Saturday, September 26, 2020

la sposa con la mascherina

c'è un negozio pronovias - che poi sarebbe un Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] - in via san pietro all'orto [centro milano].

via che diparte da pochissima distanza dal 13 di corso vittorio emanuale [ancora più centro].

numero civico dove, a ridosso di due negozi frequentatissimi in questa calca con la mascherina nel corso di metà sabato pomeriggio di fine settembre, c'è il bassorilievo del "scior carera".

statua virile di cui son definitivamente venuto a conoscenza quest'estate, quando cercavo il significato dell'epigrafe a nobilitare una meridiana ed il suo gnomone.

gnomone e meridiana che che t'accoglie dal sentiero che arriva dal bosco, quando giungi nel paesino di cui mi innamorai - potessi farne il mio buen ritiro - nel peregrinare per i sentieri appena sopra l'hometown.

luoghi che passeggiai quando me ne stavo colà.

hometown cui giunsi dopo essere rimasto due mesi e mezzo coqua, in questo appartamentino dove trascorsi i giorni più intricati di questi tempi nuovi.

[che al mercato mio padre comprò].

insomma, passo davanti a 'sto negozio di abiti da sposa.

insomma, non esattamente un negozio che offre ai suoi clienti un genere di mercanzia che dovrebbe interessarmi, in prima istanza. quanto meno per gli almeno quattro gradi di separazione si frappongono come iato tra me e loro - nel senso di mercanzie:

  • sono un maschio;
  • verosimilmente non mi sposerò mai;
  • nella remotissima possibilità accada, dubito la mia sposa possa indossare quell'esplosione di pizzi, tullè, seta e macramè [non ho idea se il macramè possa essere utilizzato per gli abiti da sposa, non ho voglia di chiedere al signor gugòl. immagino comunque di no. ma mi piaceva il suono che fa macramè. posto si scriva così];
  • e comunque non lo si acquisterà mai in un negozio che pare ti facciano pagare anche solo per entrarci a dar un'occhiata in giro - Leading Global Luxury Bridal Brand [delimecojoni].

insomma, non sono il target cui il media marketing manager di Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] penserebbe di generare una qualche forma di engage [tutto questo overwhelming di parole in inglese]. ed ero ad un solo passo dal farmi uscire dal campo visivo quelle vetrine, e sarebbe finita lì. tra la mercanzia del Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] e me, dico. invece con quasi la coda dell'occhio mi hanno colpito l'infilata di abiti di sposa, questa sequenza e varietà di gradazioni di bianco e fogge. nella sua lontanissima correlazione con il mio sé mi è sembrata un'immagine bellissima, onusta di significati, oltre dettaglio che sarebbe stato interessante fotografare. così mi sono fermato e mi son messo a guardare dentro la vetrina, incuriosito da quel contesto e quel mondo tanto lontano, quanto da trovarmi a scrutare l'interno di quel negozio prima ancora di poter razionalizzare una qualsiasi forma di spiegazione. anche se poi, in fondo, stigrandisssssssimicazzi al razionalizzare per forza ogni volta una spiegazione.

c'era un sposa. o quanto meno una ragazza che verosimilmente sarebbe convolata da qui a qualche tempo. stava provando un abito [da sposa, meglio precisare. non si sa mai]. l'osservavano due donne ed una commessa. esattamente in quest'ordine: nel senso che le due donne osservavano non come l'osservava la commessa. si capiva anche da fuori il portato emotivo diferente delle tre. la [futura] sposa piuttosto minuta, poco seno, tanto da poter indossare un modello con il corpetto che lasciava abbastanza scoperto senza che qualcosa rischiasse di scivolar fuori. immagino avesse gli occhi chiari. non sono riuscito a capire esattamente quanto fosse giovane o graziosa. stava provando l'abito da sposa con la mascherina sul viso. mi ha fatto specie. e mi ha colpito molto. come se non avessi ancora coniugato la nuova normalità del momento di questi tempi nuovi, con il fatto di provare il vestitto con cui ti sposerai. ma è solo questione di caselline della checklist da spuntare.

tecnicamente l'abito non mi convinceva molto, per quanto possa capirci io di abiti da sposa. pochino, direi. però mi sembrava poco coerente. un blow-up di veli, velette, cascate di tulle quasi a rendere casto un abito che lasciava scoperta sensualmente la schiena e copriva appena le tette che la futura sposa non aveva granché. oltre ad una vaporosità da soufflè bianchissimo della gonna, o come si chiama la parte sotto. tanto che la futura sposta con la mascherina agguantava a rimboccare, agguantava a rimboccare, agguantava a rimboccare per riuscire a scoprire i piedi e le scarpe che sembrava avesse necessità di controllarsi.

