Saturday, December 31, 2022

è sempre il tempo della riconoscenza. e sono grato non mi sia così complicato riconoscere il rinoscerla

occhei. occhei. non c'è dubbio che gli inibitori dei ricaptatori serotoninergici abbiano fatto il loro. però pure io mi son messo di buon buzzo, e ne è venuto fuori un lavoro financo più che discreto. anzi no: più che buono. e il fato, il destino, le congiunzioni cosmiche, il caso che è un niente spostare due lettere che diventa caos, hanno fatto il resto. così, davvero, non posso che essere riconoscente a questo annettocosìpari ed evocativo di variegati centenari. non è che è solo una questione che quando le cose non vanno poi così male - anzi per nulla male - allora va bene. è che significa ridurre lo iato tra il vivere il momento e la contezza sarà un ricordo caro, quando non anche lieto. se riduci quella latenza si coglie quanto prima e quanto meglio tutto quello che capita per cui essere grati. è cogliere quell'attimo. è sfrondare da qualsiasi sovrastruttura, in qualsiasi modo si sostanzi. sfrondare, sfrondare, sfrondare: così trovi l'essenza. anche da cui ripartire, come il ciclo dell'azoto, la biomassa prodotta assorbendo luce e anidrite carbonica, assecondando il giro delle stagioni. tipo il kiwi, potato ad intuito, con attenzione e vivendo il paradosso che gli si toglie tantissimi rami, rimane spoglio. e poi lui ricomincia. le foglie, le gemme, i fiori, il frutto. per arrivare a donare che è un piacere.

forse è una specie di trasmigrazione del lavoro di patreme. nel senso che non è una questione di solo lavoro. è che si capisce comunque sempre troppo tardi.

i cattolici, la sera dell'ultimo dell'anno, intonano il te deum. mi innamorai del primo anelito [ora so: in modo nevrotico] mentre la sapevo due banchi dietro di me, in quella celebrazione particolare. io che vistosamente mi confrontavo con matreme sul significato di ogni verso di quel canto in latino, capire se capivo e traducevo. matreme un po' abbozzava, ma a me interessava che quella regazzina dietro di me capisse stessi cercando di capire e che intuissi financo il latino. pensa te come pensavo di far colpo. era il mio modo di immaginare qualcosa di benaugurale a me medesimo e la storia d'amore ne sarebbe nata [ovviamente avrebbe avuto senso spiegare, alla storia d'amore ne sarebbe nata, di nascere anche fuori dalla mia testa e immaginazione romanticadellaminchia]. il senso del te deum è altresì, appunto, ringraziare per l'anno appena trascorso. loro hanno il loro dio. io non ce l'ho, ma ne colgo il senso sempre più distintamente. ed anche questa cosa è affare che se ne starebbe ben benino nell'immanente di ogni creatura. poi ciascuno ringrazi come e chi vuole, nei modi che più si confanno. però aiuterebbe lo si facesse in quanti di più possibile: mica serve essere credenti.

che poi mica mi sfugge sia facile riconoscere riconoscenza quando ti gira - tutto sommato - bene. comodo far i gheicorculodeglialtri. ben più complesso per chi attraversa le peggiori nequizie, chi convive con guerre, miserie, povertà, dolori e patimenti che nessuno merita. e chi assieme a questo non intravvede lo spazio del possibile. mi è capitato, in milleventiquattresimi, di non vederlo più, e già non è per un cazzo una cosa da augurare. e che non confondo con le robe lontane e più vicine. drammi epocali e di popoli e dolori lancinanti di persone vicine. ci sono un sacco di lacrime, e molte non riescono ad essere asciugate. è il mimimo essere grati che ai nostri occhi non sia toccato versarne.

di nuovo. non è questione di sfighe mancate. è prendere atto che ogni giorno lieto è qualcosa da far fruttare al meglio, che un modo c'è comunque.

che poi io non sempre ci sia riuscito è un dato di fatto. ma ho smesso di sentirmi in colpa, che è un modo un po' peloso di giustificarsi. e poi son sempre meno convinto che una pedagogia di umiliazione sia così efficace. anzi: è decisamente una stronzata.

che è con il paradigma opposto che si innesta il circolo virtuoso.

nei post dei fine anni passati dividevo la pars destruens da quella construens. però, come già sproloquiato, anche basta con questo specifico latinismo, che l'imparai da anche basta costei. che lasciamo giù le cose tossiche. sfrondare, sfrondare, sfrondare. però, appunto, facciano che è solo un volo rapido di gratitudine, al limite temperata.

temperata, ad esempio, da quelle persone che sono un po' uscite di scena. o che non è più così immediato, ovvio, scontato, re-incrociare. che c'è un po' è del mio, ci sono ancora degli effetti dei due anni precedenti, con un po' di regressione sociale. sapere che ci sono 'sti effetti, è il primo passo per cominciare a ritornare dalla regressione. temperata dalla mia necessità di sbronzarmi di lavoro. che è un ottimo modo per non pensare troppo ad altro. che va bene la fatturazione, va bene dare una mano agli altri. ma è capitato fosse una specie di rifugio potenzialmente tossico. temperata dalla difficoltà di fare, che a rinviare, postporre, ragionarci sopra sono bravissimo. temperata dalle occasioni perse, che tanto ce ne sarà un'altra: che magari è vero, però quella l'hai persa, perché a volte si ha paura di prendersi le cose e viversele, come si avesse paura si esaurissero. temperata dalla paura di fallire, che così non ti butti abbastanza mai, e molto passa e se ne va e mica è detto che torni.

però poi c'è la gratitudine, a non so bene chi o cosa, forse al nulla. ma io che la sento sgorgare ci sono eccome.

la gratitudine per quella svolta che è stata solo sfiorata. con la malinconia intensa sia sfiorita così improvvisa. però ho imparato un sacco di cose, [ri]vissuto emozioni sopite, [ri]provato sensazioni che pensavo ormai essere oltre il mio orizzone degli eventi, per sempre. non ho fatto allllammmmore quest'anno. credo che alla fine sia uno spreco. però sono grato non lo viva più come una minorità e rejezione erotica-affettiva-sentimentale. e comunque certi baci sono state le cose più intense da quel punto di vista.

