raccontai quindici anni di incuriosimenti da lontano, iniziative interlocutorie finite sull'asse immaginario, posti sui treni che erano sempre un sedile più lontano di quel che avrei desiderato. tutto partendo dalla storia del ponpon. in quel periodo ero alla ricerca decisamente nevrotica di una donna con cui metter su famiglia. credo foss'anche una sorta di orologio biologico-formal-istituzionale. o anche un modo per trovar[mi] il senso, mentre stavano implodendo alcuni punti fermi degli anni fin lì. quell'infilata di ricordi, insomma, che non si ricordano come particolarmente lieti, anzi, un periodo di merda, decisamente di merda.

naturalmente non accadde nulla di che. ed io frenai, almeno con lei, la mia nevrosi urticante. poi ci incrociammo un paio di volta su un treno. e fu più semplice presentarmi. lei era già fidanzata, aveva colpito un ragazzo tedesco, che poi avrebbe sposato. però, ecco, quella sensazione fosse una persona valeva la pena conoscere - dal ponpon in avanti - mi si confermò.

la chiesa era piena, oggi, di quelle situazioni pure da paesino, ma dove cogli che le persone non sono lì per caso, o per maniera. è sempre interessante ascoltare il rito [ontologico-consolatorio?] funebre. farlo da fuori, nel rispetto delle fedi di ciascuno, fa percepire in maniera netta la necessità di dar un senso alla fine di una vita, tinteggiandone una eterna. probabilmente è lì l'essenza delle religioni. la speranza di qualcosa che vada oltre, che la coscienza della propria finitezza è blocco complicato da elaborare.

al termine della celebrazione, sua figlia, quella figlia a cui volevo essere a mio modo vicino in quel momento, ha voluto ricordarla, leggendo parte di una lettera che le inviò vent'anni fa. la voce rotta, all'inizio, e quindi la forza mite di una persona probabilmente timida, ma che poi affronta tutto quello che le viene incontro con una volontà ferma e al contempo gentile. ha spiegato il senso di quella lettera, una madre che scrive ad un figlia ventenne, che probabilmente cominciava ad incrociar pezzetti di vita. considerazioni, intuizioni, suggestioni da voler condividere. nulla di eclatante o da testamento spirituale, anzi, l'idea di fuggire le convinte situazioni roboanti di coloro che sanno e che tutto hanno capito. una specie di understatement, leggero, che sa volare alto, e riesce ad andare oltre tutte le situazioni e cose pesanti. io non so, quella figlia, quanto e cosa abbia mai messo in pratica di quella lettera. però ho percepito una sensazione di semplicità, levità che - nebulizzata - ho un po' invidiato, nel turbinio emotivo di costei.

ecco. laicamente - come in fondo "laiche" sono state quelle parole - ho re-intuito quanto cazzo avesse ragione foscolo, sull'eternità delle persone che lasciano l'eredità d'affetti. e che probabilmente quella sensazione su quel ponpon non era una deriva nevrotica basata sul nulla. ma che quelle parole tinteggiassero il solco in cui la madre ha suggerito alla figlia come muoversi. ed anche da quello derivi la suggestione che quella figlia sia una persona che sarebbe valso la pena conoscere. per quanto mai verificata così a fondo, ovvio. ma va bene ugualmente così: m'accontento della sensazione.

sono andata a salutarla al cimitero, ero alla fine della fila. ha impiegato mezzo secondo a capire chi fossi. non foss'altro per il fatto non s'aspettava di vedermi. non ricordavo gli occhi così tendente al verdone [posto che magari sono state le lacrime di questi giorni].

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