Thursday, April 30, 2020

considerazioni non assembrate /18: poliedricismi [ma tanti tanti tanti]

quindi.
vivo nella capitale pandemica - per ora. che ha più casi in valore assoluto, ma non è nemmeno tra le peggio per numero di abitanti. vivo da solo, in questo appartamentino piano basso con un balconcino, che è complicato, ed in taluni momenti demoralizzante, ma nemmeno messo peggio della famigliola qui sopra che in pochi metri quadri in più vivono in quattro. faccio un lavoro che non mi piace e che farlo da casa titilla ancora di più le mie nevrosi masochistiche, e quindi mi sfibro ancora oltre, ma è molto meno peggio di coloro che un lavoro ora non ce l'ha [più]. sono solo, appunto, quindi devo badare e pensare solo a me, molto meglio di coloro che hanno a capo una famiglia, delle creature. ho l'umore che va di moto browniano, ma mooooooooolto meno peggio, proprio un altro campionato, quasi un oltraggio anche solo pensarlo, di coloro che 'sta porcheria se la sono beccata, in termini variegatamente impattanti. per non dire dei morti [figuro renzie, posso scrivere che l'uscita sui morti di bergamo e brescia che chiederebbero di riaprire è una porcata da avvoltoio bavoso? beh. appunto. l'ho scritto].
insomma.
passo attraverso questi giorni in una situazione che, nelle sue mille sfaccettature, non è da condizioni ottimali. ma pur sempre molto meglio di molte altre.
è come se questi tempi nuovi avessero dilatato il principio di realtà e la complessità correlata.
come se avessero ingrandito a dismisura le millemilamiGlioni poliedricitià di facce di questa googoliana medaglia. ci sono conclusioni in ambito teoria delle stringhe che sostengono che le dimensioni siano più di un paio di dozzine. solo che quelle oltre le quattro già note sono accartocciate a livello sub-quantistico, in quello delle stringhe appunto.
ecco.
è come se questi tempi nuovi avessero gonfiato il palloncino e dispiegato quelle venticinque dimensioni di cui dovrebbe essere composta la nostra realtà.
che è oltremodo ancora più complessa.
talmente complessa che chiunque - chiunque - può dire quasi qualsiasi stronzata [quasi, neh?] ed in fondo un po' ci prende. lasciando fuori millemilemiGlioni di altro. ma nel proprio piccolo, piccolissimo, ci prende. il tutto è talmente grosso e complesso che quasi qualsiasi pisciata [quasi, neh?] un qualche pezzo di un qualche vaso lo piglia comunque.
mentre bisogna essere davvvvvvvvvvvvvvvero molto bravi per tirar dentro un pezzo importante della complessità degli eventi. o davvero molto illuminati. non serve un elemento metafisico che riveli, ovvio. ma molta, molta, molta, intelligenza logico-emotiva. e grande capacità di analisi e di sintesi.
non ce n'è in giro così tanti.
invece leggo di tantissimi che catoneggiano il loro immarcenscibile, puntuto, rivelato punto di vista. mica solo politici [sì, vabbhé, quella roba lì. per capirci dico]. no. no. di un po' di tutto. elemento comune è che chi non è d'accordo non ha capito un cazzo. e soprattutto è degno di improperi e di stigma che cala implacabile.
un po' tipo questo post, d'altro canto. che non fa molta differenza. se non quella che ho le idee confuse.
forse siamo tutti stanchi.
forse siamo impauriti, variegatamente.
forse non abbiamo tutta 'sta voglia di convivere con 'sta porcheria. ma ci tocca. ad alcuni tocca più che ad altri. almeno dall'inizio della fase uno.punto.uno. più che fase due.
dal mio pisciar fuori dalla tazza io sarei curioso di sapere se hanno pensato a come rafforzare la medicina del territorio. o come hanno pensato di pianificre una campagna di tamponi, per seguire gli eventuali nuovi contagi. come gestiranno i controlli sul rispetto di certe norme per chi dovrà lavorare. perché l'epidemia non riparta, neh? solo per questo. cosa che - pisciata per pisciata - ho un po' timore succederà. e poi cosa hanno pensato di fare per i bambini, i ragazzi, che a scuola non ci torneranno. come assisteranno le persone in difficoltà. la cassa integrazione in deroga per chi è senza lavoro. chi un contratto in mano non ce l'ha. i prestiti agevolati per gli imprenditori in difficoltà.
queste cose qui.
complesse?
vabbhè.
provo a catoneggiare il meno possibile.
sui congiunti affetti stabili e amicizie vere mi frega poco un cazzo. le dissertazioni sugli stravolgimenti Costituzionali dei diiippiiiccciemmme di giuseppIfossette le ascolto più distrattamente. non che non siano importanti. ma la speculazione politica sciacalla che ci sta intorno è ancora più fastidiosa. non che non ce ne si debba occupare. lo facciano chi ci capisce, e poi lo spieghino. le dissertazioni di quelli che ne sanno pure di quello, come ieri di epidemiologia, fanculo.
che io i poliedricismi [ma tanti tanti tanti] della realtà un po' mi spaventano.
forse sono stanco. forse ho l'umore che va di moto browniano.
forse devo affrontarla ancora di più pur io.
e comunque, tutti gli altri pisciatori che schizzano qua e là con le loro pugnette, possono andarsene affffffffanculo, serenamente e pacificamente ovvio. che in parte sbaglio a sfancularli. ma in gran parte ci prendo.

poi, lo scrivo col culo al caldo, mica non lo so, mica lo nego, mica non lo ribadisco. però. meglio impoveriti, ma vivi. che a riaprire da morti la vedo più complicata, e solo uno sciacallo politico può farne slogan d'effetto [putrido] nell'aula del senato della Repubblica.

Saturday, April 25, 2020

piccolo intermezzo: #bellaciaoinognicasa e considerazioni veloci

un po' sapevo sarebbe stato un giorno emotivamente complicatino. in senso bello, ovvio. pregno, suvvia.
mi sgorgano pensieri veloci.

dice che rinasceremo come allora. viene da sperare di credergli. non fosse che da qualche parte bisognerà pur ancorarsi. figurarsi, che uno trova un'immagine epica tipo questa [che qualcuno ha il culo da essere lì a fotografare questi spazi così vuoti]. figurarsi, un demoscristiano all'altare della patria. per dire. o forse è riuscire ad andare dentro il senso delle cose. o forse uno si è infighettato.
dice che rinasceremo come allora. ho ascoltato le storie di coloro che si misero alla testa di quella rinascita. che poi furono quelli immediatamente contigui a coloro che salirono in montagna. coloro che furono antifascisti durante un regime, che notoriamente non è semplice come fare i fascisti in una democrazia. ecco. allora la classe dirigente fu questa. adesso non abbiamo esattamente dei personaggi così, di quella levatura. e quindi rinasceremo. sì. qualche perplessità sul come e con quello che ne verrà. ma questa ci toccherà vivere. rinasceremo, ma v'è da stare in guardia.



ed a proposito dei fascisti, o quelli col culo al caldo che si professano tali facendolo in una Repubblica Costituzionalmente fondata sull'antifascismo. in fondo il venticinqueaprile fa decisamente comodo a loro. che sgagazzano fuori tentativi di eccepire, confutare, revisionare, proponendo svariegate minchiate, cercando un qualche capzioso elemento di difformità, sperando [?] di far venir giù il resto. che poi il resto sarebbe l'impalcato che li ha messi dalla parte delle scelte sbagliate della storia. o forse non sperano proprio nulla. cercano solo i quindici minuti di notorietà.
ecco. ho usato in maniera netta e con consapevolezza aggettivi e verbi affettanti. per acclarare - credo - un elemento critico. che cioè i fascisti, o emuli odierni,  stanno da quella parte a fomentà perché è l'angolo puzzolentino in cui [si] sono costretti, perché forse è financo più comodo. poi sì, puoi frignare di essere minoranza in una maggioranza culturalmente cattiva che ce l'ha con te [poi, di nuovo, è comodo frignare in una Repubblica Costituzionalmente antifascista]. e che in gran parte della loro narrazione faccia giuoco la condanna ed il tono, tra il giudicante e il perculante, gli si rivolge contro. specie da quelli convinti dell'altra parte. ed il giudizio perculante sia inevitabile, quanto faccia loro comodo, ma alimenti tutto un altro sacco di cose poco liete e costruttive.
[occhei. probabilmente non è così chiarissimo. ma è un'idea psicopipponica che mi gira in testa da tempo. e che magari distillerò [vabbbhè, sticazzi come sempre]. e che si può riassumere in maniera semplice così: il secchione è quello che riesce meglio a scuola, e nel momento in cui fa notare a chi non studia che converrebbe studiare, quello che non studia ha inviso il secchione, studierà ancora meno e si racconterà che essere secchioni è da sfigati. [poi quando sarà grande è tutt'un fiorire di revanscismi, se stuzzicano loro la pancia con l'idea che essere secchioni è roba da kasta elitaria contro il popolo. il problema nasce quando quelli che non hanno studiato divengono discreta maggioranza]].


la manifesta oggi mi è mancata. molto. anche se mi ci butto in solitudine. come peraltro sarei anche adesso, solo intendo. solo che mi serve, mi piace, mi completa buttarmici. mischiarmi in quella moltitudine. spesso timidamente e senza appunto socializzare. osservo da dentro quel fluire variegato di popolo: confortante nella sua variegazione. ha una sua stranezza, in fondo, alla luce di questa sociopatia che si raffina e si struttura serenamente. forse è l'ennesimo paradosso. o forse è la conferma che comunque tutto questo ha senso all'interno di una comunità. di una moltitudine. che non siamo un'isola. si nasce e si muori soli, occhei. ma tutto quello che ci sta in mezzo si struttura di senso solo contemplando una socialità. che serve a costruire gli assoni per divenire i neuroncini di questa cosa fantastica che è la coscienza ed intelligenza collettiva. il cervello pensante di un'umanità sbattaccchiata qua e là dagli eventi. ed a volte ci sono eventi che sono più eventi di altri.
anche perché, da certi eventi, o si esce da compagni o non se ne esce [cit].
appunto.
s'ha da venirne fuori. e chissà come sarà.

