Wednesday, December 30, 2020

mettiamocelo alle spalle, francamente un po' fastidiosino [niente divisione tra destruens e construens]

salto a piè pari la menata del simbolismo e la convenzione che è un anno, con la storia che all'ultimo che si tira le fila. e tutte le psicocazzate che ci girano intorno. solitamente ci iniziavo il post della pars destruens dell'anno. poi veniva il post della pars construens. di solito era così. in un anno normale. per quanto possa essere normale un anno.

questo, di anno, francamente un po' fastidiosino è tutto tranne che normale. per quanto non possa essere definito di merda.

sgombrerei anche il campo delle ovvietà. questo non è stato il peggior anno per il mio ombelico. quello in cui mancò mio padre non voglio nemmeno pensarci a confrontarlo. [poi vabbhé. massì. lo dico. ormai. per quanto mi sembri un'immane cazzata solo di casualità. è che avevo trascorso il capodanno in quel freddo meneghino entrando in quello di anno, oltre che di quest'ultimo. non c'entra un cazzo. lo so. non voglio scivolare in queste isterie scaramantiche. non ha senso. sono uno scettico razionalista - e pure tignosamente rompicoglioni su 'sta cosa. è stato solo un caso. quindi nessun nesso causale. e poi dove passi una cazzo di serata assolutamente qualunque nei dintorni del solstizio invernale, è una sovrastruttura che ci teniamo addosso, come un grumo di paura dell'incerto e del futuro delle cose, che affonda nei recessi dell'oscurità della nostra ragione che via via si è formata e consolidata. cazzo. ci sono di mezzo almeno due secoli e mezzo di illumismo. non dovevo nemmeno pensarla 'sta cosa. figurarsi scriverla. suvvia. siamo oltre queste minchiata.  [e comunque niente. è solo un dettaglio da diiiipiiiisciiiemmme che a 'sto giro non sono a milano]].

dicevo di sgombrare il campo dalle ovvietà. sgombriamo quindi. sono in salute. matreme e le persone più o meno vicine pure. ho un lavoro. che continua non piacermi. ma per i paradossi che spuntano qua e là è molto molto molto probabile che così tanto non fatturerò più. per dire. 'sto cazzo di anno che lasciamolo andare, buttiamolo: ma è stato il più danaroso di sempre. quindi nemmeno troppo di cui lamentarmi, personalmente. ad essere obiettivi.

non solo. aggiungerei uno sguardo critico all'ovvietà. allargandolo. questo è stato l'anno peggiore da lustri et lustri et lustri soprattutto per la civiltà del primo mondo. c'è chi ha cazzi ben più impegnativi et penetranti dei nostri, che si è visto aggiungere giusto un fardello in più. roba tipo: ah, c'è pure 'sta cazzo di pandemia per questo virusssssedimmmerda? 'spetta che faccio posto nel proluvio di ammonticchiamenti per cui avrei financo motivo per lamentarmi, scoraggiarmi, lasciar andare tutto. ma comunque tengo botta. che vivere è quel vizio che spinge e pompa di più di tutto. al netto del concetto di giustizia che da queste parti evapora manco la rugiada nel deserto, quando il sole comincia a picchiare. anzi. la storia della rugiada è financo un'immagine troppo poetica per come si sta piuttosto lontani dal concetto di giustizia qui da noi, e 'l modo ancor m'offende [cit.].

però. appunto. e considerato che non è andato esattamente tutto bene.

non ostante tutto [ie io non sono l'ombelico di niente. in fondo nemmeno di me medesimo. han provato mediamente i cazzi anche quelli del primo mondo]. credo sia un immenso, incommensurabile, intrattenibile, corale desiderio di sfancularlo. io come tutti, e mai mi sono sentito così coinvolto in questo impeto et desiderata. per quanto è il solito, inevitabile, innegabile continuum. il divenire prosegue senza soluzione di continuità. ce lo stiamo togliendo dalle palle. ma scivolando in quello nuovo non cambierà da subito 'sto granché. anzi. ma è la solita convenzione di cui sopra. ma come non mai mi piace pensare che evviva le convenzioni. se in maniera tra l'apotropaico, il catartico e lo sguaiato lo mandiamo afffffanculo. peeppeeepepppeeppeeeppeeeeeppeeee [musichetta da trenino di veglione trash] godiamoci questa cazzo di convenzione.

e lasciamo alle spalle quel che ognuno - primo, secondo, terzo, quarto mondo - vuol lasciarsi indietro di questa cosa. qualsiasi cosa e in qualsiasi modo si sia declinato. non ci ho nemmeno voglia di dettagliare cosa. un esercizio che davvero eviterei, a 'sto giro. tutto nell'umido. a macerare. sperando ne esca del concime.

anche perché così mi piacerebbe far crescere quelle stille che mi porto volentieri dietro. piccoli attimi. istantanee. momenti tanto veloci quanto importanti. salire un sentiero con il lanternino. spegnere dopo anni la classica candelina sopra la classica torta. scoprire piccoli borghi così vicini e mai visitati. finire alcuni libri. parcheggiare l'auto e far pat-pat sul retro e dire: grazie macchinina di avermi portato quivi. saturno e giove che allineati si buttano nel mare. certi tramonti sul terrazzino e starci per dare una mano. tornare a teatro, alla presentazione di un libro, ad un concerto. il sole che s'incunea innondando di luce fiduciosa la piazza ché il lunedì mattina non impaura. l'idea di incrociare persone nuove. il passeggiar per boschi rincorrendo la linea del tramonto e poi guardarselo in mezzo al lago. mica tantissima roba. ma con quel pizzico di abilità in più nel saperli riconoscere, quei momenti. come ad annullare la latenza tra il viverli ed aver contezza si sarebbero portati appresso - struggenti, dolcissimi, rasserenanti, figosi, quasi felici - anche in quello che viene. come attimo di vita importante.

anche il ricordo di quel pomeriggio in cui ho saputo dell'ermi. che ancora non mi sembra vero se ne sia andato.

ecco. concimar 'ste cose qui. con la putrefazione di quel da gettar nell'organico. e far crescere e maturare quel desiderio di riprendersi quel che è mancato. 'ché darlo per scontato è roba mica tanto scaltra. che ricordarselo e passarci in mezzo, prendendo quello che c'è da cogliere ce lo si merita tutti [ecccccheccazzo!]. diventa quasi dovere morale farlo al meglio. chi potrà. quando sarà. in un anno dispari. che son sempre i numeri meno banali.

 



Sunday, December 27, 2020

su "film bleu" [o il paradosso di]

può essere che - sfrucuglia sfrucuglia nei post addietro - di "film bleu" abbia già scritto. psicopipponizzato. non è un grosso problema ripetersi. in fondo il bloggggghe è un reiterato, poliedrico, disincato osservar il burrone che c'è dentro. come è in un po' tutti. c'è chi lo guarda più spesso di altri, per quanto può non essere la cosa più scaltra da farsì.

vabbhé.

dicevo di "film bleu". nella pittatura della memoria, quando pesco questo filme e di quando lo vidi, ci associo indissolubilmente l'amico itsoh. e quella ragazza con cui si discusse del film medesimo appena fuori il cinema. e del fatto che erano molto alternativi a me, la ragazza - invero che non mi interessava eroticamente - il gruppo che era lì a vedere il filme e quindi tangenzialmente anche l'amico itsoh. solo che l'amico itsoh mi suscitava quel misto di ammirazione e di affetto che non ho provato con tutte queste persone in quegli anni. giusto l'amico emanuele, l'amica laura e con tutte le complessità del caso anche l'amico andrea - che verosimilmente era il più ingegnere di tutti, dentro. poi guarda caso solo con uno di costoro non sono rimasto in contatto. quindi l'amico itsoh era un tramite verso un gruppo di persone - allora - troppo distanti. io che avevo la necessità importante di quel ritorno uterino in quel dell'oratorio dell'hometown. ho lasciato andare opportunità, che i coglion ancor mi girano [semicit]. troppo intimidito per uscire da quella cosa uterina. con tutte le conseguenze giù, giù, giù, giù fino a questo punto. nel senso di questo punto "."

vabbhé. divago. di "film bleu" [liberté].

Jiuliette/Julie passa attraverso un nugolo di punti angolosi. quello che scatena il dipanarsi del senso del filme è doloroso, traumatico, devastante tanto quanto inaspettato. e si ritrova sola. senza gli affetti e l'amore della vita per cui soffrire. nel senso che escono dalla sua vita, quindi il dolore è per quello che le è tolto. non per quello che potrà venire. ed è così che si scopre essere la musa ispiratrice del marito compositore contemporaneo. se non colei grazie alla quale quella musica prende vita. in quel [poli]trauma si acclara il processo creativo, in cui realizzarsi. in quel punto angoloso, oltre il tentativo di suicidio, Juliette/Julie conquista il paradosso della sua libertà. sola. gli affetti, le persone che si amano contengono la complessità del fatto saranno portatori di gioia. ma anche dei dolori che possono promanare e che possono declinarsi. e quanto il dolore sia una cifra per cui si sia legati a qualcuno.

a guardarla con il cinismo che mi escono certi mood nataliferi è un paradosso. probabilmente necessario per il progredire dell'umanità. l'amore per gli altri è anche il perno dove si arrotola quel legame che ci può soffocare. qualsiasi sia il perno, qualsiasi sia la corda, qualsiasi cosa significhi soffocare.

ora.

questo filme mi si arrampica nella mente, in questi giorni. guarda un po'. e che salti fuori questo post, in queste feste natalifere, di questo periodo, di questi tempi non mi meraviglia. e non dovrebbe meravigliare quei cinque o sei là fuori. per quanto ribadisca non abbia nulla di cui lamentarmi. per quanto non avete idea di quanto desideri per Voi che quei perni, quelle corde siano lasche, talmente lasche da farle sparire sotto tutta quelle ondate di amore, di affetto, di bene. complicate ma pur sempre ondate.

ripenso così quel filme. e ci attacco questa sintesi sottrattiva, dove per espuntare il dolore si leva tutto il resto. non augurando a nessuno nessun punto angoloso, ovvio.

e vivendo la contemporaneità di aver necessità di solitudine et distacco, unito alla fatica di continuare a trovarmicisivi. un po' per scelta. un po' congiuntura. un po' per struttura. e rendendomi conto - plasticamente, inesorabilmente, fortunatamente - delle complessità dei vissuti di chi mi c'è intorno. del peso di anni, episodi, vite, che dai loro affetti hanno ricevuto meno amore di quel che avrebbero desiderato e meritato. con tutto quello che di inespresso, trattenuto, soffocato, irrealizzato è venuto di conseguenza. anche su di me. è un po' faticosino tutto questo. in questi giorni serenamente faticosini. in cui si alterna la declinazione del sentirmi stanchino. che poi capiti a natale ha un suo senso. genuino, vero e per nulla conformista. tutta la paccottiglia verso cui si sente itterizia è altra roba e paccottiglia rimane. questo senso del perché proprio in questi giorni è perfettamente coerente. ed l'eco del vociare - colla voce da bimbo - di bisogni essenziali, fondamentali.

vorrei lasciare andare il fardello. il perno, la corda: vorrei non ci fossero. so che non è possibile. ho anche una discreto fottuto spaventino aggiungerne altri. eventuali, ipotetici, nuovi. ma so che non sarà meglio quando continueranno a non esserci. né le altre possibilità che potrebbero schiudersi.

perché io lo so che rimarrò solo. ho la vaga sensazione non sarà come "film bleu". e non per il punto angoloso che non voglio vivere - eccccheccazzo - ma soprattutto perché non ci sarà quel un soffio di speranza che il finale insuffla, per quanto sia stato doloroso far sì potesse insufflarsi. non compongo musica [anche pure 'sta cosa mi sarebbe piaciuto fare]. scrivo solo psicopippe, senza il coraggio di strutturarle in altro. quindi non sarà per tutta una serie di circostanze. non so se e come e quanto mi mancherà quel peso, qualsiasi cosa significhi, del portato di questi giorni. quanto sarà leggera quella [eventuale] libertà. quanto levità a contrapporsi al peso di quel che è mancato. per quanto possa essere pesante un qualcosa che non è stato. libero, forse giusto per il discorso del burrone di cui sopra.

per quanto, in tutto questo, ci sia pure l'odore di sensazione di volpe et uva. e di nuovo è un bell'esercizio di onestà anche riconoscerselo. che è un fottuto peccato sia mancato tutto quello che è mancato, molto più a monte e prima di me. al netto che, rimbalzo dopo rimbalzo, avrei potuto goderne un po' anch'io. è un fottuto peccato. ma riconoscerlo non so quanto faccia saltare dei perni, allenti il cordame, allontani il soffoco. però è conquistarsi un pezzo di libertà. a suo modo. magari condizionata. ma che forse sia pur sempre liberté.

