Saturday, May 27, 2023

l'ubbidienza non è più una virtù [post bi-partito]

oggi sono centoanni dalla nascita di don lorenzo milani.

don milani fu una folgorazione, per quanto fruita non del tutto appieno. ma folgorazione, e la sensazione che se ognuno ha il suo pantheon, lui è stato il primo che ci ho messo.

lo scoprii per caso, un'edizioni millelire di questo libercolo che mi incuriosì per il titolo: l'obbedienza non è più una virtù. c'era qualcosa di magnetico e rabdomantico. lo acquistai - mille lire - e lo lessi sul treno di ritorno per il uichend. ricordo la sensazione travolgente e rapimento emotivo-intellettivo. non riesco a collocarlo in un momento preciso. però ho la vaga sensazione fosse un fine maggio, con il caldo che arrivava, oltre al turbamento erotico che ruotava attorno al termine inturgidito. da declinare ai capezzoli. che poi erano quelli della fanciulla [che si fece anelito per anni] che scoprivo desiderare non solo affettivamente. era la prima volta accadeva.

ma quelli erano tempi di una sequela di prime volte. e di prese di consapevolezze di valori, specie in ambito politico, nel senso più alto del termine [il termine inturgidito, invece, era il primo tentativo di emancipazione dalla morale bigotta che comunque mi portavo dentro]. certo. ero sempre quell'oratoriano che - mai ce ne fosse uno di diverso - passava i uichend lontano dalla città, per rifugiarmi in quel contesto uterino, a sussumere l'amicizia in particolare del prete. oratoriano, che però si sentiva smosso da istanze che sfuggivano a praticamente tutte e tutti gli altri. o non interessavano.

quello coi capelli di kevlar aveva appena vinto le elezioni: aveva in testa di rassicurasi gli affari e cazzi suoi, senza magari nemmeno sapere avrebbe cambiato l'antropologia di un paese. io di contro ero ammagliato dalla necessità, l'idea, la speranza, la convinzione si dovesse dare spazio a idee di equità sociale, di redistribuzione, di diritti, di ridiscussione di uno status quo anche sul principio di autorità. mi sentivo un fermento, percepivo un grumo di entusiasmi e ideali che si affollavano in testa. tutto molto disordinatamente, peraltro. sapevo solo di essere di sinistra - qualsiasi cosa significasse - e declinavo quei moti interiori definendomi pacifista, antimilitarista. poi sì, ovvio, ero cattolico praticante e credente [per disarmante necessità, a pensarci ora].

leggere quel libercolo fu cominciare a mettere in ordine. semantizzare il guazzabuglio di tensioni intellettivo-emotive che sentivo riverberare dentro. ogni frase era un uau! come trovare per iscritto, in modo chiaro ed ineludibile, i pensieri che intuivano il principio etico profondo, ma non avevano forma. come se lo avesse fatto lui per me. può sembrare esagerato, però davvero: ebbi la sensazione che lui, don milani, avesse pensato tutto ciò [anche] per me, decenni prima. per spalancarmi la via per comprendere il senso. è una sensazione inebriante, una comunione quasi spirituale. poi lo so che devono esserci dei neurotrasmettitori che fanno la ola in quelle situazioni. è il perché, però, di quella situazione, cosa li scatena. il sentirsi unito a qualcuno, con il tempo senza più dimensione, una condivisione che si fa sostanza in un unico e sempiterno durante.

certo, era già capitato: canzoni, poemi, salmi. ma per la prima volta accadeva con una chiarezza etico-politica, in modo tale da poterla far trascendere.

il passaggio più noto è quello di quando ricorda la scritta sul muro, vergata da soldati alleati: I care, che si erge a contraltare al me ne frego fascista. passaggio noto e probabilmente abusato. ma se ci ripenso, per quel che riguarda me, è un punto nodale, fondamentale. in quella declinazione c'è dentro un programma di vita, che più o meno sentivo già, per cui vale la pena spenderla una vita intiera.

quel libercolo ha dato contesto a quel sentire, istintuale, alla critica all'irreggimentare l'esistenza, che passava per un antimilitarismo ed una certa diffidenza per l'autorità costituita. anche se non mi sfugge che quella critica diffidente fosse uno degli effetti del [mancato] rapporto con mio padre. allora non ne avevo tutta questa consapevolezza. però la lucidità di quello che leggevo lo ha corroborato, persino ingentilendolo.

perché era quello che mi sembrava di cogliere, nella freschezza ed ineluttaibilità di quelle idee. che don milani fosse una persona mite e gentile, nel suo essere tenacemente critico, convintamente oppositore al pensiero dominante promanato da quel potere [giusto per contestualizzare: il punto di volta disruptivo del '68 era ben ancora da venire. era un'italia divisa in due chiese, la diccccì [al potere con le influenze vaticane] ed il pci, nonché frotte di funzionari in parecchi gangli fondamentali venuti giù dritti dal fascismo. i bei temp d'una volta, stograndissimocazzo.].

coglievo la portata intima rivoluzionaria di don milani. ma perché - a mio modo - ero un idealista senza aver avuto 'sti grandi riferimenti culturali, ovvio arrivasse così dirompente. e di controbalzo intuivo quanto dovesse esserlo stato allora, in un paese nemmeno lontanamente paragonabile a quello in cui stavo prendendo consapevolezza di certune idee io - in ritardo, ma almeno la stavo prendendo la consapevolezza.

per questo, ogni volta che ne sento parlare, è una specie di sommovimento e commozione dentro. anche per la gratitudine che provo per lui, per essere stato il primo a sistematizzare quell'ammonticchiare di valori, idee, pensieri, tensioni, speranze ed utopie. tutta roba che sentivo vibrarmi dentro da tempo, che si aggiungeva nei modi più disparati, per ciascuna suggestione giunta in certi contesti, ambiti, sollecitazioni. 

di don milani non posso dire di conoscerlo così bene. tutto il suo portato, il valore, sull'importanza pedagogica l'ho sussunto meno. nel contesto e nel ricordo del centenario, ho sentito citare di più l'eredità [peraltro non so quanto colta] sulle sue idee sulla scuola, il suo significato fondante per una società più equa e giusta, di riscatto sociale, più che la critica all'obbedienza cieca e conformista. forse perché è la parte più significativa. forse perché è la meno scomoda. [peraltro poco nulla alla radio. al netto che non è che ascolti tutto. ma forse non è nemmeno così strano. troppo prete. troppo poco vicino ai tempi. troppo diversamente militante. vabbhé, stigrandisssssimicazzi.].

il centenario [forse] può essere anche occasione, per [ri]scoprirlo. chissà se e quale effetto farà rileggerlo quasi trent'anni dopo. con tutto quello che c'è stato in mezzo nel mondo e - in miliardesimi - in me. però questo centenario è stata l'occasione con cui è risuonata la folgorazione di allora. di come mi sia sentito grato, dell'emozione di percepirsi così in sintonia con quella forma di ispirazione: quella che possono donare i maestri. per quanto maestri non in senso stretto, ma per più collettività intere, di più generazioni. allora non mi era chiarissimo: ma lui è stato il primo [e se maestro, forse dovrei studiarlo un po' di più].

