Saturday, March 28, 2020

considerazioni non assembrate /8: infighettamenti, l'analisi.

comunque sì.
può essere mi sia infighettato.
in ogni caso ho provato a chiedermi il perché.
perché alcune istanze, propagazioni, riverberi di alcuni amici, persone cui voglio bene - variegatamente - mi risultino così fastidiosi, idiosincrasici. quando va bene mi taccio, in altre sommessamente butto lì una certa difformità di vedute. e perché mi senta quasi disturbato, sicché l'umore si rabbuia, e la giornata sembra complicarsi in autonoma inevitabilità.

c'è un dato di realtà.
qui la situazione non è buona. qui significa a milano, un filo eccentrica rispetto al centro del fortunale. qui dove ancora si resiste nel limitare la velocità del contagio, dove se dovesse attecchire in maniera importante sarebbe davvero molto, molto, molto complicato.
qui non è nell'hometown, per fortuna.
perché qui ogni qui è diverso da un altro qui, magari nemmeno troppo lontano.
qui, che non è il posto peggiore.
poi ciascheduno se la vive come gli riesce, anche a seconda di come gli gira dentro la complessità, contigente al momento. che cambia. ciascuno se la vive come gli riesce perché siamo fatti in maniera diversa, per fortuna.
provo a guardare qui ed ora con una certa obiettività.
sto bene. sono al sicuro in casa mia, di fatto non esco. lavoro, per una partita iva non è così secondario [poi chissà quanto durerà, ma ci penseremo al momento opportuno, nel caso]. sto bene, e lavoro in casa al sicuro.
tecnicamente devo solo aspettare che passi.
non ostante tutto non è ugualmente semplicissimo. pur avendo contezza che per un sacco di persone è fottutamente più complicato.
un po' ci metto anche del mio, è vero. non guardo la tv, leggo di informazione il minimo indispensabile. ascolto molto la radio, che sta facendo un lavoro semplicemente pazzesco: per informare il meglio possibile, condividendo i pareri più qualificati, suggerendo spunti di riflessione importanti, evitando le polemiche fini a se stesse. ascolto testimonianze che a volte tolgono il fiato, commuovono, spronano. e quindi è tutto un flusso di informazione, emozioni, considerazioni. che poi da far defluire non è facilissimo.
quindi penso a mia madre che - per fortuna - se ne sta paciosa nell'hometown, ma pur sempre abbastanza sola. penso a mio fratello che la sorveglia con discrezione e che soprattutto lavora in una clinica. penso al cugggggino che lavora in una corsia di ospedale lombardo. penso ad alcuni amici medici. penso all'amica Liù, che se la sta svangando con fatica, e piano piano prova ad uscirne con la creatività del suo sistema immunitario. ascolto le paure di persone chiuse in casa con il pensiero che scarta - sacrosantemente - alle difficoltà che ci saranno dopo.
e tutto questo non mi scivola via in maniera indifferente. pur non facendo nulla di eroico, o pericoloso. ma non foss'altro che in tutto questo sia solo. lavoro, vero, e questo mi porta via molto di questi tempi nuovi. ma è oltremodo più faticoso di prima [lavoro che, mica tutto d'un tratto mi sia incominciato a piacere, ma in questo periodo mi sembra oltremodo oltraggioso anche solo osservarlo]. spesso la sera sono semplicemente esausto. ed è incredibile quanta nostalgia abbia del giardino dell'hometown. o di poter semplicemente far due passi guardardomi attorno, seppur nelle vie più o meno di quartire residenziale.
e tutto questo rimbalza impazziando tra le pareti di questa stanza, con appena il fuori da cui si percepisce una cappa strana. la via di casa dell'hometown è normale scoprirla deserta. quello spicchio di via sardegna, che si mostra d'infilata fuori dalla finestra sul balconcino di qui, no. c'è qualcosa che stride.
ho riletto alcuni post scritti appena dentro questi tempi strani. già mi sembrano così lontani. mi trastullavo nello psicopipponeggiare delle istanze positive, per quanto in nuce: ne usciremo migliori, andrà tutto bene.
sono stato improvvido e banale?
no.
ne usciremo diversi, segnati, variegatamente. e proprio tuttotuttotuttotutto non sarà andato bene, molto variegatamente.
era come cioè provassi a ripetermi la lezioncina facile. ora, in questi giorni, è come se fosse sbattuto di fronte il fatto che è tutto molto più complesso, talmente complesso che nessuno - nessuno - sa quando, dove, come finirà. e cosa sarà dopo. e che adesso quella lezione bisogna impararla, anche se per il momento non abbia nulla di cui lamentarmi veramente, anzi. e che ci siamo dentro tutti, con riverberi, dolori, paure, apprensioni anche molto diverse tra di loro. ma tutti. e che "o ne usciamo da compagni, o non ne usciamo" [cit.].
non sto facendo nulla di particolarmente significativo, se non dare il mio piccolissimo contributo acciocché passi. appena sarà possibile farò un bel respiro e proverò a fare qualcosa di più.
no. probabilmente non mi sono infighettato. ci sto passando in mezzo in questo modo. provando a sbocconcellare cose diversamente belle.
e comunque, sempre e comunque, tecnicamente a culo tutto il resto.