 


 

Friday, December 25, 2020

reductio ad absurdum, natale intendo

esfogliando, esfogliando. alla fine qualcosa rimane pure. non so sia il senso più autentico, vero. o essenziale, nel senso di essenza. quello che il nuovo mood natalizio ci dicono si debba fare. nel senso di riscoprirne il senso più profondo. o scoprirlo, come se prima non fosse mai stato, e morta lì.

non mi interessa 'sto granché riscoprire alcunché.

e vorrei anche fuggire, quel che posso, quel che riesco, quell'ossessione personal-teleologica. che qualsiasi cosa di un certo riverbero emotivo debba avere un qual suo scopo, più o meno ultimo.

però esfogliando, esfogliando mi son reso conto che se ha senso, proprio quest'anno, proprio questo natale - anzi 'stocazzodinatale - è pensare più forte delle altre volte a chi ha meno di me da festeggiare. e mica perché ha i coglioni girati, è stanchino, è insoddisfatto, o deve cercare di ubriacare questo senso natalifero.

no. no. coloro che ho incrociato lontano o vicino nel tempo, che davvero hanno un significato, per non veder l'ora che passi, 'stocazzodinatale. chi ha perso qualcuno innanzitutto: qualcuno in meno con cui festeggiare, posto che non so quanto ci sia da festeggiare. chi è in cazzi importanti più o meno esistenziali, più o meno lavorativi. chi è solo, ma solo, non una solitudine compagnosa come la mia.

ecco, le mie piccole bagatelle sono da trastullare, pensando a costoro. che poi sono gli unici cui invierò degli auguri di 'stocazzodinatale. anzi. non esattamente auguri. ma un pensiero. a tutti gli altri risponderò se augurato. o pensierato.

se un un'approssimazione di concetto di senso possono averlo, queste giornate riverberanti di questo tempo sospeso di questo periodo nuovo, è mettermi in sintonia con queste persone. tacendo delle ingiustizie immemori che avviluppano questa umanità così traballante.

esfogliando, esfogliando si arriva al cuore, che poi può essere nocciolo. e si può anche fare pace. tanto da non aver più paura a dire che 'stocazzodinatale, questo 'stocazzodinatale mi intristisce. per tuttuncomplessodicose. anche quello di non viverlo come vorrei. 'ché lo desidererei diverso. ma è talmente essenziale che non devo più sfancularlo, fingendomi oltre, raccontandomi altro. sì, così anche no. anche se poi 'stigrandissssssimicazzi 'stocazzodinatale. mi intristisce, ma non mi abbatte. lo vorrei altro. passerò attraverso quello viene. anche se intuisco non mi piacerà. lo so. anche quando lo riguarderò in futuro. non come [alcuni di] quelli andati che non capivo come fossero già occhei. anche se non vedevo l'ora fossero passati.

no. questo non mi piacerà affatto. però non devo fingere, distrarre, o mimetizzarmi, fischiettando indifferenza. è già una bella conquista. tecnicamente un regalo di natale un po' per dimostrazione per assurdo.

eppppperò con un pensiero a chi pensa a chi non c'è più. a chi pensa sia fottutamente complicato, a prescindere da 'stocazzodinatale.

Sunday, December 20, 2020

dei ritorni. o andate. è pur sempre una questione di dove metti l'origine. qual è l'offset.

questo è un post intimista. ohibò, a dirla tutta, [quasi] tutti i post sono intimisti. è che questo è diversamente intimista. almeno: questa è la percezione ex ante che ci ho.

sono stato a milano quattro giorni. deciso senza pianificarlo troppo. volevo tornare in quella casa, o quello che rappresenta. volevo riprendere possesso dell'appartamento. volevo dare una piccola deviazione all'incedere immutato di questi giorni di tempo sospesi. volevo rivedere persone. mi ha fatto bene. o quanto meno è stato un soprassalto emotivo. davvero.

e così alla fine ho chiuso il gas. cosa che prima non facevo mai. ma da che il rubinetto di sicurezza è così bene in vista e, soprattutto, da quando non so dopo quanto ci tornerò, è l'ultima azione che fo. poi esco da casa, chiudo tutto e parto. così è successo anche oggi pomeriggio. e mentre serravo la manetta quella puntina di malonconica tristezza mi ha preso, fin giù alle falangette di pollice et indice, ad accompagnare quel gesto serrante. che è un po' cura, un po' rito, un po' timbro che si sta lasciando la casa. quasi che la malinconica puntina volesse assicurarsi che lo stessi facendo. o che la tristezza malinconica - una puntina - mi facesse prendere contezza di quel momento.

anche solo per confondermi un pochetto i piani. e rendere ancora - tanto per cambiare - sfumata et indefinita la percezione, la volontà, il prodromo delle cose che potrei, dovrei, fare.

non è una novità. figurarsi. ed è l'eco che si propaga da lustri. che non è netto e chiaro esattamente dove e quale sia casa. nel senso di home. che non mi sono mai allontanato abbastanza dall'hometown. e quindi in questo medio per nulla assertivo sto, donde nun ce stat virtus. non a sufficienza via dalla casa bambino, acciocché altra sia casa. non riesco a consustanziare abbastanza il concetto di casa adulta, acciocché me ne riesca ad andare via di casa definitivamente.

e non aiuta nemmeno che oramai quella casa mi stia piccola, chiusa e stretta, che non [si] scalda abbastanza. da non riuscire a provare a plasmarla del tutto come mia. vuoi perché in affitto. vuoi perché è come se avesse terminato una sorta di significato, di simbolo, di suo ciclo. posto che esista. e comunque pare stia entrando nell'ottica di andarci oltre. con l'impegno pragmatico questo comporta. di cui non sono propriamente onusto, ed in un momento dove tutto sembra sospeso. in attesa di intuire che cazzo succederà.

ovvio che ciò non rinsalda e struttura l'assertività dentro. ovvio che a uno non passi la perplessità ontologica. e a questa [crisi di mezza] età dei mumble mumble munble si consolidano.

poi uno dice non si sente realizzato. è come se non avessi tutte 'ste gran radici. e non sapessi dove infilarle [le radici, ovvio].

 

in tutto questo però, guarda un po', mi son goduto il viaggio di ritorno. davvero. poche ore prima chiudessero tutto. il traffico - quel pochissimo che c'era - è via via evaporato, sotto la pioggia. non ho voluto neppure premere troppo sull'acceleratore. negli ultimi chilometri, nel susseguirsi casuale delle canzoni emmepitre è partita "la donna cannone". che non c'entra 'sto granché. però mi è parsa la canzone giusta: la delicatezza di quel testo da enorme mistero volò, la gentilezza degli archi nelle volute a salire, quelle note lunghe avvolgenti. ho rallentato un briciolo. per tenerlo quella stilla più lungo, il viaggio di ritorno dico.

o di andata.

è sempre una questione di punti di vista [e vabbhé che ora, adesso, in questo momento non so esattamente come guardarla, la prospettiva.]

[e chissà se poi, in effetti, è diversamente intimista 'sto post...]

Monday, December 14, 2020

di messe tridentine e del mio agnosticismo

oggi sono stato ad un funerale. matreme se ne fa almeno un paio a settimana. capisco perché ne abbia decisamente pieni i coglioni. ed ho contezza, esperita, su uno dei motivi per cui sia sconfortata ed ogni tanto perda un pochetto la brocca

per una serie di situazioni la celebrazione è stata officiata con il rito tridentino. tutto in latino [molto cantato], celebrante rigorosamente voltato verso l'altare spalle gli astanti, ritualità portate a livelli cornucopiali. l'inizio è stato piuttosto una frustata. mi son detto: sono le ultime volontà di uno che sapeva se ne stesse andando, concediglielo.

con l'occasione ho scoperto che, nei funerali d'una volta, dopo il vangelo [di cui nessuno capiva un cazzo, tutto in latino] non c'era predica. non era contemplato si ricordasse il defunto, tranne che con la preghiera, qual è il saluto della celebrazione funebre. [parentesi uno: chissà se quel prete ha una vaga idea del significato antropologico e psicologico sottesi a quella celebrazione. significati di una natura più antica e pervasiva del rito stesso, cosicché quel rito non è altro che una delle declinazioni possibili. atto necessario per cominciare ad affrontare il trauma del lutto]. poi vabbhé, con la scusa che ci concedeva uno strappo alla regola, la predica c'è stata. al netto del pacato e rappacificante asserire che "ormai tutto il mondo è ateo, così com'è atea quasi tutta la chiesa", è stato un menar stilettate a quei debosciati che erano lì, coloro che seguono il rito post-conciliare. poi vabbhé non ha risparmiato nemmeno i famigliari, quasi a voler togliere per interposta persona alcuni sassolini urticanti. con toni e pigli giudicanti, quasi che l'unico effetto da sortire dovesse essere un chinar il capo, contriti, peccatori e chissà, magari prima o poi redenti. ma parliamone. ho la vaga sensazione che uno bravo avrebbe colto ed individuato degli elementi psicotici importanti. io continuo ad aver studiato altro. però. come dire.

insomma. una sensazione durissima. spigolosa. a tratti irritante. ma uno dei paradossi in cui incappo è quello del rimanere disturbatatamente incuriosito da cose così lontane da me. cosicché mi paiano assaje interessante da osservare. [parentesi due: mi è pure sovvenuto, per la proprietà transitiva, se sia io più lontano dal cattolicesimo ufficiale, piuttosto che il cattolicesimo ufficiale più lontano da questa costola lefevriano-tridentina. e rifacendo la strada al contrario se costoro considerino più meritevole di infamia il cattolicesimo ufficiale oppure uno come me: che dal cattolicesimo ufficiale ha fatto apostasia. poi vabbhè. alla fine stigrandisssssssimicazzi, ovvio]. 

poi è successa una cosa. ero piuttosto isolato e distanziato dal resto degli altri, destinatari delle filippiche. nel dettaglio me ne stavo in uno degli altari laterali della collegiata, appena sotto l'organo. ho alzato lo sguardo e l'ho visto. l'organista. uno di loro. con la sua bella tonaca nera, dalla lunghissima fila di bottoni. che è più di un'uniforme. l'ho visto perfettamente sbarbato, perfettamente pettinato. con le mani giunte. che osservava dall'alto. tra un'esecuzione e l'altra [invero un più che discreto organista. per quanto il registro basso del fagotto, che ad un certo punto ha utilizzato bello convinto, mi sa che è stato restaurato in maniera forse troppo dura. un effetto acustico moderatamente inquietante]. l'ho osservato. e mi è parso di cogliere una tronfia serenità ed altera superiorità verso quello che stava succedendo. e non solo perché osservasse tutti dall'alto del piano dell'organo.