la gratitudine per le suggestioni delle persone che mi vogliono bene. con tutti i loro modi variegatissimi di comunicarlo. che so bene c'è. a volte non è così semplice prendersele serenamente, le suggesioni altrui. è cosa su cui devo lavorare ancora. ma non sarebbe corretto ignorare tutto il lavoro già fatto.

la gratitudine per aver condiviso l'emozione e quel momento dell'amichetta, che non pensavo di emozionarmi così. che l'amichetta è una delle declinazioni del fatto che nessun luogo è lontano. tipo quando ci siamo rivisti alla stagione di brignole e l'abbraccio ha raccontato tutto, ed i suoi occhiali appannati. che condividere con lei è stato un ripartire anche quello, che sapevo sarebbe successo anche quando non la vedevo così semplice, 'ché mi mancava appunto lo spazio del possibile. l'amichetta ha acceso un attimo la luce, ed ho visto quello che sarebbe successo qualche tempo dopo: questo grazie a lei. la gratitudine per le nuove conoscenze di quest'anno. che cito l'amica chiara, come epitome per dire di tutte. amica chiara che chissà se mai incrocerò dal vero. che sa riconoscere come ci sia da guardarsi e guardarsi. che è molto più profonda, più capace, più intelligente, più acuta che bella, oltre ad essere bellissima. che come mi disse: per gli occhietti cangianti - con una luce malinconica nel fondo - lei non ha fatto nulla. mentre io intuisco che invece, per diventare quel che è, ci ha messo tanto del suo, che è già tantissima roba.

la gratitudine per quelle cose in cui, tanto o poco, mi sono dato per qualcun altro. che poi quello che ti torna indietro è sempre di più. sentirsi d'aiuto per altri fa stare meglio. anche se l'ho fatto col culo comodo ed osservando il mare.

e poi ci sono i dettagli e le nuance del momento che fugge. il colore del cielo che dopo un attimo è già passato. i calici alzati. il camminare lento. le mostre ed il bello che è lì che aspetta solo lo si colga acciocché possa inondarti. le strade solcate senza fretta che il viaggio è parte della meta [e chissà se mai ci ritroveremo, con l'amico daniele]. alcune canzoni spuntate d'improvviso e che scopri di un bello che levati. il fiore al partigiano. "ohio", nel senso del romanzo, una roba corale che a tratti è disturabante, in altri commovente. financo il lavoro che, quando non tossico, non è che mi sia venuto a piacere, ma ha smesso di nausearmi: e soprattutto è grazie alla interlocuzione con alcune persone là dentro.

poi è vero. questo è l'anno delle destre al potere. e della guerra. che putroppo, è solo un'altra guerra [e mai come in questo caso "solo" suona perfido e lancinante]. un po' più vicino, roba che ci destabilizza tanto o poco. che serve, ce ne fosse bisogno, a ricordarci di quanto sia una devastante porcata. c'è sempre stata. e con noi ci sarà ancora. forse riusciranno chi verrà molto dopo di noi ad espuntarla dalla storia dell'umanità. ora è la riconoscenza di quanto sia fottutamente preziosa e forse caduca la pace, o qualcosa che le si avvicina di molto.

e poi c'è stato il momento di quel pomeriggio di fine febbraio. quando d'improvviso ho [ri]scoperto che io potevo acquistare un appartamento. perché no? una cosa possibile farsi e sapere potessi: come una specie di epifania. dopo mesi a sostenere, per raccontarla a me e agli altri che sì, il progetto casa nuova era in divenire. ma in fondo la percepivo come cosa ormai lontana da me. credo sia merito anche dell'amico ermanno, che tanto mi ruppe a sospingermi qualche giorno prima: ora tu devi comprare la casa, ed osa anche un po', non fermarti a quello che in battuta ti sembra abbastanza, poi sarai soddisfatto di averlo fatto. quell'attimo è stato un momento pazzesco, bellissimo, rigenerante. un altro spazio del possibile riconquistato.

la guerra e la mia casa nuova [che mica neppure ho re-iniziato a cercare, ma che so piglierò] sono tecnicamente scorrelate. però forse anche no, nel mio intimo. perché da lì, dalla casa nuova credo che si passerà, per un pezzo di altro progetto.

gratitudine ex-ante.

vorrei tanto che anche in questo che sta per arrivare, non mi sia così complicato riconoscere la riconoscenza: per qualcosa ci sarà comunque gratitudine.

siete in tre-quattro a passar per di quivi. e quindi anche per Voi, molta possibilità di riconoscenza. io ne sarò comunque garrulo.

Thursday, December 29, 2022

la pinuccia [la signorina pinuccia]

e quindi oggi si è salutata la pinuccia.

mi è tornato in mente il commiato di qualche mese fa, alla mia prof magistrini. la cosa interessante è che i due saluti non potevano essere più diversi e più simili. così come costoro hanno vissuto vite che più diverse non si poteva, ma per l'aura che hanno saputo generare così sorelle. oltre ad un'altra cosa, che può sembrare un dettaglio, il capriccio di una pura coincidenza nel gran danzare del caso. e invece mi piace pensare che molto, moltissimo, passi magnificamente per di lì. sono state due professoresse di letteratura, tanto innamorate del loro lavoro quanto colte e preparate. ma su questo sproloquierò tra un attimo.