[e qui mi dilungo ancora un pochetto su un altro degli aspetti di quella folgorazione e di quella gratitudine. che forse è una psicopippa di retro-analisi del passato. per quanto sto cercando di liberarmene. del passato, intendo. però mi è sovvenuta anche 'sta suggestione. che fintanto non è motivo di lamentazone può ancora starci. ecco. probabilmente io son sempre stato alla ricerca di maestri. qualcuno in grado di darmi possibili chiavi di lettura, per aiutarmi a decodificare dell'immenso e dell'incasinatissimo che intuivo lì davanti. forse - avendo fatto ormai pace con questa mancanza, che lui ha fatto del suo meglio - proprio anche perché non ho percepito in mio padre come il primo - e fondamentale - tra questi [mancanza che, peraltro, credo non abbia avuto l'amico daniele. che 'sta cosa un po' gliela invidiavo inconsciamente, senza soffermarmi troppo su quanto fossi complesso cagacazzo di mio]. quindi sì. ero già cervellotico. e necessitavo di qualcuno che potesse spiegarmela un po'. e quindi una specie di attaccamento, che mi prendeva, quando pensavo di averne trovato uno. il primo in assoluto fu l'ermi, anche se mai con la percezione di sentirmi accolto. anzi: la sensazione forse di stargli un po' sui coglioni, a tratti, ce l'ho avuta. o che comunque non gli interessasse poi così tanto farmi da maieuta. poi ne son arrivati altri. alcuni non in totale buona fede, più o meno consapevole [colei che mi plagiò consolando le mie pene d'amore, il prete, e per certi versi l'infausta [pseudo]amicizia con quella che ha dato il la a quel fallimento d'azienda, per quanto per lei c'è stato di mezzo altro]. altri fondanti tipo la prof. magistrini. e perché no, anche l'affetto del nonnetto putativo, con tutto il suo bagaglio d'esperienza e di vita così piena. per quanto io, ormai, con quel minimo di consapevolezze e strumenti culturali. ma in lui ho trovato una persona che poteva offrirmi anche quello.

però sì. forse ne sono sempre stato alla ricerca. che può essere un controsenso. poiché l'ho spesso rivendicata l'idea di esser venuto su così. in un'apparente autonomia, con le mie sole intuizioni. decodificando l'emozione di quel mi coglieva: provando a curarmela, ragionarla, dandole senso. anche orgogliosamente con l'itterizia verso l'autorità costituita. però forse è stata una sorta di reazione mimetica. in realtà sono sempre stato affascinato dall'autorevolezza che può promanare dalle donne e uomini, che ne avrebbero potuto avere da insegnarmi. e da lì cominciare a fare da par mio, una specie di virgulto che si sarebbe strutturato. anello di giunzione tra la maieutica - appunto - del maestro e quella che avrebbero potuto fruire altri da me. non è andata così. 'stigrandissssssimicazzi. il presente si vive ugualmente, per proiettarsi in altro modo nel futuro. senza dimenticare com'è comunque stato fondamentale per me don milani. che se non maestro, sicuramente è nel peronalissimo pantheon. c'è gente interessante in quel consesso.]

 



Saturday, May 20, 2023

ventimaggiodiccempionsliiggs

il ventimaggionovantotto si giocò la finale di cempionsliiggs. era un mercoledì, com'è stato fino ad una quindicina di anni fa. io ero nel tratto finale del servizio civile, in quel della riviera. ormai avevo financo preso consapevolezza era stata un'esperienza ganza, fondamentale, sotto diversi punti di vista. ovviamente ne avrei fatto tesoro in parte, senza però assimilarne la portata per strutturare la mia autostima. ma tant'è. allora funzionava così, ed ormai è andata in quel modo. 

in quella finale la giuventus [che allora tifavo in un qualche modo] affrontava il real madrid. mica era come oggi, a quel giro le merengues madriliste erano i meno favoriti. per la giuventus era la terza finale consecutiva di cempionsliiggs.

piccolo excursus sulle due precedenti.

nel novantasei la vinse, battendo i lancieri dell'ajax ai rigori. vidi quella partita con due miei cugini. si viveva in quell'appartamento piano altissimo, a due passi dal dipartimento del politecnico dove di lì a poco avrei cominciato a lavorar alla tesi, che poi fu una delle più inutili della storia del DEI [dipartimento elettronica e informazione]. al termine dei centoventiminuti [1 ad 1] ero sfinito, come l'avessi giocata anch'io. il commento continuo irato-nervoso-ossessivo di uno dei cugini, ad ogni singolo passaggio della partita, per tutte le due ore di gioco, mi aveva provato. ai rigori mi ero detto: non me ne fotte più nulla, finisca come deve finire. i rigori li ascoltai, dal balcone, osservando il panorama vasto - si era in alto. la giuventus vinse. il cugino perse la voce con urla quasi guttuali di gioia [se si può definire così quella roba]. in complesso fu un anno di merda [compatibilmente come li vivevo allora]. quella vittoria un piccolo ricordo piacevole - per quanto faticoso. oltre a quello un altro paio. le elezioni vinte dall'ulivo, col pizzino con gli exit-poll che matreme mi consegnò al seggio, prima dell'inizio dello spoglio. la fine degli esami, con la consapevolezza che sì, evidentemente mi sarei laureato. tutto il resto un ricordo indistinto di una tristezza annichilente, savasanndiiir, legato alla mia ossessione para-sentimentale. se c'è stato un periodo, in cui mi sono azzerbinato con sconsolante continuità, fu in quell'anno. tra l'altro la peggiore e più triste vacanza mai fatta. poi uno dice che non ci vuol tornare al mare in abruzzo.

