Saturday, January 30, 2021

su altri camminamenti, che sembrano uguali [solo che ora cominciamo ad essere fuori dall'inverno]

credevo mi facesse un altro effetto. ma poi per fortuna le cose vanno, e danno percezioni, come decidono un po' loro. forse è meglio così. che sono sorprese. e soprattutto non ci sono pre-ingabbiamenti di sorta.

oggi è un sabato un po' particolare. avrei dovuto camminare per quelle mulattiere con un lanternino in mano. ma sono appunto i tempi nuovi. quindi che qualcuno si avventuri ugualmente. sperando non si assembrino. io ho camminato da solo, al primo pomeriggio, per una via più breve.

l'avevo fatta, un po' più lunga, praticamente tre mesi fa. con altra scioltezza e gamba. ero arrivato più in là - tecnicamente si poteva - ed ero ritornato in battello. turista nell'hometown. l'avevo fatta risalendo ed aggirando il poggio che volge a mezzogiorno. un solo ramo del lago. avevo ritrovato il sole già tramontato. con quello avevo giocato, entrando ed uscendo dalla linea dell'ombra. camminando sul bordo di quel crinale, più simbolico che altro. volevo raccogliere un po' di quei momenti. farne piccola scorta. andavo verso sud, vero, ma ci si stava infilando nel bel mezzo dell'autunno. che poi sarebbe stato inverno. e l'inverno dei tempi nuovi e dell'isolamento. avevo camminato et rubato qualche scatto dal colore caldo, che quel tratto di stagione sa regalare. quando è esplosione di gialli, arancio, rosso, ma con il verde che ancora riluce. come un finale pirotecnico, quando la natura è come se si congedasse col botto. camminavo sapendo che per un discreto numero di settimane sarebbe stato - sempre meno luminosamente - complicatino. per quanto complicazioni che si svangano, neh? ma complicatino.

ne era venuto fuori un rigoglio di belle sensazioni. sì, forse un po' ammantate di malinconia, o quella roba lì. forse l'ultimo tramonto in mezzo al lago, struggente. ero sceso dal battello quasi contento, di roba agrodolce. fino - addirittura - a sentirmi pronto. inverno: nun te temo. così intortato di sensazioni da finir poi cotto a puntino, coll'emozione apppppalllla, improvvisa, inattesa, ascoltando - per caso - il boss e la sua patty, e quello che dev'essere l'intesa della patty ed il suo boss. intesa intensa che sembrava uscire da quel video, tanta era la voglia scoppiettante di acclararsi. mi chiedevo chissà com'era avere un'intesa così con una donna. tanto che la solitudine si era fatta pungolo, qualche momento. ci avevo scritto un post, alla fine di quel pomeriggio così strano: voglio un silos si lo voglio, per ammonticchiare quei momenti che mi sembravano così pazzeschi, così intensi. anche se per questa cosa minimale. il post ve lo siete filati in poco. e sticazzi. però solo a rileggerlo mi sembra di riviverli quegli attimi. oltre a scoprirlo, tanto per cambiare, non esattamente piano e lineare. vabbhé. facciamo che quello è solo mio. il post, dico.

le sensazioni. i camminamenti. la solitudine. stessa mulattiera. oggi. tutto molto più silenzioso [specie dentro] e acquietato. un altro effetto, che magari uno non si aspetta. ma va bene così ugualmente. anzi, forse ancora più azzeccato. o forse più in armonia con il contesto. il cielo velato, il bosco che è stordito dall'inverno. la foglia per terra consunta. il verde che ne ha ancora prima di ricominciare il suo ciclo. anche perché, appunto, siamo nel bel mezzo della stagione fredda. da una parte c'è l'effetto accumulo, nell'umore della gente, in quello in mezzo al quale si cammina. dall'altra c'è che in questi tempi nuovi mi sembra di aver voglia di metter il naso fuori prima delle altre volte. anche per coglierli i segni via via che vengono. a cominciare dai minuti in più di luce. quasi a pigliare, raccattandolo, tutto quel che viene a ricordare che se ne può uscire. dall'inverno. dai tempi nuovi. anche se per la primavera è più facile. cazzo se è più facile. c'era una specie di contraddizione. ma giusto solo un pochetto. quasi esuberante il camminare prima dell'autunno, dell'inverno. quasi sussurrato l'andare ora che un bel pezzo è fatto, che ormai è quasi dopo. appunto. effetti che non t'aspetti.

poi è comunque accaduto quel momento strano. tipo una specie di click. forse la dopamina ormai in circolo per il piccolo sforzo. ed è venuto quell'attimo dove - davvero - non ti spiacerebbe esser lì solo a camminare. ma condividerlo con qualcuno. anzi qualcuna. per quanto oggi sia decisamente indefinito il chi [per quanto uno desidererebbe con la propria declinazione della patty che canta col boss]. capita. come a provare a condividere quella piccola gioia, evanescente, impalpabile. mammmmminchia se la cogli. buttar lì un qualcosa ad appuntare, nei ricordi futuri, che è momento che rimarrà. di quelli belli. qualcosa che si possono avvicinare a prodromi di epifanie. è già capitato - anche su altri monti, con altri amici. chissà quando capiterà. e mentre mi accorgo che c'è la mancanza di qualcuno, qualcuna, faccio pat-pat sulla spalla alla solitudine. che non le voglio male. ci facciamo compagnia. e penso a quando sono di passato di lì. tre mesi prima. e prima ancora le altre volte. da solo o meno, ma sempre in compagnia di quella solitudine. ogni volta uguale. ogni volta diversa. nel volgere di pochi anni con un turbinio di sensazioni, pensieri, preoccupazioni, dubbi, perplessità, incompiutezze: tutto così variegato. nel volgere di pochissimi anni. e intorno quegli alberi, quei sentieri, quei poggi, quei pianori in fondo piuttosto uguali e immoti. a camminarci in mezzo, persone, vite, generazioni. e loro lì, a farsi camminare attraverso. tranquilli, sereni, indifferenti dell'umano scalpitio per cazzi più o meno grossi, più o meno futili, comunque sempre e solo indefinitivamente temporanei.

e mentre deviavo, accorciando il tragitto verso la strada litoranea, la sensazione di come noi si sia un battito d'ali. per quanto ci si affanni e ci si sbattacchi qua e là. e tutto intorno in fondo se ne fotta serenamente di noi. luci accese e dopo spente [cit.]. che si prendono gli effetti che vengono. siano come siano. però, di nuovo, va quasi bene ugualmente così.