Thursday, April 23, 2020

considerazioni non assembrate /17: ombelichismi da fase due

ascolto molto la radio. facile. lavorando da casa è di fatto sempre accesa.
in alcuni momenti pare di ascoltare una seduta di autocoscienza collettiva. quando telefonano o scrivono le radioascoltatrici et radioascoltatori [io ascolto solo, non telefono mai, scrivo rarissimamnte. so' timido].
stamani il tema era, non esattamente una novità, l'approssimarsi della fase due.
sono arrivate le suggustioni più antipodali si possano immaginare.
gli estremali erano:
  • questi sono pazzi, non siamo per nulla pronti, non si sta facendo nulla per. io me ne starò il più possibile in casa;
  • usciamo, ripartiamo, riapriamo, ricominciamo. non è possibile stare in casa finanto che saremo certi che il tutto sarà passato.
io ho avuto una sensazione molto netta. è che tutta questa claustralquarantena abbia esacerbato la percezione ombelicale del tutto. credo sia inevitabile, figurarsi. a furia di far rimbalzare il proprio respirare tra le medesime mura si perda un poco [un bel po' tanto di quel poco] la visione d'insieme, larga. e quindi tutto si rifà a quel che passa dentro lì, nel rimbalzo tra quelle mura.
e che sia solo uno dei tanti effetti di un'altra percezione che ho avuto da subito. confrontandomi con interlocutori che non stanno dove sono io. dove il qui è fottutamente precipuo. dove milano è fottutamente un'altra cosa che il resto di altre zone della lombardia. figurarsi di zone di altre regioni. figurarsi di zone di altre nazioni.
ogni qui è davvero una cosa diversa uno per ciascuno. ed il ciascuno ha il suo qui, che è il contesto più importante, prossimo, cogente. per non dire unico.
sarà che forse la fase due che riparte abbbbbbbbomba a milano, è davvero diversa da altro. considerato come siamo messi, ora esattamente qui. che è il centro della merdosità.
quindi.
uno a como, per dire, forse ci ha pure voglia di rimettere fuori il naso di casa.
uno nel mezzo della natura poco densamente popolata di montagna, per dire, forse non vede 'sta grande differenza tra le varie fasi.
uno a milano, per dire, forse si pone il problema a come sarà fottutamente complicato anche solo salire su di un autobus.
ed il resto in gran parte sparisce. per tutti.
forse perdendo un poco [un bel po' tanto di quel poco] di intuire gli ombelichi degli altri.
posto sia effettivamente così [magari mi sto facendo dei film pazzeschi, dopo tutta questa solitudine], ed è un bel lascito che bisognerà faticare un po' a lasciarsi alle spalle, dopo.
qualunque fase sia.

[comunque, nel mio piccolisimo, credo ci stiano mandando in fase due davvero un po' come achicojocojo. e certi effetti fanno effetto soprattutto qui. che la pochezza - mediamente - di chi dovrebbe gestire cose, rischia di rivelarsi anche decisamente pericolosa. da una parte spero di sbagliarmi - assolutamente. da una parte spero che se capiterà si apriranno gli occhi su 'st'inetti. quindi, finché potrò, me ne starò chiuso. a far i conti col mio ombelico. sperando di non dimenticarmi troppo di tutto il resto. che c'è mica solo il mio ombelico]

Wednesday, April 22, 2020

considerazioni non assembrate /16: ricorrenzismi

e quindi niente.
oggi è giornata pregna.
compiono gli anni - tutti assieme - persone importanti.
è il giorno che ci lasciò il mio nonnetto putativo.
sono ben dieci-anni-dieci che conobbi la mia amica paola, che in realtà si dovrebbe chiamare agata.

sarà che forse ho il magone facile in 'sto periodo, ma sono un po' di giorni, che al pensiero di questo di giorno, mi viene una specie di groppo in gola. come se sentissi ex-ante il portato emotivo che s'accompagnerà.
perché tanto per cambiare si percepiscono le pregnanze dalle assenze. quello stillicidio di paradossi che adornano le cose che ci toccano, e che spesso lasciamo andare. stupidamente. o forse perché siamo sbadati.
forse ci volevano questi tempi nuovi a rimescolare le cose, le carte. e insufflare in cima al mazzo quelle che non pensavi.
tipo che non immaginavo quanto mi sarebbe mancato non essere da matreme a farle gli auguri. anche se probabilmente non glielo dirò. specialmente proprio oggi.
come un'eco anticausale di mancanza e di nostalgia profonda che, prima o poi, è probabile proverò. non so quando. spero più in là possibile. ma ho la vaga sensazione sarà una versione ingrandita ed irrimediabile di 'sta cosa qui. tipo anche quella che mi piglia quando ripenso al mio nonnetto putativo.
l'assenza.
esperienza che ora è companatico quotidiano, che l'appetivo è più le volte che va da quelle in cui viene. il calco al negativo della solitudine, scelta in cui mi sono infilato io apposta, in passato, a piccoli morsi. questa cosa qui invece, quel che ne esce al positivo da quel calco, è ben altro.
chissà se ne imparerò la lezioncina. che ogni assenza è un tocco che viene meno, a prescindere.
chissà se mi ricorderò qual è il dono dell'altro. anche se spesso ho le mie titubanze, le mie vergogne, le mi incertezze, le mie tensioni a starmene per i fatti miei e negarmi gli altri.
oggi è giornata pregna. ed a suo modo importante. come le altre, ma qualcuna lo è quel tocchettino in più.
ricorderemo chi se n'è andato. titilleremo il decennale dell'inizio amicizia. faremo auguri gentliaci.
a matreme farò arrivare una piccola piantina. come sorpresa che non si attende.
e tutto, mi adopero per, sarà un po' meno assenza.

Sunday, April 19, 2020

considerazioni non assembrate /15: cosa è casa [volevo far un post breve, è che dieci anni son tanti]

