Friday, December 31, 2021

cose meno bbbbuone e cose bbbbuone [e cose su cui non distogliere lo sguardo]

'sta storia delle aspettative disattese l'ho scritto un paio di post addieetro a questo. quindi nulla di così nuovo. figurarsi di originale. la storia del clangore cacofonico che genera, dico. ed il riiiibaund conseguente.

quindi, chetttelodicoafffà, quanto cazzo ci si aspettava da 'sto duemilaventuno, così dispari e così quasi primo [suvvia, divisibile per quarantatre et quarantasette, a loro volta primi]. che gli era toccato di venire dopo quel funesto duemilaventi. con tutte le speranze che vi si riponevano, ovvio gli sia venuta l'ansia da prestazione. così ha fatto abbastanza casino. e soprattutto si è un po' qui che mediamente si ha la sensazione che abbia fatto un po' cagarella pure lui.

povero duemilaventuno.

naturalmente lo sappiamo benissimo che non è andata proprio così. e che noi, mediamente col culo al caldo, si gode di qualche vantaggio in più rispetto a dodici mesi fa. anzi, mica qualche: parecchio vantaggio in più. poi non lo cogliamo forse appieno, in battuta, per il semplice fatto c'è il carico dell'effetto accumulo - un altro anno piuttosto complicatino - e l'effetto aspettativa, appunto. specie quelle così elevate che in tutta serena speranza ci si augurava. quindi non è proprio colpa del duemilaventuno. è che le cose vanno, a prescindere dagli anni, da 'ste fottute tappe simboliche, che è sempre un andare senza soluzione di continuità. la cagnolina maya, domattina, si sveglierà alle settetrenta e ticticiticticticticticchiccherà sul parquet ikea della stanza di matreme, che vorrà magnare. esattamente come le ultime decinaiadimesi. nulla sarà cambiato. poi è appunto sempre speranza. o quanto meno intuire il dominio dello spazio del possibile. 

che probabilmente il discrimine è appunto questo. quando smetti di vederlo il possibile là davanti. ci son stati dei tratti in cui questa cosa mi è mancata. per tuttuncomplessoecose. per lo stillicidio della pesantezza di quello che è accaduto e [molto meno pesantemente] è accaduto a me. per piccoli traumi affettivi o di atti mancati - molto desiderati ed anelati, nello spazio immaginario - e poi puffff, niente: mancati. e di amicizie che non so come saranno. il figlio del franco, su tutti. e la tristezza diffusa, spaventato impaurimento, che aleggia e si sussume in maniera impercettibile ma pervicacemente costante. è stato faticoso. è faticoso. e se ne sono stato risparmiato dall'acme [e ringrazio da laico il cielo o quella roba lì], ne ho colto ed accumulato il riverbero. granello dopo granello. un blandissima sindrome da stress post traumatico: quello di questa parte di mondo col culo mediamente col culo al caldo.

però ho camminato. però ho avuto a che fare con persone, importanti e andate. però ho guardato il mare. ho percorso sentieri nuovi, sudato pashmine, madidato t-shirt. ho goduto di viaggi parte della meta. ho alzato calici. ho provato ad ascoltare lagrime altrui, più o meno sostanziate. ho abbracciato e massaggiato piedi. mi è riuscito di scribacchiare, qua e là. ho pedalato senza fretta. ho potato e raccolto. ho letto pagine da uau!. ascoltato ritmi a volte irresistibili. per non dire della pelle d'oca alta un metro, o il groppo in gola che non era perché stavo scartando di lato, che poi va bene anche il groppo in gola perché stavo scartando di lato. mi sono fidato delle persone, mi sono fidato della scienza, che è tempo, metodo, dati [ri-cit.]. ho intravisto lo spazio del possibile.

intravedo lo spazio del possibile.

ora.

duemilaventidue come numero mi piace poco. troppo pari. ma poi in fondo 'sticazzi. anche basta con 'ste menate numerologiche da manuale che si trova nelle patatine. poca ansia da prestazione. poca aspettativa. se non la sana richiesta: stattene buono e tranquillo. al resto proviamo a pensarci noi. evitando quelle promesse, che dopo la prima settimana ci si è già dimenticati.

però un pensiero sì. suvvia. proviamoci. lo rubo da un editoriale di domani, nel senso di quotidiano che ha un nome geniale.