che magari ho visto male. che magari il mio bias è piuttosto marcato. e distopizza. però ho avuto la sensazione di incasellarla quella spigolosità, pacata, ma durissima. ed ho pensato - per un attimo, per assurdo - che da una parte li invidio un po'. perché la fottuta contemporaneità, del mondo delle cose che succedono, deve spaventarli parecchio. ne avrebbero anche abbastanza ben donde. il divenire è tragicamente complesso. qualcosa che trascende tutti e tutto, tanto sono immense e implacabili le dinamiche in cui siamo immersi. sballottati come fuscellini in mezzo ad una tempesta. cazzo se è tutto complicato. cazzo se è qualcosa di potenzialmente terrificante. la panciona paciosa della gaussiana in gran parte rimuove. ed è tutto uno sbucare di succedanei: variegatissimi, da riempire quintali e quintali di possibilità con la quale si prova a spassarsela, o si pensa di. produci-consuma-crepa. ci sta che una parte, spaventata e scandalizzata da quella complessità, si arrocchi. scegliendo una declinazione trascendente di quell'arroccarsi. e ci si trovi pace e serenità, o qualcosa che si scambia per.

così, a pensareci bene, non meraviglia l'incedere impetuoso della filippica. si incasellano per bene la ritualistica, il recitare in una lingua passata, lo scampanellio a ricordar i passaggi topici*, il muoversi coordinato e la ripetizione degli inchini, ognuno sicuramente con un suo particolare significato. non vorrebbe essere saccente lo sguardo pacato dell'organista. loro se ne stanno conchiusi sopra la rocca di quell'unica [solo la loro veramente autentica] fede. arroccati ed in alto. talmente con la convinzione di starsene nel giusto da sentirsi protetti. ovvio che poi uno si percepisca col culo al caldo. ovvio che tutto il resto si osserva con un'alterità, che prova a provare compassione, ma in fondo sono un po' cazzi degli altri, nel senso di coloro che non sono loro. ovvio che all'interno della loro bolla sia tutto così rigorosamente armonico: perché se espunti il dubbio del confronto con il resto, te ne puoi stare sereno a pensarti a tu per tu con la parte dei giusti. ovvio che quando il mondo appare incasinato, si fa prima a bollarlo come corrotto, chiuderti la fortezza e rivolgere lo sguardo al passato. che è passato. sai com'è andata. tutto diventa meno incerto. è tutto fottutamente più semplice. è tutto molto meno faticoso. è tutto pacificatamente rassicurante. roba che non ti viene di metterti le mani nei capelli. tutti ordinatamente pettinati.

è un gran sollievo.

non so. davvero. forse non ho capito un cazzo. forse è la percezione di essere incappato nella curiosità per l'assurdo. forse è che la fottuta caducità del casino che ci circonda è da preferire alle certezze di starsene sulla rocca. spigolosi. così già onusti di salvezza eterna.

preferisco il dubbio. e se mi riesce far un tocchettino per l'umanità. atei o non atei che siano.

anche perché oggi ho assistito, incuriosito, ad un qualcosa di molto interessante dal punto di vista antropologico. ma che per altri punti di vista è totalmente arido. talmente impegnati a glorificare l'alto dei cieli, da dimenticare il [complicatissimo] mondo quaggiù. come non foss'altro che da disprezzare perché corrotto, ateo, perduto e lontano dalla grazia. non ho percepito un briciolo, una stilla, un'evocazione di amore, di empatia, di condivisione, di fraternità. di umanità. solo un giudicante, sicumerico, implacabile richiamo a radicalità che - dicono - garantisce il regno dei cieli. ma che nell'immanente non scalda nessun cuore. è roba gelida. dovesse esserci un dio contento di 'ste cose qui, boh. forse è financo meglio il mio agnosticismo.

 

*io non so se l'amica elisabetta passi da quivi. però noi, milleMiGlioni di vite fa l'abbiamo conosciuto uno che discettava sulle varie forme di scampanellio: come, quanto, quando, durante il rito. un po' lo stuzzicavamo a raccontarci - e lui non aspettava altro - un po' lo ascoltavamo come fosse un marziano. ecco. oggi quel discettare è come se si fosse contestualizzato e si fosse consustanziato. ed in fondo, in quei parossismi ritualistici, lo scampanellio ha un suo senso, in quel senso, ovvio.

Saturday, December 12, 2020

un post lungo multipartito, tipo una lunghisssssssima psicopippa a tocchi /2: lo secchiones

stamani ascoltavo gianni cuperlo, intervistato alla radio. ho pensato che il suo argomentare è interessante. è il dispiegarsi di tante istanze in cui credo, che mi appassionano, piene di buon senso e giustizia. che è un concetto che a pensarlo bene mi fa venire la pelle d'oca emozionale. solo che a me gianni cuperlo non mi verrebbe di votarlo, in battuta. a dirla tutta non mi verrebbe di votare pressoché [quasi] nessuno di quelli che siedono là dentro. mi rendo conto che, alla lunga, possa cubare un qualcosa che si avvicina al concetto di problema. ad un certo punto dell'intervista gianni cuperlo ha asserito: i partiti hanno dismesso i centri studi e potenziato gli uffici stampa, e questo è qualcosa che non va per niente bene. col tempo è diventato molto negativo.

credo che anche in questo gianni cuperlo abbia ragione. e che per i famosi rimbalzi mi è tornata in mente una cosa. che avevo un'idea postica che mi frullava in testa la scorsa primavera. l'idea in realtà avrebbe potuto essere quel cicino articolata. e quindi già allora decisi di multipartirla, in più post. e quindi avrei potuto farne una specie di  lunghisssssssima psicopippa a tocchi. ne accennai, poco prima di allora, all'amico emanuele - che rappresenta pur sempre un ventipercento dei lettori che passano di quivi. lui mi disse che stavo creando un hype, ed avrebbe letto volentieri. mi colpì 'sta cosa dell'hype. anche perché mi fa comunque strano possa riuscire a creare una qualsivoglia approssimazione di hype. ma qui si ritorna per le vie brevi al [macro]discorso nel crederci e nell'aver fiducia nei propri mezzi. come peraltro discorrevo veloce con l'amico quiTo - che rappresenta, toh, uotsasurrrprais, un altro ventipercento dei lettori che passano di quivi.

ma non è del crederci [o meno] e/o nel [non] aver grande fiducia nei propri mezzi 'sto post. perché quella è una cifra esistenziale che si potrebbe anche sfruttare per qualcosa di più organico e corposo. ad aver fiducia, ovvio.

no. il rimbalzo ad ascoltare gianni cuperlo è che avevo in testa questa lunghisssssssima psicopippa a tocchi, di cui l'hype e la meraviglia per. e c'era almeno una seconda parte che ancora era da conchiudere in un post. tipo questo. [agggggggià, a dirla tutta la prima parte sarebbe questa].

 

io ho frequentato un itis cazzutissimo. lo scelsi anche per quello: per dimostrare potessi riuscire a frequentare un itis cazzutissimo, per non sentirmi da meno da quelli che frequentavano un liceo. che fosse cazzuto, e che mi abbia preparato in maniera decisamente cazzuta per l'università, è un dato di fatto. esattamente come la sensazione che quella non fosse la scuola superiore facesse per me. ed il fatto ne sia uscito in maniera più che brillante è un riuscitissimo despistaggio interiore ed esperito. dal frequentare quell'itis dipartì tutta una serie di cose e di deviazioni che poi ora lavoro là dentro, per un cazzo realizzato [invero al momento la fatturazione è buona]. vabbhè. itis cazzutissimo. in quell'itis non si rimandava a settembre con gli esami di riparazione. tre insufficienze: bocciato. due anni di seguito con la medesima insufficienza: bocciato. semplice no? per il triennio scelsi l'indirizzo considerato come il più cazzuto. stesso discorso di dover dimostrare a qualcosa o qualcuno di cui sopra. in terza partimmo in trentadue. di quei trentadue in quarta arrivammo in sedici. di quei sedici in quinta arrivammo in otto. cazzutamente non regalavano nulla. però poi avevi la strada spianata. anche nel frequentare ingegneria elettronica.

in terza eravamo trentadue. talmente ammassati che ci saremmo pandemizzati nel volgere di un compito in classe. trentadue maschi. non esattamente la situazione più agevole per me, che maschio alfa dominante non lo sono proprioproprio mai stato. tanto per cambiare scelsi il banco di prima fila, possibilmente vicino la finestra. in un angolo. tutto l'ammasso testosteronico non mi riguardava, stava dietro, come fosse altro. alla bisogna potevo guardar fuori la finestra il paesaggio comunque un po' triste. oppure, spalle alla finestra, osservare incuriosito tutto il resto di quell'umanità, professori compresi. non è che stessi in cima alla lista di quelli popolari della classe, ma neanche l'ultimo degli stronzi [cit.].

ecco. è la posizione conquistata di centro classifica l'elemento cogente del post. che ci sono arrivato, finalmente. 

il posto dietro di me era occupato dal compagno [di classe] ceretti, mica mi ricordo il nome. occhietti piccoli e vivaci, già piuttosto stempiato. aveva il visto simpatico. una specie di cicciobaciccio di quell'ammasso di potenziali nerd. era sempre sorridente, tranne quando lo interrogavano. si incupiva assaje, non dava l'idea di essere il più brillante di tutti. fu uno di quelli che senza troppi dubbi rimase nella metà di coloro che ripeterono l'anno - gli altri sedici. non è che abbia legato poi tanto con lui. aveva la mano felice nel disegnare. ed osservava con una certa arguzia i suoi compagni di classe. tanto che per ciascuno fece una specie di caricatura. ad ogni caricatura un nomignolo, per completarne la tipizzazione. ognuno era un los qualcosas. quindi girarono i fogli fotocopiati di trentadue los qualcunos, e forse anche qualche professore. la mia fu una delle prime che fece, assieme a coloro che stavano lì nei suoi dintorni, quando ancora l'idea di caricaturizzare tutti non gli era venuta. così io rimasi quello riprodotto in maniera poco rispondente l'aspetto fisico. e quindi fui: los secchiones. nel senso che ero un secchio antropomorfo, con la lingua prominente et pendula. come quasi tutti quelli della prima fila o coloro che a visione sua erano, appunto, dei leccaculo dei professori. ricordo che un po' ci rimasi male. ma non lo diedi molto a vedere. osservando quelle trentadue caricature di alcuni si intuiva il trasporto verso il compagno [di classe] rappresentato. di altri un deciso poco afflato, caricaturato. io né uno né l'altro. in una medietà, ed anche un po' straniato dal mio faccione intimidito.

tecnicamente non ci aveva preso in maniera irreprensibile. per due motivi semplici:

  • fino alla quinta superiore non ho mai secchiato 'sto granché. anzi. studiavo il minimo indispensabile. le cose mi riuscivano senza tutto 'sto gran sforzo o abnegazione;
  • non leccavo il culo ai professori. semmai avevo una fottuta esigenza di sentirmi riconosciuto dall'autorità, cui però riconoscevo autorevolezza. è tuttuncomplessodicose che non giova all'economia di questo sbrodolamento postico.

però, specie oggi, credo che potesse starci quell'intuizione da vignetta che mi fece. senza condividere molto altrogli apparivo così, e tanto basta. mi riconosceva una [spocchiosa?] alterità, magari anche legata ad elementi oggettivi, che poi erano i voti che non si misconoscevano. alterità che in fondo mi stava anche bene. una specie di necessità di sentirmi definito in un qualche modo, che avevano poi tutti. anche con il paradosso di sentirmi accettato pur nell'alterità: ero il secchione, non pervenuto come compagno cameratesco, diventavo una specie di metonimia di quello che studia.

