Saturday, August 26, 2023

il partriarcato che ccciabbbbiamo dentro [mi è tornato in mente quello stronzo di essemme]

ogni volta ascolto gli aggiornamenti sui due stupri di gruppo provo, se possibile, un disagio sempre più importante. i tiggì sguazzano non poco su dettagli degli stupratori, da cui le idee vendicative che germinano nell'intimo. più che finir in quel gioco pruriginoso mi sommuove un pensiero di affetto doloroso a quelle bambine, a quella ragazza. i soprusi degradanti che hanno subito. il dolore, la paura, l'umiliazione che devono aver provato. lo strappo che è stato prodotto dentro di loro. l'idea di come il trauma le attanaglierà chissà per quanto.

provo disagio. deve essere l'eco del fatto di appartenere alla categoria dei maschi. non c'entro, però sono un rappresentante, e rarissime tracce di patriarcato me lo porto dentro. è l'essere il complemento oggetto di quella sensazione - sensazione neh? - che m'è parso di percepire - parso di percepire neh? - con l'[ex]amica roby: sei un maschio, di qualcosa ti devi vergognare, piccolo o grande, passato o futuro sia. non so dove finisca l'empatia ipertrofica e dove inizi il martellamento nevrotico di coglioni - coglioni, i miei, uso quella metafora. non lo so e non è così necessario capirlo fino in fondo.

e in questo titillarmi sul patriarcato che c'è pure in me - tanto o poco, passato o futuro sia - mi è tornato in mente essemme. essemme è una delle persone che più mi sta sui coglioni, nella personalissima topfaiv, forse topfriii. di certo il collega più stronzo con cui abbia avuto a che fare. non è un sentimento mi perseguiti, sento però che l'antipatia che provo per lui - tuttora - sia qualcosa di liberatorio. ho avuto delle bedvaibs su di lui piuttosto velocemente. non subito, ma ad una prima occasione ben fattuale. le bedvaibs più consolidate e disturbanti ne derivano. ancor oggi, che non si ha più a che fare con lui, ancora adesso mentre scrivo. un moto di anti-affetto lungo la schiena perseverante. la sensazione potrebbe fare la qualunque, al di qua del codice penale, per ottenere quello che ha in mente. forse qualcosa anche al di là, del codice penale intendo. in altri contesti ed in altri momenti avrei sollevato la polemica molto più platealmente di quel che è capitato. anche solo per dargli addosso. magari pure fottendomene ne sarei uscito ridicolizzato, se non perdente e pesto - sperabilmente solo in modo figurato.

essemme ed io siamo agli antipodi per la quasi totalità dei versanti. al netto di essere due maschi bianchi, probabilmente etero, probabilmente cisgender. il probabilmente è perché ho una ragionevole contezza solo per me medesimo. e la serenità verso le situazioni altre ne è rappacificante conferma.

mi è tornato in mente essemme. non è improbabile sia diventato pure genitore. è piuttosto più giovane di me, sposato da una spicciolata di anni. convolò dopo essersi conosciuti, lui ed io intendo, immagino che la consorte la conoscesse da più tempo. uno degli auguri di felice matrimonio meno autentici abbia mai pronunciato. forse avrei dovuto essere più coerente e non augurargli nulla. 

vabbhè. comunque.

non è improbabile sia diventato genitore. sarebbe oltremodo interessante fosse padre di una femminuccia. sarebbe cioè interessante chiedergli: ehi, essemme, ma te come la prenderesti se qualcuno, qualche maschio, tra qualche anno, dicesse di tua figlia come di una cagna? senza che peraltro lei abbia fatto nulla da doverselo lontanamente meritare. per il semplice fatto non esista ragione acciocché una ragazza, una donna, venga definita cagna. se non una [s]ragione che intende le donne meno degne. più o meno alla mercé del maschio, anche solo per permettersi di definirle cagne. è uno dei riverberi del patriarcato. nel definire cagna una donna c'è dietro un miscuglio di cultura retrograda, culto del sé, desiderio di sopraffazione che levati. e che mi fa decisamente schifo. e un po' mi vergogno siano i maschi - mai troppo pochi - a pensarlo.

come peraltro, essemme, probabile pensavi quando hai baldanzosamente e livorosamente scritto in quella chat di gruppo di colleghi - tutti maschi, ovvio. ti ricordi essemme? qualcuno scrisse di una collega, era appena stata assunta là dentro. scriverne non per elogiarla. e tu, dddammmblè: lei è una cagna. così, solo per una qualche ruggine pregressa.