che noi siamo col culo mediamente al caldo. occhei. mediamente però. ed in questi due anni la varianza è fottutamente aumentata. le disuguaglianze si sono ampliate. chi ha perso il lavoro e chi non ha perso un'ora di lavoro [io]. chi ha visto ridursi drasticamente le possibilità economiche e chi le viste aumentare, anche per il fatto vi siano state meno possibilità di spenderle nel non strettamente necessario [io]. chi se n'è stato in panciolle a guardare serie tivù a far pasasre il tempo in case comode [parzialmente io], chi ha condiviso in spazi stretti numerosità complicate. 'sta cazzo di pandemia ha colpito in maniera quasi uniforme. ma non siamo tutti sulla stessa barca. siamo su barche diverse nella medesima tempesta. chi ora può pagarsi i tamponi decine di eurI, chi no. e se i tassi di letalità sono molto diversi per fasce di età, forse lo sono stati anche un pochino per censo. che poi, a proposito di tasso di letalità, quella dei migranti che hanno provato ad attraversare il mediterraneo è di circa duemilacinquecento morti su meno di settantamila che ce l'hanno fatta. gli ultimi dell'anno, come titola oggi il manifesto. che noi appunto siamo quelli mediamente col culo al caldo. mediamente però. ecco. le disuguaglianze. siamo il paese dove il 10% della popolazione detiene il 48% della ricchezza. con sperequazioni dovute alle rendite di posizione, mica il lavoro e l'impegno. siamo una repubblica fondata sulle disuguaglianze. ecco. il domani scrive che questo sarà il chiodo fisso per questo nuovo anno. può essere un bell'inizio. ed uno sprone. anche per cambiare qualche banale abitudine di lettura. non so se e quanto riuscirò a dare il mio minuscolissimo contributo. però, se proprio proprio uno vuole fare dei buoni propositi, mi pare cosa stimolante. da controreazione negativa, quella cosa che tende a stabilizzare i sistemi. non è che uno vuol la vita comoda. è che i sistemi non stabili possono dar fuori di matto. e tanto ancora di più c'è chi prenderà più mazzate di altri. e poi perequare è semplicemente una cosa giusta. da articolo 3, che forse è uno dei più belli della Costituzione.

 



Thursday, December 30, 2021

fallimentarismi, ma soprattutto ricominciamenti [et liberazioni]

ho conosciuto una bionda, virtualmente. è una fanciulla interessante. ha i capelli esplosi et forastici. peccato poche tette, ma 'sticazzi. non ostante mi faccia discretamente sesso dubito ci apparteremo mai in maniera intima. ma 'sticazzi. anche perché è appunto una fanciulla interessante. sa essere autoironica e con quell'understatement cazzaro delle persone intelligenti [deve essere questo, insieme ai capelli, che mi fa sesso, peccato le tette].

tra le varie chiacchiere - peraltro mi ha conosciuto forse in uno dei momenti più bassi et tendenzialmente depressivi. un paio di volte ho sospettato si fosse data perché sapevo di non essere 'sta gran attrattiva - ho provato a chiederle del suo essere tre volte madre, ora singol. ci sono miGlioni di cose che mi affascinano e mi incuriosiscono sulla genitorialità. ed in effetti non ne conosco mica poi tanti di persone - genitori - con cui raggiungere un certo livello di confidenza, o piacevolezza nel soddisfarle, quelle curiosità. sì, ci sarebbero tutta quella pletora figliante degli ecs oratoriani. di quelli lì, variegatamente pii et devoti et convinti o conformisti, senza discendenza siamo rimasti in pochini. ma soprattutto lo iato tra loro e me mica me le accende, le curiosità. a volte è più semplice con una praticamente sconosciuta, una volta confrontatisi che di tette, in effetti, poche. le curiosità sono verosimimente legate al fatto io quella cosa non l'ho vissuta. e probabile mi sarebbe pure piaciuto molto farlo. per quanto chissà i danni avrei combinato. e per quanto forse c'era una qualche eco di paradigma sociale da ottemperare, in maniera più o meno pedissequa.

ma c'è un altro aspetto, della bionda, che mi ha molto colpito.

forse è sovrastruttura, forse mica me la racconta tutta - sono pur sempre uno praticamente sconosciuto. però mi pare di cogliere sia stata capace di superare, di essere andata oltre il trauma della fine della relazione con il padre dei suoi figli. ribadisco: forse ho capito un cazzo. o forse è qualcosa per cui farle vivi complimenti. perché non credo sia così scontata quella specie di serenità che intuisco contraddistinguerla su quella fazenda. non ostante le difficoltà che immagino comporti essere tri-madre singol, tra l'altro di un figlio nel pieno della complessità adolescenziale ed una figlia furbetta. [cit.]