[poi credo che quel fastidio di cui sopra sia anche legato a intelligenze che sono necessarie, già adesso. per quello che sarà dopo. ma magari in un altro post.]

Wednesday, March 25, 2020

considerazioni non assembrate /7: infighettamenti

può essere che tutto questo mi stia un po' infighettando. oppure debosciando. oppure scarnificando via qualsiasi declinazione di una qualche approssimazione di carapace emozionale.
e quindi tendo a sopportare con disaccordo silenzioso, il più delle volte, tutto ciò che si allontana anche di poco dai contributi sublimi.
come se financo il livore sottile, con la sua inutilità, mi entrasse nella carne viva. ne percepisco in giro troppo, a leggere qua e là. tutta 'sta sicumera a dar ditteggio alle tastiere. che chiunque - chiunque - chiamato a fare e decidere in questa situazione sbaglierebbe anche solo ad emettere un sospiro. figurarsi la mediocrità dei figuri che sono classe dirigente politica. ma la differenza, in questi tempi nuovi, è che sottolinearlo, criticarlo senza una disamina alta, puntuta, sublime - appunto - mi diventa moderatamente insopportabile. figurarsi da persone che ne avrebbero le capacità analitiche per far più che bene. e invece banalizzano, scadendo.
fatico a leggere il cazzaramento di alcuni amici. tutto troppo trito, semplificatorio, poco divertente, inutile. foss'anco solo il tempo a leggere e ricostruire le trame delle battute.
sembra tutto così opaco, sciapo, sgrossato via.
sì.
forse è l'effetto della cappa che pare scesa qui, sulla città [orami col cazzo si fanno i flashmob ai balconi, passato l'impeto da condivisione di reclusi]. forse è roba che comincia a farsi largo nel mio umore, per quanto a 'sto giro non ne sia così convinto.
perché ho voglia di fruire di cose construens, seppur nel dolore di cui sento raccontare, leggo. provo a concentrarmi sugli esempi virtuosi, anche nell'osservare criticamente in controluce la complessità così indistricabile di questi giorni.
ho voglia di ironia che sia alta, altissima. che altrimenti finisce nel catino debordante da troppo pieno di quello che si può anche lasciare andare, senza correre per nulla il rischio di perdersi qualcosa che meriti esser tenuto. [su questo, giusto per far nomi, l'amichetta ilà non ne sbaglia davvero una. sa essere taglientissima con una soavità ed una classe che sarebbe da studiare].
tutto il resto è un po' noia. quando un non bene che entra nella carne viva.
per quanto sì. forse mi sto infighettando.*
[e chissà cosa ne sarà dopo. anche se ho smesso di pensarci, al dopo. è ancora tutto troppo oltre il giornaliero orizzonte degli eventi.]


*e non è nemmeno escluso sia l'effetto un po' naif del guardare in infilata tutte le puntate di deiiiangpop, e le visioni oniriche di quel folle geniale di sorrentino, neh?