 



Wednesday, January 27, 2021

eppure siamo a milioni

in questi tempi nuovi, sballottati, mi si sfaldano pure i pensieri sul giorno della memoria.

che darebbe già solo questo il senso della vertigine. sballottati, provati, spaesati per un evento epocale, sì. ma in cui ce ne si sta variegatamente col culo al caldo. figurarsi. e non si coglie nemmeno l'inizio della distanza inimmaginabile di quello fu per coloro che finirono in quel buco nero della storia.

passeggiavo poche ore fa. sotto la luna crescente. una brezza sferzante, ma pur sempre brezza. camminare a passi svelti, intabarrato nel giaccone e la sciarpa calda al collo. ovviavo al freddo che faceva pertugino. fastidio, e poco più. chissà com'era starsene con addosso poco più di un pigiama, nell'inverno dell'europa centrale. poche calorie di pasto al giorno. lavoro duro e da schiavi. ho pensato a quante migliaia, di migliaia, di migliaia di volte sarei morto di sfinimento, di stenti, di polmonite, di consunzione. solo per quello. senza contare il gioco cinico del destino che mi avrebbe fatto sparire per il volere casuale di qualcuno. un cenno che non sarebbe stato nemmeno volere. come quando si scaccia l'aria, con fare stanco della mano, acciocché una mosca si allontani. una concausa quasi inconscia. non essendo nemmeno più considerati uomini.

francesco guccini scrisse auschwitz [canzone nel bambino nel vento] nel 1964 [anche se lo pubblica due anni più tardi]. quarant'anni dopo, in un album live, al termine di quella canzone, mentre la musica ancora non si è spenta, racconta che quando la scrisse non immaginava sarebbe stato ancora costretto a cantarla ancora per tutti quegli anni. ancora tuona il cannone, ancora non è contento. già. probabilmente si riferiva a quello. è che forse a ventiquattro anni [lui, nel 1964], sei ancora abbastanza illuso da credere che, da lì a qualche lustro, la bestia umana ne avrà avuto abbastanza, sarà ormai contenta di sangue, ed il vento si poserà. per quanto c'è un verso che mi ha sempre colpito, e che non mi è mai tornato del tutto. anche quando ero davvero poco più che un bimbo. anche quando mi illudevo che da lì a qualche anno non ci sarebbero state più guerre. la storia del fatto del chiedersi come può l'uomo uccidere un suo fratello. c'era qualcosa di non coerente, pensando ad auschwitz. quel verso mi sembrava impreciso. come se non [mi] riuscisse a spiegare quel grumo di buio totale della storia. per quanto non ne sapessi ancora abbastanza - cioè no, non ne so ancora abbastanza nemmeno adesso, ma allora ne sapevo ancora di meno. era il fatto del un suo fratello. quell'abominio è stato possibile perché alcuni uomini non hanno più considerato uomini altri uomini. considerate se questo è un uomo, appunto. quel un suo fratello rimosso da coloro che si adoperarono, fattivamente, passivamente, o che sapevano e vivevano più o meno tranquilli.

continuo a pensare sia questa una delle istanze più stordenti, disorientanti. che siamo stati capaci di farlo. umani che non non ritengono umani altra umanità. donne e uomini che hanno smesso di considerarli donne e uomini, negazione, rimozione del concetto un loro fratello. quindi in potenza pur io. potrei rimuoverlo anch'io. [e nelle mie curiosità psicopipponiche mi piacerebbe capire, da qualcuno di quelli bravi, cosa hanno capito possa essere accaduto nella testa di costoro. cosa possa accadere. posto si possa riuscire a conchiudere una cosa del genere].

per questo mi sembra ancora più struggente la necessità della testimonianza di quelle donne e uomini che sono ritornati. che sostanziano con la loro presenza - a partire dalla corporeità - la loro umanità. sono la presa diretta, tangibile di quel tentativo di annullamento. per il fatto di esserci ratificano che no, non ci sono riusciti. sono coloro che smisero di essere considerati donne e uomini. è fondamentale ascoltarli raccontare come hanno mantenuto a sé la consapevolezza di continuare invece ad esserlo. con il rispetto sacro [laico] soprattutto delle eco della violenza fatta a quella consapevolezza. come possa essersi sbrindellata e rigenerata, guarita, cicatrizzata. non ci provo nemmeno a immaginare cosa deve aver significato tenersela stretta. diventa ancora più struggente, con i testimoni che via via se ne stanno andando. e quando l'ultimo ci avrà lasciato non sarà più la stessa cosa. perché non sarà più testimonianza, nel senso più profondo ed autentico del termine. perché nessuno di coloro che onorerà il compito del mantenere viva la memoria potrà raccontare il sapore della zuppa, l'odore delle camerate, il freddo che trapassava la divisa a righe. per poter da lì intuire, suggendolo forse senza saperlo, poco a poco, cos'è stato essere donne e uomini cui provarono a portar via la considerazione di essere umanità. rifiurglielo ed annullarglielo.

quando non ci saranno più sarà altra cosa. ed è come si diventasse tutti più grandi - necessariamente - nell'adoperarsi in quel dovere morale, prima che civile, che è mantenere la memoria. glielo dobbiamo, a tutti quei milioni che sono stati polvere nel vento, e ai loro - preziosissimi - testimoni.