la pinuccia era un fervidissima credente. oggi ho scoperto fosse anche un'oblata laica, della congregazione di suore di clausura dell'adorazione perpetua del santissimo sacramento. roba per spiriti forti, non c'è dubbio. non si era mai sposata né, si può supporre con una certa coerenza, immagino abbia mai conosciuto uomo. signorina pinuccia, come non le dispiaceva l'appellassero. era rigorosissima. si narra severissima presidente di seggio qualche decennio fa. in battuta sembrava altera, specie ad un intimidito regazzino come me. l'ho conosciuta durante i particolarissimi natale dell'ammalato, di fatto invenzione sua, quelli nella palestra delle scuole delle orsoline. arrivavano da mezza provincia. alla fine saliva sul palco babbo natale [mio padre] con noi dietro a suonare gildoilbello, come diceva l'angelo al clarino [stava per jingle bells] e le altre. la pinuccia era quell'evento: dirigeva, presentava, orchestrava, giostrava, teneva la fila di tutto. si radunavano molte persone, appunto ammalate, più o meno sofferenti e con problemi. c'era qualcosa in quel consesso di pesantissimo e di estremamente lieve. non era divertente esserci. ma ne percepivi l'importanza di quella condivisione. festeggiare il natale comunque. e lei, la pinuccia, altera, puntigliosa, decisa, ma mai maleducata, autoritaria, sgarbata. non ti veniva di andarle incontro ad abbracciarla. ma non si poteva non riconoscerle un'autorevolezza che non è mica di tutti, anzi.

quindi figurarsi quando quel pomeriggio di fine febbraio dell'ottantanove mi caricò in auto. facevo autostop, lei si fermò con la sua fiat seicento color panna, lucidata e pulitissima. al volante con i mezzi guanti per una migliore esperienza di guida, per quanto non toccò mai i sessantachilometriorari. si andava entrambi alla mia scuola superiore, che forse era più sua, considerato ci abbia insegnato ben più degli anni in cui ci studiai io. da una parte mi stupì: una come lei a caricare un regazzetto, dubitavo mi avesse riconosciuto come il figlio di babbo natale [per capirci, ovvio]. dall'altro mi immaginai mezz'ora di viaggio tra il noioso e l'imbarazzato. ed invece fu una piacevolissima scoperta. io continuavo a sentirmi un po' imbarazzato, in fondo era sempre la signorina pinuccia, le più tremende leggende la precedevano. però la pinuccia si rivelò essere una persona che si sarebbe potuta ascoltare per ore. era appena stata emessa la fatwa contro salman rushdie, da parte di quei amici dell'umanità degli ayatollah iraniani. era notizia che mi aveva colpito, ne venimmo a discutere. quindi lei d'un tratto mi disse: se ti giri, sul sedile posteriore dentro quella borsa c'è un libro nero, è un corano, prendilo, aprilo a quella pagina, e cerca la sura con quel numero, leggi ad alta voce. non si poteva dirle di no. e lo feci ben lieto di farlo. ricordo perfettamente dove eravamo, la luce del pomeriggio sul lago alla nostra sinistra, ed io che leggo quei versetti, con lei a spiegarmeli, e perché venisse considerata blasfema l'interpretazione di rushdie. ero una regàzzi complesso ma in certi ambiti molto semplice e banale: una che pensavo essere beghina, ipercattolica da  mammaliturchi, che commentava con quella delicatezza, rispetto, conoscenza alcune sure del corano. ovvio che fu una svolta. lo raccontai a casa. matreme non si convinse del tutto.

tanto che, qualche anno dopo, le proposero [a matreme] di partecipare ad pellegrinaggio in terrasanta [eh, la chiamano così, di santo non ha proprio un cazzo, ora come ora]. quando seppe che come guida avrebbero avuto la pinuccia, le venne quasi l'impeto di rinunciare. chissà che due palle, quanto beghinismo e pregare ci farà fare. infatti tornò trasformata, innamorata di quella terra, grata per l'esperienza che levati. e da lì in poi non toccatele la pinuccia: totalmente conquistata dalla sua capacità di raccontare e far vivere la potenza simbolica di quei luoghi [eh, loro che credono, ovvio possa esserci anche quel coinvolgimento]. bisogna far parlare le pietre, diceva la pinuccia, che sembrava conoscerle una per una. nessuna traccia di beghinismo e preghiere ad libitum. non era quello il suo compito. lei era lì per raccontare e trasmettere parte di quello che aveva studiato, capito, approfondito. la fascinazione di matreme fu per i luoghi, sicuramente, con l'effetto leva della maieutica della pinuccia. tanto per dare la tara di come avesse preso a volerle bene c'è l'episodio del giorno del funerale di patreme. quella mattina matreme collassò. e quindi se ne stette in camera mia, mentre una fottia di gente passava a salutare condoglianzemente. per tutti l'indicazione era: non si è sentita bene, meglio stia tranquilla in camera, riferirò siete passati. quella mattina matreme volle vedere solo due persone. una fu la pinuccia.[l'altra fu l'amica che quest'estate ha seppellito una sua creatura. non sono riuscito a non pensare anche a lei e al padre, in questo natale per cui mi son lamentato per bagatelle]

oggi hanno celebrato sei preti, le letture scelte appositamente da lei: aveva deciso come congedarsi [letture belle anche per un agnostico un po' incazzato come me]. c'era mezza oftal diocesana. ha voluto la vestissero nella bara con la divisa da dama di quell'opera - rigorosamente a manica lunga, che indossava anche d'estate. già l'oftal. la pinuccia si è spesa in maniera importante anche in quello. ed ho capito, dalle persone che l'hanno omaggiata, dalla commozione di coloro che portavano i confaloni, le dame e i barellieri con la divisa d'ordinanza e la medaglietta appuntata sul petto, quanto non sia stato un adoperarsi formale, di facciata. mi è tornata in mente la storia degli uomini di buona volontà. seppur da lontanissimo, eppure così intuibile la comunanza e vicinanza di darsi per l'altro [anche se la pinuccia lo ha fatto per una vita, io vagheggio di chissà se e quando sarà]. perché accompagnare in pellegrinaggio ammalati a lourdes, assisterli ed essere al loro servizio, non lo si fa tanto per farsi belli: ci son modi più comodi e prestigiosi. per quanto l'idea di un pellegrinaggio in quel posto, come prassi di mitigrazione per le sventure e le disgrazie che capitano, è cosa che percepisco come sesquipedalmente distante. però non posso far a meno di considerare che la pinuccia i malati se li è caricati - figurativamente - sulle spalle, decine e decine di volte. per far servizio a loro. e sticazzi se si trasformava durante l'adorazione alla grotta, si ricaricava e ripartiva di gran lena. ha declinato l'umanissima misericordia del paradosso che, se esistono patologie inguaribili, non esistono malati incurabili. e questo, vivaddddio, va benissimo anche a lourdes. è qualcosa che il cattolicesimo avoca a sé come carità cristiana, mentre tutte le persone illuminate [credenti o non] sanno che è sentirsi parte empatica dell'umanità.