come reagiresti, essemme, se dicessero così di una tua figlia? te la prenderesti, ti caricheresti di odio, solo perché creatura tua? o da quello shock riusciresti ad intuirne la portata perversa, da retroguardia culturale? la degradazione della percezione e considerazione della donna: la intravvedi? capiresti che, se la puoi definire come nemmeno più umana, i gradi di separazione a pensare ne si possa abusare non sono poi molti? ti si accenderebbe la lampadina sul fatto che è anche nelle necrosi degenerative della cultura patriarcale che si può concepire l'idea di stuprare una donna? e che si passa anche per il definirla cagna?

quando lessi quella chat ne fui turbato. da una parte non capivo come si potesse essere tanto stronzi. da un'altra mi sembrò tutto così coerentemente illuminante. era roba da lui, disprezzo misogino che stava nelle sue corde. ne parlai con un paio di colleghi, condividendo l'indignazione. non trovai tutta questa comunanza di percezioni. ne fui basito, forse perché non mi capacitavo non ne comprendessero la portata tossica. o non la trovassero poi così tossica. "in fondo è un bravo ragazzo" mi disse quasi imbarazzato uno dei colleghi, invero non esattamente maschilista, che mai l'avrebbe scritta una cosa simile, ma probabilmente anche lui coi piedi a mollo in quel brodo di cultura.

allora non feci molto di più, se non caricare a molla il mio bias verso costui. fui quasi tentato di fare la sbirrata e farlo leggere a chi, in ultima istanza, facevano riferimento. per dire: io a fare una sbirrata. [per quanto, là dentro, arrivasse ad eicharrr un'uscita del genere, si verrebbe licenziati. giusta causa, un buon modo per ostare le retroguardie culturali.]

mi è tornato in mente essemme e quell'episodio. roba smossa dal turbamento al pensiero di quelle bambine, quella ragazza. il contesto e brodo che ne ha fatto vittime del tutto incolpevoli. senza dimenticarmi di tutte, le troppe [una sola è gia troppo] occasioni ricorrenti, dove le donne non sono stuprate dal branco, ma uccise da maschi: assassini oltre che sommersi da un senso di inadeguatezza perversa, idea di dominio disumano, patriarcato purulento.

essemme ed io siamo fottutamente diversi. io vorrei espuntare i residui da pensiero patriarcale che ci ho dentro, da qualche parte. con tutta l'antipatia che provo verso di lui, comunque, gli augurerei: ho la vaga sensazione tu ne sia imbevuto in maniera satura, disintossicati! fallo per educare le eventuali tue creature. in maniera non faccia danni come - ho idea - abbia fatto in te. non proteggere le figlie, bensì educare i figli.

Friday, August 18, 2023

farneticazioni [ma per chi?] e chiagne. [disclaimer: nemmeno comincio a confutarle, le stronzate di 'sto fenomeno]

che poi, qualche lustro fa, 'sto tipo col basco mi avrebbe mandato in sollucchero. prima del servizio civile, intendo. e prima di conoscere il nonnetto. in solluccherò perché quelle cagate sarebbero state propellente fantastico. un simile concentrato di farneticazioni, scritte orgogliosamente da un generale. avrei scatenato tutta la mia indignazione in un qualche artitcolozzo, che al massimo sarebbe uscito sul giornalino di cose così dell'hometown. uno stracciarmi le vesti retorico-sintattico, la clava semantica per magnificare la mia riprovevolezza. ci avrei dato dentro. prosa ridondante, subordinate di subordinate di subordinate, proluvio di avverbi, leggibilità piccola piccola. che a pungolarmi adesso, tre o quattro a leggermi, tze.. dilettanti: rispetto a quel che sarebbe servito allora per arrivare in fondo, intendo.

è che allora, in fondo, mi stavo strutturando, cercando un personalissimo senso del sé. che passava anche dalla prosa intricata. che ingenuo coglioncello, mi faccio quasi tenerezza. passava pure nel rivendicare un'alterità rispetto ad un pensiero e visione delle cose: quello militare. bastava dargli addosso. avevo scritto cose molto puntute per molto meno di 'sta roba qui, appena pubblicata. il militare, un tocco di mondo, guarda caso, che mio padre non disdegnava, anzi. per ben altre ragioni, ovvio. tipo il rito di passaggio nel far l'alpino, che è roba antropologica per un gran pezzo di nord d'italia. dargli addosso al militare era anche per distinguermi da mio padre. se con cifra sintattica laocoontica ancor meglio. ora intuisco fosse  per richiamare la sua attenzione. alterità, allontanarmi quanto più possibile, per riconoscermi e farmi riconoscere. peraltro quando gli dissi sarei stato obiettore di coscienza mi disse: mi spiace non sarai alpino, ma fai quello che ti senti. poi dice che alla fin fine, da odg, prima o poi uno ci finisce.

vabbhè. divago.

dicevo.