Saturday, March 21, 2020

considerazioni non assembrate /6: la poesia e le associazioni che non ti aspetti

oggi è il ventunodimarzo. la giornata dedicata alle vittime delle mafie, a proposito di virussssse nazionali, financo esportati.
è anche la giornata internazionale della poesia. son un po' quelle cose che, se c'è da ricordarle, il giorno che inizia la primavera è il primo che ti viene in mente.
poi vabbhé, soprattutto negli anni bisesti, l'equinozio è il venti, ci hai quel giorno in più a febbraio che ti sfasa il calendario. quello scarto, quell'appendice, quell'imprecisione che dà fastidio alla nevrosi dell'inconscio collettivo. tanto che la cultura popolare, quella roba stratificata così in fondo che nemmeno sequele di bagni di razionalismo scettico riescono a raschiare via del tutto, li teme come portatori di sventura, i bisesti. figurarsi quando ci sono nei pressi delle comete. è l'elemento discordante, poco assonante che ci provoca l'allerta.
anno bisesto anno funesto.
appunto, si potrebbe pensare.
ma in fondo, questi tempi sconosciuti, avevano semplicemente una possibilità su quattro di finirci tra i coglioni proprio in un anno bisestile. è la conferma facile del calcolo - base - delle probabilità.
e comunque.
la giornata della poesia.
è un'arte che frequento poco, in senso stretto.  forse nell'assunzione sublinguale distillata dei versi di alcune canzoni. o nel racconto ritmato, melodico, cadenzato di alcuni autori in una dimensione frattale tra la narrazione, il giornalismo e, appunto, la poesia.
la poesia è il gesto tecnico che deve rasentare la perfezione dei movimenti dei centometristi. questione di dettagli e sfumature che sembrano eteree, ma che se funziona entrano nel vivo della carne emotiva. come il riverbero che è battito di ciglia, e zzzzzammmm: arriva.
[sono un mezzofondista nell'arrabattarmi a scribacchiare. un fondista compulsivo nel fruire la lettura].
ecco.
pensavo che mai, come in questi tempi, è la poesia a rappresentare il paradosso dell'etereo che plasma e plana fin giù nella pragmatica. una cosa che riluce alla luce del sole di questo inizio di primavera.
non c'è nulla come la poesia di più lontano dal pratico, che possa essere funzionale nella meccanica delle cause-effetto per mitigare questo tempo: non ci fermi nessuna epidemia, non ci salvi una persona che è una. però non c'è nulla in potenza di più impattante, utile, conseguente per segnare l'emozione e lo spirito in potenza di chiunque [tranne forse l'evoluzione delle cose in cui stiamo passando in mezzo, nel male e nel bene. ma è questione un po' diversa.]
vero. è così per tutta l'arte. così eterea ma così segnante a saperne fruire. ma è la poesia che ne ha più di tutti su tutto il resto. la cosa più semplice da realizzare dal punto di vista materico. inarrivabile se c'è il riverbero che entra nella carne emotiva.
ancora più a fondo adesso. che ci si è scoperti tutti più vulnerabili.

poi siccome le cose accadono pensi alla giornata della poesia e vieni a sapere di nicola, che se n'è andato anche a causa del virus. è la prima persona di cui so con cui ho avuto a che fare. per quanto forse una dozzina di volte in tutto, e comunque sempre un passo di lato rispetto all'amico luca. che lui quei personaggi un po' filibustieri, un po' cazzari, un po' scafati, un po' di un altro mondo li sa gestire molto meglio di me. oltre ad avergli garantito dozzine et dozzine di nuotate in relativa sicurezza fin laggiù alla boa.
era una persona, in tutta la sua peculiarità così lontana dalla mia, difficile da associare esattamente al concetto di poesia. però succede anche un po' questo. pensieri ai versi che una volta letti vagolano, ma possono installartisi dentro. e senza soluzione di continuità il ricordo del ghigno di uno che se l'è vissuta a suo modo - lontanissimo dal mio. che non si rivedrà mai più.

poi vabbhè. se n'è andato anche gianni mura. a proposito degli scrittori della zona frattale di cui sopra. in fondo i miei post destruens et construens degli ultimi due giorni dell'anno sono mooooooooooolto liberamente ispirati alle sue pagelle dei cento nomi dell'anno. per quanto nei miei post sgarruppati non vi siano pagelle.
mura era uno che le parole le sapeva giostrare con la naturalezza e la maestria di un giocoliere, talento naturale. e ne uscivano tavole apparecchiate di prelibatezze da gustare con piacere raro. a leggerlo era come sorseggiare del barolo chinato. sublime.