[premessa. forse è un po' retorico. sicuramente è sbrodolato. ma va bene così, ugualmente. c'è di mezzo la casa]
ho intuito, nel mio piccolo, che il trasloco sia la terza fonte di traumi, per importanza.
son passato in mezzo ad un lutto [facendomi partecipe non solo del mio].
le mie storie para-sentimentali son sempre finite prima ancora di cominciare.
ed ho percepito quanto lancinante sia cambiare casa. non importa quanto lo desiderassi, non importa quante e quali speranze vi riponessi. spostarsi è stato faticosissimo, nelle settimane precedenti vedevo di fronte qualcosa di molto fosco, foschissimo. quando era tutto pronto e già pagavo il fitto, ho comunque impiegato giorni prima di decidermi e passare la prima notte qui dentro.
esattamente dieci anni fa, come oggi.
era stata la mia ecs socia, qualche mese prima, a buttarmi lì la suggestione: secondo me è ora che tu ti decida ad andare a vivere da solo. in quei giorni ce l'avevo con lei, anche se non osavo ammettermelo. soffrivo uno dei primi momenti di frustrazione lavorativa e non solo, che si sarebbero poi disseminati copiosi da lì a qualche tempo. ma quelli erano ancora i giorni in cui davo per assodato che qualcuno dovesse darmi alcuni tipi di la, segnatamente lei. e così fu anche quella suggestione. mi si accese la considerazione dell'inevitabile. roba del tipo: sì, s'ha da fare. non ostante le paure e le titubanze: e quando sarò malato? e riuscirò a starmene del tutto solo? potrò permettermi l'affitto?
a dirla tutta, perché bisogna essere onesti intellettivamente, furono proprio gli ecs soci a darmi un grande aiuto, pragmatico, per concretizzare il tutto. intravvidero loro la peculiarità di questo appartamentino. sono loro che la azzeccarono con: è questa. in quel momento ebbero ragione, compatibilmente. e così divenne la mia casa.
in un pomeriggio del principiare della primavera di dieci anni fa, dopo che mi ebbero consegnato i primi mobili, feci due passi qui attorno. dovevo pur far conoscenza con la zona dove sarei venuto ad abitare. il caldo gentile, la luce che si spargeva. via sardegna mi sembrò bellissima, il cono al cioccolato fondente double della gelateria sotto casa un piccolo orgasmo sensorial-gustativo. ed io mi sentii felice di tornarmene a milano, mica quel succedaneo della stalingrado d'italia. come non confrontare, impietosamente, quel viale alberato nobile che avrei visto ogni volta uscito di casa, con la direttrice milano-monza, rumorosa, con il capolinea della rossa a poca distanza, che passava sotto il balcone nella casa di sesto. in quell'appartamento in cui non osai invitare nessuno per otto anni, se non una persona - che travolse le mie titubanze, con le sue tempeste bellissimamente impetuose - [poi sì, ci dormì una notte anche matreme, con estremo imbarazzo da parte mia].
no. qui sarebbe stato diverso. sarebbe stato un nuovo inizio. quel pomeriggio di inizio primavera, mentre attendevo i primi mobili leggevo "sei pezzi da mille". e pensavo che lì dentro avrei scritto cose memorabili e che mi avrebbero permesso di cambiare vita. pensavo a chissà quali persone ci avrei amato. alle persone con cui avrei condiviso il desco. al bellissimo piano di marmo della cucina che mi avevano consigliato. a come l'avrei arredata nel dettaglio, a come sarebbe diventata casa mia, la mia home, a tutta la vita che sarebbe passata lì dentro, in mezzo a quelle pareti che avevo voluto arancioni. alla bellissima festa inaugurale avrei fatto non appena il caldo avrebbe permesso di starcene la sera con le finestre aperte. a tutte le cose bellissime sarebbero successe.
si può continuare ad aver appiccicati dei brandelli di visione infantile della realtà, pure a quell'età come dieci anni fa. e pensare che appunto resistano pervicaci brandelli di realtà in cui sia così magnificamente separato ciò che è buono da ciò che non lo è. e che iniziare ad abitare qui avrebbe significato solo cose buone. in maniera apotropaica.
ovvio non poteva andare esattamente così.
senza dover tirar in ballo per forza la sfiga, cosa in cui non creda, come ben si sa. forse mi è semplicemente girata in maniera non così buona. solo una questione di caso meno favorevole. o forse solo nodi che son venuti al pettine, in maniera piuttosto inevitabile: solo questione di tempo.
con tutta una serie di contraddizioni, peraltro.
dovevo ancora finire di montare alcune cose e dal mio punto di vista finì l'aziendina, per quel che fu la mia personalissime e lancinante percezione. capii come la mia ecs socia intendesse la cosa preziosa che consideravo fosse la nostra amicizia. fu un piccolo punto angoloso. con tutto quello che ne seguì.
[poi vabbhé, ci furono altre cose sparse qua e là, tipo:
  • proprio in quei giorni scoprii di avere finito i soldi, di fatto. per quanto in affitto, metter su casa - vuota - non venne via gratis, ed erano due-tre anni che non si guadagnava già quasi nulla. non restava che sperare che l'aziendina ingranasse. appunto;
  • qualche giorno dopo una vecchia [vecchissima] amicizia mi si offrì, senza chiedessi nulla. visto che mi si offriva provai a cogliere, per quanto fossi ben poco convinto. ma avevo una casa tutta mia, poco da perdere, e fui sincero da subito. quindi non ostante qualcosa che non era esattamente un rapimento di sensi, baci mai così avvolgenti, capezzoli mai così belli, una tensione erotica tanto occlusa [in lei, soprattutto] quanto stimolante e torbida nel suo non riuscire a spalancarsi. e così fu l'esplosione repentina e turbinante di nodi irrisolti suoi, avviluppati, soffocanti carichi di rabbia. smisi di cogliere. ne rimasi scottato, anche per tutto il livore che mi scaricò addosso;
  • nell'estate che ne seguì lavorai ossessivamente e frustratatamente [grazie 'michi Liude et Luca di avermi accudito];
  • la mia salute dentro rischiò, considerato tutti quegli eventi, a partire dalla ecs socia. fu il mio ecs socio a propormi di farmi dare un mano. e quindi venne odg, che uscì grazie ad un suo contatto. odg, con il suo studio qui accanto. un caso, probabile. un segno, se uno ci vuole credere, per quanto in senso molto lato;
  • nel giro di pochi  mesi si ruppe un pluviale, sminchiando parte della nuova tinteggiatura, e lavori che inzaccherarono non poco. entrarono i ladri in un pomeriggio di ottobre.
insomma mesi iniziali non proprio facilissimi].
quindi può essere una banale coincidenza. o forse una specie di sintesi metonimica di quello che poi è stato negli anni successivi. che non c'entra la casa in cui si abita. o forse solo in parte. o forse nella casa ci si vi riflette quello che uno è, e quello che il principio di realtà fa scorrere copioso giorno dopo giorno. la casa è quel che sei tu, e magari un po' ti condiziona perché ci si trovi specchio riflesso dentro. tutto un giro così.
tipo il fatto abbia impiegato anni a rimandare di far cose. e poi d'un tratto mi sono adoperato per porvi rimedio. che spesso rassettare, riordinare, pulire è stato mettere in atto la possibilità di gestire il proprio spazio, e quindi aver la possibilità di gestire la prossemica dentro. appartamento piccolo, ma con un sacco di dettagli di cose incomplete, non del tutto realizzate, vuote fino a sembrare quasi spoglie. o forse di pezzi mancanti. tipo lo iato tra quel che riesco ad arrivarci [riesco nella sua più ampia polisemicità] e quello che posso comunque immaginare e credere possa essere. manca quel dettaglio che - mediamente - è il dono che solo le donne nelle loro intuzioni sanno donare, e che manca a me.
insomma, è la proiezione di quel che è il mio divenire da lustri.
poi, al solito, è tutto un alternarsi di cose che andavano e venivano. come le persone che son passate da qui. poche, a dirla tutta, ma importanti e significative [come la sintesi metoniminica e l'ampia polisemicità], che continuano non ostante tutto. comunque sempre poche. a cominciare dal fatto la festa iniziale d'inaugurazione non sia mai stata fatta. un po' che è piccola. un po' ho acuminato quella specie nevrosi per selezionare chi far entrare e chi lasciare fuori. e in quarantacinquemetriquadri la cosa viene anche abbastanza bene.
a volte l'ho anche sognata la mia casa. questa. anche avesse crepe importanti. o spazi di un umidiccio fastidioso. ho sognato molto più spesso che non questa fosse la casa. specie quando ci sognavo contestualmente di non viverci solo, come una specie di ossessione faticosa anche da sognare. un peso.

poi, da svegli, ci sono anche le cose che poi capitano. fottendosene da quello che avevi in mente di fare.
tipo che avevo pensato di andarmene da questa casa. un po' per evolvere. un po' perché ci sarebbero le condizioni. un po' perché sarebbe venuto il momento. avrebbe significato scegliere milano, in maniera financo più significativa e coinvolgente, quanto meno dal punto di vista materiale.
certo non sarebbe stato semplice ed immediato. con l'eco di quella titubanza che non mi ha mica abbandonato, anzi. con il districarsi tra la tensione del voler rimanere qui, in questa zona, che pensavo avrei faticato a lasciare [un po' è bella, comoda, invitante. un po' uno si sclerotizza]. ma che probabilmente non posso permettermi. quindi nel centro nodale del compromesso di: meglio casa piccola in zona desiderata, o casa più spaziosa in zona meno desiderata [almeno or ora]?
i prodromi del progetto e le domande conseguenti erano un po' queste.
e poi sono arrivati questi tempi nuovi, sconosciuti.
quelli in cui la tentazione, l'idea, la suggestione di rimettere in discussione tanto, se non abbastanza tutto, non mi manca. anche il fatto mollare questo genere di attività, che proprio non fanno per me. e di lasciare milano, così infettata. che tutta d'un tratto mi fa anche quel po' di paura.
quei tempi che, tra le millemiGlioni di conseguenze, mi hanno rinchiuso qui dentro, con balconcino dove sta giusto la poltrona poäng. poi - non dimentichiamolo - sto compatibilmente bene. e sono un privilegiato. quindi mi ci sono ritrovato in questa specie di rapporto quasi simbiotico con questo appartamentino, palazzo pezzottato di questa via residenziale poco trafficata. c'è una specie di continuità forzata, dove osservo particolari che mi erano sfuggiti, o di cui mi ero dimenticato. c'è un senso di protezione dentro queste mura. che d'inverno non riescono a tenere dentro tutto 'sto caldo. che ora non riescono a tenere fuori lo sconforto che a tratti mi prende per poi andarsene rapido com'era arrivato. che delimitano spazi non così ampi. che sono le uniche testimoni di qualche lagrima che ogni tanto mi scappa fuori: per le emozioni che mi traguardano, per la nostalgia che arriva improvvisa, per tutto quello che è compresso dentro. ma comunque mura per cui c'è una specie di [rinnovata?] gratitudine.
un po' più home, insomma.
non ostante tutto.
non ostante volessi lasciarla e quindi cominciassi a sentirla meno mia: per quanto non so quanto sia mai riuscito a sentirla davvero mia.
insomma. dieci anni in cui è successo davvero tanto, tanto, tanto. in cui ho la sensazione sia cambiato poco, come questo appartamento. ma che sia solo passato del tempo, anche se ad osservare queste mura non si direbbe. o forse vale proprio il viceversa. io sono cambiato, non ostante ad osservare qui dentro non si direbbe. e le cose in cui passo attraverso sono cambiate più che abbastanza.
figurarsi se avrei pensato, dieci anni fa, che mi ci sarei sentito protetto e schiacciato al tempo stesso, qui dentro.[che poi figurarsi è un eufemismo, visto che non lo immaginavo due mesi fa esatti. come tutti, del resto]
qui dentro che ormai se la compete con la casa dell'hometown [che è davvero mia, quella?] per numero di giorni vissutici.

però è il solito discorso dei paradossi. basta una sequenza di RNA particolarmente adattativa e scaltra. e cambia la storia del mondo. figurarsi in miliardesimi la mia. poi quello che sarà dopo, tutto quello che rimetterò in effetti in discussione, sarà da vedersi dopo. compatibilmente.
quindi tra un po' mi coricherò, come dieci anni fa la prima volta. un po' mi fa impressione, 'sta cosa. forse è anche per il dettaglio non trascurabile che il tempo passa, ed in fondo se ne fotte delle nostre [nevroriche] ricorrenze annualistiche. che poi 'sta cosa regala anche una sua paciosa sensazione rassicurante. come starsene qui dentro.