stavo a metà classifica. non sarei potuto salire, di certo: stante il mio non essere esattamente un trascinatore di folle. avrei potuto, invece, finire tra gli ultimi degli stronzi. ma non ci finii perché in fondo stronzo non lo sono mai stato. e quindi, se e quando potevo, un'aiuto l'ho sempre dato. nei compiti in classe non mi limitava l'egoismo del pensar saccente che ognuno potesse starsene nella sua ignoranza, in presa diretta con il voto quattro conseguente. piuttosto il fatto avessi una paura fottuta mi sgamassero i professori, in quel pollaio potenzialmente pandemico. e non avrei sopportato l'onta. perché in fondo era più pressante la necessità di sentirmi riconosciuto dai prof, che paracularmi in un'amicizia in cui sarei stato quello più impacciato et timido.

ero a metà classifica, perché probabilmente non percepivano questa riottosità convinta verso quelli meno smart - che alcuni mostravano, peraltro. ma non avrei mai potuto essere uno di loro. un po' perché si fa casino e buuuurdello cameratesco nella pancia della gaussiana. un po' perché i professori mediamente stavano sui coglioni, più che percepirne l'autorevolezza. figurarsi uno che dei professori godeva di una certa stima. tirando un po' sui toni: uno non nemico del mio nemico, non può essere mio amico.

il ceretti, oltre ad essere un bravo cristo - per quanto forse non velocissimo di testa - ed uno con il tratto felice, non era mio amico. ma non è importante. il ceretti non stava sul palmo dei professori. ed ho la pregna convizione che non li considerasse 'sto granché. giusto forse quel moderato timore. il ceretti - nella sua gioviale simpatia - era di certo più attratto da alcuni figuri. molto più trascinatori. di certo non dei fenomeni a scuola. e fottesega se i secchioni erano altri. non erano istanze che meritavano tutta questa stima. magari - anche - per una versione interiorizzata e molto inconscia del concetto di volpe e uva.

ecco. credo che il punto nodale della questione sia un po' questo. sull'autorevolezza che faceva altri giri. per quanto il problema, però, non è il voto in sé. il problema è che potenzialmente si ribalta il paradigma positivista [che nell'eccezioni nevrotiche mie può far comunque danno]. e si strizza l'occhio alla mancanza del voto che ti porterebbe avanti, nell'essere tra i sedici che passano in quarta. ma in fondo 'stigrandisssssssimicazzi. fino a farne motivo di vanto.

è come se cominciasse a rotolare la pallina. ed ingrossarsi. e se si ingrossa e può portare via l'aula professori. e se sai che non c'è più nessuno che entra in classe a dirti: separate i banchi - per quel che si può in spazi potenzialmente pandemici - compito a sorpresa, allora tutto diventa possibile. anche che gli affabulatori che sanno come affascinare il ceretti saltino sul banco e gridino: fanculo il compito in classe. e che vadano a far in culo i secchioni e i leccaculo. non siete [più] nessuno.

non deve fare poi tanto strano che dopo un po' ci si ritrovi circondati di laureati all'università della vita. quelli raffinati hanno l'ufficio stampa che funziona. quelli meno un social media manager senza scrupoli. ed il combinato disposto è un paese che sembra di peracottari.

con tutto il rispetto per i peracottari.

[occhei. forse l'ho fatta un po' tranchant, e banalizzante, da un certo punto in poi. ma c'è almeno un'altra parte dell'idea multipartita. che a volte mi si piazza nella testa con tutta il suo scintillio - per quanto scoraggiante nel significato ultimo. e poi scompare. cercherò di riprenderla. se e quando verrà].

Sunday, December 6, 2020

antonietta ed il goldrake [nel senso di robot giocattolo] alto così

sto leggendo un libro che a suo modo mi sta catturando. al momento è la storia di un bambino che vive e cresce in un paesino nei pressi di reggio calabria. situazione famigliare disagiata, e contesto socio culturale povero et arretrato, sottoproletariato senza coscienza di classe. la cosa interessante e importante è che il tutto è raccontato con soavità, disincantata. la leggerezza degli occhi del bimbo, per cui quello è il mondo, per quel che ne sa. che per percepire uno iato c'è sempre bisogno di un elemento di confronto. lo struggimento, la tensione si generano quando si sa di altre possibilità, diverse, verosimilmente migliori. che così si fanno desiderio, obiettivi, o necessità. per il momento il marcello del libro racconta. le cose vanno accussì. soavemente. sono io che osservo ammirato per come se la vive, il piccolo marcello. e tutti i casini che ammonticchia: foco fu.

per una serie di rimbalzi dei ricordi mi è sovvenuta antonietta. faceva di marzio di cognome. la trovai in prima elementare. ho memoria fosse ripetente. antonietta di marzio, bocciata in prima elementare. era bruttina. piutosto alta rispetto alle altre, ma bruttina. carnagione olivastra. aveva lo sguardo triste e degli orecchini tanto minuti quanto disturbanti. come se le fossero imposti. una specie di segnatura che le bambine dovevano portare. è incredibile come ricordi - o la memoria mi stia perculando buttandomi lì elementi netti e precisi - di come si muovesse e di come parlase, la sua voce nasale, accento marcato, non ancora livellato dal nostro, che ci sembra quello normale, che non è accento, appunto. era una bambina cui il destino sembrava già aver decretato una discreta situazione esistenziale di merda. ed i segnali dovevano esser ben chiari anche a dei bimbi come noi. senza che ce ne rendissimo conto. ma quello stigma era ben introiettato da tutti. insomma, era segnata. e non che ci fosse quel granché di perequativo nei comportamenti di tutti. anche della maestra. che è stata l'elemento fondante della mia prima educazione scolastica. ma mai del tutto comprensiva nei confronti di coloro che rimanevano più indietro - per quanto ho la sensazione che altre potessero far addirittura peggio. antonietta era quella che più indietro di tutti rimaneva. e nel termine fanciulli c'è dentro una specie di candore, che può far a pugni con la stronzaggine e perfidia che a volte i fanciulli sono capaci di mostrare. quasi un'eco di un darwinismo sociale che sta in una qualche zona profonda del cervello. o della memoria collettiva. e quindi con lei eravano fondamentalmente stronzi, quanto meno mai amichevoli. come guidati dallo stigma di cui sopra.

anch'io, ovvio. ma mi arrogo l'idea di ricordare anche una sensazione di compassione. forse è il perculamento delle memoria ancora. ma intuivo ci fosse un qualcosa di ingiusto nel modo in cui la percepivamo e la consideravamo. poi era un qualcosa che non sapevo contestualizzare. né mi portava ad adoperarmi in maniera così diversa rispetto agli altri. come se intravvedessi appena il quadro sfumato delle cose. senza sapere cosa farcene, nella pragmatica del comportarmi, o nel strutturare dei princîpi da cui provare a far discendere un atto. quindi non riuscivo a farmela stare simpatica, o considerarla amica. però cercavo di essere cortese e disponibile. simpatia, amicizia cortesia, disponibilità: nel potenziale di quel che si può fare a quell'età. lei forse 'sta cosa la percepiva. per questo ricordo considerazione nei miei riguardi da parte sua. o forse era così con tutte e tutti, tanto era il suo desiderio di essere accolta.

una volta mi raccontò di possedere un goldrake giocattolo alto così. ed io ne rimasi impressionato. lei probabile lo capì immediatamente. così mi disse che me lo poteva regalare. io comincai a fremere di desiderio, a capire poco un cazzo, obnubilando la [poca] razionalità di cui disponevo. senza sapere ovvio esistesse la parola obnubilare. [parentesi: di rimbalzo in rimbalzo quello è un meccanismo in cui sono scivolato altre volte, e nemmeno in tempi tanto andati. solo che da ultimo non è scattato quando mi han fatto subodorare dei goldrake alti così. bensì situazioni che si possono eponimizzare in quella cosa bellissima che sta appena sotto il baricentro delle fanciulle, possibilmente non troppo glabra. facendomi infilare - figurativamente ovvio - in situazioni quanto meno improbabili. dove a volte sono scappato a gambe levate. fine parentesi]. insomma, antonietta mi disse che 'sto goldrake alto così avrebbe potuto portarmelo il giorno appresso. io le chiedevo cose, dettagli, particolari di questo goldrake alto così. e lei mi rispondeva con una dovizia di particolari che mi titillavano, provocando sottili godimenti di quel che avrei potuto verificare io, possedendoli. ci ho ripensato parecchie volte negli anni a 'st'episodio. vai a capire perché. di certo allora non mi feci nessuna domanda del perché una femmina dovesse avere un goldrake alto così - non mi risultava che le femmine fossero interessate a guardare atlas ufo robot, quindi cazzo se ne facevano di un goldrake alto così? [parentesi: se qualche paladina incazzatissima della [sacrosanta] parità di genere, nel caso molto poco probabile passasse di qua e partisse la filippica con la questione del settarismo, che stabilisce quali debbano essere i giochi delle bimbe e quali quelli dei bimbi, e che allo stato dell'arte questo avvenga per delle costrizioni culturali, che impongono e non inseguono i desideri spontanei che sgorgano dalle creature. ecco. quello era il non mi ragionamento che non feci allora, in quel contesto di bimbo che veniva anche un po' perculato dagli altri maschi perché non era abbastanza stronzo con le femmine. fine parentesi]. inoltre non mi risultava che un goldrake alto così esistesse, nei negozi di giocattoli e nelle pubblicità che compulsavo. e soprattutto: perché avrebbe dovuto regalarmelo?

ma tanto era il desiderio di possedere il goldrake alto così. che ovviamente il giorno appresso non venne soddisfatto. e neppure quello dopo. non ostante le mie rimostranze. all'inizio placate con dei giustificativi tipo ho il gomito che fa contatto col piede [cit.], mitigando la mia rabbia e delusione con la promessa che sicuramente l'indomani me l'avrebbe sicuramente portato. oltretutto il goldrake non era alto così, bensì così. la questione del goldrake andò avanti qualche altro giorno. con lei che si faceva ogni mattina più umbratile: la bocca più piccola e contratta, gli occhietti tristi ravvicinati, lo sguardo più basso. io mi facevo più risentito e stronzo. il goldrake alto così mi era stato promesso. mi sentivo preso in giro. non volevo dargliela vinta per avermi abbindolato. non è escluso la presi a male parole, per quanto potevano essere male le parole quelle che mi permettevo di usare allora. ma col desiderio di ferirla, come uno stupido fallo di reazione. una parte della mia testa sapeva che non esisteva nessun goldrake alto così. pero non mi capacitavo di come ci si potesse inventare una balla del genere, sapendo che avrebbe dovuto rendere conto al furore desideroso che aveva appizzato. come si poteva essere tanto ingenue? quindi un'altra possibile risposta era che il goldrake alto così doveva pur esserci da qualche parte. e rimasi appeso a questa speranza. poi passò anche quella.

ovviamente non capii allora che era il tentativo di ottenere la considerazione di qualcuno. talmente sgarruppato o disperato da far quasi tenerezza. ma le era bastato aver suscitato l'attenzione. per quanto fosse come accendere il fuoco con della carta velina, pensando di farne un falò con cui affrontare la notte. forse è questo che me l'ha fatto tornare in mente altre volte, da allora. quella necessità profonda e tutti gli artifizi per darne seguito, soddisfazione. forse nella sua testa, in fondo, un goldrake alto così da regalarmi c'era eccome. come il desiderio ed il sogno di un'infanzia diversa. guarda invece a volte la realtà come sa essere spietata, che poi 'sto goldrake alto così mica te lo ritrovi quando te ne torni a casa: e dire che l'avevo promesso.

e per essere spietata, la realtà, lo fu davvero. e fu che, piuttosto d'un tratto, quella famiglia sparì dall'hometown. lasciò quell'appartamento, che uno si immaginava piccolo e modesto, di cui ancora oggi rimane la porticina, piccola e stretta che dà diretttamente sulla strada nazionale. che sembra non venga aperta da anni. le voci che girarono dissero di abusi da parte del padre - di cui ho ancora vivido il ricordo del fare dinoccolato, il viso oblungo, i cappelli corti e grigi. il sommesso chiacchiericcio raccontò che quando toccò ad antonietta, quello che era già capitato alla sorella più grande, lei rimase in cinta. la madre trovò il suo modo di difendere la sua creatura. lo fece accoltellando il marito, padre ed orco. lui finì in galera. madre e figlie se ne andarono. forse tornarono là dove l'accento di antonietta non era considerato un accento. fu la prima ed unica volta che seppi di queste cose dalle parti dell'hometown. di lei invece non seppi più nulla. accadde dopo la fine delle elementari. eravamo già abbastanza grandi per intuire la gravità ed il contesto di degradazione di cui antonietta era vittima. tutto riacquistò una luce diversa. da quel suo stigma che si portava appresso, come gli orecchini disturbanti. a quanto eravamo stati un po' tutti stronzi nei suoi confronti. chi in un modo. chi nell'altro.

e quel goldrake alto così che io di certo non mi sarei meritato di sottrarle. che avrebbe dovuto, altresì, animare la fantasia dei suoi di giochi. e che invece, immaginificamente, le era servito per sottrarsi, il tempo di un sospiro, dalla durezza ed ingiustizia della sua infanzia violata, che non merita nessuna fanciulla et fanciullo.