mi son trattenuto dal verbalizzare i pensieri di critica, che mi stavano sgorgando con un po' di cinica ironia. per fortuna. anche perché avrei fatto una involontaria e potenziale figura di merda. un attimo dopo, difatti, sento che la ragazza che ho accanto - di cui prorpio non mi ero accorto - risponde ad altri passanti: si son fermati pure loro davanti la vetrina, guardano con un occhio forse più lieve ed incantato del mio. "è mia sorella. non ci fanno entrare in più di due, oltre lei, per fortuna si sono messi qui così posso guardare anch'io". è molto emozionata. lo si capisce anche se ha la mascherina sul volto. mi riesce addirittura di dirle "però è bello dai. puoi capire, valutare e dare anche tu il tuo parere da qui, come se fossi dentro con lei".

e d'improvviso tutto è cambiato di prospettiva. o meglio: ero io a non averci pensato prima. una cosa molto banale, ovvia, scontata. erano solo delle caselline della checklist lontane da quelle che mi sarebbe venuto da spuntare. non ostante tutto la gente continua a sposarsi, provare i vestiti emzionandosi con i parenti accanto. c'è solo da indossare la mascherina e igienizzarsi le mani quando entri nel negozio. ed al limite il vestito della sorella lo si può osservare da fuori la vetrina. emozionandosi ugualmente.

tra le altre millemilamiGlioni di cose la gente continua a sposarsi, fare all'ammmmmmmore, riprodursi, crescerli, faticare, verosimilmente scazzarsi facendo appassire un rapporto, quando non chiudendolo. e se anche ci si sposa meno e ci si separa di più il senso profondo della considerazione mica devo spiegarlo, no? la gente continua a vivere: con la mascherina, distanziandosi quando riesce, igienizzandosi le mani. la gente continua a vivere, non ostante qualche impaccio in più, al netto che io riesca e vincere o meno - anche solo a tocchettini - il mio di impaccio corpaccioso. sfidando il mio debosciato, sottile, nascoso timore di metter fuori il naso da casa, tornare più o meno a far quel che facevo prima: con la mascherina, distanziandomi appena posso, igienizzandmi le mani. al netto sia stanchino, piuttosto spompo, un po' incapace di sprizzicolevolezze esistenziali, quanto meno imbozzolato in questa malinconica serenità che m'avviluppa.

sì. decisamente. percepire l'emozione della sorella è stata una cosa tanto imprevista quanto toccante. come fossimo davvero tutti più forti di questi tempi nuovi. cosa che ovviamente continuano a ripeterci e sloganare. ma io forse, ancora nel profondo, non so quanto sia riuscito a convincermene del tutto. 

appena prima di riprendere il mio peregrinare solitario per la via le ho detto "beh, allora auguri. e che sia una festa bellissima". non gliel'ho detto per circostanza. ma perché lo sentivo davvero dentro. che possano farlo non ostante le mascherine sul viso [beh, poi sì, ogni tanto se le toglieranno].

forse non se l'aspettava: ha ringraziato tra il meravigliato ed il formale. ma non è un grosso problema. e comunque non sembrava aver 'ste gran tette nemmeno lei. me ne sono andato. con un po' di groppo in gola dall'emozione. non potrei nemmeno escludere mi si siano inumiditi un po' gli occhi, pensando all'emozione di costoro, e tutto quello che provare quel vestito con la mascherina significhi, pur dal mio procedere incerto. non sarebbe comunque cosa degna di nota, o gran novità del periodo. oramai ne hanno contezza quei tre che passano da qui: questi tempi nuovi mi hanno - se possibile - rammolito ancora di più.