Thursday, March 19, 2020

considerazioni non assembrate /5: equinozio, comunque

il mio amico ermanno, da un po' di pomeriggi a questa parte, mi regala il tramonto.
provo a spiegarmi.
fa una videochiamata, oppure invia un video, una serie di foto per mostrarmi quel che lui vede dal suo terrazzino a picco sul mare. uno dei più interessanti di tutto il levante ligure, verosimilmente. così posso osservare anch'io come il sole va a nascondersi sotto l'orizzonte ad occidente. ogni tanto mi viene il groppo in gola, ma mica posso darglielo ad intendere. perché è un qualcosa di commovente di suo - il tramonto, non l'amico ermanno - e, quasi banalmente, questi tempi nuovi riposizionano un sacco di cose che sembravano scontate, emozioni, sensazioni, valori, convinzioni, piccole gioie. cose così.
domani, se l'amico ermanno vorrà di nuovo farmi quel regalo, osserveremo dove s'annida esattamente l'ovest, quando il disco assolato finirà dietro i territori della riviera di ponente.
infatti alle 3.50, ora di greenwich, l'asse terrestre sarà perfettamente verticale, sarà equinozio, inizierà la primavera.
e figurarsi se non partiva la psicopippa. attraversato dalle sensazioni pensando all'asse terrestre perfettamente verticale nonché osservando come fioriscono i boccioli sui tre alberi che vedo d'infilata dal mio balconcino, primo piano, viuzza stretta, zona residenziale moderatamente ricercata et ambita della città di milano: il mio orizzonte sul mondo chissà ancora per quanto.
ed è una sensazioni dubleeefasss, che si porta dietro l'ennesimo paradosso.
la prima faccia è che il ciclo rivoluzionario attorno al sole, l'incedere del tempo e delle stagioni, continuano e se ne fottono dei nostri punti angolosi, delle miserie dell'umanità tutta. da sempre e per sempre. la natura può prescindere da noi, e se ne va per la sua strada. e giù, giù, giù, giù fino alle minutaglie dei boccioli sugli alberi di cui sopra che fioriscono, le rondini che arrivano - peraltro meno disturbate dalle interferenzea antropiche - e in millesimi di miliardesimi la cagnolina maya financo più garrula, che sono ormai due settimane che ha sempre qualcuno a farle compagnia, senza soluzione di continuità. non solo. la natura in fondo se la spassa pure meglio: meno emissioni di gas climalteranti, inquinamento, prodotti venefici.
[parentesi: farà tenerezza lo stupore di chi si stupirà al pensiero che, ridotte la nostre attività, le emissioni si abbattono. e farà sorridere amaro vedere i no-vax accalcarsi in fila pure loro, quando l'avranno trovato il vaccino. chiudo la parentesi].
insomma. tutto prosegue paciosoamente senza di noi. noi abitanti di questa parte ricca del pianeta, noi come maggioranza di umanità che se ne sta in condizioni un po' più disagiate [a tratti, un eufemismo]. nulla così originale. quasi ci fosse bisogno di un'altra riprova di quanto si sia finiti, fragili, vulnerabili.
la seconda faccia è che il ciclo rivoluzionario attorno al sole, l'incedere del tempo e delle stagioni, continuano non ostante nostri punti angolosi, le miserie dell'umanità tutta. ed è come se ci invitassero a proseguire, ad andargli dietro. e che da qualche parte là avanti ci sarà pure il giorno, la stagione, l'asse terrestre con la sua inclinazione in cui saremo fuori da 'sta cosa qui. passerà, tutto andrà bene, ce la faremo, ci rialzeremo. roba al tempo futuro. che poi è là davanti, quanto non si sa, ma pur sempre là davanti. e funziona anche perché domani alle 3.50, ora di greenwich, sarà primavera, e poi dopo ancora e poi ancora, e poi ancora. e poi ne saremo fuori e la gente avrà così tanta voglia di ballare che farà luce [cit.].
e a quel punto, lo desidero più ancora che finisca, non sarà più tutto come prima. bisognerà farlo meglio. per tutti. [e mica solo per quelli che se ne stanno in questa parte ricca del pianeta.]