Sunday, January 24, 2021

su crisi, crisette et personalismi [post nosiosamente politico. forse un po' parte della psicopipppa. molto sbrodolato, davvero, guardate Voi se è il caso di leggerselo tutto]

disclaimer. una volta scribacchiavo molto più spesso di politica. ora meno. perché sono più stanco, sfiduciato, disilluso, disincantato: ovvio. ma anche perché ho idea abbia un approccio meno da tifoso. tecnicamente l'ultimo giro ho disperso il mio voto - di proposito - segnando la cosa più a sinistra ci fosse sulla scheda. segnatamente potere al popolo!. ora osservo con molto più distacco. meno appassionato. che la passione è 'na bella cosa assaje, ma questi forse non se la meritano. quindi evito e psicopipponeggio e basta. ovvio non significa abbia smesso di essere e sentirmi profodamente di sinistra. ma questo è altro discorso. fine del disclaimer.

io credo che per capire l'innesco della crisi del governo denominato conte-2, si debbano utilizzare le categorie psicanalitiche. la tattica spregiudicata del senatore renzie, ha inizio nell'agosto 2019. è il principale attuatore del cambio di maggioranza, sparigliando: con tanto di reazioni importanti di suoi sostenitori. dopodiché si scinde dal partito di riferimento, con il quale è stato eletto - peraltro. così ha le mani libere per poter decidere come condizionare, quando far cadere, il governo di cui è stato il promotore che non ti aspetti. tattica da giù il cappello. davvero, senza ironia. se non ci fossero stati i tempi nuovi la crisi si sarebbe acclarata molti mesi fa. la volontà di sabotare il presidente del consiglio dei ministri, che si era adoperato per riconfermare, è iniziata - mediaticamente - un paio di mesi fa. il perché, ribadisco, credo lo possa spiegare la psicanalisi. e l'egolatria del senatore renzie. alcune  questioni di merito che ha portato - a mio avviso - sono financo stra-condivisibili. ma rimango con l'idea siano state strumentali. proprio per come si è dispiegata l'interlocuzione e la comunicazione. naturalmente intermediata dai media. poco nella sostanza del confronto là dove ci incontra, si media, si ragiona sul piano della pragmatica. il continuo rilancio, l'avocare solo a sé i meriti di aggiustamenti delle proposte, l'arroccamento su istanze definitivamente divisive [parentesi MES: se ci credi così tanto lo sfili dalla tenzone governativa, proponi un dibattito e un'iniziativa parlamentare. se la maggioranza è favorevole, il governo deve prenderne atto. se la maggioranza non è favorevole, non se ne fa nulla. porlo come totem e condizione imprescindibile è un modo surrettizio di addossare la responsabilità agli altri. sta proprio nei fondamentali dell'interlocuzione e del confronto. al netto si sia favorevoli o meno a quello strumento]. insomma: sommessamente sono convinto che renzie abbia sempre voluto affossare il governo. per far fuori il presidente del consiglio dei ministri. ho idea per questioni eminentemente personali. il personale è politico. ma la politica non dovrebbe mai muoversi per ragioni personali. per il semplice fatto c'è di mezzo la collettività, che è oltre il e riguarda il noi. se lo si fa, è perché nel c'è qualcosa di poco sereno, quando poco equilibrato. che ci vogliono chiavi di lettura psicanalitiche l'ho già scritto?

al netto delle chiavi di lettura necessarie, da quelle parti la situazione nonèbbbbbbbuona [cit.]. si è aperta una crisi che non son così convinto si sia risolta. comunque si è peggiorata, squalificandola, la situazione di contesto. basta osservare la pregnanza di coloro che arrivano a sostituire i voti degli italivivi. non è la questione che si appoggi quello prima si osteggiava, non esiste vincolo di mandato in questa Repubblica parlamentare. e il chi lo fa, il profilo che esprime. e che fosse non esattamente ottimale prima, non significa bisognasse farla andare ancora a più a cazzo, prendendo in prestito un termine tecnico ad uso dei notisti politici.

già. anche perché l'altro contendente acclarato, il presidente del consiglio dei ministri giuseppi, ho opinione sia tutt'altro che la soluzione ideale. e che ci possa essere decisamente di peggio - o sì, che ci può essere di peggio - non è ragione sufficiente per immaginarlo come il meglio. anzi. al limite come la conseguenza della ratifica del principio di realtà. credo che giuseppi incarni capacità trasformistiche non indifferenti. caratteristica italica ben fondante. è un dato di fatto, possa piacere o meno. a me piace poco, ma ora non è questo il punto. uno che passa dall'essere il vice dei due vice presidenti di una maggioranza giallobrunita - di un bruno assai bruttino - a popolarissimo presidente del consiglio dei ministri di una maggioranza giallorossa - più gli italivivi - senza quasi fare un plissè, è perché esprime talento di adattamento e di trasformazioni mica da poco. è peraltro la plastica dimostrazione del principio del: tu inizia pure a fare un lavoro, che ad imparare a farlo ci pensi via via col tempo. anche questa è caratteristica italica che ci contraddistingue. credo che ora sia davvero così popolare anche alla luce delle pochezza politica dei faivstarrrre che l'hanno espresso. dell'entropia isotropica del pidddddddì. della poca sostanza numerica di quel drappello di sinistra che è leu, o come diavolo si chiamano. poi è arrivato l'onere della pandemia, la gestione inevitabilmente emergenziale: e quando di conseguenza viene il proluvio dei diiippiscciieemmmmme, uno può mettersi pure in testa di essere un politico fatto e finito. magari pure leader. se poi ti definiscono come il punto di riferimento dei riformisti [a me sta cosa mi fa un po' ridere], ecco che il tutto può montare come la chiara d'uovo. che fa una gran scena, tutta così bianca e rassicurante, ma sostanza poco. non è mica colpa di giuseppi, ovvio. è l'effetto di una struttura politica pochina pochina da lustri, in continua degradazione. gli eventi nella sciagura dei tempi concorrono a chiedere le capacità di uno statista. poi mica per questo significa che chi si trova lì lo sia. anche se isso si pensa tale, probabilmente.