la pinuccia lo sapeva, certo che lo sapeva. e quella fiammella era talmente autentica che la sua cattolicissima convinzione e coerenza - anche il fatto si sia ostinata signorina, mi picco di pensare - era qualcosa che creava condivisione, non metteva steccati. credo che fosse difficile non volerle bene, appena superata quella sua alterità, che se osservavi bene ti accorgevi venisse tradita con quel mezzo sorriso e l'occhietto vispo.

alterità che, altresì, non aveva la prof. magistrini. due donne che forse più distanti non sono state. ma accomunate dal segno che hanno lasciato. insegnavano letteratura nella stessa scuola. che per quanto eccellenza, con la fama in tre provincie era pur sempre un itis. che avrò pure superato in scioltezza alcuni esami universitari, sfruttando la scia di quello che avevo studiato lì. ma era pur sempre un itis, mica un liceo classico. ecco. vivo l'intuizione che quella scuola sia stato un grande itis anche perché vi hanno insegnato letteratura persone come la pinuccia e la magistrini. e sono pure convinto vi sia da qualche parte un mio omologo, che si è innamorato della letteratura ascoltando le lezioni della pinuccia. e che abbia colto la possibilità di vellicare il sublime che qualche genio, illuminato dal tocco divino o dal caso del talento assoluto, ha donato alla storia dell'umanità. qualcosa che sa trasformarti, entrare in condivisione con quella magnifica follia che è l'essere umano, la sua capacità di sintetizzare, lirizzare, raccontare la spiritualità che ci avvolge, ci costituisce, ci trascende, così come l'insonbabile profondo, anche quello più oscuro. voglio credere che due donne così diametralmente distanti, fossero così simili nell'essere riuscite a far loro abbastanza molto quel sublime, tirarselo dentro, nell'intimo che più non si può: per poi insegnarlo, come hanno avuto la capacità di fare. ma è roba che poi tracima nell'essere anche di tutti i giorni. che se hai possibilità di conoscere così bene quella roba lì della storia umana, poi a declinarlo e propagarlo, in modi alquanto variegatissimi, ti viene più semplice. non è mica scontato. ma quando funziona: cazzo, che fortuna averci a che fare.

le genti dei due funerali, diversissime fra loro, avranno in mente cose molto distanti di cui la pinuccia e la magistrini staranno discorrendo con gli angeli, o similaria. mentre io, se ci credessi, mi verrebbe da pensare che invece troveranno di sicuro il modo di raccontarsi del sublime che hanno conosciuto, di come abbia plasmato la loro esistenza, e del fatto l'abbiano insegnato, per illuminare - tanto o poco - frotte di studentesse e studenti. tanto zitte, se esistesse un paradiso, mica starebbero zitte nemmeno lì. figurarsi.

Monday, December 26, 2022

post di uno dei conquilini

Gentili tutte e tutti.

Questo post è una incursione ad insaputa di colui che Vi scrive qui, di solito.

Sono uno dei conquilini. Oggi si raccoglieva assieme la ultime foglie, quelle ormai bruciate anche dal freddo: i rami ormai spogli. Abbiamo ragionato assieme, e si è lasciato scappare la storia dei post che pubblica qui dentro. Non solo: anche come poterci scrivere. Così eccomi qui. Lui non lo sa. E Vi sarei grato notaste la differenza. Uso le lettere maiuscole dopo il punto. Non sono aduso utilizzare le parolacce. In maniera meno naif utilizzo l'abitudine di vergare le parole straniere come si scrivono, non come si pronunciano. Evito gli avverbi, riduco al minimo le subordinate. Se non fosse per questa presentazione riuscirei quasi nell'intento di utilizzare duemila battute, spazi inclusi, per condividerVi il ragionamento ordito con quello lì, in mezzo alle ultime foglie.

Io sono il coinquilino asettico e franco. Gli ho ricordato se e quando smetterà di prendersi in giro. Se creda davvero alla storia che racconta del cambio di vita. Quale senso abbia lo stordirsi di lavoro, per non pensare ad altro: ad esempio come prendere in mano davvero il suo divenire. Oppure per distrarsi dal prendere atto delle altre istanze che non riescono più così bene, per non dire quelle che non sono mai state il suo punto di forza. Che forse la ragazza che lo ha scaricato, turlupinandolo, aveva colto il senso inquietante del suo workaholic. Gli ha fatto entrare in testa quel termine, perché ha centrato il punto.

L'ho ripreso per bene. Mi spiace: al termine pareva soverchiato da un magone silenzioso. Non ho voluto essere duro. Però l'effetto è stato come una gragnuola di colpi. Credo sia una delle conseguenze di quanto accada quando si spegne il frullatore in cui ci si immerge: tutto smette di girare animato e si deposita sminuzzato sul fondo del contenitore. Il ragazzo si è rilassato, la stanchezza di questi mesi lo ha avuto. Troppo spossato anche per rilassarsi, niente più a volteggiare vorticoso attorno, l'orizzonte sconsolato di uno che rischia di interiorizzarsi troppo il fatto di essere un TF: tagliato fuori. Se non un consapevole caso umano.

Non ha nemmeno ribattuto con la smargiassata delle fatture paffute. Lo sappiamo tutti siano importanti, non fosse per il fatto siamo passati in mezzo a situazioni quasi opposte: tutto tranne che piacevole. E poi con me è argomento retorico che non funziona molto. Lo sa.

Forse tutto questo non ha senso. Questo adoperarsi inutilmente, depauperante.

Lo so che altri coinquilini hanno valide argomentazioni per confutarmi. A partire dal fatto abbia utilizzato comunque un avverbio. Il punto di vista complessivo di noi tutti è composito e variegato. Perché complesso e variegato è il principio di realtà, questo nuovo "amico". Le virgolette non sono messe per caso.