Tuesday, March 17, 2020

considerazioni non assembrate /4: ricorrenzismi/2

e quindi ci sarebbe anche l'altra cosa, di un ricordo piuttosto vivo, di un diciassettemarzo. di un altro diciasettemarzo intendo, rispetto a quando capii di essere finito in un'aziendina in cui ero minoranza nella maggioranza. zitto e muto e le frustrazioni conseguenti. e la voglia di mollare tutto. un malessere tutto e solo mio e che solo io, in fondo, potevo risolvere. tanto che non combinai nulla, per altri tre anni.
quest'altro diciasettemarzo, invece, è di solo un anno fa. quando qualcuno che, venuto da fuori, disse a quelli di là dentro una cosa del tipo: "ehi, raga, tutto rego? ci risulta non siate stati così attenti, facciamo che per adesso basta tirar dentro nuovi clienti!".
può sembrare un pezzo di testo di trap. e invece quasi chiusero la banca. per dire.
a dirla tutta la notizia uscì la sera prima, dopo cena. era un sabato sera, quando la gente pensa a divertirsi, o guardare c'è posta per te o calce viva per lo spirito critico simili, chi si ubriaca, chi balla, chi sballa, i più ardimentosi magari scopano pure. insomma, uscì in quel mentre, giusto per farla stare sulla home page di repubblica in quei momenti preziosi per una distrazione di massa. e la mattina dopo, già scivolata più in basso.
mattina in cui mi svegliai con una sensazione strana addosso. nel pomeriggio poi quel velo che s'andava a condensare in cielo mi si rifletteva dentro, come moltiplicato. ero a bookpride, a far come al solito il sociopatico in contesti molto stimolanti, dal punto di vista più o meno intellettivo. la gente se la godeva, ovviamente, mica era cosa che toccava loro. io, altresì, continuavo a tornare con la testa al fatto testé accaduto. un pensiero disturbante e che non mi permetteva di ascoltare con sereno e riposante psicopipponeggiamento chi parlava di libri, di scrittura, di creatività. quelle robe lì insomma.
fino a scoprirmi dispiaciuto per quel che stava accadendo. io che da là dentro in fondo volevo andarmene. io che contavo i mesi da quando ci ero arrivato. come scoprirsi aziendalista a propria insaputa. toh, e questo sapore amarognolo che mi vellica la bocca, cos'è? e perché mai mi sento financo in qualche modo responsabile, che mi faccio un discreto culo, che ho cubato forse una mese di ferie in quei più di cinquanta passati là dentro? come se gli sbertucciamenti sui soscial per là dentro fossero rivolti anche a me, e non posso liquidare la fazenduola con una cosa del tipo: io non sono nemmeno assunto per l'azienda di consulenza che mi manda là dentro, carne da fattura [ci cui invero mi prendo una quota consistente, neh?].
e non era nemmnemo paura di perdere più o meno il posto. per quanto ricordo la telefonata all'amica paola, più per rimettere i pensieri in ordine che per spiegarle cosa fosse successo. e lei che mi chiedeva se invece questo avrebbe potuto significare una qualche opportunità per me che "ti fai un culo così, non vorranno mica lasciare a casa proprio te. magari capiscono proprio ora quanto sei importante" [cit.].
ecco.
la cosa interessante è che è passato un anno. non esattamente semplicissio per là dentro. devono averci rimesso, finora, qualche diecina di miGlioni. e non ho mai lavorato così tanto come negli ultimi dodici mesi. e forse non sono mai stato così utile a far girare un paio di cosette nel contesto delle segnalazioni. sì, insomma, figurarsi che mi ritengono una risorsa strategica. non ci provo nemmeno a spiegare che in confronto, a capire la dimostrazione del teorema fondamentale dell'informazione, queste sono omogeneizzati di quisquilie, che quando ero giovane et speranzoso [peraltro financo un po' coglione per altri contesti] avrei fatto con la benda sugli occhi e con l'altra mano. lasciamoglielo credere e va bene così.
ma il senso del ritornare a quel diciasettemarzo è un altro, confrontandolo poi con quello di nove anni fa.
specie se li confrontiamo con questo e coi giorni che verranno.
quello più ovvio è che, in confronto, sono bagatelle.
che alcune cose sono tecnicamente semplici da risolverle, quasi banali. che poi non ci si riesca immediatamente è altra roba. importante, ovvio. specie quando l'impedimento ce l'hai solo tu, in testa. ma non c'è nulla di pragmatico che lo impedisca. e l'opportunità che ne può uscire è in fondo lì, basta allungare un poco il braccio. se la testa comandasse di farlo.
altre cose, dal punto di vista della complessità e dell'ampiezza del problema, sono molto più articolate e difficili da dirimere. e se coinvolgono gli altri e quindi me, c'è bisogno della collaborazione di più creature. ma a cercarle e adoperarsi le opportunità potrebbero essere nemmeno così lontane da cogliere.
e poi ci sono le cose che rimettono in discussione le certezze che erano talmente certe che - mediamente - mai avremmo pensato di potessero venire meno. non foss'altro per essere vissuti nel periodo con più anni consecutivi di pace nel vecchio continente, da un paio di dozzine di secoli. così talmente disruptiva in certi contesti che, probabile, non riusciamo a capirla così fino in fondo. da tanto è grande. sappiamo solo che veramente ci siamo dentro tutti.
mica gli effluvi della mia testa.
mica una banca.
tutti.
per questo continuo ad essere convinto, ogni giorno sempre di più, che tutta questa fatica, questa sensazione di fragilità, questa sofferenza, questo dolore [che pure sono cose molto più semplici di cosa capitate ad altri popoli, altre comunità, o che capitano ad altri meno fortunati ancora oggi] siano punti nodali della Storia che non possiamo e non dobbiamo lasciare, andare senza averci imparato qualcosa. è una maieutica, cazzo, duretta. quella in cui si impara di più, quando le cose rimangono per bene in testa.
una fottuta opportunità. e come spesso accade riluce il paradosso, duro e nodoso: tanto non l'avremmo voluta, tanto è preziosa e da non sprecare.