nel mio piccolo mondo fatto di cazzate ho la vaga sensazione che la fine di una relazione, con quella figliolanza, sia una declinazione importante del concetto di fallimento. che volendo, pur nel dolore e difficoltà, è un concetto financo asettico. preso così, da par suo, potrebbe nulla declinarsi sulle persone che lo sperimentano. fallisce una relazione. non significa lo siano le persone siano che quella relazione l'hanno fatta vivere. anche se, immagino, sia per un cazzo semplice andarci più o meno oltre, non farvicisi avvinghiare. ma intuisco sia possibile.

ci ho pensato proprio in questi giorni. quelli in cui viene ratificato il fallimento di quel progetto pezzottato che fu quella specie di aziendina. verosimile la scelta più sbagliata abbia mai fatto [ho ragionato anche se studiare ingegneria sia stata altrettanto sbagliato, se non di più. ma su quello ho decisamente sospeso il giudizio. ero troppo imberbe. e se dopo, accortomi dell'errore, non son riuscito a far altro che quello è perché son debosciato io, mica perché sia stato sbagliato iscriversi a quella facoltà]. quella che si chiude, fallimentarmente, non è stata solo un'aziendina. voleva essere un progetto di vita non solo lavorativa. qualcosa con cui ripartire dopo la morte di mio padre, per cui sarebbe stato fiero [per quanto sia sempre stato fiero a prescindere, non ostante non si sia mai riusciti a comunicarselo]. una scommessa che ero felice di fare, soprattutto perché me l'aveva chiesto una persona cui volevo bene, in cui avevo riposto fiducia in maniera spropositata. e fondamentalmente in maniera nevrotica, totalmente squilibrata.

in fondo non ci ha messo molto a venire un po' giù tutto. le macerie ce le trasciniamo da decisamente più tempo. e soprattutto per tanto, troppo tempo, ho masticato amarissimo. quando non revanscista e carico di risentimento. per la fiducia che sentivo tradita. per la dabbenaggine a fidarmi in quel modo. per la mediocrità ed il solipsismo che via via mi è parso di intravvedere. non sono mai riuscito, davvero ad andare oltre del tutto. ancora, almeno. con il travaso fallimentare che ho sentito ricolmarmi per un sacco di tempo. [poi uno dice quando ho cominciato a star là dentro, avevo paura anche della mia ombra. speravo che tre mesi di fattura forse li avrei inanellati, tanto poi ci avrebbero cacciati tutti. quando scoprii si stesse cambiando sede, ed il nostro responsabile aveva già preso accordi con chi di competenza per la nostra posizione logistica, chiesi: ma quando ci trasferiamo? settembre, mi risposero. ed io: ah, allora significa che non ci cacciano]. il fallito, insomma, ero io. consecutio inevitabile della scelta fallimentare fatta. per gli altri era stata mala sorte, contesto sbagliato, lobby impenetrabili, personaggi inaffidabili: tutti elementi esogeni.

da un paio di settimane, ogni tanto, penso che forse l'inibitore selettivo del ricaptatore avrei dovuto prenderlo prima.

quindi, quando nella bionda ho percepito l'essera andata oltre la sua relazione finita, mi sono interrogato. su quel suo traguardo. su fatto sia possibile.

poi, ovvio, intuisco che crescere tre creature ti distragga molto dallo psicopipponaggio su quanto si riesca ad essere pirla, a imbarcarsi in quella specie di roba. accudire tre figli stanca, molto più che scrivere lunghi post pieni di refusi ed avverbi, al netto rimanga poco tempo per farlo. ed è verosimile che la fine di una relazione di quel tipo sia fottutamente diverso che il fallimento di un progetto[ino] aziendale. [tipo che il mio amico figlio del franco è in situazioni cazzofottutamente più pesanti et complicate. io sono stato davvero un pischello, anche da quel punto di vista. poi su altre istanze penso abbia serenamente sbracato. ma è appunto altro discorso].