Però il colpo di mano sulle credenziali del blog stavola è riuscito a me. Gli altri, per questa sera, possono andarsene a quel paese.

Saturday, December 24, 2022

psicopippanataliziente [piccolina, suvvia]

[updt. a mo di postfazione. che però metto all'inizio. in perfetta coerenza con quello che è sproloquiato qui sotto, oggi venticinquedicembre ha vinto il fottuto natale stronzo, come ai bei tempi, quando mi menava sodo. e mi sono levato dal giro. un po' barzotto. con il piccolo timore non si ricordassero di me. così il telefono è rimasto spento. insomma, buon natale anche mica tantissimo. per quanto non è andata male. non sei abbastanza triste per stare di merda, non sei abbastanza garrulo per viverselo sereno. sì. oggi mi son sentito solo. anche se, alla fine di tutto, vale l'ineluttabile massima: comunque, anche quest'anno, il natale cielosemolevatodarcazzo. ora, nel caso, si può leggere in maniera anticausale il post].
 

ogni natale, ormai, non riesco a non pensare all'amico itsoh, alla sua fottuta intelligenza fuori dal comune, ed i suoi bias che un po' mi intimidiscono e che lo obnubilano. è sua l'osservazione, che ripropongo, della parte molto immanente, cattolica [nel senso di universale], costruttiva dell'annuncio dei [cosidetti] angeli ai pastori [molto impastati di terra ed irrilevanza nella scala sociale]. gloria a dio nell'alto dei cieli [evabbhé, chi ci crede], e pace in terra agli uomini di buona volontà. cioè, in potenza, molto coinvolta un sacchissimo di gente.

così come coinvolgente è il natale. anche per i laici, dubbiosi, scettici e tutto il cucuzzaro da tirar dentro la totalità dell'umana gente. perché c'è di mezzo una nascita. e la nascita non lascia mai indifferenti. abbiamo tutti un po' di ossitocina secreta [nel senso che una qualche ghiandola nel corpo la secerne]. che poi quella nascita sia da vergine, che quello sia il figlio di dio venuto ad emendarci dal peccato originale è un dettaglio. senza voler offendere - sperabilmente - la sensibilità di nessuno. ma è pur sempre una creatura che viene alla luce. e la cosa non ci lascia come se non ci fosse. financo, soprattutto, quelli che asseriscono di farsi scivolare addosso la cosa, o maramaldeggiano i festanti.

[i destrolegofascifratellastritalici vogliono imporci a festa parimenti importante l'annunciazione. che è per pochi, per chi ci crede e tutti gli altri si entusiasmino per. battaglia di retroguardia e per un cazzo cattolica [nel senso di universale]. la puntualizzazione l'ho letta in una amaca di michele serra. saccheggio suggestioni altrui].

mentre il natale occupa questo periodo, immarcescibile. e poi è nel pieno dei giorni meno luminosi. inizio inverno. un mood collettivo che coinvolge e/o travolge, che si autoalimenta con - spesso - lo sputacchiare di taluni che discettano: non mi avrete mai più. oppure chi è coinvolto di più come momento di passaggio importante. dove la solitudine sembra ancora più emarginante. la malinconia più lancinante. per non dire del dolore di figli senza più genitori [dovrebbero vietarlo il natale senza la mamma - mi buttò lì, una volta l'amica rospia], o peggio - se c'è una classifica di inspiegabilevolezze - di genitori senza più figli, come il più inaudito dei natali concepibili.

questa sorta di amplificatore, dilatatore, espanditore di sensazioni ed emozioni. specie quelle meno dolci. [chi aspetta una creatura, un gesùbambinopiccinopicciò, o chi vede l'entusiasmo delle creature vince facile, non conta in questo post [l'amica rospia è felicissimamente madre, intuisco una gioia importante far vivere [anche] un bellissimo natale alla sua creatura]]. il natale, insomma, ti fotte. molto più innocua la pasqua, per forza in primavera, paradossalmente molto meno cattolica [nel senso di universale], roba per quelli che ci credono davvero. oppure sentita e vissuta a nuotatori d'altura delle emozioni interiori belle pompate ammmmille. tipo me, e il coinvolgimento delle campane che si sciolgono a festa.

io me lo ricordo quando entrai in rotta di collisione importante con il natale. avevo sedici-diciassette anni. ero quasi alla fine dei giri parentali con matreme di là del lago, roba che mi aveva sempre profumato come tradizionalmente legato al fatto arrivasse qualcosa di regaloso. non coglievo ancora il disagio di matreme nel tornare a ridosso dei luoghi nativi, e tutto il portato dell'infanzia, adolescenza, gioventù e lutti successivi che ammantavano quei posti. più bigotti che ammantati di piccola borghesia, peraltro incazzosamente solo anelata. però quel pre-natale colsi la presenza di quei ragazzi di colore, a vendere paccottiglia fuori dai negozi, dove i bravi cattolici prealpini uscivano pieni di paccottaglia carica di lustrini. mi accorsi di colpo di costoro, che ancora non chiamavano immigrati, clandestini, irregolari o para-razzismi simili. mi accorsi di loro e pensai che cazzo di natale potevano viversi, più o meno solitari e lontani da casa, un po' rejetti, un po' chissà dove e come abitavano. mentre io sarei andato a gioire[?], per qualche fugace momento, dei doni da spacchettare arrivati a me.

e lì si impastò un bel mics. vuoi il travolgimento empatico [c'è sempre più o meno stato. non è che per questo sono più debosciato o migliore della media. c'è. e me lo tengo. al limite è da gestire per evitare mi soverchi in determinati combinarsi di condizioni]. vuoi l'entusiasmo giovanile e la sensazione tutto ti sia possibile e possa venirti. vuoi la necessità di alterità per strutturare la mia individualità [da qui la fascinazione per l'amico daniele, ancora più altero e fuori dal coro di me]. vuoi la morale cattolica in cui ero immerso a mia insaputa.