Monday, April 13, 2020

piccolo intermezzo: sulle epifanie para-sentimentali

quando stavo nell'aziendina lavoravo nel retrobottega, sviluppando, integrando, mettendo assieme i pezzi. la strategia commercial-evolutiva aziendale se l'erano presa i soci. "tu sei solo ingegnè, che vuoi capirci, mica hai fatto gli studi umanistici" era il sottotesto [occhei, la banalizzo un po'. ma non so poi quanto fosse così lontano dal pensiero nella parte dell'alta autostima del loro retrocranio]. quindi significava che più volte tornavano dagli incontri commerciali entusiasti: abbiamo conosciuto un personaggio incredibile, ci sono spazi e possibilità che ci faranno diventare gazziGlionari. capitava così che incrociassi costoro solo a fasi più avanzate della costruenda strategia, quella che ci avrebbe resi gazziGlionari. mai prima di un briiiiifing per spiegarmi cosa dire e cosa non dire: continuavo a non aver fatto gli studi umanistici, nel mentre. mi è capitato più volte di rimanere ben poco convinto di certuni personaggi: incredibili sì, ma con declinazioni diverse da quanto mi avevano raccontato. le prime volte, quando non lo tenevo per me, lo acclaravo con piccole, timide, manifestazioni di dubbio, spesso ribattute veloci: mica avevo fatto gli studi umanistici, io. al crescere della frustrazione e al continuare nel non diventare gazziGlionari, quando istintivamente percepivo bedvaibrescion, ho smesso di censurmi: e fanculo gli studi umanistici [non in sé, ovvio. in loro]. quando ormai si era già sfaldato quasi tutto, qualcuno dei due ha ammesso, a denti stretti, che ci avevo visto giusto, solo in taluni casi ovvio.
'stocazzo [continuo a viverla bene 'sta cosa, non c'è che dire].
non solo.
quando poi son finito là dentro ho capito che l'istintuale possibilità di intuire le vaibrescion, buone o cattive fossero, mi riusciva più che discretamente bene. scoprendo - vantaggiosamente - quanto mi fosse ben più utile che conoscere il java o il dotnet.
oggi, a suo modo, è una giornata che mi ricorda una cosa importante. oltre al compleanno della mia cummmmmmmmmmà dico. che precise vaibrescion le percepisco quando incrocio donne per cui andrò a perdere la testa. capiamoci: perder la testa nel contesto attuale, quello in cui ormai la nevrosi controllatoria ha occupato le praterie interiori. [parentesi: non è più quella cosa da adolescenzial-gioventù,  quando credevo che la mia felicità et realizzazione non potesse che passare per l'incasellamento nei paradigmi sociali del metter su famiglia e riprodurmi. non c'è nulla di sbagliato nell'incasellamento in sé, figurarsi. è stato l'effetto combinato disposto con i passaggi di anni importanti, ed il contesto smezza le carte/ridai le carte, che mi ha eiettato fuori, sppppooiiioonnnn, sparandomi lontano. e difatti son qui, con qualche bozzo, fuori quell'incasellamento. ma 'sticazzi. non è più nemmeno un grande problema.].
quelle vaibrescion mi sono capitate due volte negli ultimi dieci anni. per cui ho vividissimo in testa il momento preciso, il dove e il come, la luce che c'era. roba che son bastati pochissimi secondi.
vero, bisognerebbe metter sul piatto quanti più dettagli:
  • sono consapevolezze ex-post. l'ho capito dopo che quelle intuizioni vaibrescionnnesche si erano rivelate azzeccate. sarebbe scaltro farne tesoro. quando succede, è probabile che quelle vaibrescion significhino quella roba lì. anche se la cosa può mettermi un po' d'impaura;
  • sono situazioni non punzonate dal principio di realtà e dalla quotianidtà del calzino: son rimaste storie non vissute, con tutto il fascino dell'idealizzazione che non è mai passata attraverso il tritacarne della ferialità. non c'è bacio più bello di quel primo che devi ancora dare. non è capitato di svegliarsi accanto a costei con gli occhi cisposi, l'alito pesante e l'incazzo di aver dormito ha dormito male ed il mal di testa ['stasera scordati di scopare];
  • sono anche mancati gli elementi positivi della fase dopaminica: la cosa più erotica capitata è stata appoggiare - senza malizia e con il permesso - una mano sul seno, acciocché si capisse ci fosse qualcosa là sotto;
  • è capitato, altresì, si delineassero nemmeno troppo lontani i rischi di zerbinamento e/o le propaggini meno pericolose dell'umore rimasto appeso ad una banale risposta che tardava ad arrivare, dopo una banalissima suggestione, tentativo di tenere aperto un contatto benché minimo. o la sensazione mi fossero rivolti scartine di tempo e di attenzione.
quindi il fatto di perder la testa [relativamente] non significa si dispieghino davanti praterie di amorosi sensi. anzi. però credo di averlo inteso. quando succede, me ne accorgo, eccome se me accorgo. ed anche molto in fretta.
questo, tutto sommato, mi fa ben sperare. sono ragionevolmente convinto che se succederà di nuovo, ne avrò la vaibresssscionnnistica contezza. e sottolineo il se. che però volgerei in maniera costruttiva, per due semplicissime ragioni:
  • il fatto non sia scontato non è [più] un gran problema. davvero. se non sarà, ogni tanto, forse capiterà di sentire in bocca il vago sapore agrodolce della malinconica mancanza. mica lo nego. mi terrò quella sensazione e la farò svaporare, trattandola comunque come qualcosa di prezioso;
  • il fatto non accada non significa non possa pigliarmi, qui ed ora qualora venissero, tutte le altre stille che si possono incrociare nel divenire. a volte con intensità. a volte con meno slancio. [anche perché, ad esempio, fare allllaammmmmore mi piace assaje, per quanto è probabile non sia tecnicamente una punta di diamante imperitura. ma sticazzi. ce la si gode veriegatamente. basta chiarir le cose da subito.]. certo son cose diverse. ma tutte sono importanti. preziose a loro modo.
[poi sì. chissà com'è fare alllllammmmmore con una per cui si perde la testa. non è escluso sia una curiosità che rimarrà inespressa. ma va bene così ugualmente. in fondo son sopravvissuto finora senza sentire gli odori. perso un sacco di dettagli e di cose importanti. ma si guarda avanti ugualmente].
insomma.
cose così.
però, non ostante tutto, è una piccola certezza. quando saremo nel dopo. che sarà complicato pure quello. ma almeno accantoniamoci da parte quelle piccole cose conquistate [solo per rispetto alla fatica è costata conquistarsele]