nel novantasette la perse, da stravorita, battuta dal borussia dortmund. i lancieri dell'ajax erano stati schiantati in semifinale, la partita di andata il giorno della laurea [e solo tre giorni prima il milan battuto a san siro 6 a 1. grande gioia. quando essere antimilanisti era la naturale conseguenza dell'essere antiberlusconiani. ah, che tempi. quasi da rimpiangere l'avversario politico]. la vidi nello stesso posto dell'anno prima, con lo stesso cugino. me ne andai senza nemmeno aspettare la fine del primo tempo, partita ormai compromessa, lasciandolo solo e catatonizzato dal risultato, silenzioso e sguardo perso verso la tivvù. incrociai, improvvisando l'appuntamento, l'amico emanuale: la serata svoltò. quando ci si vedeva organizzandoci al momento. ora ci vogliono settimane. lui è giustificato, essendo padre di due creature ed attento marito. quello fu un anno di passaggio. oltre ad essere zerbinato a tratti, in cui però ci misi del mio: tipo le logorree scritte, autocommiserative, cose che poi ovvio una si teneva lontana. doloroso ma funzionale [l'ho capito solo dopo]. ed oltre la laurea, il primissimo lavoro, anche andarsene a far il servizio civile in tutt'altro posto. perfetto sconosciuto, tutto da cominciare. cosa che aiutò ad alzare lo sguardo [anche questo l'ho capito solo dopo].

quindi, quel ventimaggio, la terza finale consecutiva della giuventus. l'avrei guardata assieme ad altri obiettori, nella sala comune, ultimo piano dismesso della casa di riposo del comune. nel senso che all'ultimo piano ci stavamo noi, gli anziani nei piani sotto. non era - fortunatamente - una caserma, e spesso ci raggiungevano amici, amiche, colleghe in quei mesi: loro collaboratrici del comune, noi serviziocivilisti. e le amiche portavano altre amiche. anche quella sera. in principio non badai molto a questa fanciulla mai vista prima, ero concentrato sulla partita. partita che non ci mise molto a mettersi piuttosto male. i blancos madrilisti segnarono abbastanza in fretta [in realtà, cercando la foto qui sotto, ho preso contezza del fatto segnarono nel secondo tempo. però la giuventus non entrò proprio mai in partita]. quindi una [limitata] tensione a seguire la giuventus alla ricerca del pareggio. a ripensarci adesso, quello che ricordo è che ad un certo punto mi trovai a parlare con questa fanciulla sulla terrazza - col fondo catramato, non era un posto incantevole in cui stare, ma in alcuni punti si intravvedeva il mare. con lei a raccontarmi della tesi che stava scrivendo, per laurearsi a breve in filosofia. una cosa legata alle nuove ermenutiche, le possibilità nel redarre testi, saggi, articoli, tesi, utilizzando strumenti di word-processing e - mai davvero accaduto prima - le informazioni dell'internette. che eravamo agli arbori, ma mica poi così tanto in ambito accademico. mi partirono delle psicopippe mica da ridere su quell'idea di fondo della tesi, intuendone vago il senso della necessità di indagare su quella svolta. ma soprattutto mi accorsi finalmente degli occhioni verdi ed il capello chiaro della fanciulla. e mi accorsi che - cazzo, cazzo, cazzo - mi piaceva davvero. poi vabbhè, un dettaglio mi ricordasse la primissima fanciulla per cui avevo perso la testa parecchi anni prima, ragazzino delle medie [l'occhio chiaro, il capello biondo, il viso acqua et sapone, deve essere un archetipo di bellezza che ho installato in testa. ne parlai con odg, una volta, era d'accordo]. però, accidenti, tornavo a sentire in maniera importante le farfalle nello stomaco. era un sacchissimo di tempo non accadeva. e soprattutto era un'altra fanciulla rispetto a quell'ossessione zerbinesca con cui mi ero fatto ottundere tutti gli anni dell'università, rari tratti di aria fresca a parte. [il compagno di corso parko, il giorno della laurea, l'aveva finalmente vista [c'era un sacco di gente a farmi compagnia quel giorno]. mi prese da parte, mi mise un braccio attorno alle spalle e con il suo tono schietto e gioiosamente contagioso mi disse: cioè, è quella lì? dimmi che non è così? davvero è quella lì? e tu hai rotto i coglioni [calcando il tono, tra il sorridente e l'ironico] a tutti noi questo tempo per quella lì? ti sei perso tutte le occasioni per quella lì? non ci credo!]. insomma, su quella terrazza provai di nuovo l'ebrezza di un colpo di fulmine, per un'altra. fu un'epifania, inebriante. poi vabbhé, non avevo dato troppo peso al fatto non mi sembrasse questa esplosione di vitalità [forse è timida, pensavo], né che avesse poi mostrato tutto questo interesse per me [forse è timida, speravo], né tanto meno avesse decisamente poche tette [quando gliele vedrò saranno bellissime, immaginavo]. insomma, quella sera ero l'unico giuventino in quella cittadina rivierasca ad essere al settimo cielo. già, perché nel frattempo la partita era finita, unoazero per il real, seconda finale consecutiva persa per la giuventus. partita persa per cui aveva perso tutto l'interesse ben prima terminasse. attenzione ed emozione verso questa fanciulla occhiverdi, che mi sembrava bellissima. andammo poi tutti assieme a prendere una birra all'atra virago [c'è ancora, ho scoperto]. mi ritrovai ad uno dei capi della tavolata, e ancora oggi ho ben presente quanto fossi tutto smosso garrulmente dentro, ad osservare con distacco tutti gli giuventini mogimogi. un paio di giorni dopo andandomene in stazione, stavo tornando per il uichend, sentii un colpo di clascon. era lei ferma al passaggio a livello in auto, panda verde metallizzato, mi aveva riconsociuto. gli ultimi metri li feci quasi in sospeso: ahhhh l'amourrrr, commentò il collega carlo che se ne tornava con me in treno.