Sunday, March 15, 2020

considerazioni non assembrate /3: ricorrenzismi/1

e comunque, sulla seduta di odg rinviata. quando si decise la data, ormai alla fine di gennaio, me l'appuntò su di un foglietto. ormai si diradano, sono meno "importanti", può capitare non mi sovvenga immediatamente a richiamare in mente la data, come accadeva prima.
e insomma.
quando mi passò il foglietto e vidi scritto diciasettemarzo, mi balenarono in mente due episodi, capitati propro attorno a quel giorno. per quanto, il diciasettemarzo di ogni anno accadono cose.
il primo è questo. [poi ce ne sarebbe un altro. ma prima conviene provare arrivare in fondo a questo].
il diciasettemarzo di nove anni fa. che il diciasettemarzo sarebbe anche il giorno in cui nasce l'italia unita, con la prima seduta del parlamento del nuovo regno, nel senso molto immanente dei mediocricissimi savoia, mica quello dei cieli su cui non esistono conferme, inevitabilmente. ricorrenza che non si fila mai nessuno. tranne che per gli anniversari giubilari, tipo nel duemilaundici che facevano centocinquantanni. quindi manifestazioni, eventi, programmi, suggestioni massmediatiche e istituzionali. e poi i tricolori qua e là, su molti balconi, e questo sentimento di amor patrio che - mediamente - si prendeva in mano e si osservava come un oggetto un po' strano e misconosciuto.
quella mattina, giorno di festa e non lavorativo, furono i tricolori ai balconi a colpirmi. specie tornandomene nell'hometown. ero piuttosto turbato, per quanto ci sono stati anni in cui 'sta cosa non era 'sta gran novità. ricordo che trovai anche un po' di sollievo ascoltando "niente paura", di ligabue. segnatamente i versi del ponte [nel senso di quella porzione di canzone la cui melodia non è né strofa né ritornello. un ponte tra le due strutture musicali, appunto]. ci scrissi anche un post, altro blogggghe. magari poi vado a ripescarlo. peraltro, mi sovviene ora, ascoltavo ligabue a tratti. davvero altri tempi.
ero turbato perché il giorno prima, dentro di me, si era sfaldato un altro pezzo dell'aziendina di allora. avevo preso atto di essere finito in un cul de sac importante, e che forse avevo fatto una scelta piuttosto sbagliatina qualche anno prima. il dettaglio, nel dettaglio, non lo ricordo esattamente. però fu uno scambio moderatamente spigoloso con il socio amministratore. di fatto lui e lei avevano preso una decisione su di un collaboratore dell'azienda, senza avermi consultato. quando glielo feci notare la risposta fu, in estrema sintesi: queste cose le decidiamo lei ed io, tu pensa a fare il tuo, non ti preoccupare e stai al tuo posto.
il cul de sac stava nel fatto che avrei dovuto confutare un po' più energicamente quell'episodio, mica solo simbolico. e che ratificava che noi tre eravamo la maggioranza dell'aziendina, come spesso mi ricordava. ma io comunque ero minoranza nella maggioranza. ed invece proprio quel moto di ribellione non mi si esternava, rimbalzava dentro. e così la frustrazione aumentava. ed ascoltavo ligabue osservando le bandiere ai balconi. per un paio di giorni pensai seriamente di mollare tutto e mollarli.
sarebbero passati altri tre anni. con poche soddisfazioni in mezzo e molte più situazioni tipo quelle di cui sopra. senza che riuscissi a protestarle.
poi arrivò il bubbone, che esplodendo mi avrebbe dato il liberi tutti, io vado da me. con molto dolore, peraltro.
a proposito di bubbone, in fondo, i tempi erano decisamente più semplici. è che quando sei incartato dentro succede che "quante volte l'orizzonte non va oltre il nostro naso" [cit. che almeno questa è un po' meglio di ligabue].

[updt. e comunque niente. devo essermi confuso. il post sui versi di ligabue - sempre l'abbia mai fatto - non l'ho scritto in quell'occasione. quello del giubileo dell'unità d'italia e la frustrazione del giorno precedente, di cui non c'è traccia in quelli di quei giorni. frustrazione peraltro che ricordo benissimo, altresì. andare ricercarlo tra milleduecentonovanta post non penso valga granché la pena.]