Sunday, April 12, 2020

considerazioni non assembrate /14: serietà, serievolezze, seriezzazioni

mi hanno condiviso un account netflix.
sono troppo pigro o troppo fintamente anticonformista per farlo io, da par mio.
quando mi si è spalancata la home page del profilo financo creato apposticamente per me, quando ho avuto percezione della la cornucopia di serie e contenuti, ho provato un piccolo brivido. per un breve attimo ho intuito l'immensità delle possibilità mi si spalancavano di fronte.
un po' anche perché avevano pensato un profile per me.
ho così ringraziato l'amica chiara.
e l'amica chiara mi ha motteggiato sul fatto si fosse appena creata una nuova dipedenza.
al che ho uscito brandelli di anticonformismo psicopipponico. e mi è parso subito chiara un'altra lettura della fazenda [chiara nel senso dell'aggettivo, dico. non nel senso dell'amica Chiara]. e che cioè è una messe, messa a diposizione alla ma nevrosi posticipatoria. o di postposizione della gratificazione. nei bambini è un indizio importante di intelligenza emotiva: vuoi una caramella subito o due domani? chi sceglia la seconda opzione è probabile possa esserne più dotato. il problema, se di problema si può parlare, è quando diventa un riflesso pavloviano da adulto. troppa roba viene postposta, specie se di potenziale gratificazione. il titillo provocante e conturbante è: me la godrò più avanti, meglio non consumarsela subito. nel mentre si vive nell'illusione inebriante sarà tutto bellissimo, però dopo. è qualcosa che può dare dipedenza, credetemi sulla parola. è la storia de l'attesa del piacere che è esso stessa piacere, che però si fa roba secca, si esfoglia, si consuma, fino a sbriciolarsi. così sia un ammassarsi di rimpianti, per non lasciar posto ai rimorsi.
e poi ti trovi vecchio.
con addosso quel senso lancinante di incompiutezza, di spreco incazzato, di fattiva inutilità, di irrimediabile tristezza del maggiore drogo, quando i tartari lo attraversano quel fottuto deserto. ma lui non è già più nella bastiani.
quindi so già che almeno il novantapercento delle serie, dei filme, dei contenuti che sono lì a disposizione in quella home page, che potrebbero interessarmi, non saranno fruiti.
esattamente come non fruisco del novantanoveenovantanovepercento dei contenuti che potrei fruire da siti più o meno ufficiali, che basta un po' a guardar nel codice per scaricarteli, o fruirne con strumenti che evitano siti di contenuti sponsorizzati invero invasivi. contenuti che via via si modificano con l'orario. e dopo una certa ora è un florilegio di anime con tette gigantesche e antigravità sui vitini da vespa, occhioni da candycandy, vulve luccicanti, orechie da elfo piuttosto ingrifate.
è la versione web del fatto non mi non mi immerga nella lettura dei tanti libri che avrei comunque di cui immergermi, qui a già a disposizione. uno su tutti: l'unico di franzen che ancora mi manca, a proposito di postposizione della gratificazione nevrotizzata.
un po' è perché ho una specie di blocco del lettore [come mi si è chiuso lo stomaco]. non è cosa così infrequente [non la chiusura dello stomaco, dico]. ho ascoltato in una conduzione alla radio: pare si siano in tanti, tra i lettori forti, quelli che in questo periodo non riescono a leggere quanto prima.
non mi immergo nella storia dei cinquemila anni di storie e della moltitutidine di vite che si vivono, leggendo [la citazione di Eco è questa qui, meglio non parafrasarla].
che è una forma ancora più intima, completa, inimitabile, che immergersi nelle storie e nella vita di comodissima fruibilità di quella moltitudine di contenuti netflicsiani, financo a migliore definizione e senza lo sbadta di spulciare nel codice della pagina web per evitare il comparire blow-up di vulve luccicanti.
non riesco a capire esattamente perché non lo faccia a capofitto. posto che non tutto deve essere necessariamente capito.
e ci può esser dentro di tutto. sia le nevrosi che la tutela. sia la compulsione che l'equilibrio.
rimandare tutto per un piacere che può rivelarsi meno piacevole [così si rimanda, innestando il circolo vizioso]. così come fuggire qualsiasi forma di dipendenza, che in fondo è una forma che mi piace di anticonformismo.
rimanere ingabbiato in comportamenti che sembrano dare un qualche conforto, nella loro stortura che fa stare in posizioni per nulla naturali. così come fluttuare appena, non accelerando a provcorare il distacco dal principio di realtà. che ci toccano questi tempi nuovi. sono complicati. ma esserci dentro, consapevolmente, è il modo più efficace di riuscirne a tirar fuori del buono. che - ribadisco fino alla stucchevolezza - deve per forza esserci, considerata tutta la fatica si sta facendo tutti assieme. [e che sia anche un senso a questo incazzo sottile e pervicace. deve avercelo pure lui. figurarsi. non si butta via niente.]

[e comunque unorthodox, pare davvero un qualcosa di fichissimo... ].



Saturday, April 11, 2020

considerazioni non assembrate /13: il sabato di pasqua, senza le campane

si passa attraverso situazioni più o meno variegate.
quattordici anni fa passai attraverso la prima pasqua dopo che patreme se n'era andato. mi ero appuntato potesse passare da lì un primo virgulto di tempo che cominciava a rischiararsi. decisi che quella ricorrenza, comunque particolare, unita all'inevitabile primavera, potevano essere valide alleate.
sono passato attraverso pasque in cui era come sentissi l'odore della vita che mi si spalancava davanti, senza sapere esattamente perché o come stesse accadendo: solo un'istintiva fiducia per quello che sarebbe venuto.
sono passato in mezzo a pasque in cui attendevo, qualche passo prima dello sgomento, il sciogliersi delle campane della chiesa dell'hometown: a casa, lontano da quella collegiata in cui ne avevo ascoltato il suono per anni. in una di quelle serate di passaggio pasquali cominciai a scrivere alla mia amica queenfrancy. ed in fondo, 'sto post, è una specie di succedaneo.
sono passato attraverso delle veglie pasquali quasi convinto di cogliere il messaggio potente, assoluto, inconfutabile di quell'evento salvifico. quando ero intimamente felice di vivermi il momento centrale, su cui si fonda la cristianità, in maniera quasi intima: tutti gli altri concentrati sul natale. no, per noi che avevamo capito fino in fondo, privilegiati tra tutti coloro che avevano avuto la rivelazione ma se ne stavano paciosi nella loro mediocrità.
insomma.
sono passato in mezzo ad un discreto numero di pasque.
negli ultimi anni, dopo il tempo della [mal riposta] convinzione, dopo il tempo dell'eco struggente delle campane che si sciolgono, mi era sembrato di passare in mezzo ad una discreta serenità nella pasqua.
ed ho cominciato a trovare interessante il sabato. quello nel bel mezzo del passaggio. quel sabato che, tuonavo anni prima, era l'essenza dell'immobilismo della mediocrità cristiana: tra il venerdì della passione e la domenica della resurrezione.
ora, naturalmente, non tuono più. e forse la sua precipuità non è affatto l'immobilismo, ma il suo esatto contrario. è il giorno in cui si passa, necessariamente. la pasqua, il passaggio. anche per un laico agnostico.
la chiesa, nell'hometown, ha quella luce di traverso che mi è rimasta attaccata alla retina come la luce del sabato di pasqua. ce l'ha anche nei giorni nei dintorni, ovvio. ma dovessi capitarci e rivederla, in quei fasci attraverso le vetrate invero un po' sfighinz, significherebbe solo una cosa: la luce del sabato. come se fosse solo di quel giorno e di nessun altro. [parentesi: è stato in quel sabato che conobbi l'attuale fidanzata dell'amico daniele. noi due così agnostici,  seppur così diversamente l'uno dall'altro, conoscere la sua fianzè e la sua quasi spanna in più in altezza proprio lì, in chiesa, il sabato del passaggio].
e quindi si passa in mezzo a situazioni decisamente variegate.
sono passato attraverso sabati di pasqua intimamente ben più complicati di questo.
per quanto questo rimarrà indelebile globalmente [che bella banalità ho scritto]. non sentirò nessuna campana sciogliersi a festa, perché qui non si sente nessuna campana. è una cosa straniante, che forse è un altro tassello che si ammonticchia alla stranietà che sento montare per questa città. non so dopo, se, come, quanto riuscirò a decostruirlo. non ci avevo in effetti mai fatto molto caso, al fatto non si sentano campane dico. forse mi ha titillato ieri l'amica queenfrancy, riportandomi al pensiero delle campane che si sciolgon. ci stavo passando distratto, nella stranietà di questi tempi. mi ha talmente titillato che la notte scorsa le ho sognate 'ste fottute campane. ero sul balconcino e mi rendevo conto stessero suonando nella domenica di pasqua. peddddddire. e ne traevo una specie di gioia immotivata. o speranza per guardare avanti e farlo 'sto passaggio: insomma una vaibrescion molto bella, come ne mancano nei sogni da giorni et giorni et giorni. qualcosa che potrebbe ovviare a questa specie di incazzosità latente, che si è adagiata in questi giorni, come scrivevo all'amico luca oggi, dopo settimane senza interloquirci.
una specie di patina, per quanto stia bene e non abbia proprio un cazzo - al momento - per cui dover recriminare
immagino sia più che normale, la patina dico. come l'effetto di una quaresima che nessuno desiderava, e che abbiamo fatta tutti, a 'sto giro. senza dimenticare, ovvio, che l'abbiamo comunque fatta da fortunati occidentali, cui - peraltro - mai si è passati dal patimento di fame et stenti.
ed ora passiamo attraverso questo sabato prima di pasqua. che sarà fottutamente più lungo di altri. sicuramente molto più segnante. ma continua ad essere un giorno in cui si passa necessariamente attraverso.
'ché c'è un passaggio da fare, appunto: la pasqua, che comunque - ci dicono i bene informati - è per tutti.
ce la faremo. daremo il giusto ricordo a chi se n'è andato. tributeremo la riconoscenza a chi non si è tirato indietro. capiremo come raddrizzare la barra. non sarà semplicissimo. sarà faticoso. non sarà breve. ma ce la faremo.
e si scioglieranno la campane.