poi, naturalmente, andò come doveva andare. cioè non se ne fece nulla [quindi non mai ho potuto verificare quanto eventualmente fossero belle le sue tette]. la volta successiva in cui ci incontrammo in gruppo, le cose si mostrarono per come se ne stavano nella loro obiettiva risolutezza. a partire dalla [non] esplosione di vitalità, proseguendo con il fatto non avesse tutto 'sto grande interesse nei miei confronti. situazioni in cui do il meglio di me, a non saper corteggiare una fanciulla. [posto che non credo di esserne proprio capace, corteggiare intendo. al netto delle situazioni contestuali. per fortuna è capitato di fanciulle che avevano già abbastanza scelto di loro, senza dovessi convincerle io, corteggiandole]. [peraltro, sembra che il collega carlo, poco dopo ebbe una quasi mezza pre-liason con lei. senza peraltro si fosse adoperato granché, da fidanzato qual era già. vitalità a parte, la bellissima occhiverdi, di interesse per altri sembrava averne a prescindere.]

quindi quella passione da farfalle nello stomaco durarono giusto pochissime settimane. però era saltato il tappo. avevo [ri]scoperto che il mondo era pieno di donne. ed era bellissimo.

e con naturale consequenzialità le cose proseguirono. lo fecerso come solo potevano proseguire. così cominciai a perdere la testa per un'altra fanciulla, di quel contesto. la conoscevo ormai da mesi. pensavo che essere andato oltre l'ossessione zerbinesca fosse sufficiente, ero pronto per altro. non avevo capito però che l'ossessione zerbinesca fosse un effetto, mica la causa che mi bloccava. le origini era il combinato disposto tra timidezza, insicurezza, facilità al romanticismo cervellotico, desiderio, inesperienza. quelle mica sparivano. difatti incasinai le cose con quest'altra persona. che oltre ad avere una particolare attitudine a scrivere delle sue sensazioni, financo sdolcinevoli, sembrava addirittura incuriosita da me. ci arrivai non immediatamente. però ci arrivai. e nella vertigine di quella sensazione a suo modo nuova, rovinai tutto come sapevo mirabilmente fare. con quella particolare capacità di ingarbugliare e spiazzare l'altra persona coinvolta. che così si ritrasse: dimostrando chi dei due stava comportandosi nel modo più sano ed equilibrato. allora la intuivo così: come fossi ai piedi di una montagna di asperità da superare. solo che ogni volta che capitavano occasioni, pensavo di cominciare ad affrontarle. però quelle asperità mi sembravano ogni volta più alte, con il senso di inadeguatezza che si faceva più marcato. il fatto non era che la montagna fosse più alta del previsto. il fatto era che in realtà scavavo. 

le cose andavano così, allora. ho perso lustri, occasioni, situazioni. sono arrivato tardi in troppi ambiti e per questo finirò irrisolto in molti di questi ed altri. però ormai son cose andate. ed è piuttosto inutile giaculare or ora. anche perché va bene riempire di post questo blogghettino cul de sac. però la soluzione passa dallo smettere di rimpiangere il passato. che giustappunto è passato, è andato. rievocarlo per le cose interessanti, al limite.

tipo appunto quell'epifania. perché, non ostante tutto, quel ventimaggio continua ad accompagnarmi con un bellissimo ricordo. perché sussumo la parte costruttiva di quel guazzabuglio da farfalle nello stomaco, per quanto vacue. 'stigrandisssimicazzi se parte del contorno era bacato. 'stigrandissimicazzi le conseguenze. però è stato un momento di svolta. per certi versi è stata la prima. ne sono venute altre, ne ho mancate almeno altrettante. però quello fu uno scartare di lato fondamentale. su quella terrazza dal fondo catramato, ignorando una finale di cempionsliiggs. quella fanciulla occhiverdi ne è stata l'inconsapevole agente [inconsapevole allora, figurarsi oggi]. ovvio non la dimenticherò mai.

[poi vabbhé, al ventimaggio sono poi legate altre due situazioni, passaggi importanti in questo contesto e di queste svolte. a loro modo importanti e significative. una non esattamente piacevole. l'altra coinvolgentemente intima [come è capitato forse mai più], piuttosto breve ma decisamente intensa. ma son tutt'altre storie. ed il post è già lungo di suo]. 




Saturday, May 13, 2023

solinghitudini [giuringiurello non è un post giaculatorio]

vi è in atto una nuova epidemia. quella della solitudine. quando l'ho sentita in radio, 'sta cosa, mi son detto: ah, ecco forse cos'è questa sensazione. in trentaduesimi anche a 'sto giro, ad essere onesti. 

mi sento solo. sì. è una sensazione che mi si sta espandendo dentro. cosa che, tra l'altro, ho condiviso in una uotsappata che poi è degenerata. capisco potesse sembrare una lamentazione. mentre era in realtà il raccontare una percezione che è lì. non mi fa sprizzare gioia dai pori. non mi offusca gli orizzonti di nero. la constato, per il momento il tutto si ferma a quel punto. la uotsappata è poi degenerata - tra le molte altre cose - perché alla percepita lamentazione è seguita una strigliata del tipo: siamo tutti soli, non lamentarti. che non è esattamente la risposta più empatica si possa dare. oltre portarsi appresso quella fastidiosa tara che ti devono spiegare, a tutti i costi, come si sta al mondo.

che la uotsappata fosse con una persona che, bontà sua, ha la capacità di farmi ribollire il desiderio è stato financo utile. perché mi ha reso chiarissima una cosa, forse quasi banale. dovrei rapportarmi con persone che, nei modi variegatissimi accade, mi capiscono, sanno cogliermi nell'essenza e magari anche apprezzarla. che per quanto io le metterei la lingua in bocca, come la più sincera e spontanea delle spinte emotive [e sarebbe bello lo volesse anche lei], però se non è capace sussumermi, può andarsene anche serenamente afffffareintoucuuuulo. lo scrivo con struggente serenità. davvero. giuringiurello. stuggente perché mi cambia la chimica. serenità perché il non essere zerbini, ma centrati, dona levità.

negli ultimi mesi costei non è l'unica per cui mi sta spigolando l'istintualità a filtrar fuori. ovviamente anche con chi non mi stimola il desiderio di hard-lemon. che sono la quasi totalità delle persone con cui interloquisco, peraltro e fortunatamente.

ma il razionale è lo stesso. mi capisci davvero per quel che sono? lo apprezzi? occhei. altrimenti una pacca sulle spalle e lasciamoci pure andare. capisco non sia una cosa molto semplice, comprendermi intendo. sono un bel coacervo di casini e di irrisolutezze con tendenze un po' orsiche. però qualcosina di azzeccato mi riesce e viene d'essere. forse nemmeno così banale e comune. per quanto molto poco materiale e borghese. non sono esattissimamente un uomo di successo, stando ai paradigmi che la coda della gaussiana agisce come quelli che conterebbero nella vita. io sono altra roba. quindi capisco non sia così semplice, figurarsi scontato, farmi valer la pena di interloquirmi, acciocché io possa avvicinarmi e non allontanare.