e quindi non meraviglia che a fronte degli attacchi -  che credo, ribadisco, di origine personale - di renzie, giuseppi non voglia lasciar andare la questione e rilanci. si è ritrovato dov'è un po' per caso, un po' per culo, un po' per tragedia epocale, con un credito importante: capisco il suo arroccamento. costi quel che costi. tirando dentro più o meno chi ci sta. che il peggioramento della situazione di contesto di cui sopra. peraltro ulteriore declinazione trasformistica. per questo è plasticamente possibile e fattibile.

non so se si realizzerà. so che mi piacerà meno di quel che era fino ad paio di settimane fa. ma so anche che sarebbe decisamente peggio di trovare al governo i fascio-leghisti, in percentuali troppo importanti. anche perché hanno smontato un pezzo di Costituzione, senza adattare quella sgarrupatissima legge elettorale. ed il combinato disposto può far uscire un parlamento che si elegge il suo PdR e magari poi comincia a sminchiare la Costituzione stessa. l'obiezione potrebbe essere: tanto i fascio-leghisti arriveranno comunque, se non tra tre mesi tra due anni. però in due anni si può immaginare di proporsi per togliere consensi a quei figuri pericolosi, si può migliorare la legge elettorale, si può mettere in sicurezza l'elezione del PdR. poi magari non si riesce, neh? considerato anche l'abilità di quelli che dovrebbero agire. di certo però in tre mesi tutto questo non lo si fa.

come se ne esce? o quale sarebbe la situazione imho meno peggiore?

il paradosso che si spalanca di fronte è - pensa un po' te se l'avrei mai auspicato - quello di ricucire con gli italivivi. con tutte le difficoltà e rischi di tenersi un sabotatore a sua insaputa com'è renzie, anche con le istanze che propongono che ogni tanto sono pure condivisibili, se presi un tocco per volta. ricucire in parlamento sia che presieda giuseppi [ed in questo caso avrebbe vinto giuseppi] piuttosto che no [ed in questo caso avrebbe vinto renzie]. davvero, in questo momento mi vien da dare una pacca sulla spalla al principio di realtà: siamo messi così? ennnnnnniente, cerchiamo di gestirla. senza provare tutta 'sta stima né per l'uno né per l'altro. anzi. personaggi che sono per certi versi così diversi, per altri così simili [forse è anche per questo che l'acme dell'idiosincrosia per giuseppi arrivi proprio dai devoti di renzie più o meno praticanti?]. in questo momento giuseppi e renzie assieme, appassionatamente, sembra qualcosa che scivola sull'asse dell'immaginario. ma ci ripetono che appunto la politica è l'arte del possibile. che poi significa trovarsi a metà strada in un percorso di mediazione. dove accade quell'altro piccolo paradosso, che tutti perdono qualcosa, acciocché più o meno tutti ne abbiano a guadagnare. quindi figurarsi, appunto, se gli elementi scatenanti di 'sto delirio e dell'impasse sono le simpatie o antipatie personali a prevalere.

giusto per chiudere in modo onirico, da libro dei sogni, o da buonista, 'sto post sbrodolatissimo [ehi, ci siete ancora tutti e sei?] oggi pomeriggio, mentre camminavo a ridosso del torrente, mi è sovvenuto questo auspicio. che naturalmente non si compirà. che prende atto dalla banalissima ovvietà della corresponsabilità. quando si scazza, in fondo, si scazza perché ciascuno ne è stato la causa. ne è a suo modo responsabile [toh, guarda: un'altra declinazione non paracula, o retorica]. ciascuno: anche se uno dei due è renzie, uno che è ontologicamente divisivo, che divide anche sull'unire, che proprio non ci riesce a non esserlo. per passare attraverso la dimensione frattale del riconoscere la propria responsabilità, e poi un salto nell'iper-realtà dello chiedere... attenzione: scusa. la iperbolizzo. "ehi, renzie, forse avrei dovuto essere meno accentratore e dare più retta subito alle istanze che mi si criticava, e davvero non faccio sarcasmi su come non abbia mai cercato collaborazione, ma l'approvazione incondizionata del tuo giglio magico. scusa". "ehi, giuseppi, forse ho un po' esagerato a definirti vulnus della democrazia, che utilizza in modo spregiudicato i soscial, che intende gestire la realtà come da grande fratello. in quei frangenti ero veramente arrabbiato, non lo penso davvero. avrei dovuto parlarti di più direttamente, senza mandartele a dire con un proluvio di interviste e post su feisbuch. dimentico di quando inneggiavi a deDonald, così come adesso inneggi a joe robinette jr. non avermene, ho trascevo, non dovevo. schbum... sccughhmmm... ehm...scusghghghghgh". [ennnnniente, renzie proprio non ce la fa a chiedere scusa. anche se lo vorrebbe. nemmeno nel mio libro dei sogni].