quindi venne questo improvvisa e lancinante malinconica contezza. provai una sensazione di profonda ingiustizia perpetrante, cui avrei voluto porre rimedio, perché in fondo mi sentivo un po' in colpa, quindi che cazzo di senso aveva il senso per forza felicitante del natale. era un bella spruzzata di incoerenza. ma tutto quello che riuscivo a fare era lasciarmi prendere da questo sconforto un po' [già] nevrotico, un po' sturmunddrang, un po' struggente. prime psicopippe e poco fare.

da allora non è che abbia smesso di fare a sportellate con il natale. uscendone, ovviamente, ogni volta piuttosto sconquassato, e vorrei anche vedere. i miei incasinamenti vaniloquianti con quella corazzata  solida e ben rodata. fortuna durava poco. poi il natale se ne andava, con tutta la sua retorica da semo tutti cccchiuùbbbuoni, le sue pubblicità sfavillanti, i suoi film che lì dentro al fin tutto si conclude bene dopo vari travagghi emozionali, i suoi riti ecclesiastici, la sua neve che col cazzo ormai nevica a natale da mo.

vi è da aggiungere che nel mentre io non mi aiutavo. la serenità che era ben lunga da venire. le relazioni che figurarsi andavano dove sognavo andassero [secondo paradigmi sociali e anche piccolo borghesi]. le realizzazioni che proprio non mi completavano per nulla. e poi sbattere, improvvisi e musata dolorosa, con il fatto che il natale può venire poco dopo un lutto, ed il primo natale è quello peggiore. anche scoprendo che fanculo tutto il litigarci prima, con il natale.

però rimaneva sempre quella sperequazione. che il mondo è un posto bell'onusto di storture, ed ingiustizie, dolori epocali e traumi personali. che a natale non è che siano più insopportabili. è che forse quella contraddizione è solo un po' più eclatante.

solo che ci sono arrivato un po' più tardi. anche grazie all'appunto dell'amico itsoh, e la declinazione immanente dell'annuncio dei [cosidetti] angeli. uomini di buona volontà [che poi c'è il gancio con l'ottimismo della, a contrapporsi al pessimismo della ragione [cit.]].

è che se non fai pace con più o meno te medesimo, poi ovvio continuerai a far più o meno a botte con il natale. rischiando di fare sempre la fine di quello che le prende di più. e disperdendo un sacco di energia con cui poi, magari, la metteresti pure in atto la buona volontà.

io non so se ci ho fatto pace abbastanza del tutto. almeno evito di caricare e mostrarmi con la faccia incazzosa, che poi al natale sai quanto possa fare un baffo. ci sono cose che mi pungolano ancora, ovvio. sento a tratti quella malinconia forse rassicurante. o di una felicità [o quella roba lì] che gira attorno, ma che non riesco esattamente ad afferrare. però almeno ho smesso di sentirmi in colpa. che non significa dimentichi le contraddizioni, tanto più ora con lo spirito del natale a volteggiarci sopra. ma so anche che smettere di litigarci con 'sto cazzo di natale aiuta a starsene sereni. che è un bel regalo a ricordarmi dei miei privilegi. che poi se gli altri [apparentemente] più privilegiati non se ne rendono appieno conto, non è un buon motivo per non vellicare i miei.

dismettendo il giudizio. che è una bella condizione necessaria per essere uomo di buona volontà.

le sperequazioni esistono. certo che esistono. e figurarsi che ci sarà pure qualcuno che, oltre a glorificar iddddio nell'alto dei cieli, non se ne dimentica. e si adopererà per far qualcosa ed essere pure lui un uomo di buon volontà. come provo ad esserlo io - faticosamente e sgarruppatamente, nella mia laicità agnostica ed una personalissima spiritualità, e sticazzi se moderatamente eterodossa.

tecnicmente è un bell'invito che più cattolico [nel senso di universale] non c'è. a farne ciascuno il suo pezzo, grande o piccolo che sia. qualcosa ne verrà fuori, piccolo o grande sarà. mica finisce con noi. c'è stata tutta una porzione di umanità di buona volontà. ce ne sarà ancora. è tutto un'evoluzione dell'intelligenza collettiva. neuroncini molto buonivolonterosi. che il natale può pure andarsene afffanculo. ma poi ride sotto i baffi, perché è quel vuole pure lui. visto che si fa annunciare da quell'esortazione dei [cosiddetti] angeli. che poi ci sia qualcuno a prendersi la glorificazione nell'alto dei cieli, al natale, gli importa fino ad un certo punto. guarda la declinazione immanente, che ci si adoperi per la pace in terra: che c'è un sacco di lavoro da fare ancora. minchia se ce n'è. talmente tanto che vien da scoraggiarsi. per questo la volontà deve essere buona.

intanto faccio sempre più pace con me medesimo. e mi metto di buona volontà. siamo tutto un divenire, tutti.


[e già che ci siamo, un presepIO, contro il patriarcato]


Monday, December 5, 2022

sertraline [o sertralina /2]

il giorno di un anno fa, come questo, me lo ricordo bene.

avevo scritto un paio di sere prima il post "sertralina". e le ricordo bene tutte le sensazioni che mi stavano traguardando. ero nel soppalchino. rifugio così tanto uterino come in poche altre situazioni, mi parve. avevo appena finito di leggere il bugiardino di quel inibitore dei ricaptatori serotoninergici. ed ero sottosopra più che in altri momenti. non [solo] per il bugiardino in sé, ma per la lunga cavalcata a scivolare, un tocco per volta, verso qualcosa che sembrava regalarmi [solo] giornate dove di colpo si spegneva la luce. poi si riappizzava. poi si spegneva. poi si riappizzava. cose così.

sulle cause - comunque ormai sticazzi - il combinato disposto dei ventunomesi precedenti, un'amicizia storico-importante forse chiusa per sempre, un sgarruppato aggrapparsi ad una svolta sentimentale che uno si era immaginato persone, poi le persone fanno un po' i cazzi loro. e poi la stanchezza. ero stanco. stanco a prescindere.