Friday, April 10, 2020

piccolo intermezzo un po' saudade, un po' più tossico

dunque.
il doppio vinile è un prestito sine die da un cugino di mio padre. [colui che quando ero piccolo mi portava sugli autoscontri, acquistando manate di gettoni di plastica. ovvio mi stesse moderatamente simpatico. poi si sposò. fece una bellissima bimba - la meraviglia del mescio cromosomico - e la moglie, un tocco alla volta lo rincoglionì e forse ne esacerbò l'animo polemico. ora ci salutiamo appena quando ci si incrocia. comunque il doppio vinile dovrei averlo ancora io. da qualce parte, nell'hometown].
ero rimasto stregato dal tema principale. quell'infilata di cinque accordi, con quel passaggio magnetico tra il terzo ed il quarto. [parentesi. l'epifania durante un quiz di mike bongiorno. a corredo di una domanda proposero un filmato. io ascoltai per la prima volta quella musica. strepitosa. fantastica. poi, ecccheccazzzzzo, nel mentre si ripeteva quella melodia magnifica, come infingarda sì intromise la sequenza di una salita al golgota. che cazzo ci faceva una musica così bella ad accompagnare una delle cose più pulp e paurosissssssssime che tanto mi spaventavano? naturalmente allora non usavo tutti quei cazzo. e naturalmente quella sera, a letto prima di addormentarmi, ebbi paura a chiudere gli occhi, col rischio di rivedesri davanti quella scena, l'idea della crocifissione. mi distrassi pensando a quanto fosse bella quella musica].
e quindi il tema principale. la canzone si intitolava "superstar". non ci capivo molto. ma la musica era bellissima.
cominciai ad ascoltare il lato [b] del disco [2] che conteneva appunto "superstar".
e quel lato cominciava con una canzone che sembrava non c'entrare per nulla. leggevo il testo, ne capivo il significato. un inglese tutto sommato semplice. non ne capivo però il senso. per quanto quella canzone mi piacque. sempre di più. il duetto alternato tra una lei [per poi scoprire essere mariamaddalena] ed un lui [per poi scoprire essere pietro]. gli archi nel ritornello. e poi il crescendo d'insieme con l'arrangiamento che si fa ampio, a distesa, il coro che raddoppia la linea melodica, con la seconda voce ad allargare cuore ed emozione.e poi tutto si chiude con il sussurro in sospeso di mary.
cazzo che bella.
però appunto non ne capivo del tutto il senso.
poi vidi il filme. e quindi tutto fu chiaro.
il filme, quella specie di infilata hippies. una specie di arcadia contemporanea [anni settanta, occhei, quando lo girarono]. quella banda di giovanotti tra l'accaldato e l'abbronzato in quelle lande aspre ma che ti rapiscono. quel giuda, nero, nerissimo, affascinato ed incazzato. quella mary così sensuale, voce di velluto, innamorata, viso commosso. quel gesù col viso così affilato e moderatamente fico, ma così nervoso, movimenti a volte a scatti, irascibile e quello sguardo triste in fondo all'occhio azzurro. che capisci a metà del perché sembrava tutto triste dall'inizio [semicit.]. e che cazzo, per forza. lui sa come andrà a finire. che vabbeh la risurrezione. ma quanto cazzo dev'esser dura la passione.
che poi noi lo sappiamo come butterà. nel filme lo sa solo il protagonista, quello che bontà sua inchiodano ad una croce. ci sta sia un po' nervosetto. ma gli altri, molto pissssseeandlloouv, hanno l'aria di stare vivendo dei fottutissimi momenti bellissimi. irripetibili. che capitano una volta sola nella vita. e loro danno pure l'impressione di goderseli e viverseli ben bene, in questa specie di comune. molto pissssssseeendlllouv. poi di colpo sembra che tutto precipiti. l'arresto, e le cose che si mettono male. e soprattutto che rischia di far finire davvero tutto. devono per forza provare un po' di sgomento, innervato da una malinconia attanagliante. quando ancora non è successo quasi nulla, però sai già starà per succedere tutto. sei sul crinale. ma sai che non potrai più tornare indietro. al limite guardare da lontano quei momenti fichi hai vissuto. avresti voglia di cantare soltanto: si potrebbe ricominciare ancora, per piacere?
è qui che si incastona quella canzone, l'inizio del lato [b] del disco [2]. come una specie di sospensione. l'ultimo intermezzo. l'ultimo disperato tentativo di fermare quello che porterà via quello che è stato. sono malinconici, sono consapevolmente ingenui, anche se forse ci sperano si potrebbe salvare tutto. e domandano se non si potrebbe ricominciare ancora, per piacere? e lo fanno cantando un melodia così dolce ad accompagnare la sceneggiatura così ineluttabile e tremenda [poi, in fondo a tutto quello, chi ci crede, c'è la resurrezione. a crederci, appunto].

ecco.
mi è tornata in mente questa la canzone, ad accompagnare la saudade di questa giornata da venerdì santo veramente unico [che a quello del guccio iè spiccia casa].
col tempo, con gli anni, ho come innestato una specie di processo mimetico, personalissimo, solipsistico ed in milionesimi con quella canzone.
si potrebbe ricominciare ancora, per piacere?
a chiedere, non si sa bene a chi, non si sa bene come, di riprovarci. specie per tutte le strade prese sbagliate. le decisioni da cul de sac, o venefiche. i momenti che non si sono riconosciuti come importanti e felici a modo loro. i rimpianti che non hanno avuto la benché mimima possibilità di farsi rimorsi. robette così. che ognuno ne avrà i suoi sacchi belli pieni. ma io fatico coi miei, che mi sembrano insopportabili. lo dicevo neh? che era roba da milionesimi e solipsistica: cos'è la mia serie di inadeguatezze in confronto alla narrazione della [pretesa] redenzione salvifica dell'umanità nei secoli dei secoli? [chi ci crede, ovvio].
e quindi sto qui.
in questo giorno cui si ricorda l'acme pulp di quella narrazione. con la saudade che ogni tanto trascolora in qualcosa di più tossico. a ripensare alle eco di zerbinamenti di chi non sa che farsene di pensieri speciali miei. a leggere di puntuti e rancorosi [financo più di me, adesso] che mica li ricordo così puntuti ad attenti quando governavano altri. assieme ad un sacco di altra ggggggente che spiega come guardare le cose, loro che hanno capito tutto. e macerare un po' in questa stanchezza da fine settimana. a prendere atto della mia inevitabile impalpabilità di fronte all'incedere di questo delirio globale, disruptivo. talmente piccolo da dimenticare le tragedie e sofferenze che si consumano, grandi e piccole, nemmeno tanto lontano da me, mentre bramo un piccolo giardino ed uno straccio di compagnia.
ecco.
un crescendo così.
no.
non si può ricominciare ancora, neanche a chiederlo per piacere.
la canzone è bellissima e struggente.
ma voi tutti - tutti - andatevene lo stesso a fareinnnnttttttoooooouuucuulooooo.




Thursday, April 9, 2020

considerazioni non assembrate /12: esami e coscienze

e quindi ho pensato a 'sta cosa. che forse nella settimana che porta alla pasqua è l'eco del mio essere stato un cattolico convinto. che oggi è il giovedì, dove la scrittura parla dell'ultima cena, in cui venne istituita l'eucarestia. e quindi, di fatto, quando vennero inventati i preti. i preti peraltro confessano anche. c'è il rimando nei vangeli anche per quello. e la storia di chi si rimetterà in terra saranno rimessi in cielo, e così via. non è roba da giovedì prima di pasqua.
però mi è tornata in mente 'sta cosa.
ed il fatto che necessario per l'assoluzione dei peccati ci deve essere il pentimento, che nasce dell'esame di coscienza. non ne sto facendo una questione deprecatoria o inneggiante. mi limito a riportare la questione. anche perché, in maniera asettica, è dal pentimento che nasce dall'esame di coscienza che dovrebbe ripartire la questione del va, e non peccare più. che non è tanto la storia dell'assoluzione che viene data. ma il fatto che sei nelle condizioni per non peccare cccccchiù.
poi sì, dev'essere slittata la frizione globale, nei secoli dei secoli. ed al pentimento si è associato il senso di colpa, più o meno giudicante e stigmatizzante. e con diverse categorizzazioni di peccati, più o meno rimarcati e/o commistionati [grazie, o prete, che hai dato il tuo conributo verosimilmente in buona fede, acciocché mi si castrasse la serenità, specie in ambito sessuale, ovvio]. un sacco di sbandate e mancate tenuta di strada ad minchiam globali, nei secoli dei secoli. poi dice che hai voglia non nasca la psicanalisi [la sto banalizzando, ovvio. però. sai com'è...].
ecco.
però mi è tornata in mente 'sta cosa del pentimento e dell'esame di coscienza. perché in fondo. quel principio attivo, decurtato di tutto il peso morale e del senso oppressivo di colpa che nei secoli si è accumulato, ha una sua valenza. peraltro attualissima. e che si può declinare più che laicamente e nell'immanenza. tipo una sorta di polpa importantissima protetta da gusci duri e spinosissimi [grazie preti e bigottismi intersecolari].
e la cosa riluce in tutta la sua attualità, se a esame di coscienza sostituiamo analisi dei comportamenti oggettiva, e a pentimento sostituiamo onestà intellettuale.
mi è tornata in mente spesso 'sta cosa, in questi tempi nuovi.
specie per provare ad affrontare il dopo, il meglio possibile. che - come già scrissi - sarebbe una fatica sprecata uscirne esattamente come prima. meglio far sì si sia migliorati. che è già una fatica - pur per me che sono [per adesso] un privilegiato, figurarsi chi ci sta passando dentro in maniera più importante. e considerato la fatica di quel che sarà comunque il dopo.
analisi dei comportamenti oggettiva e onestà intellettuale. che ad uno con l'autostima fatta un po' a gruviera riesce forse meglio. o quanto meno sono istanze non da dimensione frattale.
però mi viene anche da pensare a chi ha qualche responsabilità in più di uno psicopipponico, vergatore di bloggggghettino da provincia denuclearizzata. ma di chi, chi più chi meno, si è fatto interprete di tutte quelle scelte più o meno pragmatico-scellerate che hanno contribuito ad arrivare dove siamo arrivati. poi ovvio, che la complessità complessiva è googoliana. però ci sono millemilamiGlioni di scelte importanti, per quanto meno ampie, che il loro l'hanno fatto. non mi riferisco alla gestione della sanità lombarda negli ultimi venticinqueanni, ma la gestione della sanità lombarda negli ultimi venticinqueanni è un ottimo esempio.
ecco.
roba che mi piacerebbe metterli, chiunque essi siano, davanti ad un birra, figurativamente. e chiedere loro: ma una disamina, un'analisi dei comportamenti oggettiva, unita ad onestà intellettuale, non ti suggererirebbe di far altrimenti?
non me ne frega un cazzo di pentimenti, penitenze. poi al limite per giudicare secondo la legge degli uomini e non di un qualche dio, c'è la giustizia che dovrebbe essere amministrata in maniera egualitaria [art 3.]. saranno loro a condannare o assolvere.
ma se tu la facessi un'analisi dei comportamenti oggettiva, unita ad onestà intellettuale, sarebbe soddisfatta almeno la condizione necessaria per non farne di nuove determinate et talune stronzate. che millemilamiGlioni di queste, unite una da una, hanno costruito complessivamente un po' di queste condizioni. e tutta questa fatica. ognuno responsabile - e non con colpa - di questo per quel che compete.
che è cosa buona et giusta non sprecare. ma fottutissima fatica è stata e, soprattutto, sarà.