'sto fulgido testimonio, testa di ponte di foriero di minchiate, allora mi avrebbe mandato in sollucchero. ora osservo con una [disgustata] curiosità. che a stracciarmi le vesti anche basta. ci vuol un sacco di energie ed è solo scena.

no. a 'sto giro ci son due-tre cose che mi han colpito. un paio mi son saltate subito all'occhio. l'ultima l'ha sostanziata stamani il luis della radio. che a volte mi fa girare i coglioni che levati. raramente però solleva temi di dibattito che non siano interessanti e centrati. peraltro lui che sui soscial, il dibattito spigoloso, sembra evocarlo con gaudio. piace.

il primo paio: il tono giaculatorio da chiagnisteo, e la rivedicazione del diritto all'odio.

con la scusa del fatto sia un sentimeno - l'odio ed il disprezzo - allora è un qualcosa che deve potersi esprimere liberamente. che è un qualcosa che va contro la freccia del senso dell'evoluzione dell'intelligenza umana: specie quella collettiva. mica mi sfugge siano prosperati tragicamente - e prosperino - regimi che sull'odio ed il disprezzo fondatno la ragione d'essere. ma continua ad essere qualcosa che va contro quella freccia evoluzionistica. che avanza a fatichissima, neh? ed ho idea se ne vedranno delle belle in futuri nemmno troppo lontani. ma avanza. odio e disprezzo sono il punto d'inizio per annullare l'altro che non sia me, oppure noi. si può ragionare per categorie: dagli a tutti coloro che non sono della mia. qualsiasi cosa significhi catetoria, peraltro nel suo essere fottutamente cangiante: cambi il setup iniziale, etvualllà, cambia la categoria. altro da annullare che non son io, non siamo noi: dagli addosso. porta 'sta cosa alle conseguenze ultime: arriverai ad annullare tuo fratello, qualsiasi cosa significhi fratello, anche nella versione più queer si possa immaginare [loro non lo chiamano queer, che sembra una malattia. però in fondo lo è. se lo scoprono dan fuori di matto]. è talmente cosa contro la freccia dell'evoluzione che ovvio generi turbamento. lo sai, dentrodentro, che è una stronzata. lo sai che è come tirarsi legnate sulle tette o sui coglioni. certo che taluni lo fanno. ma è pur sempre la manifestazione di un disturbo [senza giudizio sul disturbo, ovvio. è constatazione]. lo sai che è controsenso a quella freccia: c'è un baluginio di senno, più o meno nel profondo, in ciascuno - ciascuno. ed il gioco per ovviare, per non rimanerne storditi dal propugnare il controsenso, è la chiagna. i revascisti, i controseenzienti, chiagnano perché provano a fottere, il senno. chiagnano perché vittime del pensiero unico, ostracizzati dai poteri forti, usciti dalle catacombe dove furon costretti a ripararsi. chiagnano che dovettero ripararvisi dai maestrali del senso imperante. quel che era a loro avverso, e che adesso vogliono sovvertire. ora che son fuori le catacombe, nuove ere, cui daranno slancio e vitalità. 

però intanto chiagnano. come i fasciti di oggi. che quelli a quelli di ieri è andata male.

figurarsi ora 'sto fenomeno col basco in testa. testé destituito dal suo ruolo attuale per aver espresso le proprie idee. chissà il chiagnere, orgogliosamente ma chiagna.