Sunday, September 13, 2020

roccapane e i campi dove scorrazza stracciatella [nel senso della setterina]

sto leggendo l'ultimo romanzo di michele serra. l'ho tirato su quasi per caso in biblioteca, nell'ultima compulsiva visita cornucopiale.

invece è una bellissima rivelazione.

la lettura mi sta regalando momenti inaspettati di serenità, di quella avvolgente, defatigante, oltre a strapparmi qualcosa di più del solco lungo il viso che è specie di sorriso [cit.]. nulla di esageratamente iperbolico, una cifra stilistica a voce calma e senza sbalzi irsutici di tono. ma che ti porta, implacabile, nella testa ragionante del protagonista. che è uno stronzo, che ha capito di esserlo, oltre forse che senso darci al tutto. tornando alla terra. che non è che sia lui a tornarci, ma come moto a luogo che non è arrendersi al logorio della vita moderna. un ritorno fondamentale per capire - apputo - che senso darci al tutto.

e mi sta piacendo leggerlo, tanto. non so quanto c'entri la valenza artistica del romanzo. ma l'effetto che mi riverbera dentro leggerlo [che poi a volte sono intimemente legate, 'ste cose]. e comunque l'effetto, in questi momenti, sono stille da godersi per intiero.

ci sono tratti che lo capiso attilio ciampi campi, quando parla del lavoro fisico. e del pensiero che vagola, anche se a lui non capita come capita a me me, quando faccio hard-gardening. anche se non bisogna dimenticare che attilio ciampi non esiste, se non nella lettura traspositiva di quello che è stato nella testa di serra, quando gli ha dato sostanza della vita creativa.

cazzo, che bello che è fare quella cosa.

comunque, dicevo, che attilio esiste a tratti nel riverbero di lettura di ciascuno che legge quel libro. mentre io esisto, con qualche perplessità in più di attilio ciampi campi, molto reale per quanto solo nella mia testa. così come esiste l'hard-gardening come mia esperienza, reale, di tornare alla terra.

dove c'è però solo la pars destruens: taglio, estirpo, eradico, sramo, poto, strappo. attilio ciampi campi fa molto anche in pars construens, oltre che ragionare - tra l'altro - di un rogo, che non so se ci sarà nel romanzo. ma se ci sarà mi immagino sarà catartico.

la mia amichetta Ilà mi ha detto dovrei conoscere una sua amica. che ha messo in cima alla lista del parterre di donne che vorrebbe farmi conoscere. c'è questo dettaglio logistico che vive dalla parte diametralmente opposta d'italia rispetto la mia. che non è esattamente qualcosa di conforme alla regola della mezz'ora di metropolitana di distanza, massimo. nemmeno dopo essere di nuovo automunito.

però questa sua amica vive a ridosso di campi - che dal differisce dal nome del protagonista del romanzo,per una sola i. campi che coltiva più o meno da sola, e del cui dono sembra ogni volta meravigliarsi e ringraziare. non ho capito bene se ci campi del suo lavoro nei campi, e/o cos'altro faccia. non ho capito nemmeno com'è messa a tette. ma entrambe le istanze sono quisquilie di cui adesso - davvero - non mi interesso.

però godendomi quegli attimi di inaspettata serenità che mi regala la lettura del romanzo di serra, mi sta venendo una grandissima curiosità. che si traduce in un'insensato desiderio. capire meglio quel percepire del senso di dono, che questa amica dell'amichetta Ilà racconta e condivide. e se non siano in realtà l'uno il controcanto dell'altro. e mi verrebbe da chiederle: fammi lavorare nei campi per un po'. anche per quel che riuscirei a fare col mio fisico debosciato, quasi quanto la capacità di cogliere il senso che - davvero - mi si è incasinato via. con tutte le perplessità che mi si agitano dentro. e che la lettura dei propositi di attilio ciampi campi un po' placano.

fammi lavorare nei campi che ti donano tutto quel dono. in cambio chiedo solo ospitalità e la possibilità di avere l'esclusiva delle coccole a stracciatella, la setterina ultima arrivata. si sa abbia un debole per i setter. per cui mi sciolgo. poi questi tempi nuovi mi hanno debosciato - ulteriorimente, dico. torna tutto. anche la necessità di coccole, bastasse solo farle ad un cane. e nel mentre provo a dipanare il groviglio del senso. che alcuni pare - pare - l'abbiano un po' più chiaro.

 

Libertà è un rogo ben congegnato

[updt. il fatto è che ho scritto il post avendo in testa che il protagonista si chiama attilio ciampi. e invece no. si chiama attilio campi. poi uno dice fa miGlioni di refusi, se sbaglio anche solo a leggere il nome del protagonista del romanzo. quindi è campi. come i campi di cui l'amica dell'amichetta Ilà, di cui non so se campi. ma come scrivevo, direi che è qualcosa su cui si può quisquiliosamente sorvolare]