anche per questo alcune relazioni si sono sfilacciate. così come le ho lasciate andare senza troppo risentimento - non in tutte, almeno. poco risentimento: un buon modo per non prendersi poi troppo sul serio. serve inoltre e soprattutto a non alimentare pensieri ossessivi che generano tensione, oltre il titillo a quel piacere masochistico nel rimuginare su sentimenti negativi.

non mi sfugge nemmeno il rischio possa passare per spocchioso. [nella degenerazione della uotsappata è uscito pure quello. il mio senso di superiorità. che il gruviera della mia autostima se la rideva di gusto]. in realtà, davvero, non è così. credo valga la pena spendere le proprie emozioni, il proprio tempo, con chi ha più che una vaga idea di quel che io sia, e gli voglia bene. altrimenti, a posto: pacca sulla spalla e ciao. anche se il cammino fatto assieme viene da molto lontano. ci son ben poche cose che son per sempre. possono ben non esserlo le amicizie, ovvio. può essere dolorosetto: ma è la vita, beeiiibi.

d'altro canto, avero fatto pace [quasi del tutto, suvvia] con sé stessi, fa far pace con lo stare con sé medesimi. anche in solitudine. e riuscire stare in solitudine non ti obbliga a circondarti di gente più o meno chiunque. il relazionarsi deve essere un merito reciproco. altrimenti tutto il resto di un sacco di gente - che ti è stata più o meno prossima - sarà ottimamente amicona per un sacco di altra gente.

quindi, a posto così? tuttottimo?

beh. non esattamente. [anche se questo non è un post giaculatorio]

per tutta una serie di questioni più o meno banali. tipo che siamo - inevitabilmente - animali sociali. tipo che condividere intensamente emozioni e sentimenti è il bello della vita. tipo i ricordi bellissimi con alcune persone, anche se ora, variegamente, sono altrove: non struggersi nel ricordo, non disconoscere siano stati pezzi fondanti, anche se - ex-post - sappiamo di quanto ci siano state anche condivisioni tossiche.

e tipo che se non accettare il compromesso - da cui la solitudine che avanza - è cosa che può rasserenare, poi c'è il fatto che puoi non esserlo del tutto - solo - pur non accettando compromessi. con le persone che non si son fatte filtrare fuori, chiaro.

c'è da lavorarci, ovvio. ed in tutta sincerità in questo momento la fatica e la difficoltà a farlo non è roba da poco. tutt'altro. anche intuire sia uno degli effetti residui [flebilini] della ptss [in trentaduesimi], di cui il post di prima, aiuta poco a smontare quella fatica e difficoltà. fornisce - forse - una spiegazione para-analitica. ma poi, al solito, è sul fare che dovrei muovere il culo.

per il momento la risolutezza c'è l'ho solo a filtrare fuori. che la solitudine un po' l'aumenta. anche se è anche un modo per saggiare le intenzioni degli altri. pur sapendo che potrebbero rimanerne pochi. pochissimi. che poi è quello che mi sembra stia succedendo.

e quindi, appunto, sto così. che mi pare quasi banale intuire che siamo una gran compagnia di persone che se la vivono a loro modo, la solitudine: che forse è davvero epidemia. per quanto mi pare di tenere botta: col dubbio chissà per quanto terrò, e con la certezza che starsene soli può essere non-spiacevole, ma con qualcuno può essere anche meglio.

sto così, e chissà per quanto sarà. anche se una certa curiosità mi sovviene. dove sarà il punto di caduta tra il mio non accettare troppi compromessi - in questo ambito - e come questi grumi di altre solitudini incroceranno la mia, per sciogliersi. per quanto sarà faticoso anche per altri: forse è davvero una nuova pandemia.

se capiterà sono ragionevolmente convinto sarà bello. e quando le cose belle succedono sto imparando financo farci caso nel mentre. quindi ancora più fico, il tutto. sarà bello perché ne sarà valsa la pena. e potremmo dire assieme: malinconia da solitudine, non ti disprezzo, però ora fatti pure un giro largo.

se capiterà, chiaro.

[poi vabbhé, ci sarebbe anche il discorso del dismettere la solitudine sentimentale. per quanto sia connesso è abbastanza troppa altra roba. lasciamola lì, appunto, per ora [ed il discorso che per ora mi tromberei una grondaia, è un banalissimo di cui. figurarsi]]

Sunday, May 7, 2023

PTSS [suvvia, però in trentaduesimi]

ho in mente tre dettagli, con le rispettive sensazioni, al principio di tutto.

la prima. quando alla radio il facco rispose a gattuso sulla notizia fresca fresca: l'oms aveva decretato il sars-cov-2 2019 come pandemia.

- ah, vabbeh, occhei è ufficialmente una pandemia. [facco, che non lo diresti ma è pur sempre un medico]
- e lo dici così, come se fosse una cosa da niente [gattuso con il tono un po' allarmatino, nel cazzarare di quella trasmissione].
- eh, sarà almeno la terza o la quarta volta che succede dall'inzio del secolo. mica niente di così nuovo da questo punto di vista.

mi ricordo dov'ero e cosa stessi facendo. e non mi sentii poi così tanto rassicurato, non ostante fosse già la terza e la quarta, da inizio secolo, senza ne avessi contezza. occhei - pensai - vediamo che succede. ma queste strane vaibs. come di un timore per me, per tutti.

la seconda, poco dopo. il contributo dell'amico daniele - improvviso - nell'unica chat di gruppo uotsapp che leggevo volentieri. condivse un link. un articolo di tempo prima - fuori contesto - che raccontava dell'influenza del [boh...] 1969 [?]. si leggeva avesse fatto vittime - come ogni influenza, peraltro - messo a letto milioni di persone e ingolfato gli ospedali. il sottotesto surrettizio: c'era stato ben di peggio in passato, cazzo ci preoccupavamo in quel momento? ricordo un fastidio stizzito, che neanch'io riuscii a spiegarmi, allora. ci lessi un perculamento del clamore che stava montando in quei giorni. vorrai mica mettere che, appunto, l'influenza del 1969. risposi, sarcastico, con un paio di link. in effetti anche le pestilenze tra il '500 ed il '600 avevano causato fottutamente più morti. perché preoccuparsi ora?