che poi, le sue idee. ma saran solo sue? questa la suggestione del luis. che nuovi fasci governino [ed infatti spesso chiagnano] ed escano con fiera pugnatezza questo coacervo di banalità retrive, forse ha un qualche nesso, non solo temporale. occhei. però. quelle cose che 'sto fenomeno ha vergato - 347 pagine, poi so io quello che sbrodola - in quanti lo pensano? anzi. in quanti, tanto o poco, rischiamo di continuare a pensarlo? quanto, di tutte quelle fandonie miserevoli, non uscirebbero dopo una bevuta cameratesca, magari in certi contesti più o meno trivi? quanto ce le abbiano attecchite dentro, magari in fondo, nascoste. talmente nascoste perché sappiamo siano controevoluzionistiche. contronatura, ma non nel senso banale e misero, con cui 'sto fenomeno etichetta chi non ama e/o scopa come lui. [che poi, c'è pure nei bigini delle patatine: ostentare fobie morali e sessuali è desiderio represso. lo sa anche il mio gatto]. quanto non sia ancora radicata, per un'inevitabile reminiscenza di paura del diverso. un'eco che viene dagli arbori dell'intelligenza collettiva. che allora aveva financo una funzionalità dfensiva, meccanismo conservativo. e 'sta cosa è lì, ce la portiamo dentro. e quanto di una certa cultura, e le sue aberrazioni, zampetta nei meandri dei pensieri più reconditi. magari pronte a dire: ehi... ci son anch'io, quando - magari - arriva il pungolo bacchettante del pensiero di contrappunto: il politicamente corretto. tutto impettito e fastidioso a riprenderci. quella specie di maglia che - per fortuna - si è cominciato a costruire come argine. anche con i contraccolpi che però produce. come da rigidezza delle infrastrutture valoriali, di linguaggio, di visione del mondo che si ergono più o meno subitanee. ovvio possa arrivare a stare sui coglioni. anzi: sui coglioni e sulle ovaie. con tutta la artificiosità di nuove trivialità non discrimanti.

quelle stronzate - la cacca la fanno tutte, tutti e tutt*, non si sbaglia - probabile le pensino ancora svariegate frotte di persone. che magari rivendicano, per un attimo, di volerlo pensare, perché non se ne può più della stronzata dell'asterisco di tutt*. perché la complessità della realtà è diventata così lampante così troppo velocemente. e uno si rifugia in cose più semplici, anzi: semplicistiche. ma d'altro canto contro-evoluzionistiche. tanti o pochi? figurarsi se posso saperlo io. continuo ad essere uno fottuto settarizzante: non riuscirei ad interloquirci, figurarsi frequentare gente che lo manifesta, anche solo accennandolo. ho la sensazione non siano così pochi, qualsiasi cosa significhi pochi. ho la sensazione che le creature nuove siano - almeno in questo - un po' favorite. che è probabile stiano più lontane da certi brodi di coltura di cultura. le rigidità del politicamente corretto a qualcosa serviranno pure. tanto che per alcuni è ormai normale ovvietà. quando la norma favorisce l'attecchire di cultura virtuosa. perché è sempre la cultura a vincere, se se la gioca con la norma [semicit.].

forse i fasci hanno una qualche utilità. sono talmente in ritardo con la storia che le ritrosie più muffose, storiche e culturali, sono in sincrono coi loro tempi. e illuminano in maniera chiara quel che di retrivo ci portiamo appresso. una specie di segnale luminoso, a chiudere la parte più lontana ed azzoppante della fila. sono in affanno persino a star dietro alle retroguardie. poi ovvio chiagnino.

Saturday, August 12, 2023

MM ed il mio bias, gli affetti e le relazioni che immaginavo [o sognavo] [disclaimer: post sgradevole]

michela murgia ha un bellissimo sorriso.

che poi a me, michela murgia, stava discretamente sui coglioni. soprattutto a ragione di un bias. roba scatenatasi quando la incrociai ad un evento bookcity. prima di quel momento non ne avevo letto una sola riga. per quanto avessi già letto di lei. che a sputtanare uno come salvini, financo in maniera ragionata, puntuta e inconfutabile, ovvio che comunque della simpatia te la suscita.

poi in quell'incontro sputtanò mostri sacri della letteratura, umanamente. raccontò che, quel che si era conquistata, le aveva dato la possibilità di incontrare gente, e che gente. ma che pessimi incontri ed incroci ne erano usciti. roba da non voler più passare nemmeno attimi con costoro. ed io pensai: è esattamente quello che stai suscitando in me, nei tuoi confronti. raccontò tutto con la sua cifra stilistica, [quasi] poi sempre ritrovata: eloquio pazzesco, lucidità e ragionamento velocissimo, e la necessità [percepita] di essere schiettamente urticante, fino al fastidioso. la forma che [mi] offusca la sostanza, ne rende la visioneaberrante, nel senso ottico del termine. mi diede delle pessime vaibs. ne uscii piuttosto provato.

poi ne ho letto qualcosa. non mi ha mai fatto dire davvero: vuau, che ssstoria. paradossalmente quello che ho trovato più interessante è stato ave mary, il libro sulla ragazza che fecero divenire madonna. però il grande vuau, ecco, no.

forse è stato anche il bias, roba del tipo: visto che ti poni così, dimostrami di essere davvero tanto avanti. così come son certo che il bias non me l'ha fatta sussumere appieno, quando la ascoltavo in tivvù. c'era sempre l'atteggiamento che mi coglievo ontologicamente incazzoso. e molto del resto, che era comunque mai banale, ne usciva disturbato.