al netto dell'irrealizzabilità, molto libro dei sogni un po' de-amicisiano, un po' francescano, un po' rodariano, ci sarebbe dentro quel considerare il fondamentale che il dialogo, la collaborazione, devono passare per quel tipo di assunzione di responsabilità. che è un passaggio stretto e non esattamente gradevole nella vita comune. ma che se venisse messo in atto in quei contesti  non è escluso ri-avvicini quel po' di indispensabile la classe politica, alla realtà della gente normale. al solito non sarebbe un atto di debolezza, ma di fortezza. meno testosterone, più empatia. renderebbe un'eventuale ricucitura meno da spregiudicata voltafaccia, privo di coerenza alcuna. sarebbe financo più comprensibile senza apparire solamente disorientante, dopo quell'ostentatazione di mai più, che suonano tipo a dimostrare chi ce l'ha più duro e duraturo.

non succederà. ma un punto dirimente ho la sensazione rimanga questo. un tipo di comunicazione che garantisca una qualche coerenza. per non sembrare avulsa da una normalità delle persone equilibratamente normali, per il fatto di annunciare cose e poi smentirle nei fatti, o annunciare l'esatto contrario poco dopo. quasi che le persone non abbiano nessuna capacità di cernita, critica o memoria oltre quella del pesce rosso. e se si è stati così cazzoni, da esacerbare specie il piano personale, smontare quel tipo di impedimenti al confronto. ho la sensazione che noi ci sentiremmo anche un po' meno presi per il culo.

poi non succederà, perché mediamente sono la nostra emanazione tendente al peggio. perché ci sono elementi non esattamente sereni ed equilibrati nella percezione del sé. perché il potere deve dare una vertigine che poi ti fuma anche le sinapsi. specie se non si ha un qualche struttura più o meno centrata.

non succederà. spero solo di non dover rinunciare alle psicopippe che psicopipponeggiano su altro, perché ad esprimere il presidente del consiglio dei ministri siano i fascioleghisti. presto o tardi. ecco, anche no. di post di pretesa attualità politica vorrei non essere così stimolato a scrivere [anche per il fatto - comunque più che trascursabile - rimaniate in due là fuori].

Sunday, January 17, 2021

camminamenti, riflessioni sparsine di un post interlocutorio

oggi pomeriggio son tornato a risalir i sentieri facili della mezzacosta. giusto per scrollarsi di dosso il freddo, l'inedia, la tentazione letargica. gennaio può essere un mese complicato. figurarsi questo di mese di gennaio. forse volevo sfruttare l'effetto dopaminico. costa poco. anzi, è gratis. gentile concessione del sistema endocrino. appena fuori casa ritrovo il sole scomparso dietro il monte. a quell'ora del primo dopo pranzo servono poche decine di metri. mi accompagna per un po', il sole. per poi finire in quel territorio di confine tra la luce e la prima ombra. zizzagando. sia perché avanzo attorno al poggio del monte, sia perché avanzano i minuti. c'è parecchia acqua che scorre verso valle. attraversare i ponticelli, con la volta dei muri a secco, son gocce di buonumore. come se ci fosse [illogica?] speranza in quel rigogliare pacato. è terra di bassa quota. è già un ruscellare di fusione. non è imponente come quello che accade in alta valtournanche a giugno - improvvisa una fitta di nostalgia, che uno non se l'aspetta.

lo scarpone nuovo funziona. ma non cammino spedito. anzi. è tutto un primo tentativo di sciogliere qualcosa che pare legato. come se le gambe, il busto, le braccia, il fiato scricchiolassero ad ogni piè. tipo il crocchiare della terra che in aluni punti è dura, gelata. passo lo scarpone su piccole crepe. è di per sé, nel piccolo, un'esperienza nuova. lì, quei sentieri, quella luce, la foglia scomparsa dall'albero. come se il bosco si facesse più trasparente. si lasciasse trapassare lo sguardo. osservo porzioni di paesucoli che non avevo mai notato, passando di lì.

è come se fosse - di nuovo - una prima volta. ma nel mentre è come rivedere d'infilata le volte in cui sono passato per di lì. ripetitive. rituali. quasi per disorientare quel circolo ossessivo di giornate tutte uguali. ripenso all'intemerato pensiero di quando salii la prima volta nei tempi nuovi: fare molto fiato, aumentare le mie perfomance sessuali. che pirla. son passati pochi mesi. sembra sia cambiato tutto. le mie perfomance stanno altrove. non oso immaginare, quando torneranno, quanto saranno canzonate per la loro ridicolaggine. sempre ritornino.

cammino e ricordo. come se - puttttanazzzzaeva - vivessi solo nel passato. a confrontar com'è stato, quale il vissuto, il verso di quello andato. come un giano a metà, che guarda solo indietro. non so quanto sia poco scaltro. quanto sia una scusa per non rischiare il futuro. quanto struttura [sgarruppata?] del mio essere. non ne sono esattamente entusiasta. lo scarpone rimbalza sul terreno duro, sgombro delle foglie d'autunno, e davvero vorrei esserne capace. smetterla di scorrere così solito a rimapiangere quel che è stato. che allora peraltro non percepivo così fico. e che smetterla mi venisse semplice come scendere quella mulattiera. anche se le gambe sono un po' rigide.