e quindi un anno fa, era domenica. la sera avrei scritto il racconto annuale per "la venticinquesima ora" [parentesi 1. probabilmente il secondo o terzo meglio riuscito, tra quelli che provai a buttar nel calderone. ovviamente mai nessuno mi cacò]. quel giorno l'amica anna compiva gli anni, e che anni, guarda caso come oggi. pensa un po' 'sta storia dei genetliaci che tornano ogni anno. [parentesi 2. allora l'amica anna mi cacava, per quanto non è che immaginassi potesse succedere chissà che. la prima conoscenza che si può considerar tale su quello sfighinz di feisbuch deiting. poi scrissi un post, scrivendo [anche] di lei. tra le altre cose celiai sul fatto avesse le tette piccole, come peraltro lei stessa si era celiata nelle interlocuzioni cazzare. ovviamente il post parlava di tutt'altro. però sembra che quella storia delle tette piccole fu la cosa che l'adontò parecchio. almeno, così mi fece intendere, quando lo scoprii settimane dopo, che in effetti si era fatta sempre meno viva: figurativamente ovvio, visto che dal vivo mai la vidi. è increbile l'effetto che fa a certe donne léggere qualcuno dei miei post sgarruppati [parentesi 2.1. volevo scrivere femmine in luogo di donne, ma c'è un limite alla poca creanza, anche qualora un filo di risentita delusione mi attraversi]. così da allora l'amica anna mi scacazza via piuttosto delicatamente, spero almeno abbia trovato qualcuno che, tra l'altro, non celii sulle sue tette piccole e che le apprezzi in momenti di intimità]. a pranzo, sempre quel giorno, festeggiammo il diciottesimo compleanno del nipote. in maniera nemmeno troppo misurata, in una osteria mica per gli sfighinz. ma per fortuna fratteme e la madre della creatura sono ben nelle condizioni di poterselo permettere, in tutti i sensi. io, di fatto, a quel pranzo con altre moltitudini famigliari, due-tre generazioni espanse, oltre che amicali di gente rispettabile, accompagnai matreme. da questa parte della famiglia lei ed io, feci molto buon viso, pur sentendomi del tutto estraniato a quel momento, a quel contesto gioioso, per quanto a tratti quel filo sovrastrutturato. in un luogo con la fatica di starci, per tutta una serie di cose. tra cui anche il fatto avessi cominciato ad assumere un inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

c'è una rappresentazione plastica di quella giornata: le foto. quelle che feci assieme al nipote, fiero, contento, neomaggiorenne, serenamente proiettato verso un futuro da predestinato. con la sua fascia da festeggiato se ne stava quasi statuario in posa, felice, come in fondo si merita, senza ostentazione di chissà cosa. è un bravocristo, davvero. ed io gli sono accanto, in un paio di scatti a ritrarre solo me e lui. da una parte: il suo portamento eretto, mento sorridente e volitivo, quindi ci sono io: quasi ripiegato su me medesimo, un po' ingobbito, incerto e abbastanza completamente spiazzato, col capello forastico a sembrare senza luogo dove stare pure lui.

è tutta lì, la fatica di quella giornata, in quel modo di porsi di fronte alla fotocamera di uno smartofono. io 'sta cosa la percepivo. cazzo, se la percepivo. felice, per quanto potessi captare il concetto di felicità in quelle settimane, per il nipote. a chiedermi: ma che cazzo ci faccio qua? per quel che riguardava me.

ad un certo punto il ciancischiare festoso della sala da pranzo aumentò di colpo. o forse così mi parve. e sentii rimbombarmi tutto dentro, tipo una specie di effetto larsen tra me e me. osservavo gli altri, tutti gli altri, e mi sembrava di guardarli tipo al cinematografo, però seduto sulle sediolacce di legno, dure e rigide. e lo spettacolo che sembrava non esssere fatto di immagini che scorrevano, ma roba del tipo che si sommavano frame dopo frame, uno sopra l'altro. pensai di essere a tanto così da sbroccare in maniera introspettiva. uscii, quasi fuggendo da quella situazione che si era fatta davvero complicata, dissimulando con matreme: bah, sto mangiando troppo, vado a prendere un po' d'aria.

fuori dal locale, in strada rifatai, un po' sembrò passare. e quindi notai la targa importante che troneggiava sopra l'ingresso della coorte. a ricordare fosse la casa dove nacque quel macellaio di luigi cadorna. che solo la visione miope-campanilistica fa apporre quelle cose lì, accanto al portone di un palazzo storico, senza che si prenda coscienza delle nequizie commesse, dell'onta che dovrebbe ricoprire la sua memoria. mausoleo a poche centinaia di metri un cazzo. pensai al mio nonnetto putativo. a come gli procurasse disgusto, quel generale e tutto il disdoro che aveva gettato sulla storia dello stato maggiore dell'esercito italiano.

rientrai, aggrappandomi al pensiero del nonnetto. che poche persone mi hanno voluto bene, come lui, in quel modo lì.

tornando a casa, quel tardo pomeriggio, rimanemmo incolonnati per un incidente. il lago sulla destra. spenta l'auto il freddo si abbarbicò velocemente nell'abitacolo. l'amica paola mi scrisse della nipote, e madre e sorelle coviddizzate. quando ancora un po' gettava timore 'sta cosa. io pensai al racconto che sarei andato a scrivere. al fatto che ormai avevo sdoganato l'inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

ecco.

è passato un anno. dovrei aver incamerato, fino ad ora, circa sedici-diciassette grammi di sertralina. e sarebbe semplicemente idiota rigettare l'idea non abbiano contribuito a far cambiare la percezione dell'orizzonte che si staglia davanti. una cosa che è tipo dalla notte al giorno. non ostante mi facciano presente siano appena oltre la soglia quasi-omeopatica.

non hanno risolto tutto, e ci mancherebbe. certe cose groppose, intorcigliate, la chimica mica riesce a smontarle. però ti lascia un po' di spunto in più per provare a farlo. anche per il semplice fatto non sia impegnato a vaporizzare energia, due-tre volte al giorno, a ri-emergere alla sensazione che un qualche cosa possa financo far intuire la speranza, o quella cosa lì. roba che può spalancarsi là davanti, prima o poi.

e quindi ci si apre percezioni nuove, o forse nemmeno così nuove. solo che le si ri-scopre.