Tuesday, November 3, 2020

diiiielecsioondeiii /2

e dopo tutti gli altri eleccccsssiondei passati? questo come butta? tra me e me dico, per quanto tutto conti solo per me, ovvio. e per quanto questa è davvero stata la peggiore presidenza di quelli là. imho, come direbbero gli ammmmericani. è solo la mia onesta opinione. però, in fondo, mi sono avvicinato con un certo distacco.

un po', è ovvio, è che ci sarebbe quell'altra questioncina che variegatamente un po' ci distrae da qualche mese. [poi al solito non c'è il doppio cieco. ma come saremmo messi, per questo eleeccccsiondei, se non ci fosse stato l'infarto della storia che è il virussse? [cit. luca bottura]].

un po' [tanto] è il discorso dei [piccoli] tornanti della storia. che uno ha perso anche l'entusiasmo per potersi inorridire. o forse è una questione che si invecchia, ed un po' l'entusiasmo lo si perde a prescindere. specie quando tra una spigolata e l'altra vieni a stringere la mano al principio di realtà. o forse intuisci, ancora di più, ancora una volta, che sei solo un feticista della svolta più o meno rapida per uscir a guardar le stelle. che fa molto finale dove si guarda ad una speranza più o meno lontana. o gli ultimi versi de la locomotiva, quando la canzone si alza di un tono in quel ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore, o l'ultima strofa del when the saints springstiniano (yeah I want to be there on that morning/when the new world is revealed).

ed il problema non è nel feticismo in sé, figurarsi. è che il feticista si incista sull'oggetto del desiderio. e non ne ha completa contezza, pensando infatti di osservare il tutto. e un po' si rincoglionisce via.

e me peraltro piacciono le tette fatte bene ed il capezzolo ampio, per quanto sia evanescente il concetto di fatte bene. tanto che a volte è come se ne elevassi il disio a chissà quali altezze, ma è solo un succedaneo. come unica gioia potenziale. che rimane molto in potenza. ed io sono comunque un po' rincoglionito via. o al meglio, appunto, distratto.

quindi, appunto, son arrivato con un certo distacco. ed anche perché, suvvia diciamocelo, non bisogna nemmeno nasconderselo via: hanno scelto il candidato meno entusiasmante delle ultime sediciottoventunquattro elezioni. l'equivalente di un esponente della corrente democristiana più centrista della diccccì in sé. se ci fossero ancora quelle cose dicccccì lì.

e questo dà un senso al contesto.

perché quel joe è l'epitome perfetto del momento. talmente usato sicuro che era il rischio minore, per evitare si ri-verifichi quell'incidente catastrofico che è 'sto folle dal capello arancione, che ha in mano tra l'altro il bottone nucleare, oltre la possibilità di sminchiare ancora di più l'andito della storia. va bene anche un vecchietto settantottenne, la sintesi meno peggiore di un coacervo di visioni del mondo che sono i democrat. uno che non è che entusiasmi lui in quanto lui. ma la possibilità possa essere l'alternativa a qualcosa di ancora più ferale di quel che è merdosamente già stato. è la scelta talmente migliore, tanto è meno peggio di quel punto di accumulazione di peggio, che sembra una scelta fantastica. è una trapunta di valium sugli entusiasmi vivi della gioventù che - variegatamente - ognuno si porta dentro. ma in questo momento è una specie di bellissima e agognata ciambella di salvataggio offerta dal principio di realtà. che solitamente non è così scintillante, ma far gli schizzinosi ci si picchia il musone sulla fredda pietra dura, onusta di irtitudini.

il vecchio vice president di quella speranza [piuttosto] passata di obbbbbama, dovesse vincere [e desidero vinca almeno tanto quanto il mio poco entusiasmo] non darà più lavoro al mio amico daniele, come mi ricorda nel suo disincanto di uno che sta facendo molta fatica [e non solo perchè c'è un president piuttosto che l'altro]. né immagino permetterà a me di superare quella che credo sia - tecnicamente - una banale crisi di mezza età. figurarsi poter andare oltre il succedaneo delle belle tette e capezzoli ampi. ma è una specie di recupero sul filo del baratro per l'umanità. il vecchio joe mica la porterà a chissà quali fasti. ma basterebbe per ri-cominciare ad invertir la tendenza, e sarebbe già tanto. la sua elezione porterebbe, son certo, a rallentare lo sminchiamento globale. va bene la cina. ma alloggiare in quel del 1600 di pennsylvania avenue qualcosina ancora conta.

è talmente tempo di starsene accccuorti che è il piuttosto, piuttosto che il [tantissimo e pericolosissimo] niente. c'è dentro questa specie di ambivalenza un po' da paradosso. che tanto di paradossi mi pare di incrociarne con voluttuosa frequenza, negli ultimi tempi. quindi figurarsi se mi meraviglio di questo. nel mio piccolissimo e dal [relativamente] riparato soppalchino. va bene così. e se lo si guarda con spirito di adeguamento - scaltro - al principio di realtà va bene questo iper-moderato iper-centrista. che a proposito di nuovo è senatore da quando succhiavo latte materno. ma va bene così, anzi: va benissimo. e speriamo sarà un bellissimo sospiro di sollievo. 

tatticamente perfetto.

perché poi, vabbhè, siccome sono un fiaccato inguaribile idealista [gli aggettivi non sono in ordine casuale], zitto zitto, lemme lemme, faccio finta di nulla. fischietto fintamente disinteressato e disincantato. ma ho ben chiaro cos'altro potrebbe significare il cambio di presidenza. contando su chi, nel caso, sarà la vice president. e cosa potrà significare, pezzo a pezzo, il prossimo elecstionddddei. sì. sono un disperato ottimista. occhei alle personalissime speranze che svaporano, nel caso. ma poi che kamala shall overcome.

Kamala shall overcome


Monday, November 2, 2020

diiiielecsioondeiii /1

invecchio. questo è l'undicesimo election day di cui ho memoria. 

quando elessero quel cauboi finto di reagan ricordo che mi piaceva di più di quell'altro, carter. senza capirci ovviamente un cazzo.

quando lo rielessero ricordo che la prof di inglese ci riportò, traducendolo, un suo commento: e non avete ancora visto niente. mentre a me giravano le palle emisi un "buhhhhh" nella caciara della classe. cominciavo a capirci qualcosa di più.

di bush padre non ho ricordi particolari, tranne che mi girarono le palle, oltre di un anno scolastico complicatino, con le nevrosi perfezionistiche che si stavano perfezionando nella mia testa.

la sera prima che elessero clinton ero al planetario, con una fanciulla [le ho sempre portate lì, per poi non combinarci nulla]. capita che prima delle conferenze [poi ovvio uno non concluda nulla - dice -  se le porti alle conferenze al planetario] facciano una rapida visita guidata al cielo stellato di quel periodo. si vede scorrere velocemente, sulla volta di cemento, quello che scorre nella volta celeste al tempo che conosciamo. quando - nel correre veloce della volta di cemento - stava per finire la notte e spuntare il sole esclamai alla fanciulla, un po' enfatico a darmi un tono: è il nuovo giorno ed eleggono clinton, dimentico che era il sole sopra milano, e non sopra i quattro fusi degli steits. non ricordo esattamente come la prese la fanciulla.

la ri-elezione di bill la ricordo pressoché come una formalità, oltre che di un periodo complicatino, con le compulsioni ad incistarsi sul nulla affettivo [forse non lo sapevo ma anche quello non era amore].

quando elessero bush figlio, sì mi girarono i coglioni. anche per come si delineò via via, e i pochi voti di scarto in florida. ma stavo cambiando vita, o almeno così credevo. con l'illusione avrei smesso di far l'ingegnere. ed ero moderatamente al settimo cielo. piuttosto illuso. appunto. e quindi il tutto sembrò mitigare. quel master più che l'occasione di cambiar vita fu a suo modo un sòla [ma non per tutte le persone che conobbi]. ero lì, a far quelle lezioni pezzottate, quando tirarono giù le torri.

quando lo rielessero mi girarono ancora di più i coglioni. forse la delusione più cocente di tutte le elecsioondeiii. quel vermaio della guerra in irak era appena di un anno e mezzo prima. riconfermarono un idiota, un inetto, come non era riuscito al padre, il primo probabilmente a sapere quanto poco valesse quella sua creatura. e quel dableiu, un inno all'immeritocrazia. qualche giorno prima scrissi un articolo per il giornalino locale, faceva nel titolo una cosa tipo "caro elettore del maine". il senso era: cazzo, elettore del maine, il tuo voto influenza un sacco anche me, e tutto il resto del mondo. vedi di non far minchiate, che il tuo voto è più pesante del mio. da qualche parte devo avercelo ancora. ora mi dico: sei un pirla, che il maine è strongly democrat probabilmente da prima ancora di sempre. avrei dovuto titolare ad un elettore dell'ohio, lo swing state per eccellenza.

poi vabbhé. ci fu obbbbbbama. il giorno prima del suo giuramento scrissi un post breve ma accalorato, nel vecchio blogghe. fackofff dabbbbleiuù, talmente mi sentivo meglio pensando al fatto che george walker bush se ne stesse andando fuori dai coglioni. a rileggerlo ora forse farebbe quasi tenerezza. un po' perché lo etichettai come il peggior presidente della storia, mentre la storia può tirar fuori dal cilindro decisamente roba più raffinata, nel peggio. un po' per la deduzione [ingenua?] che con la sua mancanza sarebbe stato fottutamente meglio. un po' per la capacità ostinata che avevo nel lasciarmi andare a idealizzare persone et situazioni. non che non avessi già avuto modo di ri-considerare i voli della storia, che pensavo fossero alti, altissimi, invece erano pindarici, specie nella mia testa. e soprattutto poco abbraccianti la fottuta et irriducibile complessità delle cose, che il principio di realtà sparge copioso qua e là. però, in qual modo, ci credevo. credevo che quell'elezione potesse essere davvero una svolta. come passare dalla notte al giorno. come se quel melting pot impazzito fosse riuscito davvero a dare una svolta ad U, in un elecsiondeeiii. e che tutto dovesse, potesse, andare a ruota. ero onusto di speranze. fin giù a quel che stavo vivendo nel mio piccolissimo. a dare un senso lavorativo-aziendale-esistenziale alla mia piccola intelligenza. e poi sarei andato a far altro. la mia amica strangeskin - di cui subito segretamente il fascino - fece un post, nel suo bloggghe che si concluse con una cosa del tipo: adesso vedi di non farti ammazzare, che le aspettative sono tante.