Wednesday, April 8, 2020

considerazioni non assembrate /11: sindromi

ascolto alla radio un sacco di gente in gamba. leggiucchio di gente esperta. tutti a suggestionare che dopo non sarà più la stessa cosa. e che bisogna mettere energie, testa, intelligenze a ripensare come sarà il dopo. che dovrebbe esserci un cambio di paradigma. o potrebbe esserci. lo scrissi, come a vederlo dentro un film onirico, i primi post di questi tempi nuovi. quelli esperti lo dettagliano meglio. per me una vaga intuizione. molto speranzosa e onusta di ottimismo sulle meraviglie di cui è capace l'animo umano.
ora invece non mi lascia il pensiero che potrebbe venirne fuori una pastetta global-gattopardesca. se non peggio. in fondo, giusto un secolo fa, cominciarono i rigurgiti fascio-nazisti. proprio dopo un periodo non esattamente semplicissimo. una guerra mondiale ed una pandemia a due ondate.
ecco.
tipo.
abbiamo il vantaggio che, avendo visto com'è andò, possiamo evitare di farlo. ma non è mica detto che ci si riesca del tutto.
ma tant'è.
chissà come sarà quelo dopo, globalissimamente.
in realtà mi è venuto da pensare che non penso più al dopo. quello prossimo in termini di tempo e di spazio personale. quel che sarà per me tra qualche giorno, o settimana, o mese.
non credo sia una questione di disperazione. semmai che sto concentrato sul momento, visto che non è proprio facilisssssssssssimo, per quanto privilegiato sia. la radio racconta di quel che c'è appena fuori. quindi meglio non distrarsi. e star sul pezzo. con imprescindibile commitment, come direbbero quelli bravi là dentro, che usano spesso queste locuzioni inglesi.
così mentre facevo la minzione prima della nanna ho pensato che chissà come saranno i primissimi dopo di un sacco di cose. come sarà stringere una mano. come sarà il primo abbraccio. come sarà il primo bacio amichevole. come sarà il primo bacio da lingua in bocca [sempre dovesse capitare]. come sarà la prima volta che farò all'ammmmmmore [sempre dovesse capitare]. come sarà rivedere matreme, fratteme. come sarà rivedere gli amici, se mi verrà voglia di non rivederne più alcuni. come sarà rivedere i colleghi. come sarà ritornare là dentro. come sarà rivedere il lago, i monti, il mare. come sarà saltare su di un treno ed andare da qualche parte con uno spirito vagamente da viaggio dentro, che non serviva andar lontano o andarci per molto, era per la stessa ragione del viaggio viaggiare [cit.].
i primissimi giorni pensavo che dopo sarebbe stato bellissimo, carico di un ritrovato senso di valore fondante e profondo.
ora mi riesce un po' meno.
di nuovo.
non è disperazione.
ma è come se tutto questo adesso mi facesse un po' di sottilissima paura. forse è il commitment per starsene con la massima efficienza, serenità, disposizione d'animo nel presente, che è complicatino. quindi un meccanismo psichicamente volto a preservare la salute della crapa. una roba autoimmune.
o forse è che ci si è nebulizzati con una variante della sindrome di stoccolma.
però, in questo momento, il primo pensiero sgorgante è che l'incerto dopo, magari, che venga anche un tocchettino dopo. che rimettere il muso fuori casa potrebbe anche non essere così banale, nei primissimi istanti del dopo.

Saturday, April 4, 2020

considerazioni non assembrate /10: volevo fare il medico

c'è stato un periodo [brevissimo] della mia infanzia in cui avrei voluto fare il medico. un po' perché avevo appena iniziato ad intuire quale meravigliosa macchina [quasi] perfetta fosse il corpo umano. un po' perché l'idea di guarire le persone aveva un fascino che sgorgava, senza che ne avessi chiesto di dare il la a 'sta cosa. è stato breve ma lo ricordo bene. certo, c'era il problemuccio di quella specie di aspirapolvere silenzioso che mi risucchiava tutto proprio lì, al centro dello stomaco, quando vedevo del sangue, o qualcosa di simile. intuivo potesse essere qualcosa di ostativo, ma ci si poteva lavorare. così l'occasione mi si presentò quando fratteme si ustionò una coscia con dell'acqua bollente [uno dei tanti episodi che ci ricordano di quale straordinaria combinazione di eventi favorevoli debbano infilarsi, acciocché si esca dall'infanzia più o meno tutti integri]. qualche giorno dopo chiesi di assistere al cambio della medicazione, nell'ambulatorio del nostro medico. quando non vi furono più garze a coprire la ferita, con mio fratello che - sacrosantemente - piagnucolava spaventato, non sentii quel risucchio disorientante al centro dello stomaco. "ecco, vedi - dissi tra me e me - bastava volerlo, ora posso osservare come si fa a curare". un attimo dopo mi ritrovai, stonatissimo, su di una sedia nel corridoio fuori l'ambulatorio. mia madre - infermiera, dentro pure lei l'ambulatorio - era riuscita a sorreggermi al volo, appena accortasi del mio mancamento, e che stessi afflosciandomi come un pallocino che perdeva aria. svenuto, bianco cadaverico.
quella sera, a letto sotto le coperte, un po' scornato, mi raccontai che a quel punto avrei puntato tutto sull'elettronica. e mi immaginai la pallina che correva in circolo attorno al disco rotante di una roulette [parentesi uno: invero, ho avuto fin da piccolo la malata attitudine a ricorrere a queste immagini un po' naif, quando non didascalicamente scontate]. [parentesi due: quel puntare tutto sull'elettronica fu perché, nel mio piccolo mondo tra l'infanzia e la preadolescenza, non consideravo altre alternative. allora non avevo contezza delle scienze umane e sociali. essere più brave in italiano e grammatica era una cosa tipica delle femmine, specie quella cui contendevo il titolo di primo della classe]. [parentesi tre: il puntare tutto sull'elettronica si concretizzò con lievissimo scarto soltanto tre lustri dopo. per quanto avessi avuto ben più contezza delle scienze umane e sociali, della potenza e del trambusto che la letteratura riuscisse a provocarmi dentro. mi laureai ben consapevole ci fossero molte altre cose su cui puntare, più interessanti, più confacenti al mio daimon. non potevo ancora sapere quanta frustrazione tutto questo avrebbe significato, come si sarebbe spalancata appena più avanti].
tutto questo pipponcino para-autobiografico mi è tornato in mente spesso in questi giorni.
e la storia di fare il medico. di essere un medico.
che in questo caso non è così distinta dal fatto di fare, di essere un infermiere.
penso davvero sia un qualcosa di diverso dai mestieri normali. non che i medici e gli infermieri siano necessariamente persone migliori, anzi. ma quello che fanno è davvero un'altra roba.
la prima cosa che mi viene in mente, forse banale, è perché sono in presa diretta con l'inevitabile lato vulnerabile e finito delle umane genti. e tutto il portato emotivo che si porta appresso. aver a che fare con l'uomo malato, ferito, ad un passo dalla morte, come una specie di patto costutitivo di quel mestiere, verosimilmente di quella vocazione, ce l'hanno solo loro [il prete, con tutte le varianti religiose di questo mondo, in fondo è solo un succedaneo. solo tra molte virgolette, ovvio]. c'è chi giura sulla costituzione, e tutte le varianti, quando prende servizio. loro hanno un loro giuramento. prendersi cura e far di tutto per salvare le persone.
lo pensavo anche prima, ovvio. adesso ho la sensazione che questo iato riluca in tutta la sua drammatica inequivocabilità.
ci sto pensando spesso in questi giorni, appunto. con tutto quello che stanno facendo. e quel che stanno rappresentando per tutti gli altri. il fatto stiano garantendo la tenuta di tutto il sistema. non sono gli unici, ovvio. ma c'è qualcuno che lo fa più degli altri.
oggi, mentre leggevo l'ennesima storia di una di quelle persone in primissima linea, un pensiero mi è sbucato in mezzo al magone, che a volte mi avvolge mentre leggo o ascolto di queste cose qui [parentesi quattro: faccio un po' fatica ad abituarmi alle metafore belliche, che spesso sento usare, nella comunicazione più o meno ufficiale: siamo in guerra, è una battaglia, il fronte degli ospedali, i medici in prima linea. mi disturba molto meno quando ad usarlo sono loro, i medici, gli infermieri. è tutto piuttosto irrazionale ed incoerente, mica non lo so. ma è così. tant'è].
dicevo di un pensiero. che poi sarebbe questo.
a tutto quell'ammasso globulare di emozioni, sensazioni, dolori, gioie, preoccupazioni, energie inaspettate, angosce, fatiche, ansie, sfinimenti, paure, speranze, che stanno vivendo costoro. la sconfitta per qualcuno che non ce l'ha fatta, la vittoria per qualcuno che si è riusciti a strappare alla bestia. e poi, subito a prendersi cura di un'altro: che si perda o che si vinca. senza lasciarsi coinvolgere troppo, per non perdere la lucidità che ora più che mai è necessaria. tutto quello che li sta attraversando in maniera così massiva, collettiva, senza soluzione di continuità. deve essere un grumo inimmaginabile, non del tutto chiaro a nessuno, nemmeno a loro. la sua vastità e la sua portata. tutto così assieme. tutto così [apparentemente] inarrestabile. roba che passa attraverso il loro essere più profondo, fondante. è già successo nella storia più o meno recente, mica non lo dimentica nessuno. adesso però sta passando in mezzo a costoro. qui ed ovunque 'sta cosa sta succedendo e succederà. per non dire poi di tutti coloro che si sono ammalati. dei ottanta ottantasette novantatre cento centocinque centonove centoventi centociquanta medici e ventotto  trenta infermieri [a questo momento, continuerò ad aggiornare i numeri], che sono qualcoa di più che caduti sul lavoro.
e mi è sgorgato dentro questa specie di desiderio di cose che - verosimilmente - non mi riuscirà di fare. qualcosa che, immagino, arrivi dal mio lontano. l'eco flebilissimo di quando mi sarebbe piaciuto essere un medico per guarire le persone.
ed il desiderio, dopo, è quello di aver la possibilità di ascoltare il racconto di qualcuno di costoro. percepire l'effetto di riverbero di quello che gli passato in mezzo, e a cui sono passati in mezzo. dopo. dopo averle lasciate decantare. quello che si potrà condividere, ciò che deborderà oltre quello che ciascuno di loro si porterà dentro, per sempre. più o meno consapevolmente. provare a far distillare quella esperienza collettiva di loro, che sono stati così vicino al centro di quella roba lì. un privilegio unico quanto drammatico. che nessuno, ovvio, avrebbe voluto. ma che è capitato. ed un po' sarebbe un peccato lasciar scivolar via. sono comunque cose preziose, utili per tutti e questa fottuta, ed imprescindbile, coscienza collettiva. vulnerabilissime umane genti.