Saturday, March 14, 2020

considerazioni non assembrate /2: ne usciremo migliorati

come l'altro post, vorrei scrivere di pensieri non assembrati. come il vivere in cui dobbiamo diluirci. post di poca roba, al limite più frequenti.

martedì prossimo ci sarebbe dovuta essere una seduta con odg. di quelle che ormai si stanno diradando. una specie di vezzo, una piccola coperta di linus, occasione per far il punto.
ci sarebbe dovuta essere.
ma i servizi di psichiatria - sacrosantemente - non sono sospesi. non volevo aggiungerle l'aggravio dell'ascoltare il mio essere, e del mio traguardare questi tempi sconosciuti. aggravio piccolo o grande sia. le ho proposto di rimandare a quando ne saremo fuori, o si comincerà a vedere la fine, per quanto lontana. sarà anche un modo per raccontarci com'è stato, cosa sarà e cosa saremo diventati.
le ho scritto, infatti, che sono convinto ne usciremo tutti migliori, mediamente. se riusciremo a non farla passare invano.
mi spiego.
io non so quanto durerà, quanto sarà dura, quanto tutto quello che ci è parso scontato ed ovvio potrà smontarsi, per presentarsi a muso duro qualcos'altro. per ora i servizi essenziali funzionano, però il tarlo del dubbio possano cominciare a tossicchiare quando addirittura collassare non lo si può [più] escludere. per quanto poco probabile non è detto non possa accadere. e tanto più in un contesto come quello di una città complessa com'è milano. e - guardandomi l'ombelico - tanto più io sia solo in questi quarantacinquemetriquadri di un piano basso in una strada stretta, con - banalmente - il medico curante a centocinquantachilometri, che mai come ora si dilatano come poteva essere - che ne so - come durante la guerra. generazioni che la guerra non l'hanno vista.
[ed io sono comunque in salute, verosimilmente con un quadro clinico che non contempla crisi d'ansia o panico].
anche per questo motivo credo ne usciremo tutti migliori, mediamente.
perché stiamo vivendo cose davvero fuori dall'ordinario. ed è come avessero scecherato il panorama del divenire. e si potesse osservare qualcosa che solitamente, nella media del nostro spassarcela paciosi, non compare.
è un punto angoloso collettivo, comunitario.
ed in questa piega, collettiva, comunitaria, possono sbucare un sacco di suggestioni, cose, fenomeni, reazioni, novità, consapevolezze.
sono davvero convinto siano un'opportunità per rifletterci sopra. vero: c'è il rischio accadano risvolti anche dolorosi, tanto, poco, speriamo il meno possibile. ma rimuoverle sarebbe davvero fatica sprecata.
nel senso che a rimuoverle si fa fatica.
nel senso che la fatica di questi tempi non sia sprecata.

sono tempi che possono insegnarci una fottia di roba, a prestarci attenzione. un credito per quello che verrà dopo.
ovvio che si possa venirne fuori tutti migliori, mediamente.


e comunque odg mi ha ringraziato per il pensiero. la seduta martedì prossimo, appunto, non ci sarà.