non mi è mai sfuggito però un pensiero altrettanto disturbante. se n'è sempre stato in un cantuccio, e lì l'ho confinato. però ieri i ricordi e le testimonianze che si sono moltipilicati, dopo che se n'è andata, lo hanno fatto deflagrare. [roba disturbante al termine di giorni molto, molto, molto faticosi al lavoro [che a maggior ragione mi piace ancor di meno]]

a lei son riuscite - bene - una discreta serie di cose che sognavo [mi illudevo] di fare io, venti-venticinque-trent'anni fa. al netto delle notorietà. proporre idee e suggestioni della realtà che la attraversava, per poterla raccontare, dire, suggerire, ragionare. una specie di filtro poliedrico e policromatico. intellettualità che si fa anche arte e pungolo. occasioni, situazioni, incontri, che ti si offono per poi farne altri spunti. e così via. io mi illudevo. lei lo ha fatto.

senza perder di vista la cosa obiettiva. a lei, alla ragazza, non è stato regalato nulla - nulla - e tutto quello che si è conquistata è stato merito suo. ha fato svariegati lavori e da questi ha tratto ispirazione per quello che ha restituito dopo. e da lì è venuto tutto il resto, e gli effetti moltiplicativi delle reti relazionali.

io mi son baloccato a studià una facoltà che - sapevo nel profondo - mi interessava poco, che non era la mia. e facevo il bravo ragazzo oratoriano, in quel bozzolo uterino dove ero quello sui generis così amico del prete. e mondi giravano solo nella mia testa. così sublimavo la realtà, oltre che i mattoncini con cui stavo costruendo la mia non-risoluzione.

la ragazza aveva un talento fuori dal comune, questo lo si capiva anche con il bias. lei era capace, tanto capace, e 'sticazzi la cifra stilistica urticante. mi arrogo però la sicumera di pensare che avesse una obiettiva consapevolezza del sé, una certezza del proprio valore e capacità, una fiducia dei propri mezzi. e tutto questo stesse in magnifico equilibrio. niente di egotico, sbracato, solipsista: quella è tutt'altra specie, e si sgama facile. questo equilibrio le ha fatto investire in modo pazzesco, i suoi talenti. e tutto quello che ne è sbocciato è qualcosa per cui provare gratitudine. e la notorietà la propaga lontana quella gratitudine.

io non so quanto sia più limitato il mio di talento. probabile si giochi in campionati diversi. di certo so quanto riesca ad arrivare - a tratti - a disprezzare la mia consapevolezza del sé, sia aberrata la certezza del mio valore e delle mie capacità, quanto sia evaporata la fiducia nei miei mezzi. e tutto questo stia in un discreto disordine e disequilibrio. e la compulsione a far girar la ruota del criceto li faccia aumentare. e mi giustifichi nel mummificare i miei [pochi?] talenti. la compulsione che alimenta e produce bozzolo soffocante. e immagino sia comunque uno spreco: importa poco sia grande o piccolo.

mi piacerebbe averne un solo tocchettino di quella fiducia in sé che aveva la ragazza. per quanto sia una frase senza senso.

e poi c'è la faccenduola della condivisione della sua malattia. non so dove finisca la sua propensione a rimettere in circolo quello che la realtà le proponeva, quand'anche fossero tabù, per ragionare anche su quello. né so dove inizi una specie di ipertrofia di quella sicurezza nei suoi mezzi, che rischia di diventare pure quella disturbante. posso intuire - da molto lontano - che una persona, cui diano pochi mesi di vita, non si ponga nemmeno il problema. son questioni che si fanno bazzecole. nemmeno perderci l'attimo di porsi il dubbio, visto che gli attimi si stanno esaurendo. e sarebbe di viverseli tutti al meglio.

tra le molte suggestioni di questa sua condivisione, mi ha colpito il fatto se ne sia andata tutt'altro che sola. circondata la sua famiglia queer. sintesi di quella che deve essere stata la sua rete sociale, affettiva, intellettiva. con tutte le interlocuzioni che la vivificavano. quella roba che da senso ad una gran fottia di roba. quello scambio che al contributo di ciascuno aggiunge smpre qualcosa: altre armoniche, nuance, linea melodiche a giustapporsi. ed il brano che ne esce è sempre più ampio della somma del contributo dei singoli. un'esperienza bellissimamente non lineare. credo che la murgia se la sia costruita pezzo e pezzo, meritandosela tutto. probabile lì non mostrasse quella cifra stilistica, da cui il mio bias. raccontano fosse molto simpatica, non c'è motivo a non creder loro.