i movimenti sono lenti, non esattamente fluidi. ma sudo. tanto per cambiare sudo. è come se il mio corpo avesse tutta 'sta fretta di buttar fuori il calore. non è da farne una colpa. è che verosimilmente lo genero rapido. questo mi fa sopportare meglio la calura. sono abile a disfarmene facilmente. cioè, le mie funzioni metaboliche, dico. quando invece fa freddo, d'inverno, complica. perché è un attimo sentirmi accaldato, e contemporaneo punge il freddo appena fuori. è transizione rapida, acceso-spento. il vestiario investito dal calore del corpo, che monta veloce e che veloce fugge. si fa scambiatore efficiente del freddo che sta intorno. non è situazione piacevole. come se dessi tutto troppo velocemente. e proprio quella rapidità si rivoltasse un po' contro. cazzatelle così, insomma. tanto che mi stava partendo la psicopippa, per 'sta cosa. che d'inverno non faccio 'sta grande attività, meno ancora che le altre stagioni, dico. e la chiave di lettura esistenziale che ne volevo tirar fuori. tutto questo mentre stavo facendo attività, d'inverno, peraltro.

e poi va bene anche una chiave di lettura esistenziale in meno. se è solo questione metabolica. trovarne la metonimia, a 'sto giro, è ok anche no. è stata soddisfazione calpestare la terra a tratti dura di gelo. è inverno pieno, vero. ma le giornate si stanno allungando. non è solo effemeride. è percezione di luce.




Saturday, January 9, 2021

sul concetto di censura [o delle psicopippe delle domande complesse]

io più ci penso, più leggiucchio qua e là, e più mi convinco del fatto che togliere gli account soscial a tèDonald non sia una notizia di cui essere così lieti.

sarebbe più opportuno toglierli la valigetta coi codici di lancio delle testate nucleari, quello sì.

sarebbe stato più opportuno adoperarsi prima, visto quale utilizzo ha fatto dei soscial in questo ultimo lustro. e verosimilmente anche prima. solo che prima non era l'uomo potenzialmente più periglioso dell'orbo terracqueo. e soprattutto non avrebbero dovuto farlo i soscial d'imperio loro. ma farlo fare alle autorità preposte. anche l'uomo più potente del mondo non è superiore alla legge. ed è secondo i principi di quella legge che gli si sarebbe dovuto impedire di comunicare attraverso quei mezzi. non perché lo decidono in autonomia i maestri del vapore dei soscial. anche se l'uomo più potente del mondo, oltre a portare orgogliosamente una capigliatura pannocchiosa, vomita attraverso i soscial i suoi deliri, le sue notizie false, se incita alla rivolta i suoi fascio-sostenitori. ribadisco anche col rischio di passare per snob - estigrandissssssimicazzi - lo si deve fare attraverso una decisione che si basa su delle leggi.

le condizioni di utilizzo di un soscial sono un accordo un accordo tra una società privata ed un privato cittadino. se li disattendo e qualcuno mi blocca l'account - per quanto fastidioso - è l'effetto di un mancato rispetto: stabilito arbitrariamente, ma è nell'accordo di cui sopra. poi - tecnicamente - io posso anche impugnarla quella decisione, se ritengo l'effetto così negativo per me medesimo. non è la stessa cosa se capita all'uomo più potente della terra. ma non per il fatto sia il più potente. il suo comunicare attraverso quel mezzo ha un valore sociale diverso. specie se comunica le sue idee. anche se le sue idee [mi] fanno ribrezzo e non le sta comunicando, ma è la più becera delle propagande. continuo a pensare sia censura. e la censura non è mai una notizia di cui essere lieti. ovvio che si può fare censura attraverso un'applicazione distorta delle leggi. ma è un'altra categoria di problema. non un privato che silenzia qualcuno che non è solo un utente.

è una sorta di effetto quantistico all'incontrario. quello che è distinguibilissimo a livello sub-atomico [io e la mia bolla di contatti] diventa ben più indistinguibile a livello macroscopico [l'uomo più potente del mondo]. e separare le necessità, dipanare la questione per agirvi, è molto più complesso. se non impossibile.

e non importa se quella testa di pannocchia è quanto più lontano da me. quanto propugni attraverso i soscial sia l'esatto antipodale dei valori, le idee, le convinzioni mie. e mica non lo so che qualcuno bravo potrebbe spiegare l'elemento psicotico di quell'uomo. e dei rischi che si possono correre dal combinato disposto della pericolosità dei gesti inconsulti di uno psicotico, con la leva di cui dispone in quanto uomo più potente del mondo. ma è una questione che sta su di un altro piano.

la prammatica è complicata, le categorie del diritto, della filosofia forse devono ancora inquadrare più precisamente il fenomeno sociale dei social - è roba che ha dieci-quindici-vent'anni, i tempi di apprendimento, di formalizzazione, di acculturamento nella coscienza condivisa sono comunque più dilatati, ecco perché le risposte non sono così semplici, ecco perché l'effetto quantistico all'incontrario. quindi capisco sia più semplice per i capi dei soscial bloccare e far finta che basti affermare: beh, hai messo la spunta su "accetto" relativamente le clausole dell'accordo, quando hai ti sei iscritto ed hai messo come password maga5. è più semplice, rapido, e la reazione di pancia, in battuta è: una bella notizia, ben ti sta, stronzo.

ma è una reazione che guarda solo il proprio ombelico.

perché però poi pensi. e se con lo stesso principio bloccassero l'utenza del portavoce del movimento degli ombrelli di honk-kong? [per dirne una, ovvio].

['sta fottuta realtà, che trabocca oltre i bordi di ogni ragionevole tazza.]