Tuesday, March 10, 2020

su questi genetliaci in questi giorni un po' nuovi e sconosciuti

l'ho conosciuta per causa dei calzini che spuntavano a margine della foto. calzini artistici. mi colpirono e chiesi di chi fossero. te la presento, mi risposero.
era una domenica di marzo, il caldo - piacevole - era arrivato piuttosto improvviso. stavo leggendo uno dei libri più interessanti abbia incrociato lo scorso anno, roddy doyle [nel senso dell'autore. ed un leggero incazzo liberatorio, alla fine. come se ci fossi dentro in centoventottesimi].
quando ci presentammo strinse la mia mano con entrambe le sue, con un calore che mi sorprese, piacevole anche quello di calore.
dopodiché ci infilammo in un baretto nemmeno troppo lontano da casa, e che continua a sembrarmi piuttosto sfighinz e triste dentro.
dopodiché cominciai a provare a capire quanto grosse avesse le tette.
quando ci salutammo mi abbracciò e, come con la doppia presa con le mani di poco prima, mi spiazzò. piacevolmente.
un abbraccio leggero e avvolgente.
e poi niente, abbiamo cominciato a conoscerci un po' meglio. a cominciare dalla cazzata creativa di qualche giorno dopo.
la cosa interessante è che, mentre cominciavo a conoscere lei, è come se avessi imparato a conoscermi un pochino di più, qua e là. cose che tipo non avevo mai osservato sotto un determinato punto di vista. che nel dettaglio era poi il suo, ma che mi son trovato facile, naturale, arricchente  considerare potesse diventare anche un po' il mio.
non solo: ha sistemato qua e là la chiave di interpretazione di fatti, eventi, peculiarità, reazioni, spesso passati, ma anche molto presenti. tipo una specie di nuova mappa, che se la giri nella posizione giusta si capisce meglio il tra le righe di quel che ti capita di vivere. e se lo si capisce meglio riesce quasi anche di accettarlo un certo tocchettino.
conoscerci un po' meglio ha voluto anche dire condividere il nostro esser tenuto su con degli stecchini, ogni tanto. che poi significa ogni tanto a tratti, ogni tanto con più continuità. e poi per non sbagliare, il casino tendenzialmente sono portato a crearli io.
conoscerla un po' meglio ha significato e significa aver intuito un talento poliedrico, che a volte non decide di applicarsi perché non interessa. altre volte fa sembrare facile, scontate, automatiche, cose che a me paiono complicatine. però può riuscirmi semplice lasciarmi andare a fidarmi senza rete. tipo quel paio di volte [o forse qualcosina in più] che le sono scoppiato un po' a frignare partendo, da un dettaglio, da un'inezia di un suo racconto.
poi ci sono i risvolti di questo talento. tipo che a starle vicino, vicinissimo, su alcuni lati, non è semplicissimo. perché da iper-ricettrice qual è [quasi] tutto diventa iper-stimolazione. bisogna approcciare con tatto e perseveranza. schivare qualche momento di rapida spigolartura. ma poi è come aver a che fare con la delicatezza della pelle di un bimbo. basta sfregare - retoricamente o meno - un po' più del necessario ed è facile la piccola escoriazione. e può innescare tutta una serie di dolori, e non solo figurati.
è il prezzo ad avere la delicatezza della pelle di un bimbo. poi però si sa donare abbracci che si fanno lievi, per quanto avvolgenti. si ha la capacità di cogliere empaticamente l'altro, che è sublime e da talento. il giudizio, l'essere giudicanti che sparisce e non si affaccia: come uno dei regali più belli nel sapersi dare all'altro.
come il suo talento - umano - che si fa cura, nel lavoro di tutti i giorni, di persone speciali a modo loro, e nel loro mondo unici. ho visto come li abbraccia e come sorride loro: inizia così la sua terapia.
ed a proposito di regali, oggi compie gli anni.
compie gli anni, lo fa e le capita in questi tempi nuovi, sconosciuti, che possono spaventare.
compie gli anni in giorni che non sono esattamente semplicissimi. e che riverberano, e che forse le rovinerà un po' il compleanno.
ci sarebbe piaciuto festeggiare, tutti assieme. fare cose, regalare pensieri, suggestioni, abbracci.
ma si tratta di attendere.
sarà più bello festeggiare dopo, quando tutto questo sarà finito.
e ci si rifarà con gli interessi.
a cominciare dagli abbracci.

Saturday, March 7, 2020

considerazioni non assembrate /1: un po' di incazzo [che qui ci tocca stare chiusi dentro la regione]

provo a fare piccoli post.
quasi a non assembrare i ragionamenti, al pari delle persone come continuano a ripetere.
non sono preoccupato, tanto meno allarmato. almeno per ora. sicuramente non lo sono per me, del dettaglio puntuale del mio ombelico. però non mi lascia indifferente il fatto che il sistema possa non reggere, e cedere qua e là.
ci hanno chiusi dentro la regione. non si entra e non si esce. per quanto qualcuno troverà il modo per farlo. per necessità improrogabile, vera, o immaginata. o forse solo per dimostrare a sé medesimo di essere oltre quello che ci è chiesto di fare tutti.
tutti.
ci hanno chiusi dentro, ed in fondo è come se si acclarasse quel ronzio che da sottofondo, da giorni, montava piano piano, prendendo consistenza a partire dal retrocranio. e quindi, ora che è qui, è come se lo si potesse guardare più distintamente in faccia. e quindi è meglio. tanto, in emergenza siamo, meglio che la guardi meglio, piuttosto che no.
ci tocca vivere questi tempi, per nulla normali. sono una specie di punto angoloso comunitario.
ed ex-post mi sale anche un po' d'incazzo a pensare ai dietrologi, a quelli del virus per mandare in recessione l'italia. o quelli che diCheStiamoParlandoLinfluenzaFaPiùMorti, o l'epidemia del sessantanove, tipo l'annata dei vini. o che noi ce ne fottiamo delle mascherine e lammmmuchina, ci abbiamo la birra o la grappa. o seiEsagerataQuiNonÈMicaArrivato ahahahahahaahh.
sono tempi così.
ora ho un piccolo rebound di incazzo. poi passerà. come il fatto ne verremo fuori. chi con una fottia di bozzi, chi meno.
ne verremo fuori.
e per allora mi saranno passato tutti gli incazzi che saliranno e scenderanno per allora.
e si festeggerà. [al limite sfrutto la chimica che inibisce la pompa protonica. andrà bene ugualmente...]