credo l'abbiano circondata e accompagnata nel migliore, affettuoso, amorevole dei modi si potesse fare. son certo avranno fatto anche di più.

nel mio infantile sognare di allora, quello che avrei voluto realizzare venti-venticinque-trent'anni fa, c'era anche questo. non necessariamente l'idea di una famiglia queer [dovevo comunque ancora distaccarmi del paradigma piccolo borghese]. quella che mi avrebbe accompagnato nel momento in cui te ne vai - ovvio, allora ti senti ancora piuttosto immortale. però c'era l'idea, l'intuizione, la sensazione della necessità ed il desiderio ex-ante, l'essere circondato da persone che collaborassero, fossero sostanziali nel realizzar quell'illusione mal sognata. quella rete di coloro non mi facessero sentire sui generis, come in quel fare oratoriano, uterino, così amico del prete. coloro che avrebbero contribuito a metter giù i brani, il cui confronto sarebbe stato bellissimo ed entusiasmante: dare e avere non lineare. molto anni dopo ho [ri]ascoltato il termine happening creativo, ecco, quello. ne avevo già avuto l'intuizione. allora mi venivano alla mente l'amica elisabetta e paola, l'amica monica, l'amico daniele: tutta gente piuttosto sconosciuta a vicenda. ma che sapevo ci saremmo capiti, nel modo avrei voluto essere capito, e viceversa. e da lì ne sarebbero arrivati altri. tutta una rete di persone da cui trarre spunti e suggestioni.

era tutto nella mia testa. mentre mi adoperavo, quasi a mia insaputa, acciocché le cose andassero in altro modo. con il pensiero lisergico di avere a disposizione il tempo di quattro-cinque esistenze. poi capita che altre cose ti succedano, quando sei impegnato a programmarne [o sognarne] di tue: si chiama vita [semicit]. e mo son qui nel bozzolo asfittico, a consumare, anzi sprecare, altro tempo, che diventa sempre meno.

il tempo di michela murgia è terminato. lei l'ha adoperato in maniera pazzesca e con una discreta capacità di realizzazione [eufermismo]. è talento anche questo. anche con l'eco dei suoi modi urticanti, che non scendono a compromessi. sopravviverà anche per quello. e se l'è conquistata pezzo a pezzo, meritata ogni singola emozione riuscirà a far riverberare negli altri.

bias o non bias.

[e che mi ritorni addosso la sensazione di irrisolto fallimento è solo una personalissima coincidenza]

Monday, August 7, 2023

livorismi [post buonista. per quanto, buonistiuncazzo]

e così concita de gregorio [concita] ha scritto 'naminchiata. ha dato dei decerebrati assoluti, "deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo", ad alcuni influensertittoccher, che hanno distutto un'opera d'arte, solo per farsi un selfii. decerebrati come epipeto, categorizzazione insultate. il fatto è che coglioni ontologici lo puoi utilizzare in un blogghettino da cul de sac. la de gregorio [concita] forse l'ha pensato, ma non l'ha scritto - qualche vantaggio a scrivere solo in un blogghettino da cul de sac ce l'hai, suvvia. deficit cognitivo come insulto. ovvio sia una 'naminchiata. per quanto, lo scrivo con molta onestà, avessi letto con una certa distrazione quella specifica striscia [quotidiana, che ogni tanto incrocio] non sono così sicuro avrei provato riprovazione immediata. utilizzo distorto di un termine, che arriva da lontano, che ho assorbito come molti. evito di usarlo. ma potrei - potrei - non coglierlo sempre e comunque.

quindi la 'naminchiata, da cui un discreto sciiitstorm soscial. a dirla tutta: ho saputo della 'naminchiata scorrendo - per caso - la mia limitata bolla soscial, giusto quei pochi minuti in più il sabato mattina. chi ci ha scritto nella mia limitata bolla soscial lo ha fatto, invero, con poca volgarità. ma con un puntacazzismo da ditino giudicante. uno mi ha colpito, nella sua spocchia eterodossa e pipponcinica. la riassumo un po' tranchant - mi scuso per questo: sticazzi se ha dato dei decerebrati, almeno si è lasciata andare, che di solito è insopportabile il suo aplomb buonista, che tutto quello che tocca pensa diventi oro. [che poi signifca voler distinguersi dalla massa, e poter comunque cazziar fendenti retorici].