ho fatto pace con l'idea che sia possibile cambiare casa. traslocchismo, nun te temo cchiù.

ho preso contezza del fatto che da chiunque posso aspettarmi la qualunque, nel bene e nel male. specie nel male. quindi non mi aspetto più nulla da nessuno. tutto quello che arriva lo si apprezza ancora di più. si dà, senza attendersi nulla in cambio. che quello che non avresti mai pensato potesse capitarti con qualcuno, in realtà può non essere così vero non possa mai capitare. quanto meno in linea di principio. però meglio seguirlo quel principio. ho la vaga idea servirà, nel caso, a soffrirci di meno, nell'eventualità più o meno remota.

ha smesso pure di nausearmi il lavoro. al netto del fatto spesso mi ci ubriachi, per non pensare a molto altro, né tanto meno fare. [fare, cazzo, fare!]. che ho scoperto quando possa essere appagante dare una mano a qualcuno, più o meno scappato di casa professionalmente. e non è nemmeno il fatto che acclarino: cazzo, tecnicamente sei bravo, cosa che ormai mi importa fino ad un certo punto. è che possa far sì possano pensare: cazzo, mi ha dato una mano. e faccio pure a meno dei grazie. mi basta sapere che è entrata in circolo un po' di buona volontà e di etica. e che 'sta cosa venga riconosciuta. il resto son cagate. [parentesi 3. poi sarei disonesto se non ricordassi sia ben garrulo della fatturazione. e che aiuta alla serenità là dentro. minchia se aiuta. però quell'approccio cortese e disponibile con [quasi] chiunque, contribuisce a metter un po' in armonia il tutto. oltre che provare a diminuire la frustrazione, per tutti, che siamo lì a prostituire la nostra intelligenza, il nostro tempo, i nostri anni migliori].

se una donna mi duedipicca, occhei: un po' di malinconia. ma poi anche basta. io certo di meritarmele, le donne come le persone. ma pure loro e gli altri devono farlo. meritarmi: eccccheccazzo. se una persona si fa l'idea sia poco onesto intellettivamente, o cafone, o quisquilia varia, alla fine, stigrandissssssimicazzi. valgo mica di meno per 'sta roba qui o per un pensiero bislacco. e la cesura ai rapporti più o meno tossici aiuta a respirare a pieni polmoni.

forse sono anche meno alla ricerca di succedanei, più o meno immaginifici. perché in questo contesto di realtà si è smesso di sentirsi del tutto estranei. magari un po' alteri ancora sì. ma estranei molto meno.

insomma. non sarà tutto causa della serotonina che mi circola dentro un pochetto più abbondante. però aiuta.

e continua a girarmi in testa una dicotomia di chiavi di lettura del fenomeno. [parentesi 4. una volta avrei scritto la pars destruens e la pars construens. che all'inizio l'avrei fatto per citar[mi] la quasi ecs-socia. che forse è stata una delle scelte più sciagurate della mia esistenza. ma poi sticazzi anche a lei e la sciagura ammantata di brillantinamenti manipolatori che fu. davvero: sticazzi. però pars construens e destruens che vadano serenamente avavavavanguuuuulo. placidamente, ma afffancuuuulo]. dicevo: una dicotomia delle chiavi di lettura.

che una è: con 'sto cazzo di inibitore dei ricaptatori serotoniergici è come se avessi accettato una specie di onorevolissima sconfitta oppure, a vederla con l'entusiasmo che riesce: una patta. che comunque vince il princpio di realtà. che sia bastardissimo o meno. che ti stia sui coglioni o meno. che avresti avuto ben cazzo di altre idee, ma poi arriva quello stronzo di principio di realtà, che fa quel cazzo che sa lui. e tu hai ben poco da sbracciarti e fare ammuina. tanto avrà comunque ragione lui. ciccio, prima ti cheti e smetti di fare camurria, prima si smette di rompersi i coglioni. stattebbbbuono, che il terreno è sdrucciolévole, se ti agiti sprofondi un pochetto in più. e poi vedi che a prendere meno badilate in faccia, ci si gonfia meno il muso. appppostoacccusssì. a sertralì, ho capito. mi metto mansueto. che tanto a far diversamente ha poco senso.

oppure c'è l'altra. è che anche grazie a quel po' di serotonina in più si capisce che sconfitta e vittoria sono concetti molto relativi. e si vinca in sogni straordinari. e sticazzi se tu non ci azzecchi dentro lì del tutto. ci sarà qualcun altro che quel sogno lo porta avanti. è mica il tuo ombelico il centro dell'universo. non che tu ne sia avulso, neh? però è sempre una questione di prospettiva. tipo far le foto col teleobbiettivo o con il grandangolo. sarà mica un caso che le focali lunghe non ti attraggono più da mo? il principio di realtà è un po' stronzo? e tu non esserlo per forza per stargli appresso. che tanto i cazzi prima o poi arriveranno. però ci si penserà a quel momento. che il fondo è sdricciolévole, vero. come le pietraie che ci sono oltre il perruca vuillermoz, che in realtà sono pendii morenici. ed in effetti salirli deve essere un gran cazzo di fatica. per questo bisogna farlo con oculatezza. meglio adattare il passo, farlo leggero, mica roba affannata o incazzosa. così si sale, certo che si sale. si scavalla la sella. e vuoi mica vedere gli orizzonti che ci sono di lassù?

di nuovo. è una questione di prospettive. son ben sempre quello scapestrato che aveva le spalle ricurve, accanto al tornito e garrulo nipote. che a lui le cose scorrano meglio e con molti meno intoppi o incertezze. pian piano comunque cammino ben anch'io. e così le spalle si fanno ritte, senza che quasi te ne accorgi. ad un certo punto son lì, ritte.

capiremo se e come trattenere un po' di serotonina in più.

[parentesi 5. per il resto un certo contributo lo dà il praticare gentilezze a casaccio e atti di bellezza privi di senso. [parentesi 5.1. e comunque farsi una qualche chiavata in serenità darebbe quel tocco naif in più. figurarsi fare alllammmmmore. poi se non capita, andrà bene ugualmente]].