la terza. quando ormai ci si teneva già a distanza. non ancora rinchiusi in casa. ma già a distanza. guardavo un video della mannoia. l'ultimo brano di un concerto della tournè sud. con la gente che a "il cielo di irlanda" si avvicina felicemente al palco. si assembra. ebbi la lancinante sensazione che quella roba lì sarebbe uscita dalla consueta, quotidiana, possibilità delle cose. come un atto che da normale si sarebbe fatto anomalo, disturbante. e provai un'improvvisa ed inaspettata nostalgia.

forse non sono così scemo. perché avevo più o meno intuito tutto. come se le cose avessero riverberato in maniera anticasuale.

poi è successo quello che conoscono anche i sassi. col cazzo andrà tutto bene. una reazione pavloviana di gente impaurita [più o meno consapevolmente] gli applausi dai balconi. col cazzo ne usciremo migliori.

nel mio piccolissimo. son stato due mesi e mezzo da solo nell'appartamentino. un cazzo a rilassarmi guardando serie tivvvvù. lavorando per ubriacarmi e far passare il tempo. un tempo che mi sembrava sospeso, alterato, straordinario nella normalità del passare dei giorni. mi sentivo al riparo, con quasi la sensazione di vivermela serenamente. un sacco di proposito per il dopo: farò, non posticiperò, festeggerò, ci ritroveremo, ci riabbracceremo, organizzeremo, non perderemo occasioni per creare la scusa del "ci sarà un'altra occasioni". dissi pure: recuperemo tutte le volte che non abbiamo fatto alllammore, ci daremo dentro consumando profilattici come non mai.

un po' me la sono raccontata. un po' ci credevo. un po' era un modo per guardare oltre quella roba lì. che sarebbe finita. ne saremmo usciti. il virus sarebbe stato sconfitto. per quanto si parlasse di vaccino da lì ad un paio di anni. già il vaccino. il viatico per accedere al mondo nuovo, quello del prima, dopo tutto quello. quello in cui avremo fatto tesoro di tutto quello che quel momento di passaggio ci stava suggerendo.

pensavo di vivermela serenamente. invece son stati settimane e mesi segnanti. ho avuto paura, certo che ho avuto paura. con molta sincerità: non l'ho avuta pricipalmente per me. pensavo a mia madre. pensavo a tutti coloro che avrebbero potuto finirci dentro con più predisposizione. e poi nel mentre ho percepito, tutte le difficoltà, le sofferenze, le complicazioni di coloro che erano in situazioni meno agevoli delle mie. chi non lavorava, chi era costretto a farlo in una qualche forma di presenza, la fatica di studenti e insegnanti, chi condivideva spazi più o meno angusti. gli anziani nelle case di riposo, gli ospiti di variegati istituti di cura, le carceri: tutta umanità chiusa dentro, nessun contatto con gli affetti esterni. i morti, i lutti e i saluti negati, quando anche il funerale era pericoloso celebrare. e tutto quello che stavano vivendo medici ed infermieri sulla frontiera di quel mondo sottosopra.

ho provato a non rimanere indifferente, dal sicuro del mio piccolo privilegio. ma ne sono stato travolto emotivamente. credo di aver vissuto uno stress per interposto ascoltare, leggere, provare ad informarmi. e probabilmente ho vissuto [e non so ancora quanto sia finita 'sta cosa], una specie di ptss - sindrome da stress post traumatica. in trentaduesimi, ovvio. con tutto il rispetto chi la subisce e l'ha subita appieno per tutto. ma comunque un qualcosa di simile mi ha travolto. la buttai lì una volta ad odg. solitamente quando uso termini tecnici in modo improprio mi cazzia - in modalità soft, ovvio, a suo modo. quella volta abbasso rapida le palpebre, chinando appena il capo: la sua modalità di farmi capire - durante il mio flusso di coscienza - che probabilmente ci avevo preso.

ci son stati mesi in cui ripensando ad alcuni momenti, ad alcune sensazioni, la voce mi si incrinava, mi commuovevo. specie pensando a quel che han dovuto vivere - appunto - infermieri e medici. un paio di volte mentre parlavo parlando di loro. quando la mia amica francesca, pediatra, mi chiamò per il compleanno del mezzo secolo: mi disse tra l'altro fosse appena stata vaccinata, e la viveva come un privilegio che non era certa di meritare. macché privilegio - le risposi - con tutto quello che avete e state passando. ma non riuscii a finire la frase. un'altra volta con l'augusto professore, sul terrazzino mentre tramontava il sole, la voce mi si strozzò in gola, di colpo. e non riuscii a trattenere qualche lagrima. forse financo imbarazzo del mio ospite. [mica son tutti come odg, che è ben stata abituata a vedermi così].

già. poi ci sarebbe in effetti la questione del vaccino. che è tutt'altra storia. specie per il bias verso le paranoidi no-vacse.

ho ascoltato. ho letto. ho provato a ragionarci. e soprattutto abbiamo osservato l'effetto che ha fatto. quello che credo di aver capito è piuttosto semplice. è stato fatto tutto in maniera ineccepibile? no, inevitabilmente. [a partire dalla chiave di lettura dell'amico massimo, geniale a suo modo: bisognava andare in produzione il prima possibile, non c'erano cazzi. la copertura del testware era completa, fatta al meglio, ottimale? mancopppoucazz. però bisognava rilasciare in produzione, non c'erano cazzi. lo si è fatto correndo dei rischi]. ci hanno speculato sopra? certo, è il capitalismo rapace. alcune aziende son state coperte da lenzuolate di finanziamenti pubblici, col cazzo poi la condivisione dei brevetti, quindi hanno fatto gazziGlioni loro? sì, certo. ci son state reazioni avverse anche serie, financo mortali? sì, come per ogni farmaco.

avevamo alternative? no! alla quasi totalità dell'umanità che vi ha acceduto ha detto bene. e ne siamo usciti.

sono state fatte forzature sui singoli, sulle individualità, sul cittadino, per portare a far vaccinare quante più persone possibili? certo. è stato per il bene della globalità.

ed è su questa dicotomia si determina la rottura. il bene comune che viene prima delle forzature sull'individualità. anche se ci sono una moltitudine di individualità che lo contestano. ma per fortuna è stato deciso venisse prima il bene comune, che viene ancora più prima delle confutazioni. e che non ci sia la controprova è stata una fortuna per tutte e tutti: anche chi ha confutato, con molta veemenza e vibrante protesta [eufemismo].