ho letto anche di un intervento del padre di un ragazzo autistico - con deficit cognitivi. per certi versi forse l'unico, come categoria, con il diritto di provare una certa indignazione. da questo papà niente puntacazzismo, o sdegno giudicante: concetti limpidi, con parole nette e dignitose oltre che certo, amareggiate. d'altro canto quella roba della de gregorio [concita] era 'naminchiata. oggettivamente.

ecco.

la de gregorio [concita] ha chiesto scusa. sommessamente e sinceramente. non ho motivo per non crederle. forse sono un ciuccio.

ho ri-controllato lo scarnissimo di cui della mia limitata bolla soscial. a verificare di effetti di quelle scuse. niente-niente-puntacazzismo al quadrato. quest'ultimo a dare, surrettiziamente, del ciuccio a coloro che hanno creduto alle sue scuse, con la retorica del chiagnersi ciucci che non hanno capito. scrivo ciuccio non a caso, è il termine che ha usato costui. sempre che i ciucci non si offendano, o qualche difensore dei dritti degli animali per loro [peraltro l'asino è più intelligente del cavallo]. e nel puntacazzismo al quadrato stigma alla sinistra radicalscic che frequenta le terrazze dei parioli.

'sta cosa qui mi ha fatto riflettere. con un paio di spunti, probabilmente banali.

la prima: il livorismo tira. quanto la minchiata è totalizzante, catalizzatore di voglia di mulinar di polpastrelli sui tasti. come sia necessaria, quasi benedetta, per far partire il moto di sdegno che va ad autoalimentarsi. ormai è una specie di categoria massmediatica, con cui chiudere l'occhiello di alcune notizie: sdegno soscial. quindi di contrappunto, controcanto quasi afono, le scuse non fottono a nessuno [sono un ciuccio, le credo sincere]. forse è perché c'è poco da commentare. forse perché commentare: sono contento che costei abbia chiesto scusa, può sembrare cosa moscia. senza mordente, pochi laich di certo. forse per evitare di sprecar tempo a scrivere col ditino puntato: ha fatto solo il suo dovere! come liquidava spiccia mia nonna, quando matreme portava a casa pagelle interessanti.

un po' lo capisco, neh? una puntata di gomorra - la serie è fottutamente più adrenalinica di una di un posto al sole - commediodramma eterno che c'era già prima che mi laureassi. il punto però è che lo sciiittstorm è più numeroso e di qualità molto più bassa di un posto al sole [sono spocchioso, chiederò scusa]. gomorra son cinquantotto puntate in sette anni.

la seconda: il livorismo forse è un'altra declinazione della volpe e l'uva. magari con la storia del buonismo che ha rotto. che roba banale, neh? d'altro canto sono un ciuccio. che la de gregorio [concita] può essere assurta a categoria. quella che scrive, sta in tivvù. scrive essenziale, parla pacata e con garbo, non si altera. sempre con questo aplomb quasi atarassico. che fa da ditino puntato, surrettiziamente livoroso. livoreggia e punta il ditino, altro che. e poi, figurarsi se non frequenta le terrazze parioline, come conseguenza inevitabile. roba da enunciazione della categoria. a me non fa molta fatica ammettere che sì, ecco. a me non dispiacerebbe fare una cosa alla de gregorio [categoria]. potrei al limite rinunciare alle terrazze parioline, in cui si manifesterebbe il mio imbarazzo di ritorno, regressivo. tutto ciò, ovviamente, senza essere capace quanto la de gregorio [concita], quanto meno nel fare il lavoro della de gregorio [categoria]. coloro di cui ho letto il livorismo camuffato, così come di altri, magari sarebbero - tecnicamente - più capaci della de gregorio [concita], e mica sfigurebbero come de gregorio [categoria], anzi. e magari si chiedono, più o meno inconsci: perché la de gregorio [concita] a far la de gregorio [categoria] e non io? che sicuramente loro non sono radicalscìc, neh? perché ovviamente i radicalscìc son sempre gli altri, e figurarsi se la de gregorio [concita] non lo è, come non può non volere essere rappresentante della sinistra radicalscìc. d'altro canto la de gregorio [categoria] non può non implicare il fatto si sia maître-à-penser della sinistra radicalscìc, altro elmento di enunciazione.

tutto questo senza che la de gregorio [concita] necessiti di un pezzottatissimo difensore, peraltro in un post altrettanto pezzottato, oltre che sbrodolato.

e senza che la de gregorio [concita] sia esattamente la prima persona a sovvenirmi, pensando a qualcuna o qualcuno che a leggerla o ascoltarla mi faccia dire: uau, botta di adrenalina intellettiva. d'altro canto la de gregorio [categoria] spesso ha contratti per produrre strisce, quotidiane o poco ci manca. mica puoi sintetizzare degli spartiacque socio-psico-filosofici ogni giorno. specie in milleottocento battute.