Wednesday, January 6, 2021

di letture, serie on-demand, che poi sono altre vite [che poi è il vizio che ti ucciderà, che è vivere]

sto leggendo. molto.

se c'è una differenza importante, tra i tempi nuovi della primavera scorsa e questi, è che tra le altre cose sto leggendo. molto.

e non solo.

sto centellinando serie sul netflics. centellinando. nel senso che più una serie mi piace, mi cattura, mi avvince, più tendo a distribuire nel tempo la fruizione. [ci dev'essere qualcosa che fa eco con il mio approccio ipotetico al sesso. ma non è questo il post].

con la lettura no. leggo, più immerso e senza troppe compulsioni dilatatorie.

mi torna in mente l'aforisma echiano più di frequente rispetto a prima. quello che chi non legge a settantanni avrà vissuto una vita sola, eccetera, eccetera, eccetera. io non leggo di caino, ho intuito quando sognavo grandi cose l'infinito di leopardi - e il moto sincopato dei versi centrali, che ovviamente ora non ricordo. no. no. io spezzetto roba molto più a volo radente. quasi terra terra. ma sempre volo è. perché mi serve per mettere in pausa l'ossessiva ripetitività del giorno, che insegue uguale a quello prima ed è rincorso immutato da quello dopo. tecnicamente abbastanza due coglioni così, insomma. in cui si prova a non sconfortarsi. peraltro col culo al caldo non è che ci sia da tirarsela troppo, per il fatto di non sconfortarsi, dico.

però avete capito, no?

è come se per mimesi intuissi che un altro susseguirsi di giorni è possibile. o se proprio non è così immediatamente possibile, lo si può vivere nell'ingarbuglio dei neuroni della nostra testa. dove si costruiscono tutti i mondi che qualcun altro ha preparato. a suo modo, ovvio. che tanto poi ce lo si vive come quel che viene, quando si legge, che è quando quei mondi vivono. e va bene così.

quindi altri sono variegatamente soddisfatti del loro incedere. variegatamente amano. scopano molto più lungamente di me. hanno pure degli scazzi belli forti. vengono anche menati, quando non si infilano in buchette più o meno complesse da risalire fuori. insomma, un succedaneo di vita.

però io sono un po' lì con loro. confronto per mimesi la loro variegata soddisfazione con la mia. li invidio 'ché loro riescono a non aver 'sta fottuta paura di lasciarsi andare ad amare. un po' faccio il voyuer quando scopano. provo ad empatizzare quando hanno gli scazzi. osservo i loro bozzi, quando mi prende quella cosa lì quando finiscono nelle buchette. insomma: alterno, immagino quel succedaneo di vita.

e così è come se cercassi una qualche ispirazione per quella di prammatica mia, di vita intendo. ebbene sì. da della scrittura creativa. che da qualche parte, brandelli di esperienza di vita dello scrittore rimane attaccato. e poi se l'hanno immaginato è nel campionario del possibile. quindi non tutto si può escludere a prescindere. anche se non frequenterò il trinity a dublino, o aspirante suicida islandese redento in un paese appena uscito dalla guerra, né sarò attore vincitore della palma. o alla guida un autoarticolato nel deserto dello utah, figlio e nipote di emigrati dalla puglia, uno scrittore gay con la sindrome della pagina bianca, un birdwatcher, o uno psichiatra che lavora nell'unità di crisi di prevenzione dei suicidi.

no. io sono stufo ed un po' sconfortato, come tutti. attendo passi. dopo aver visto passare chissà quanti mesi ancora da ora. mi sento un po' solo, ma non so quanto avrò la cazzimma di voler smettere di esserlo. e tutto il grigiume decisamente piatto che c'è qui nei dintorni [tra l'altro non si tromba].

ecco. leggo. molto. qualcosa comunque imparo, sempre. anche se forse non lo metterò mai in pratica. chissà. ma ogni volta è come dare spessore insufflando altre vite. eteree come l'aria che si soffia ma pur sempre sostanza, πνεῦμα. che è quello che 'stovirusssssssedimmmerda ruba, e chi c'è dentro ne ha fame. quindi fanculo 'stovirussssssedimmmmerda, allora. io leggo. e quando leggo per alcuni momenti, vivaci, diversi, fuori da 'sta cosa qui, è come se fossero altre vite. altra la mia. [che poi il controcanto che ne esce, che un po' va bene tutto il resto but this, potrebbe configurarsi come una specie di problema. nel senso che non ci sarebbe da esserne così rinfrancati. anzi. però vabbhè. non è che debba risolvere tutto adesso, no?]

[poi i sogni che ne escono sono un'altra cosa. così come il rapporto quasi erotico e centellinante delle serie on-demand. magari un'altra volta].

 

Friday, January 1, 2021

intermezzo alto [che è un po' un post lungo multipartito, tipo una lunghisssssssima psicopippa a tocchi /3, un po' la parte costruttiva]

il mio amico gianluca scrive che vorrebbe fosse un tempo di rivoluzione e manutenzione. amico gianluca che verosimilmente ignora questo bloggggghettino, a meno che non gli invii il permalink del post.

immagino sia il [suo] link e/o controcanto ad uno dei punti cogenti - dal punto di vista comunicativo e non solo - del discorso del PdR di ieri: questo è il tempo dei costruttori. lo attendevo, quel discorso. ovviamente non ero l'unico. e pare che a 'sto giro siano stati molti molti molti più del solito. vuoi il periodo, ovvio. vuoi forse perché un qual senso di cittadinanza, di comunità può passare anche da lì. e non mi meraviglia si senta più intensa di prima, la necessità di quel tipo di senso dico. non foss'altro che anche basta starsene così soli.

per la serie come cambiano le cose: chi l'avrebbe mai detto che:

  1. avrei confidato in un'autorità, per giunta democristiano, da cui provare ad intuire un'ispirazione alta. non è la prima volta per questo PdR. anche se:
    1. [non mi è mai parsa questa grande sorpresa riuscisse a svolgere così bene [anche] quel ruolo. la grande incognita di cui lessi quando venne eletto [anche renzie ha fatto cose buone]];
    2. [chi l'avrebbe mai immaginato, soprattutto nel periodo in cui frequentai tangenzialmente anche l'amico gianluca, per interposti contatti. che oguno era rivoluzionario nel suo privatissimo modo, forse un po' conformista di ritorno allargando lo sguardo];
  2. mi sarei così placidamente sentito immerso nella pancia della gaussiana, nella medievolezza [ex] paciosa di questa grande quantità di gggggente, cui aspiro le medesime cose.