per questo, soprattutto, c'è un po' la prova provata - tra le tantissime, ovvio - che si può ripartire sempre e comunque. e soprattutto sul soprattutto, si possa lasciar andare. mollare. l'acredine incazzosa che per millemila mesi mi son portato dietro è stata zavorra faticoserrima [ti stanno a zavorrà, odi, mi disse la vibù il primo giorno. ma che stai a diiì? risposi. aveva ragione lei. anche se non sapeva quanto mi sarei fatto zavorrare io]. sono le scelte ad essere sbagliate. non le persone in sé. e per quanto sbagliate, martellarsi i coglioni serve fino ad un certo punto. forse solo a vivere nel cauterizzante senso di colpa. che il  moralismo cattolico, puoi anche abiurare, ma te lo porti dentro. o forse è il portato del bigottismo della parte più interessante e particolare delle tue origini famigliari.

e poi è roba che sta nel passato. passata. non serve intossicarsi il presente, che è il momento in cui vivi, minchiaz. gira la testa da quest'altra parte, cazzo. guarda davanti. che si va in quella direzione. sii misericordioso, laicamente, che si puote perdonarsi le minchiate. tanto più che abbiamo ricominciato un sacco di volte. i ricomnciamentismi è un pezzo di zavorra che si frantuma. e si è più leggeri. andiamo oltre, davvero.

chiudiamola qui. e non solo per quello che abbiamo ratificato oggi. che è stato solo un fallimento tra i millemiGlioni che affannano la variegata umanità. figurarsi se il mio è così importante. la levità non è preclusa per una qualche oscura fattura [da fattucchiera]. anche perché siamo scettici razionalisti, che provano ad esserlo da cazzari. con levità appunto.

tutto quello che potrebbe concorrere ad una fottutissima liberazione.

e comunque voglio parlarne con la bionda e confrontarmi. imparerò di sicuro qualcosa. e sarà interessante [e 'sticazzi per le tette].

 

[peraltro, ci sta pure la pizzica, della liberazione. pedddddire]

 



Tuesday, December 28, 2021

Vacs et alter

sono onusto di piccole manie. tra queste sono le date di eventi in cui più o meno [mi] son successe cose. ricordo:

  • il giorno in cui iniziai l'università e quando mi laureai;
  • che feci la prima comunione il giorno in cui l'amico luca compiva dieci nove anni [quando conoscevo solo l'amico che mi presentò l'amico luca. [e di cui ricordo la sua di data di laurea]];
  • il giorno in cui conobbi il piacere dell'intimità di una donna;
  • il giorno in cui iniziai a laurà là dentro;
  • che feci la cresima esattamente due anni prima della tragedia dell'heysel;
  • quando iniziò ufficialmente la mia ossessione più rincoglionita per una femmina.

l'ordine è ovviamente casuale, non temporale.

tra le tante cose c'è anche la storia delle mie tre dosi di inoculatia di vaccino mRNA. che da una parte è semplice, dall'altra significativa. semplice perché è roba di quest'anno ed è fresca fresca nella memoria, mi piace vincere facile. significativa per il senso profondo che tre punturine veloci sono state in grado di portarsi appresso. che chissà che cazzo ne penserebbe un novacse e similaritudini a legger questo post. ma quand'anche leggesse e pensasse chissà quali nequizie, onte stigmatizzanti, su tutto plani il più serenamente obliante degli stigrandissssimicazzi.

però, al netto di un ipotetico novacse e similaritudini, il ricordo quasi annualistico delle inoculatie si porta appresso un suo esser pregno, per l'eco che ciascuno di noi gli ha dato. che sarà solo roba simbolica. però i simboli possono avere una loro importanza. e per il passaggio che 'sta cosa rappresenta. o avremmo voluto rappresentasse. o che ci si augurava.