chiaro che non andò esattamente così. a cominciare dalla o per finire alla presidenza obbbbbama. però quattro anni dopo mi feci la nottata elettorale per seguirne la riconferma. fino alla pelle d'oca e la lagrimuccia - forse anche per il sonno - in quel "this happened because of you", ed discorso alla fine della notte - quando, tra l'altro, disse alle figlie che la regola non era un nuovo cane alla casa bianca ad ogni elezione, uno era più che sufficente. certo, certo. non mi sentivo pervaso d'entusiasmo scalpitante come la volta precedente. non foss'altro per i nuovi incontri ravvicinati a velocità tosta tra il mio muso e la realtà. che disincantano parecchio. e che mostrano com'è fatua la speranza sia rapida, in quel che ti trascende, l'evoluzione dell'umanità, di lì al breve intendo. [poi, umanità. stiamo pur sempre parlando di quel pezzo di mondo privilegiato che è il nostro. il resto è ancora più zizzagante].

poi la volta scorsa, vabbhè. un'altra giravolta della storia. per quanto fossi un po' di distratto, ma non da cose esattamente entusiasmanti. in quel periodo non avevo ancora capito da che parte ero girato, non ostante i quasi 24 mesi passati là dentro. la mattina appena svegliato. allungai il braccio sul butòn dell'on della radio della radiosveglia, ancora mezzo rincoglionito dal sonno. ricordo distintamente la voce del disma, talmente laconica che bastò il paraverbale, prima ancora di capire cosa stava a dire, una cosa del tipo "anche la florida, allora, si conferma come persa... e credo che ormai la cosa sia ufficiale".

sembra passato un sacco di tempo. ma sembra anche sia volato. quella che - mi auguro - sia veramente il punto più basso di quella roba che è la storia dei presidenti iuesssssei. dopo la speranza [quanto delusa?] di obbbbbama, il pagliaccio per quanto pericolosssssssssimo. con tutti i danni che ha fatto, e che riverbereranno per chissà quanto ancora.

history of us president

 

ed ora? in questo eleccccsiondeiii? [to be continued, come scrivono nei telefilm 'mericani].

Saturday, October 31, 2020

voglio un silos-si-lo-voglio-silos-si-lo-voglio

bisognerebbe chiederlo ai futuri inventori di un domani che più o meno verrà. qualche geniaccio che - grandeggggiove - dopo aver ripreso i suoi sensi dopo una botta sul bordo del suo lavandino, avesse una sua rivelazione di un'altra versione della visione del flusso canalizzatore. anche se quel flusso non è che debba necessariamente canalizzare. ma inventarsi un'altra roba.

un silos per conservare la sensazione che inanelli in taluni momenti. con lo stesso principio di sopravvivenza con cui hanno inventato altra roba. roba già nota. tipo le cantine dove conservare il cibo per l'inverno freddo e duraturo. i fienili dove ammassar nutrimento per il ristoro nei mesi di ricovero delle mandrie, delle greggi. le cambuse per affrontare le traversate lunghe e perigliose. hanno avuto l'inventiva una volta. ci si potrà pure ripetere in situazioni più sfumate, eteree, ma mica per questo da dimenticare nell'agenda delle invenzioni. certo. per le cose per non morire di fame han già dato. e per fortuna direi. ma la luce affievolita dentro fa molto complicazzo. certo che complicazza.

un silos per metterci dentro l'importanza di vivere il momento - bello - con la contezza stia avvenendo esattamente in quel momento. mica le cose eclatanti, quelli son buoni tutti. ed è facile in periodo di vacche grasse. no. il momento importante e fondante di una stilla. evanescente. e sapere che è quella, e sapere che si può cercarne altre. nell'essenzialità delle cose piccole, piccolissime, impalpabili, non materiche. ma che azzeccano le combinazioni giuste, e tutto va al suo posto. non è una questione di ordine o dis-ordine. è il fatto che quel momento va bene così. esattamente così. anche se si potrebbe fare meglio. fottesega. va bene così. esattamente così.

ecco. un silos per ammonticchiare 'stecosecosì. ma mica perché uno poi se le rimira lustrandosele, come egotonici a la carte

no. no.

bensì per usarle quando la luce dentro si affievolisce. sfarfalla. e la paura del buio che uno pensa è lì lì per arrivare non è così tanto piacevole. per riprenderne un po' dalle conserve, quel che serve, quando  sono alcuni spuntoni delle spezzate poligonali, che a volte è così che buttano le cose. e rintuzzare tutta la difficoltà, il dolore, lo sconforto, la paura, e quel miscuglio di disperante mancanza di senso che può uscirne.

sarà che ho camminato sopra le foglie caldarancio. sarà che mi son messo in modalità: addddapasssàanutttata, ma ho il culo al caldo, quindi stiamo acccccuorti e quieti, che non c'è altro che aspettare [quando il limite dell'esser per un cazzo pensieroazione vien quasi utile]. sarà che così sono già in attesa preliminare dell'elenco più o meno immaginifico di cui il post di prima. sarà che mi pare di aver per il ritmo ed il sincrono capire come distillare variegatissima acqua che disseta, da variegatissima singola goccia di rugiada: che basta davvero poco, se si è efficienti. in questo momento mi vengono in mente un certo numero di cose, che son cose piccolissime. prendo a caso: osservare il video di  canzoni. tipo gente che canta assieme con una gioia che ritma più apppppalla delle battute al minuto, oppure miti della musica a concerti che sembrano roba intima tra lui e chi ha avuto la fortuna d'esserci.

ecco. per questo vorrei metter dentro quel fieno in cascina che mi sembra di saper cogliere. copioso o meno non importa. è che il fieno spunta. e metterlo in questo silos. che insomma voglio un silos-si-lo-voglio. mettere via. e prenderne un po' per volta. dovesse servire. anzi, quando servirà.

perché ho la sensazione servirà. servirà variegatamente a ciascuno. perché variegatamente non saranno mesi semplici. e la primavera, ho la vaga idea, tarderà ad arrivare. perché adesso, in questo momento, va così. ma neppure troppi mesi fa non andava proprio per un cazzo così. non è che manchi il riferimento esperito.

per questo, oltre alla contezza del momento, servirebbe quell'invenzione di un qualche inventore geniaccio più o meno del futuro.

anzi. servirebbe pure adesso. che addirittura - addirittura - sarei quasi quasi incuriosito di provare che effetto fa, quella cosa che ho colto ascoltando questa versione così avvolgente di when the saints. quando quei due condividono una strofa assieme davanti al microfono. dove la strofa è solo una scusa, una specie di eccipiente, armonizzato in quel modo un po' tra il gospel e il blues. perché quei due è come se per un attimo dimenticassero di essere davanti ad un microfono, e sublimassero cosa deve accadere nei momenti della loro intimità. ecco. se lo chiamano the boss, vorrà pur dire che personaggi come lui ce ne sono in giro decisamente pochi. però la curiosità di provare quel tipo di complice intimità, ecco sì. sarei proprio curioso di sapere che effetto fa. non so se potrà mai accadere. ma il fatto mi si incuriosisca così, in questo modo, è un qualcosa di vibrante stilla. da voler conservare.

dentro nel silos. cazzo bisognerebbe averlo già inventato. se non ci fosse.



Monday, October 26, 2020

[breve] post mementifero-desiderevole [con un paio di premesse]

le premesse, appunto.

la prima è che ho il culo al caldo. quindi non ho nulla di cui lamentarmi, nello specifico.

la seconda è che quest'infarto della storia [cit. luca bottura] ci rode il culo, a tutti. però noi nel nostro mondo ricco siamo dei novellini, in fatto di punti angolosi che s'addentrano da tergo - figurativamente. ci sono distese di pezzi di umanità per cui è un incidente in più, giusto più incidente degli altri, che a loro gli incidenti gli spuntano da abbastanza sempre qua e là, copiosi. quindi tutti noi, da quello specifico, non avremmo granché di cui lamentarci.

ma non saranno mesi facili. andrà tutto bene un cazzo. anche se ho il culo al caldo. anzi. proprio perché ho il culo al caldo non posso far il ghei con il culo non al caldo degli altri.

tenendo calettato nel civrieddu queste ovvie banalità, vorrei davvero tanto impararla un po' di più la lezione, dal mansueto e comodo starmene col culo al caldo. e nel mio piccolo ricordare di andare a cercarli, e viverli, i momenti di stille. quelli che saranno, perché è certo che saranno, basta saperli andare a cercare. e soprattutto scorgerli. diminuendo, come il tendere a zero del limite notevole sen(x)/x*, la distanza temporale tra l'attimo della stilla e l'attimo in cui ci accorgiamo ci sta irraggiando in mano nella sua bellezza, la stilla. autunno vuol dire che dopo c'è l'inverno. ma poi è primavera. un elenco qua e là sparso, più o meno immaginifico:

  • sedermi su di una poltrona di un teatro, il sabato sera. va benissimo da solo. distillarmi attimo dopo attimo tutta la tensione erotico-emozionale che l'attore emana. a prescindere. e poi tornarmene a casa e cucinarmi uno spaghetto medio grosso, rugoso. non necessariamente pasta rummo, ma la pasta rummo è un ottimo esempio; 
  • la prima vellicata di birra, con il pallido baffo della schiuma, che non vedi ma sai che c'è. possibilmente non da solo. ed ascoltare il travaso di pezzo di vita che si vuole raccontare, lì. piuttosto casino di sottofondo, ma che ovatta, canalizza, il dialogo che via via è meno incerto. e il pensiero che si fa meno timido, corroborato dagli effetti del malto, del luppolo;
  • il libro estratto dallo zainetto, una volta salito su di un tram carrelli. appoggiarsi al finestrino e scorrere, alternativamente, qualche pagina e quello che scorre accanto ai binari;
  • cazzo, no, vai fuori sul balcone a fumare. lascia aperta la finestra, non fa niente se entra il freddo, mica posso lasciarti fuori in solitudine, speta che ti piglio un posacenere, beh sì ovvio che non ne ho, mica fumo io. sì è un piattino della tazzina del caffè, cos'hai da rompere i coglioni se è un piattino del caffè? non preoccuparti poi lo lavo, tu pensa a fumare, peraltro potresti farmene uno tu di posacenere e regalarmelo. a proposito sto ancora aspettando il bicchiere contenitore per lo spazzolino e il dentifricio. vabbhé sono anni che dici che devi portarlo al forno per smaltarlo;
  • uscire dall'auto, sgranchendomi un po' le gambe, e fare pat-pat all'angolo, appena sopra lo stop, grazie macchinina di avermi portato fin qui. e poi aprire le due porticine posteriori, uscire il bagaglio, ti ho portato un paio di regali, la bottiglia ce l'apriamo guardando il tramonto, il libro, sono andato a sceglierlo alla mia libreria di fiducia, si chiama il domani, sta accanto alla stazione cadorna, avevo chiesto un consiglio, mi hanno suggerito un titolo, mi è venuto in mente quest'altro: come ho fatto a non pensarci prima;
  • la volta scorsa hai fatto tu. 'stavolta tocca a me. e ma tu sei venuto da me e non vicerversa. ma non fa nulla, dai faccio io. occhei, però la prossima volta sta a me, ricordiamocelo;
  • infilarmi in un corteo. non conoscendo nessuno. e guardarmi attorno. da solo ma in compagnia;
  • stringere una mano. abbracciare una persona. baciarla castamente. senza più la sensazione ci sia qualcosa di cui preoccuparsi;
  • massaggino ai piedi? o sì, che bel regalo che mi fai, è stata giornata un po' pesante**;
  • l'orsitudine non è più una virtù;
  • quella lama di luce al tramonto, che inonda la parte sinistra del tutto, un bel contrasto con la facciata del castello, la gente attorno che si fa i soavissimi, rilasatissimi, cazzi suoi la domenica pomeriggio. sulla panchina osservo tutto questo e azzardo qualche foto smartphonistica. a incrociare la combinazione giusta di nuvole bianche che constrastano e danno sostanza lieve, a far da contrappeso simbolico alle mura, alla gente lì intorno, tutti avvolti in quella lama di luce. potrebbe andar peggio. è sto pure fottendo il sunday blues. per quanto domani dovrò controllare come tutti i lunedì il carico aui***;
  • odg, che sollievo poter lasciare andare il ragionamento libero senza 'sta cazzo di mascherina. poter cogliere le sfumature del viso, il ritorno emotivo del mio proluvio****;
  • non ostante i giramenti di coglioni esperiti, andare addosso consapevolmente ad una scombinatissima istanza di inaffidabile pericolosità. come paradosso molto irrazionale, o la prova provata sia un romanticissimo coglione;
  • occupare il posto appena a sinistra, una volta in cima i gradini per accedere al piano superiore del vagone, dando le spalle alla direzione del viaggio. e quindi la foto dal ponte del traghetto, che verosimilmente avrà i due terzi di acqua, e un terzo di quello che sta fuori. speriamo di trovare un passaggio rapido, una volta dall'altra parte della riva, autostop come quando avevo sediciassottonoventiundue anni, che mi ero detto che tornato dal servizio civile avrei smesso, che ormai ero cresciuto. poi ho detto mastigrandisssssssimicazzi. continuo a farlo;
  • il concerto del deGre, al teatro dal verme, pieno in ogni ordine di posto. nessun distanziamento;
  • le presentazioni più affollate di bookcity;
  • lo sposalizio della vergine, con l'allestimento che ideò munari nel 1976;
  • vieni al corso di scrittura? no, bruna, non ci ho né tempo, né testa, e poi come mcEwan non scriverò mai, quindi cazzo ci vengo a fare al corso? però, ripensandoci, quando fa lezione robecchi posso venire ad ascoltarlo? certo che puoi. e non dimenticare che, nel caso, i racconti dovresti farli più stringati. i post? ma i post sono psicopippe, non contano e nemmeno mi metto gli occhiali per leggerli;
  • sedermi su di una poltrona di un cinema, qualunque sera. far due chiacchiere lievi. si spengono le luci, partono i promo degli altri film. e poi le prime scene di quello che abbiamo scelto con una certa dialettica argomentativa. gliela prendo la mano? me la prende la mano invece di cincischiarci attorno?

 
* ris = 1.
** paraculissimo inizio di preliminari, come ben si sa.
*** attività ricorrente, settimanale, in ambito regulatory. pare che là dentro nessuno ne conosca i meandri tecnologici di processo, quanto lo scombinato scrivente di questo post. e tutto ciò fa anche abbastanza ridere.
**** non appartiene al registro del detto, ma quello del pensato.


Wednesday, October 14, 2020

cazzo. ci mancava pure se n'andasse l'Ermi

non che quest'anno non abbia già dimostrato di essere di merda, di suo. per quanto convenzionale sia un anno. per quanto io non abbia granché da lamentare. però. cazzo.

se n'è andato l'Ermi. di colpo. così. come mettere un piede nel posto sbagliato in montagna. in val grande, quello spazio incazzosamente vvvuaild, a due passi dall'hometown. dove accadde di tutto durante la Resistenza. dove l'Ermi c'è andato millemila volte, anche per scriverci di Resistenza. lui che si chiamava così per ricordare un partigiano, ucciso dai fascisti nell'hometown. davanti al monumento che li ricorda, i partigiani, ebbe appunto a dire: non è semplicissimo portare un nome così, qui, in questo posto.

cazzo. Ermi. ma porco di quel cazzo!

c'è stato un periodo delle mia adolescenza in cui l'Ermi fu un punto di riferimento, importante, fondamentale. un qualcuno cui ispirarsi, uno da cui un qualsiasi gesto di encomio era un regalo importantissimo. lascerei da parte, per il momento, il fatto abbia avuto [da coniungare al passato?] questa necessità: l'encomio di qualcuno che idealizzavo [idealizzavo, sì, questo al passato]. per un rimbalzo curioso degli eventi quel tipo di figura, forse addirittura la prima, è stata una persona tanto tendenzialmente orso quanto sfuggente, con bagni di undertatement sarcastico-ironici che allora non sempre capivo. e per cui a volte un po' rimanevo male. ovviamente non c'è il famoso doppio cieco, ma ho la sensazione che non sia del tutto scorrelato il fatto che, a mia volta, abbia cominciato a farli miei. quegli approcci dico. sicuramente ho ascoltato da lui gli incisi di alcune canzoni di guccini, de andrè, de gregori, che ricordo ancora adesso. sicuramente mi sono avvicinato alla fotografia incuriosito dal fatto lui fotografasse. sicuramente ho suonato il flicorno nella banda dell'hometown molto fiero di farlo accanto a lui.

non so se lui abbia mai avuto piena contezza di tutto ciò. di cosa abbia significato per me allora. non mi meraviglierebbe sapere lo sapesse. era una spigolosa intelligenza emotiva, ne sono certo. ogni tanto, negli anni, mi son chiesto se per caso 'sta cosa forse non l'imbarazzasse o non si sentisse adeguato, o qualcosa che se ne sta in quei dintorni.

a sedici anni ebbe a prendermi a male parole, davanti ad un po' di persone. tecnicamente per una minchiata, che però a lui sembrò offensiva e poco seria, per me l'occasione con cui cominciare a sentirmi adulto. fu a suo modo un piccolissimo punto angoloso, forse uno dei primi. un paio di giorni dopo mi chiese scusa, ma io ero ancora un po' frastornato. un paio di mesi dopo se ne andò dalla banda, io presi il suo posto, anche fisicamente sul palchetto dove si facevano le prove, oltre che a scrivere le presentazioni dei pezzi nei concerti, ovviamente con risultati piuttosto diversi. ci perdemmo piuttosto di vista.

però è sempre stato l'Ermi. tanto più che cominciò a vivere di scrittura. cosa che intuii avrei potuto fare anch'io, tra le altre cose. anche per far sì potesse diventare un qualcoa in cui imitarlo [anche se sappiamo com'è andata a finire].

ho la più che convinta sensazione che se son venuto su così - per la pars construens - è anche perché ho cercato un qual mimetismo con lui. a prescindere dal risultato che continuerà a declinarsi.

forse gliel'avrei anche detto. era da qualche anno che pensavo mi sarebbe piaciuto farci una bella chiacchierata. chiedergli e spiegargli un po' di cose di quei tempi, di quando era un riferimento importante. e magari chissà, provare a farmi coinvolgere in un qualcosa avesse in mente di fare. probabilmente l'unico intellettuale di questa hometown così infighettatasi ed arricchita. sono quelle belle idee per cui uno pensa ci sarà sempre tempo per farlo. difatti. mi sarebbe piaciuto, ma ho anche idea mi sarei sentito molto imbarazzato. per tutta una serie di cose. e di come rotolano a partire da quando cominci a vedere alcuni adulti come coloro da cui prendere ispirazione.

fu una delle persone che più mi sembrò colpito quando se ne andò mio padre. per quanto non mi era mai parso di cogliere quel tipo di famigliarità e confidenza, che invece aveva con altri. mi fece molto specie. come se ci fosse un qualcosa che le apparenze sembravano celare, quanto meno quelle che potevo cogliere io. comunque sempre con l'eco di quello che lui era significato per me, un paio di decenni prima.

l'Ermi scriveva bene, cazzo se scriveva bene. ma la sua prosa non è semplicissima, anzi. come a volte accade per le cose raffinate. probabilmente era molto più abile come giornalista, storico, studioso che come narratore. la cifra stilistica non è piana e lineare, per quanto asciutta e rapida. però secondo me lui era proprio così, come quando una scrittura rappresenta esattamente una persona. invero da quel che riuscivo ad intuire, da quel che si lasciava intuire. forse era un modo per celarsi, non mostrare in maniera banale l'intelligenza, il mondo, la sensibilità, la profondità che era riuscito a conquistarsi dentro. ho perso sicuramente un'ottima occasione di provare a capirla, per quanto avrebbe voluta farmela - eventualmente - capire lui.

se n'è andato scivolando sul pizzo Marona. una cima epica per quello che è stata la Resistenza che lui ha studiato, ha raccontato, per poi allargare la sua curiosità al mondo di qui, negli anni di un pezzo di secolo scorso. se n'è andato camminando sui sentieri su cui si è scritto un pezzo di Storia. forse, nell'insensatezza di andarsene così, da questa cosa forse poco sensata che "è quel vizio che ti ucciderà e che ti porti, cioè vivere" [semicit.], c'è un che di coerentemente assurdo. che il luogo del suo destino sia stato proprio quello, come qualcosa che va a chiudersi in un posto a suo modo, intimamente, laicamente, sacro.

ciao Ermi. che l'andare pe' monti ti sia lieve. 

[updt: quando alla fine del saluto, in quel campo d'oratorio, in questa giornata così beffardamente cristallina e calda, prima che rinuonasse "bella ciao", il tazio s'è avviato verso il microfono, mi è sembrato di vederlo. per un attimo rapidissimo ho immaginato di sognare, anzi: che fosse un sogno tutto quello intorno. ed il tazio ha svelato una chiave di volta, che non potrò mai più usare [cazzo]. "l'Erminio in montagna si trasformava, era un'altra persona". ecco. cazzo. lì ho realizzato che quella è una cosa che non mi capitò mai di fare, per una serie di ragioni che adesso sarebbe lungo enucleare. forse lì sarebbe stato più semplice, anche per un intimidito come me. [e comunque, dopo anni, sono finalmente riuscita a cantarla di nuovo, "bella ciao". solitamente le parole mi si strozzano in gola. oggi no, vai a capire come girano certe cose.]]



Saturday, September 26, 2020

la sposa con la mascherina

c'è un negozio pronovias - che poi sarebbe un Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] - in via san pietro all'orto [centro milano].

via che diparte da pochissima distanza dal 13 di corso vittorio emanuale [ancora più centro].

numero civico dove, a ridosso di due negozi frequentatissimi in questa calca con la mascherina nel corso di metà sabato pomeriggio di fine settembre, c'è il bassorilievo del "scior carera".

statua virile di cui son definitivamente venuto a conoscenza quest'estate, quando cercavo il significato dell'epigrafe a nobilitare una meridiana ed il suo gnomone.

gnomone e meridiana che che t'accoglie dal sentiero che arriva dal bosco, quando giungi nel paesino di cui mi innamorai - potessi farne il mio buen ritiro - nel peregrinare per i sentieri appena sopra l'hometown.

luoghi che passeggiai quando me ne stavo colà.

hometown cui giunsi dopo essere rimasto due mesi e mezzo coqua, in questo appartamentino dove trascorsi i giorni più intricati di questi tempi nuovi.