quindi, tanta stima. senza esserne 'sto gran fan, figurarsi prenderla come riferimento da radicalscìc pezzottato qual sono, tanta stima alla de gregorio [concita]. che magari è pacata e con aplomb quasi atarassico, proprio perché è riuscita a diventare de gregorio [categoria]. forse sarebbe meno pacata, nel caso non fosse una de gregorio [categoria], e quindi anche lei col suo ditino puntato, più o meno livoroso, contro una de gregorio [concita] che non è lei. per quanto tecnicamente capace. non abbiamo il contro esempio, quindi a posto così.

così meglio il buonismo della de gregorio [concita], e le sue scuse: d'altro canto son ciuccio. piuttosto che il livorismo, scritto bene, ficcante et puntuto, che ti spiega qual è la chiave di lettura, nella complessità della realtà delle cose. che a parti invertite son quasi certo farebbero lo stesso. anche se ancora non abbiamo la controprova. di certo incapperebbero tutte e tutti nella personalissima 'naminchiata. con tutto lo sdegno soscial conseguente. radicalscìc de sinistra che non sono altro, quelli come la de gregorio [categoria], intendo.

troppo invitante il livorismo.

Saturday, August 5, 2023

pezzi sparsi qua e là, di sabato mattina

come ci fossero dei pezzi. sparsi qua et là.

il sabato mattina, spesso, è un momento difficile. specie dopo una settimana pesantina, là dentro, che non basta ma contribuisce parecchio. a 'sto giro scrivo. che di suo non guarisce, come mi hanno chiesto. ma un po' comunque cura.

 

mi son tagliato i capelli. ormai c'è un rito, appena fuori dal salone del parrucchiere, mando una foto a matreme. solitamente mi decido a tagliarli quando il pungolo materno [quando vai a tagliarti i capelli?] ragguinge una certe densità, domande per unità di tempo giornaliero. a 'sto giro sono saltati tutti i canoni. roba molto allungata, molto. ormai non lo chiedeva più da tempo. fatti almeno la coda, si è ad un certo punto arresa. poi mi è stato fatto notare che non solo i miei capelli e la mia inazione, con effetti di tricoanarchia. anzi no. che l'anarchia ha un animo nobile. diciamo: tricodisordine. e comunque è il riverbero che ha sugli altri. che io mi guardo nello specchio rare volte al giorno, il mio potenziale interlocutore mi osserva in maniera quasi continua.

comunque. mi son tagliato i capelli. ho mandato la foto. perché sei così incazzato? - mi ha chiesto. non sono incazzato - ho risposto - non sono capace di tirar fuori un sorriso, più o meno artefatto, che non mi sovvenga dal contesto. e financo quando son sereno, spesso, non mi viene da sorridere. son lieto dentro. dentro. appunto. come se un pezzo di mondo dentro non venisse fuori. siccome ho smesso [quasi del tutto] di essere spocchiosamente solipsista, non funziona il: non sapete che vi state perdendo. per questo non ne sono così fiero.

anzi.

figurarsi il sabato mattina.

che poi io lo capisco che non basta asserire: ce l'ho dentro, il mondo. gli altri sono fuori. e non bastiamo a noi stessi. lo capisco, mi è chiaro. ma poi l'effetto è quello che un po' mi demoralizzo. come se uno prova, prova, prova. poi accade tipo la storia: è bravo, si applica neh?, però 'uncelafà.

ben chiaro il sabato mattina.

 

se mai proverò davvero di scrittura creativa, saprò di esserci riuscito anche quando i miei personaggi scoperanno in maniera piuttosto abbondante. e con levità, senza troppe sovrastrutture. come se fosse un cosa molto naturale, quasi scontata. roba tipo che mica ti sembra strano uno respiri, no?

sono sovrastrutturalmente in affanno, saturazione bassa.

ed è come se il sabato mattina si fosse intruffolato anche oltre.


[poi c'era anche un altro pezzo. quello del sogno sull'amico daniele, un paio di notti fa. a 'sto giro non c'entra lo scazzo che abbiamo avuto, probabile in modo irrimediabile. però quel sogno mi ha profondamente turbato. volevo suggestionare l'amico luca, in privato, mi son trattenuto. volevo scrivere anche di quello. ma farlo sui sogni non è mai così semplice. di un sogno sull'amico daniele lo è ancora meno. figurarsi di una cosa che mi ha turbato. con il sabato mattina che ha sfondato tutte linee di confine del pomeriggio]