il giorno di pasqua del duemilaventi, nell'appartamentino, in solitudine, lessi un articolo di massimo recalcati. [mi sa che 'sta cosa l'ho già scritta, poi uno dice che ha contezza delle cose che si postano]. il punto che mi colpì fu quella specie di lucina, là in fondo, che colsi quel giorno. quando tutto era immerso nel dubbio si potesse tornare ad un forma di normalità. qualsiasi cosa significasse. recalcati scrisse che il vaccino avrebbe significato la svolta, la possibilità di riconquistare l'idea che ne saremmo usciti. un ritorno alle cose che conscevamo. l'elemento che poteva placare il disagio di quei tempi nuovi ma sgomentamente sconosciuti. la ricordo bene quella scintilla di speranza che intravvidi. fu un balsamo pazzesco, alla sottile angoscia che provavo, senza volermene rendere conto. più per l'incertezza del futuro che per l'eventuale malattia. recalcati è uno psichiatra e non un infettivologo, e nell'aprile del duemilaventi si parlava di un vaccino non prima di dodici-diciotto mesi [quando non sparando cose un po' a caso]. quindi era piuttosto inevitabile che il vaccino recalcaticesco era cosa ben diversa da quello che è spuntato solo sette mesi dopo. e di tutto quello che è stato poi in grado di fare, negli effetti. forse non poteva che essere cosa ben diversa. dopo è facile. anche misurare lo iato tra le attese e quello che è accaduto. e che speravamo accadesse. pur tenendo in considerazione che dal punto di vista tecnico-scientifico hanno fatto un qualcosa di pazzesco, è probabile non ce l'abbiano raccontata esattissimamente come la sapevano, di sicuro non potevano sapere esattissimamente come in realtà fosse o sarebbe stata. il metodo scientifico è tempo, metodo, dati [l'ho sentita alla radio, mi è piaciuta]. all'inizio avevano giusto il metodo, con ben pochi dati.

io non so dove stia, ora, la lucina che intravvidi nella pasqua duemilaventi nell'appartamentino, in solitudine. cioè non so quanto ci manchi ancora ad arrivarci. se è tenue perché è tenue o perché è lontana. ci sono stati momenti in cui [mi] è stata del tutto scomparsa: anche sel'inoculatia c'entra fino ad un certo punto.

pensavo di esserci abbastanza vicino, all'inizio di questo giugno, prima inoculatia. prima bevuta al bar dopo mesi, non osai pigliar la birra che chissà che effetto potesse farmi. ricordo la tensione speranzosa. mica solo per la prima dose, ma per quello pensavo potesse succedermi da lì a breve. non so quanto cogliessi il sottile tremito che mi pervadeva. era sottile, forse per quello. ma era tremito.

pensavo di essere riuscito ad ovviarlo, quel tremito, cinque settimane dopo. che tanto sottile non era più. anticipai l'inoculatia di qualche ora e partii per il mare. 'sticazzi gli effetti collaterali immediati. 'sticazzi le paure, le titubanze, le incertezze, e 'sticazzi lo smottamento esagerato per la spia del motore che si accendeva. quasi beffarda a rovinare quell'attimo che mi sembrava perfetto. fu uno dei momenti più intensi degli ultimi mesi. quel viaggio, arrivare là, il terrazzino. poi niente, fu invece il prodromo della consapevolezza stessi scartando di lato, mica tanto poco.

ovvio che, a guardare tutto questo, oggi, dopo è più semplice, fa tutto un effetto diverso. e per fortuna sono stato così eccentrico. nel senso che per fortuna oggi ne ho contezza. non è responsabilità di nessuno. così come le inoculatie, di cui oggi il buuuster, fanno solo quello che sanno fare: diminuire drasticamente la possibilità possa eventualmente evolvere verso forme gravi di malattia, e ridurre la probabilità di rimanere contagiato. solo, ma comunque non è mica poco. il resto sta attorno ed è abbastanza scorrelato. ed è tutta la vasta variegazione di un pezzo di tutto. dentro e fuori di ciascheduno.

ed è quasi rasserenante non aver più 'sta grande necessità di aspettative importanti. ma di far quello che è il meglio che si può fare, ora. che non è l'ottimo, che avremmo voluto funzionasse in altro modo, ma resta come opportunità importante. anche se non basta. però è roba di buona salute farlo.

non vale solo per le dosi di vaccino.

per quanto, anche l'aspettativa, in sé non è ne buona né cattiva. non è da pirla caricarla a molla, ma spesso una tenera necessità. ed un po' di laica misericordia a non puntare il ditino se la si carica anche un po' troppo. che sarà complicato quando poi si rompe la molla. e poi avercela, l'aspettativa, è un sintomo importante, quasi un discrimine fondamentale. è la ricerca a intravvedere lo spazio degli eventi del possibile. che è come l'aspettativa che fa pat-pat sulle spalle al principio di realtà. e che al fin ce l'ha fatta. e 'sticazzi se ci dovremo convivere con l'endemia. impararemo a fare anche quello. anche se sarà faticosetto.

non vale solo per dosi di vaccino. e comunque, se serve, faremo pure la quarta di inoculatia.