poi nel piccolissimo ho riverberato anche per quello. con alcni affetti svaporati. però non riesco [più?] ad avere a che fare con il pensiero paranoide [tecnicamente]. che figurarsi se lo giudico, neh? sarebbe come giudicare un diabetico, un depresso, un cardiopatico. però me voglio star lontano. e l'allontamento è un altro [piccolo] lutto, col [piccolo] trauma e il [piccolo] stress che ne consegue. però serve anche a ripararsi dal riflusso melmoso che ti arriva da quel pensiero: apri gli occhi [maiuscolo, per gridarlo], non capisci, sei obnubilato, devi agire con senso critico. ed il misconoscimento conseguente dalla tua intelligenza, della tua onestà intellettuale. ci si allontana anche per evitare di ricevere suggestioni la qualunque per farti cambiare idea, non ostante avessi chiesto di non farlo. che la lettura critica della complessità non la voglio imporre, ma pretendo non me la si imponga. mi sono fatto coinvolgere emotivamente. poche difese rispetto a chi quella realtà l'ha rimossa. che poi è un modo difendersi dalla complessità della realtà, il più delle volte molto poco conscia. [non percepisco questa pandemia così pericolosa come la raccontano, quindi non mi vaccinerò. cit.]

quindi, accalorato un cazzo.

ecco.

la pandemia non è finita, è roba endemica. ma è stato decretato la fine dello stato di emergenza globale. che comunque è molto meglio di come eravamo messi prima iniziasse il tutto. senza scordare i venti milioni di morti che si stimano essere quelli collegati direttamente [al netto del puntacazzismo, capzioso, surrettizio, ed anche un po' squallido suvvia, della differenza tra quelli morti con piuttosto di covid19].

ripenso ogni tanto al ex-ante. a volte la memoria fa scherzi di cosa succedeva prima. quando eravamo felici e non lo sapevamo, mi scappa anche di pensare.

ora che ne siamo al di qua - fuori chissà per quanto - mi sovvengono le differenze, appunto, col prima.

che da un certo punto di vista me la sono financo svangata più che da privilegiato. come in un sacco di altre situazioni, peraltro.

però certo che pezzi di reliqui me li porto dentro. come tutte e tutti, del resto. anche se, si sa, per un pezzo per me c'è voluta la sertralina. che le cose fossero correlate mi sembra una banalità quasi tautologica.

quell'eco di quella paura sottile, non ostante fossi ben più al riparo di una fottia di altre situazioni.

il riverbero di certe relazioni segnate con un colpo di accetta. come quando colpisci il tocco legno normalmente alle fibre. il rinculo è tremendo. se si spezza le due metà schizzano in modo imprevedibile e pericoloso. se non si spezza il segno del colpo è lacero, come dar forma al dolore.

la speranza di allora di riallaciare relazioni allontanate, complicate dalla lunga coda del far fatica a relazionarmi, ostracizzate dagli aculei del mio irsutismo così accresciuto. che a far fuori persone [relazionalmente, ovvio] ormai è un attimo. fatica e ostracismo: non esattamente un invito. con quelle già in essere, figurarsi quelle nuove. proprio ora, peraltro, che sembrerebbe essere venuto il momento di ritesserne altre, considerata la mia rete sociale avvizzita e sfilacciata. tipo quelle abbandonate sulla spiaggia, la salsedine, la sabbia il vento a farne brandelli.

l'emergenza è quindi ufficialmente finita. ne eravamo già abbastanza fuori tutte e tutti. cosa ci lascia dentro, forse, lo sa in parte ciascuno di noi. non ne siamo usciti migliori. ne siamo usciti diversi: chi più provato, chi meno, chi con più consapevolezze, chi con la necessità di rimuovere. siamo tocchi di umanità, quindi esseri complessi, finiti dentro una funzione di trasferimento complessa. ovvio che ne esca un gran casino.

l'emergenza è ufficialmente finita. siamo ormai immuni. personalmente non so se gli effetti termineranno mai. faccio più fatica di prima a far alcune cose, quando già non brillavo per. non so quanto fossi felice prima. non so quanto potrò mai comunque esserlo di nuovo.

anche se la felicità, forse, è un sentimento sopravvalutato.

ma un qualche senso, per cercar cose nuove, lo si può sempre continuare a trovare. non ostante tutto. appunto, noi siamo ben oltre quel nonostante.

Monday, May 1, 2023

nobilitazioni [pensieri sparsi primimaggeschi]

del fatto che il padre della creatura fosse un pirla, ho cominciato ad averne contezza quando mi disse: se becco quello che ha detto che il lavoro nobilita l'uomo, lo prendo a calci nel culo rincorrendolo per centinaia di metri.

i [spero pochi] feticisti di questo blogghettino potrebbero obiettare: eh, ma 'sta cosa l'hai già scritta, qualcosa di nuovo?

vero.

ma mi torna in mente quasi ogni volta ascolto, leggo, intuisco di come il lavoro diventa uno dei molti motivi di frustrazione per chi, del lavoro, è il soggetto attivo, operante. il lavoratore, insomma.

e non sarà mica un caso che questo governo destro ce la stia mettendo tutta per. in un contesto non esattamente esaltante già di suo in partenza, perdurante da anni. roba in perfetta sintonia con la promessa iniziale dei destri: non disturberemo il manovratore, nel senso di chi il lavoro lo offre. il problema è la degradazione via via crescente di quell'offerta. per platee che andranno ad ingrandirsi, mica a ridursi, a cominciare [o continuare] dai giovani. con la beffa di un cdm convocato proprio il primomaggio, per andare a ratificare norme che aumenteranno la precarietà, la diminuzione dei sussidi. molta attenzione ai manovratori, a chi lavora puppa [a meno che si possa gioire per la diminuzione spicciola del cuneo fiscale]. l'occupazione simbolica di luoghi e tempi per normare istanze che vanno dalla parte opposta quei simboli lo trovo, personalmente, abietto. una cafonata, per quanto abile a distrarre e dare voce alla retorica della propaganda.