io credo che quello di ieri sia stato un discorso importante. oltre che davvero un bel discorso. mi son sentito tra l'emozionato ed il rinfrancato, con un certo groppo in gola, che ho dissimulato. d'altro canto:

  1. ho già confidato che questi tempi nuovi mi hanno [ulteriormente] rammollito;
  2. razionalmente so di avere le possibilità, gli strumenti, la cazzimma per farmici ispirare. bisognerebbe andare oltre l'ambito razionale - che dovrebbe essere pessimista - per arrivare alla contezza della volontà - che dovrebbe essere invece ottimista.

credo sia stato anche un discorso che in potenza è molto efficace. ed è per questo che infilo l'intermezzo nel post multi-ripartito, lunghissssssssima psicopippa. 'ché sono convinto della potenza dell'efficacia del comunicare costruttivamente. che è un cambio di paradigma in quel discorso psicopipponico ben più ampio, oltre che raffazzonato.

occhei. occhei. il PdR è istituzionalmente super partes. sta sopra le parti in causa. in quanto rappresentante delle concittadine e dei concittadini: tutti. ha come riferimento la Costituzione, di cui è il garante. non può e non deve starsene nell'agone delle parti. che può significare perdersi in ottuse partigianerie, così come prendere una parte: partigiani. quindi colui che sta sopra per certi versi è avvantaggiato. non deve convincere e portare da una parte: con la conflittualità retorica che tutto ciò può significare. al netto io gestisca male il conflitto - per essenze mie - la retorica si è squagliata in uno squallore medio piuttosto scoraggiante. quindi ovvio che il PdR giochi in un altra campionato. però puoi giocare in maniera mediocre, oppure da fuoriclasse. puoi sfruttare il vantaggo iniziale vivacchiando per mantenere la posizione, oppure puoi davvero volare alto.

ecco. appunto. credo abbia volato molto alto. a partire dall'ammissione della difficoltà di fondo: trovare le parole adatte per augurare cose che sono talmente necessarie, che rischiano di essere ovvie da suonare banali. scivolando nell'inutile. ammettere una difficoltà è fottutamente empatico in un momento come questo.

ma non solo.

penso sia stata la dimostrazione plastica di quanto una comunicazione costruttiva possa davvero mettere in comune le istanze che si porta dietro come significato. certo. le istanze devono essere per forza alte, sennò qualche discrasia striderebbe forte. e suonerebbe cacofonica. non funzionerebbe. e quel genere di comunicazione non è per forza buonina, accomodante. anzi. tanto che quel monito "Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono" è un saccarata puntuale, ficcante, precisa. è elegante, educata. ma non significa spuntata o blanda. infatti quelli là sotto, nell'agone, così sgarruppati, egoriferiti, mediocri, con lo sguardo sull'immediato si sono definiti ognuno l'eccellenza del costruttore, mentre l'illusiorio vantaggio di parte se lo vuole ritagliare l'altro. appunto. 

giocano in altri campionati. e non per le finalità. ma per la pochezza che riescono a metter assieme arraffando da furbi. io ho la più che vaga sensazione che non sia del tutto scorrelato con la rincorsa alla mediocrità, tendente al basso che è la moda degli ultimi lustri. è nebulizzato qua e nei post della lunghisssssssssssssssima psicopippa, e in quelli che verranno. se e quando verranno.

ma uno degli effetti della comunicazione solo incazzosa travolge un po' tutti. pure gente che non ha responsabilità come quelli dell'agone, ma con intelligenze nemmeno paragonabili tanto son meglio. che fanno e si occupano d'altro. e a tantissssssssssimi di quelli dell'agone potrebbero pisciare tranquillamente in testa. solo che non disdegnano lo scivolamento in quel genere di comunicazione. tipo di quelli dell'agone. solo che rischia di non essere solo comunicare [male]. ma deterioramento del modo di porsi. mettere in comune le idee.

ecco [anche] perchè ieri mi sono emozionato. perché mi son goduto le risonanze che invece la comunicazione costruttiva sa far riverberare. poca enfasi, zero magniloquenza, assenza di fronzoli. tanta empatia et condivisione d'umanità. è come saper toccare i bottoni giusti. che ce li hanno davvero quasi tutti. anche se li sanno riconoscere in pochi. usarli ancora di meno. anche perché a volte è un cazzo complicato. usarli dico. e se poi si cominciano ad usare quei bottoni, almeno un po', quanto fottutamente sarebbe meglio. per tutti.

usare la comunicazione costruttiva è almeno un tentativo. bisognerebbe farla diventare una specie di abitudine. che diventa una cosa goccia a goccia. perché se è la realtà che genera il linguaggio, è verosimile che sia il linguaggio che crea la realtà [con l'amica viburna che mi illustrava, illuminandomi, queste cose qui. grandissime psicopippe condivise].

e comunque a Sè, gran bel discorso. davvero. grazie.

 

[e comunque l'amico gianluca è solo un docente universitario. mica il PdR. ed è uno che non è che rinunci alla spigolatura e stoccata e reprimenda, per le cose in cui è di parte. ma da partigiano ha la fottuta capacità - o necessità - di prendere la parte destrutturante e farla sempre seguire da una parte costruttiva. ed anche quando non si è del tutto d'accordo, non puoi non apprezzare tutto ciò. lui è un costruttore, di quelli autentici però. che è un po' essere rivoluzionari e manutentori].