Friday, December 24, 2021

non è un post sul natale

non so se sia la storia dei ricaptatori che ricaptano meno. in fondo si può pensare anche di non trovare una spiegazione a tutto. e godersi l'effetto complessivo, che non è che siano state tutte queste grandi gioie [vale sempre il discorso che è così per tutti, e che tutti si stia mediamente con molto più il culo al caldo che molta altra umanità].

un altro effetto è che, in fondo, 'sto fottuto natale non lo si teme cccchhiù. a dirla tutta non è il primo anno che accade. forse perché, sempre in fondo, bisognava guardarlo bene, senza pregiudizi spaventati, ed accorgersi che BUH!, fottuto natale non fai mica paura. anche perché, ancora più in fondo, è mica colpa tua se tutto il contesto instilla questa fottutissima - lei sì fottutissima - ansia da prestazione da onustamento di spirito natalizio. che non è nemmeno l'ansia da prestazione, è la sovrastruttura che prova a perettarla, 'st'ansia da prestazione [perettarla, nel senso di qualcosa figurativamente più dispregiativo dell'instillare. non credo sia necessario il disegnino per far propria la semantica. ed in fondo si scherza, suvvia]. quindi cara fottutissima sovrastruttura va a farti fottere. che, nemmeno troppo in fondo, ti si può mandar a quel paese, tipo una cosa grossa ed impettita che basta spingerla in là, con un dito [facciamo l'indice, che si può porre un freno anche all'astio verso la sovrastruttura] e casca giù con la sua boriaggine. però facciamola cascare con delicatezza. è pur sempre la notte natalifera.

dicevo. non lo si teme ccccchhhiù. e non da 'sto giro, ricaptatori meno ricaptanti o meno. che succedono comunque cose, ogni anno, cose attorno a tutto questo bailamme da neve che scende, bimbi festanti, pacchi doni luccicanti e sentimenti inoculati. succedono cose liete e meno liete. robe capitano quando si è felici, quando si è tristi, quando si è medi [quasicit.]. qualche serenità in più, progetti che s'intuiscono e che s'immagina da perseguire, pandemie che anniliscono - temporaneamente - i progetti, pandemie che non se ne vanno non ostante i propositi o le speranze. succedono cose, insomma. ed è sempre più l'intuizione semplice che c'è da prendersi il buono che sgorga qua e là. o che si ha accanto, che lo si dà per scontato come una sciocca bimbominchionata. poi va bene, cazzo c'entra che è da farsi solo perché è natale? come la più scontata e plagiante circostanza da sorbirsi perché lo dice l'intorno, il sistema? ma stigrandissssssimicazzi. almeno lo si fa a natale o quella roba lì. che se mancasse pure quello sarebbe un po' peggio. che non è che ci sian sempre tutte 'ste grandi gioie.

poi mica non lo capisco il disagio, neh? variegatamente è compagno più o meno presente e ottundente da svariati miGlioni di anni. figurarsi se non lo capisco. qualsiasi cosa significhi, in qualunque modo declini e si manifesti, con qualsivoglia intensità. specie di questo senso cazzonatalifero. io ho cominciato a sabotarmici prima ancora di avere un grande trasporto desiderevole di metter la lingua in bocca ad una fanciulla. nel mio mondo sognante, di tensione verso donne angelicate, i baci anelati erano a labbra serrate. e nel contempo trovavo ingiusto e ipocrita che io festeggiassi con il mood del semotuttipiùbuoni, quando dei ragazzi di colore vendevano accendini fuori dai supermarket, da cui si uscita col carrello pieno di suggestioni opulentifere natalizieggianti. questi incroci pernicioni ed irrisolvibili qui. banalotto, mi rendo conto [ora]. ma almeno allora c'era il furore dell'idealismo  adolescenziale e la relativa inesperienza, e ciaociao alla percezione della complessità delle cose. e quindi era un po' per darmi un tono. un po' per idealità autoradicalizzanti. un po' per darmi un senso del sé per riconoscermi e farmi riconoscere. specie in famiglia. dove lo spirito natalicheggiante - dicono - dovrebbe deflagrare. se poi tutto il concetto di famiglia è intricato, per millemiGlioni di motivi, allora può deflagrare male. e quindi altro disagio. cose così.

però riconoscerlo il disagio, è come la storia del natalicume. è il primo passo per guardarlo dritto negli occhi e dirgli: disagio, nun te temo, son più forte io. o qualche cosa autopromuovevole simile.