e lo osservo, lo penso, ne sono convinto da una posizione privilegiata [che non significa che me la meni o mi senta circonfuso da un qualche senso di superiorità. mi hanno scritto anche questo. anche se è tutt'altro discorso]. perché va bene il mio ombelico, poi ci sono situazioni variegate, ampie, diffuse di lavoratori poveri, precarizzatissimi, sfruttati, gigeconomizzati. occhei che ascolto solo una radio, e quella radio a quei temi è piuttosto sensibile: però ascolto con troppa frequenza di persone che pur lavorando non arriva alla fine del mese [vuorchinpuuur, sperando che quell'altro non mi dia la multa], di contratti che durano un uichend, paghe orarie che - seppur legali - sono una specie di offesa se fatichi ad arrivare a cinque, sei euro [lordi]. per non dir della retorica - appunto - dei giovani scansafatiche. pagateli, i giovani. per non dire degli stage che non riescono a far altro che essere gratuiti, che possono durare anni.

siamo in un contesto nazionale mediamente asfittico. occhei. e poi c'è l'avidità che tutti ci portiamo dentro, più o meno intensamente, o consapevolmente. quindi se c'è da poter prendere di più, chi non lo farebbe? il problema è apparecchiare situazioni che favoriscono solo gli imprendtiori, e meno i lavoratori - pannicelli caldi a parte. che ci sono pure imprenditori che fanno fottuta fatica, neh? ma chissà quanti che semplicemente pensano: prendere per prendere, meglio di più io, che loro. siamo naturalmente avidi: poi lo si può mitigare, ovvio.

è una questione di contesto. e di approccio ideologico di fondo.

quindi sì. mi chiedo quanto tutto questo possa concorrere a nobilitare, mediamente. anche se poi ciascuno nella propria esperienza ci vede quasi il mondo. specie se si è perso il concetto di classe. cosa peraltro nemmeno troppo improbabile per me, col mio orsismo e le mie tendenze quasi sociopatiche per ritrosia.

provo a mitigare, però, alzando appunto lo sguardo dal mio ombelico privilegiato. e che non dimentica la gratitudine verso tutto e niente, oltre che la congiuntura, che ha detto bene.

però non sarà un caso che gran parte della serenità - non ostante sia piuttosto lontano dall'essere felice, o quella cosa che le si approssima - passi anche dal fatto abbia fatto pace con il mio lavoro. ed il fatto riesca a chetare gli aspetti più faticosi, e nel contempo ad esaltare quelli più positivi.

che continuo a contare i mesi dall'inizio, mi riferisca ad un là dentro, quando scrivo di quel lavoro. osservi con malinconia tutto il tempo che il lavoro mi conculca, a fare una cosa che non è esattissimamente quello che vorrei fare [eufemismo]. però tutto questo se ne sta nel discorso molto più ampio del mio pormi all'interno della società. e in questo discorso c'è anche il fatto di portare rispetto a tutti coloro che il privilegio di un lavoro dignitoso non ce l'hanno, facendo del mio meglio nel fare il mio. c'è il fatto che là dentro provo ad essere utile. vorrei farlo in altro modo e per altra umanità. ma al momento questo è quello che c'è: e quindi ora impegnamoci in questo. [fu il teo, che fatico a definire come il mio capo, a farmi notare questa quasi ovvietà. che il teo, magari non ne capisce moltissimo di java, vb.net e pl/sql [io giusto un pochino di più], però ci ha la capacità di intuire cose sottili apparentemente soft, ma poi c'è la complessità delle relazioni. mica cotiche.]. e in quell'essere utile ci è dentro anche un rimettere in circolo un po' di quel privilegio. fare al meglio quel che si è chiamati a fare. appunto in un contesto che è fondamentalmente sociale, perché ci chiama a farlo all'interno della società di pari. per come la vedo è così che il lavoro nobilita la donna e l'uomo. e sticazzi se la semplifico, e pace a decenni di scienze sociali e giuslavoristiche. tutte quelle menti eccelse non me ne vorranno.

poi. con un po' di onestà, aggiungerei cosette. che star là dentro sia una delle poche cose che mi stiano riuscendo, e non solo per il fatto che il mio tempo è quasi solo per quello. e quindi eccolo il circolo vizioso, compulsivo, che si autoalimenta [ie faccio quello mi riesce benino, evito di mettermi in gioco per altro, esaurisco tempo ed energie, cosicché non faccia molto di resto, e sottilmente irrisolto dedico le poche residue a sbattarmi là dentro, che mi riesce, che prima o poi finirà. allora potrò fare altro. ma intanto alimento la compulsione]. che il contesto e la nicchia che son riuscito a crearmi aiuta a mitigare  la frustrazione per un lavoro che non è esattissimamente il mio [nicchia che mi hanno dato la possibilità di creare: uno può essere anche abile, poi però mica è scontato gliela lascino fare]. e che la fatturazione che viene di conseguenza aiuta ancora di più [che peraltro dà una mano a recupeare i sette anni di vacche magrissime, quelli della fenomenale esperienza imprenditoriale precedente. dove non è che mi sbattessi poi tanto tanto di meno, neh? avevo solo la sensazione di avere del tempo per me. frustrazioni - altre - a parte].

ci ho dentro tutto questo chiaroscuro, in questo primomaggio. soprattutto, appunto, un percepire vivo ed cogente dell'importanza che il lavoro dovrebbe comportare. che un buon lavoro può anche non essere un augurio stantio, né tanto meno di circostanza. che il lavoro è buono quando va oltre il sostentamento. tutt'altra roba rispetto al produrre, per poi poter consumare [e poi crepare, che ci tocca presto o tardi]. il buon lavoro è un privilegio anche quello. che su tutto la salute, un qualche genere di sentirsi in bolla o con un senso da portare avanti a 'sto mondo. però poi 'ste cose si intrecciano in maniera molto più inestricata di quando pensiamo. il lavoro a suo modo è qualcosa che ci trascende, esattamente come starsene nella complessità della società adulta comporta: che siamo tutti unici importantissimi, ma siamo poca roba prescindendo dagli altri.

per questo dovrebbe nobilitare. che non accada per una platea che si va ad allargare è un'altra delle storture e disuguaglianze per cui varrebbe la pena di adoperarsi. una specie di meta buon lavoro.

che fottutissimo regalo ci faremmo. fuggendo dal ricatto surrettizio: visto che non c'è tutto 'sto buon lavoro, si pigli quel che viene, e morta lì. conquistando un tocchettino di consapevolezza di tutto questo. ne avremmo tutte e tutti da guadagnarci. al pari delle più importanti conquiste sindacali [al netto che uno il sindacato può anche permettersi il lusso di osservarlo col binocolo].

per questo buon primomaggio non scontato a tutte e tutti.