Thursday, April 2, 2020

considerazioni non assembrate /9: infighettamenti et inaugurazioni [post parzialmente ad uso interno]

ogni tanto spulcio come lassù, nell'hometown, vivono e passano attraverso questi tempi nuovi. un po' questioni affettivo-familiari, un po' perché da lì comunque vengo. è interessante. anche perché, oltre al lago, immagino che lì il contenimento sociale si viva diversamente. credo che il riflesso, quasi diventato pavloviano, di percepire il prossimo a te prossemico come potenzialmente portatore di contagio, sia quanto meno mitigato dalla probabilità di conoscerlo quel potenziale portarore. qui è più raro. e si guarda l'altro a te prossemico con una diffidenza che ci rimarrà attaccata addosso per un po'. dopo.
qui è un posto che continua ad essere più contagiato, che lassù. qui è un posto dove succedono cose. tantissimamente poco piacevoli.
tra l'altro si inaugurano nuovi padiglioni ospedalieri nella vecchia fiera. a piedi, da casa mia, non ci vogliono venti minuti per arrivarci.
è stato fatto notare che, oltre al nuovo padiglione, sia stato inaugurato un nuovo piccolo focolaio, considerato quanto siano state per nulla rispettate le norme di contenimento sociale. [la storia del focolaio inaugurato era una battuta, se non si era capito].
qualcuno, anche nell'hometown l'ha notato. e ci ha postato sul feisbuch.
qualcuno si è premurato a ricordare che prima di utilizzarlo sarà di nuovo sanificato, centrando peraltro perfettamente il senso dell'osservazione pugnace [c'è dell'amara ironia, se non si era capito].
mi hanno colpito un paio di commenti. persone che conosco, piuttosto bene. si rifuggiva la polemica e si osservava alla questione construens della situazione. riassumo forse in maniera colorata:sticazzi se si sono autocelebrati, la cosa importante è che ci siano nuovo posti di terapia intensiva, grazie all'operosità con cui ci si è adoperati.
ecco.
quei commenti, per quanto pacati, mi hanno lasciato un po' perplesso. e forse disturbato un pochetto. per quanto, si sa, son diventato fighetta. però mi è rimbalzato dentro questo piccolo disturbino. così ci ho ragionato un po' sul perché, oltre al fighettamento, dico.
e credo di averle intuito il perché.
provo a spiegarmi velocemente.
che ci siano posti di terapia intensiva in più, non può che essere una bella notizia. giusto se serve ribadirlo.
credo però che quell'inaugurazione, autocelebrativa, a dirla gentilmente sia stata inopportuna. meglio: stridente. roba come il graffio su di una lavagna. se si ascoltasse bene cosa sta accadendo qui e qui accanto. se si guardasse oltre la prima linea delle notizie mainstream. come la realtà è in realtà disarmante.
fuori di polemica, ma osservando le cose dopo quaranta giorni dall'inizio del delirio.
gli effetti di una politica regionale che in un quarto di secolo ha sbrindellato la sanità pubblica, privilengiando l'ambito ospedaliero, disarmando la prima linea dei medici di base. una politica che nella contingenza di queste settimane ha ospedalizzato totalmente l'emergenza, in maniera non del tutto efficace. non predispondendosi a gestire la tempesta che stava arrivando [le notizie dalla cina hanno cominciato a circolare nella prima quindicina di gennaio. non si poteva non sapere che sarebbe potuto arrivare anche qui. ci si è fatti trovare impreparati, in tutto. pensando bastasse esser pronti ad aumentare di un centinaio di unità i posti di terapie intensive, pronti a gestire il tutto in ospedale, senza indicazioni ai medici di base. risultato: gli ospedali sono diventati veicolo di contagio, i medici sul territorio senza protezione altrettanto. solo qui sono vi sono così tanti ammalati e morti tra gli operatori sanitari].
una situazione dove, ancora oggi, non sta andando esattamente tutto bene. anche se rassicurano che la curva dei contagi - ufficiali, tamponati - si sta riducendo. nelle rsa, le case di riposo, stanno morendo anziani con numeriche agghiaccianti in un discreto silenzio mediatico. numeri importantissimi per come non è stata gestita l'emergenza, per come non vi sia assistenza, protezione al personale. muoiono moltissimi anziani, non contemplati tra i numeri di decessi con o per covid: semplicemente non si fa il tampone.
non si conosce del tutto lo stato, il numero di coloro che se la stanno svangando, quando non morendo, in casa. i numeri reali sono decisamente più alti, per quanto ancosa piuttosto sconosciuti.
la sensazione è che non si abbia del tutto sotto controllo la situazione. anzi. soverchiata bergamo e la provincia, il bresciano. forse sta succedendo anche qui.
poi, naturalmente, la complessità è talmente granguignolesca che non si può pensare che tutto questo dipenda solo della regione. figurarsi.
ma a chi ha capo la gestione della sanità, che è competenza regionale, si porterà il peso futuro di manchevolezze, errori, responsabilità.
errori, manchevolezze, responsabilità che affondano le radici negli ultimi venticinque anni, e i modelli che si è scelto di costruire e difendere pervicacemente.
errori, machevolezze, responsabilità nella gestione della contingenza, sia per inadeguatezza che forse ha aggravato la tempesta, che avrebbe picchiato duro di suo.
errori, manchevolezze, responsabilità che sarà disonorevole non osservare con spietata lucidità, con le conseguenze del caso. dopo.
adesso, che abbiamo il culo affondato nella merda, quella comparsata è stata davvero inopportuna. forse l'instintiva necessità di mostrarsi bravi ed efficienti. forse l'istintiva necessità di far guardare di là., per distrarre l'attenzione a quel che accede di qua.
poi, ovvio, è anche una cosa positiva vi siano nuovi posti di terapia intensiva.
evinopportuna anche perché in altri luoghi si fanno cose omologhe, financo più velocemente e con meno eventi autopromozionali.
mica solo nella rossa emilia.
no no. anche nella pervicasissima bergamo. [dove hanno il sacrosanto diritto di cantare con orgoglio e facendo il giusto casino]
e non dire pure qui a milano.
simbolica stretta di mano, simbolica consegna delle chavi e via. ecco altri posti per ricovero e di terapia intensiva. sempre a proposito di buone notizie.
che ce n'è una fottutissima necessità.
ma è altrettanto necessario starsene attenti, osservare con giudizio il divenire di questi tempi complicati. e per osservare i tempi complicati c'è bisogno di sguardi meno ovvi.
giudizio e sguardo fino. saranno fondamentali per ripensare, speriamo meglio, il dopo.