[che al mercato mio padre comprò].

insomma, passo davanti a 'sto negozio di abiti da sposa.

insomma, non esattamente un negozio che offre ai suoi clienti un genere di mercanzia che dovrebbe interessarmi, in prima istanza. quanto meno per gli almeno quattro gradi di separazione si frappongono come iato tra me e loro - nel senso di mercanzie:

  • sono un maschio;
  • verosimilmente non mi sposerò mai;
  • nella remotissima possibilità accada, dubito la mia sposa possa indossare quell'esplosione di pizzi, tullè, seta e macramè [non ho idea se il macramè possa essere utilizzato per gli abiti da sposa, non ho voglia di chiedere al signor gugòl. immagino comunque di no. ma mi piaceva il suono che fa macramè. posto si scriva così];
  • e comunque non lo si acquisterà mai in un negozio che pare ti facciano pagare anche solo per entrarci a dar un'occhiata in giro - Leading Global Luxury Bridal Brand [delimecojoni].

insomma, non sono il target cui il media marketing manager di Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] penserebbe di generare una qualche forma di engage [tutto questo overwhelming di parole in inglese]. ed ero ad un solo passo dal farmi uscire dal campo visivo quelle vetrine, e sarebbe finita lì. tra la mercanzia del Leading Global Luxury Bridal Brand [mecojoni] e me, dico. invece con quasi la coda dell'occhio mi hanno colpito l'infilata di abiti di sposa, questa sequenza e varietà di gradazioni di bianco e fogge. nella sua lontanissima correlazione con il mio sé mi è sembrata un'immagine bellissima, onusta di significati, oltre dettaglio che sarebbe stato interessante fotografare. così mi sono fermato e mi son messo a guardare dentro la vetrina, incuriosito da quel contesto e quel mondo tanto lontano, quanto da trovarmi a scrutare l'interno di quel negozio prima ancora di poter razionalizzare una qualsiasi forma di spiegazione. anche se poi, in fondo, stigrandisssssssimicazzi al razionalizzare per forza ogni volta una spiegazione.

c'era un sposa. o quanto meno una ragazza che verosimilmente sarebbe convolata da qui a qualche tempo. stava provando un abito [da sposa, meglio precisare. non si sa mai]. l'osservavano due donne ed una commessa. esattamente in quest'ordine: nel senso che le due donne osservavano non come l'osservava la commessa. si capiva anche da fuori il portato emotivo diferente delle tre. la [futura] sposa piuttosto minuta, poco seno, tanto da poter indossare un modello con il corpetto che lasciava abbastanza scoperto senza che qualcosa rischiasse di scivolar fuori. immagino avesse gli occhi chiari. non sono riuscito a capire esattamente quanto fosse giovane o graziosa. stava provando l'abito da sposa con la mascherina sul viso. mi ha fatto specie. e mi ha colpito molto. come se non avessi ancora coniugato la nuova normalità del momento di questi tempi nuovi, con il fatto di provare il vestitto con cui ti sposerai. ma è solo questione di caselline della checklist da spuntare.

tecnicamente l'abito non mi convinceva molto, per quanto possa capirci io di abiti da sposa. pochino, direi. però mi sembrava poco coerente. un blow-up di veli, velette, cascate di tulle quasi a rendere casto un abito che lasciava scoperta sensualmente la schiena e copriva appena le tette che la futura sposa non aveva granché. oltre ad una vaporosità da soufflè bianchissimo della gonna, o come si chiama la parte sotto. tanto che la futura sposta con la mascherina agguantava a rimboccare, agguantava a rimboccare, agguantava a rimboccare per riuscire a scoprire i piedi e le scarpe che sembrava avesse necessità di controllarsi.

mi son trattenuto dal verbalizzare i pensieri di critica, che mi stavano sgorgando con un po' di cinica ironia. per fortuna. anche perché avrei fatto una involontaria e potenziale figura di merda. un attimo dopo, difatti, sento che la ragazza che ho accanto - di cui prorpio non mi ero accorto - risponde ad altri passanti: si son fermati pure loro davanti la vetrina, guardano con un occhio forse più lieve ed incantato del mio. "è mia sorella. non ci fanno entrare in più di due, oltre lei, per fortuna si sono messi qui così posso guardare anch'io". è molto emozionata. lo si capisce anche se ha la mascherina sul volto. mi riesce addirittura di dirle "però è bello dai. puoi capire, valutare e dare anche tu il tuo parere da qui, come se fossi dentro con lei".

e d'improvviso tutto è cambiato di prospettiva. o meglio: ero io a non averci pensato prima. una cosa molto banale, ovvia, scontata. erano solo delle caselline della checklist lontane da quelle che mi sarebbe venuto da spuntare. non ostante tutto la gente continua a sposarsi, provare i vestiti emzionandosi con i parenti accanto. c'è solo da indossare la mascherina e igienizzarsi le mani quando entri nel negozio. ed al limite il vestito della sorella lo si può osservare da fuori la vetrina. emozionandosi ugualmente.

tra le altre millemilamiGlioni di cose la gente continua a sposarsi, fare all'ammmmmmmore, riprodursi, crescerli, faticare, verosimilmente scazzarsi facendo appassire un rapporto, quando non chiudendolo. e se anche ci si sposa meno e ci si separa di più il senso profondo della considerazione mica devo spiegarlo, no? la gente continua a vivere: con la mascherina, distanziandosi quando riesce, igienizzandosi le mani. la gente continua a vivere, non ostante qualche impaccio in più, al netto che io riesca e vincere o meno - anche solo a tocchettini - il mio di impaccio corpaccioso. sfidando il mio debosciato, sottile, nascoso timore di metter fuori il naso da casa, tornare più o meno a far quel che facevo prima: con la mascherina, distanziandomi appena posso, igienizzandmi le mani. al netto sia stanchino, piuttosto spompo, un po' incapace di sprizzicolevolezze esistenziali, quanto meno imbozzolato in questa malinconica serenità che m'avviluppa.

sì. decisamente. percepire l'emozione della sorella è stata una cosa tanto imprevista quanto toccante. come fossimo davvero tutti più forti di questi tempi nuovi. cosa che ovviamente continuano a ripeterci e sloganare. ma io forse, ancora nel profondo, non so quanto sia riuscito a convincermene del tutto. 

appena prima di riprendere il mio peregrinare solitario per la via le ho detto "beh, allora auguri. e che sia una festa bellissima". non gliel'ho detto per circostanza. ma perché lo sentivo davvero dentro. che possano farlo non ostante le mascherine sul viso [beh, poi sì, ogni tanto se le toglieranno].

forse non se l'aspettava: ha ringraziato tra il meravigliato ed il formale. ma non è un grosso problema. e comunque non sembrava aver 'ste gran tette nemmeno lei. me ne sono andato. con un po' di groppo in gola dall'emozione. non potrei nemmeno escludere mi si siano inumiditi un po' gli occhi, pensando all'emozione di costoro, e tutto quello che provare quel vestito con la mascherina significhi, pur dal mio procedere incerto. non sarebbe comunque cosa degna di nota, o gran novità del periodo. oramai ne hanno contezza quei tre che passano da qui: questi tempi nuovi mi hanno - se possibile - rammolito ancora di più.




Sunday, September 13, 2020

roccapane e i campi dove scorrazza stracciatella [nel senso della setterina]

sto leggendo l'ultimo romanzo di michele serra. l'ho tirato su quasi per caso in biblioteca, nell'ultima compulsiva visita cornucopiale.

invece è una bellissima rivelazione.

la lettura mi sta regalando momenti inaspettati di serenità, di quella avvolgente, defatigante, oltre a strapparmi qualcosa di più del solco lungo il viso che è specie di sorriso [cit.]. nulla di esageratamente iperbolico, una cifra stilistica a voce calma e senza sbalzi irsutici di tono. ma che ti porta, implacabile, nella testa ragionante del protagonista. che è uno stronzo, che ha capito di esserlo, oltre forse che senso darci al tutto. tornando alla terra. che non è che sia lui a tornarci, ma come moto a luogo che non è arrendersi al logorio della vita moderna. un ritorno fondamentale per capire - apputo - che senso darci al tutto.

e mi sta piacendo leggerlo, tanto. non so quanto c'entri la valenza artistica del romanzo. ma l'effetto che mi riverbera dentro leggerlo [che poi a volte sono intimemente legate, 'ste cose]. e comunque l'effetto, in questi momenti, sono stille da godersi per intiero.

ci sono tratti che lo capiso attilio ciampi campi, quando parla del lavoro fisico. e del pensiero che vagola, anche se a lui non capita come capita a me me, quando faccio hard-gardening. anche se non bisogna dimenticare che attilio ciampi non esiste, se non nella lettura traspositiva di quello che è stato nella testa di serra, quando gli ha dato sostanza della vita creativa.

cazzo, che bello che è fare quella cosa.

comunque, dicevo, che attilio esiste a tratti nel riverbero di lettura di ciascuno che legge quel libro. mentre io esisto, con qualche perplessità in più di attilio ciampi campi, molto reale per quanto solo nella mia testa. così come esiste l'hard-gardening come mia esperienza, reale, di tornare alla terra.

dove c'è però solo la pars destruens: taglio, estirpo, eradico, sramo, poto, strappo. attilio ciampi campi fa molto anche in pars construens, oltre che ragionare - tra l'altro - di un rogo, che non so se ci sarà nel romanzo. ma se ci sarà mi immagino sarà catartico.

la mia amichetta Ilà mi ha detto dovrei conoscere una sua amica. che ha messo in cima alla lista del parterre di donne che vorrebbe farmi conoscere. c'è questo dettaglio logistico che vive dalla parte diametralmente opposta d'italia rispetto la mia. che non è esattamente qualcosa di conforme alla regola della mezz'ora di metropolitana di distanza, massimo. nemmeno dopo essere di nuovo automunito.

però questa sua amica vive a ridosso di campi - che dal differisce dal nome del protagonista del romanzo,per una sola i. campi che coltiva più o meno da sola, e del cui dono sembra ogni volta meravigliarsi e ringraziare. non ho capito bene se ci campi del suo lavoro nei campi, e/o cos'altro faccia. non ho capito nemmeno com'è messa a tette. ma entrambe le istanze sono quisquilie di cui adesso - davvero - non mi interesso.

però godendomi quegli attimi di inaspettata serenità che mi regala la lettura del romanzo di serra, mi sta venendo una grandissima curiosità. che si traduce in un'insensato desiderio. capire meglio quel percepire del senso di dono, che questa amica dell'amichetta Ilà racconta e condivide. e se non siano in realtà l'uno il controcanto dell'altro. e mi verrebbe da chiederle: fammi lavorare nei campi per un po'. anche per quel che riuscirei a fare col mio fisico debosciato, quasi quanto la capacità di cogliere il senso che - davvero - mi si è incasinato via. con tutte le perplessità che mi si agitano dentro. e che la lettura dei propositi di attilio ciampi campi un po' placano.

fammi lavorare nei campi che ti donano tutto quel dono. in cambio chiedo solo ospitalità e la possibilità di avere l'esclusiva delle coccole a stracciatella, la setterina ultima arrivata. si sa abbia un debole per i setter. per cui mi sciolgo. poi questi tempi nuovi mi hanno debosciato - ulteriorimente, dico. torna tutto. anche la necessità di coccole, bastasse solo farle ad un cane. e nel mentre provo a dipanare il groviglio del senso. che alcuni pare - pare - l'abbiano un po' più chiaro.

 

Libertà è un rogo ben congegnato

[updt. il fatto è che ho scritto il post avendo in testa che il protagonista si chiama attilio ciampi. e invece no. si chiama attilio campi. poi uno dice fa miGlioni di refusi, se sbaglio anche solo a leggere il nome del protagonista del romanzo. quindi è campi. come i campi di cui l'amica dell'amichetta Ilà, di cui non so se campi. ma come scrivevo, direi che è qualcosa su cui si può quisquiliosamente sorvolare]