Friday, September 11, 2020

i sogni ricorrenti di settembre

l'altro giorno se n'è andata la mamma della vibù. lei la chiamava per nome. per trasposizione quando faceva riferimento alla mia, era la stessa cosa. a me 'sta cosa ha sempre fatto un effetto strano. non è stato un evento improvviso. mi aveva accennato che come effetto a latere di questi tempi strani, avevano scoperto fosse stata imboccata la china definitiva, rapida. in queste settimane spesso l'ho pensata, alla vibù dico, anche se ci sentiamo ormai assai poco. mi dicevo: devo sentire come sta la sua mamma, come sta lei e il papero. poi spesso mi censuravo, rispondendomi: come vuoi che stia, te l'ha detto qualche tempo fa come sta.

ovviamente non ho mai conosciuto la mamma della vibù, però me ne parlava. era comunque una presenza significativa, importante a suo modo. difficoltà di intrecci di affetto compresi. non dev'essere stato semplice, per nulla. specie per la fatica di questi ultimi tempi che sono inziiati parecchio tempo addietro.

ci ho pensato spesso.

ed ho pensato di chissà come e quanto capiterà a me. per quanto non so se riuscirò ad essere bravo come lei. o forse sì. chissà però come ne uscirò, nel caso. dando per scontato che più o meno succederà prima o poi. e sprando non accada il contrario. più che per me - beh, sì, dai, un po' anche per me - per far sì le sia risparmiato il dolore più grande possa capitare ad una persona, ad un genitore.

ho ancora molti amici, conoscenti, relazioni più o meno vaghe, che li hanno ancora entrambi, i genitori. ve ne sono invece alcuni che no. c'è chi anche lì ha già persi entrambi. con costoro sento un legame - comunque - particolare. come se percessi la vibrazione di quella corda finissima, che risuona nel luogo più intimo di ciascuno passato in mezzo a quell'esperienza. a chi è successo dopo di me, cui non ho imbarazzo a guardare negli occhi, per cui quella vibrazione è nuova, così ancora sconosciuta. a chi è successo prima, di cui l'imbarazzo a guardarlo negli occhi è scomparso, scoprendo quel suono che diventava noto.

quando conobbi la vibù quella mutua vibrazione risuonò. per quanto ci fosse accaduto con un bel po' di anni di distanza. lei, per una qualche chiamata di destino, aveva gestito quei tempi in un modo che la letteratura russa avrebbo saputo raccontare bene. me la raccontò i primi periodi in cui ci conoscemmo. quando a lei toccò passare attraverso quel passaggio da giovane, che dovette improvvisarsi adulta. ha rimosso la data di quel giorno, che mi si piantò invece facile nella testa. il giorno dell'appello del primo tentativo di fisica I. quando davvero non avevo ancora capito un cazzo di una fottia di cose, oltre ad essere sceso nella metropoli afosa non abbastanza pronto, anelando ad amori improbabili, struggendomene come un pirla. pensavo di star a pagare il giusto fio alllllammmmmore di cui alla fine avrei goduto per diritto divino acquisito, invece stavo buttando carbone nella caldaia delle mie nevrosi più destrutturanti.

mi è sovvenuto tutto questo, oggi, quando ho letto del sogno ricorrente che fa la vibù. che ha raccontato per salutare la sua mamma. mi è sovvenuto tutto questo, assieme al fatto che prima o poi potrebbe capitare a me. specie in questi tempi nuovi di passaggio, nel rapportarmi con matreme. anche se non so mica bene passaggio per dove. tempi in cui sto capendo [forse] qualcosa, complicandole così la vita. malinconico come quasi qualcosa non riesca ad evitare. non fosse per una dolorosa assertività mia. mi è sovvenuto quanto sia complicato e legante il legame affettivo. lo è stato per la vibù, a suo modo. lo è per me, nel mio. e mi è sovvenuto "film blu". il primo della trilogia di kieśloswki. e quella chiave di lettura che sentii suggerire, fuori dal cinema dove l'avevo appena visto, da una specie di radicalscìc un po' centrosocialotta di allora. di cui mi diede fastidio il tono da radicalscic un po' centrosocialotta. quando buttò lì l'idea di come il legame affettivo porti seco un paradosso. quello per cui la rescissione, dolorosa, può far sì che - tra le altre cose - possa dispiegarsi e prendere vento e aria la tua libertà. la libertà della solitudine o la solitudine della libertà.

io non so se o quanto la vibù oggi sia più o meno libera. sicuramente è più sola. ora saranno due le corde a suonarle dentro. poi ci sono persone, donne e uomini, che sono casse armoniche più vibranti di altre. da abbracciare forte.