però almeno si può coniugare un po' al passato, il disagio. non esattamente prossimo, non ancora remoto. non credo sia solo questione della poca ricaptazione. però ho la vaga sensazione funzioni meglio, la coniugazione al passato dico. che appunto è il presente quello da vivere - toh - tanto per cambiare. che sia nataleggiamento o meno.

il mio amico itsoh, qualche anno fa, fece notare - volendo - un dettaglio interessante nella parte dell'incipit del gloria, che ha la sua trionfale contestualizzazione nel rito proprio nella veglia natalicheggiante. il dettaglio: e pace in terra agli uomini di buona volontà. l'amico itsoh ci vedeva un coinvolgimento pieno nell'immanente di tutte e tutti. un augurio molto laico e cattolico, nel senso etimologico καθολικός - katholikós: universale. forse qualche esegeta e teologo non è del tutto d'accordo, specie per la cesura netta con la predominante: gloria a dio nell'alto dei cieli. però 'stigrandisssimicazzi all'esegesi. per quanto si possa vivere anche senza recitarlo, il gloria, è un bel dono quella suggestione: agli uomini di buona volontà.

che la volontà, come i ricaptatori meno ricaptanti, non basta. però tutto può aiutare. a godersi tutto quel che di buono può capitare e starci accanto. se non è pace - figurarsi felicità - è almeno un po' di serenità. che poi succede quando si smette di litigare con sé medesimi, e si sospendono le ostilità verso i coinquilini e quello che costituisce il principio di realtà. non è che sia sempre semplice. però cazzo se funziona. che appunto va bene pacem in terris, neh?, però anche pace tra sé e sé ed i conqulini ce la pigliamo volentieri comunque.

io, quella cosa del captare ogni cosa che c'è di buono, lo farò con matreme. soli lei ed io. quando decise sarebbe stato così non ero del tutto d'accordo. però decisi che avrei accettato. ora invece credo vada benissimo così. si sussume tutto quel che può far bene. che, a dirla tutta, niente è così scontato.

Tuesday, December 14, 2021

opere d'arte e neurorecettori

sono stato ad una performance al PAC. PAC [uau, ogni tanto qualche maiuscola] sta per padiglione d'arte contemporanea. l'arte contemporanea è tra le cose più lisergiche in cui mi piace infilarmi a fruire. poi magari ci capisco poco un cazzo, ma tant'è. mi piace. ed ho scoperto che mi piacciono molto le performance. che poi sarebbero quella forma d'arte in cui è l'artista che sostanzia l'opera d'arte. che magari ho capito poco un cazzo, ma tant'è. però mi piace pensare che è la donna e l'uomo che sono in potenza un'opera d'arte. che va bene, potrebbe non essere un'idea così originale. ma è un pensiero che si porta dietro una sacralità laica che mi soverchia, emotivamente. d'altro canto questa cosa qui dovrebbe fare un'opera d'arte. emozionare, no? poi ci saranno opere d'arte che fanno cacare, figurativamente ovvio. ma questo non significa, per forza, che manchino d'essere opere d'arte. tutto questo è molto psicopipponico, mi rendo conto. forse per questo mi coinvolge così tanto.

vabbhè.

la perfomance cui sono stato al PAC era intitolata "dopamina. uno studio visivo sugli ormoni dell'amore. performance sulla gestualità dell'affetto. il primo appuntamento". la cosa ancora più interessante, con la sua peculiarità artistica, è stato il fatto fossero anche i fruitori della perfomance a dovervi entrare a far parte, come condizione necessaria. sì insomma, solo pubblico fruente e non ci sarebbe stata perfomance, quindi opera d'arte. mentre quando qualcuno del pubblicao smetteva di essere solo fruente, diventava perfomance, quindi opera d'arte. anche questa non è un'idea originalissima, oltre che molto psicopipponica. però 'sticazzi. si è trattato di otto possibili interazioni tra performer: quelli propriamente detti ed i fruitori. otto diverse interazioni per sviluppare altrettanti esercizi per stimolare l'innamoramento. detta così capisco possa non essere molto efficace. ma d'altro canto non è proprio semplicissimo descrivere un'opera d'arte. soprattutto che non c'è più, che si aggrappa solo ai tocchi della memoria, per quanto recente. in ciascuno di questi otto esercizi un performer - propriamente detto - si interfacciava, interloquiva, entrava in comunicazione con chiunque volesse provare: fruitori/creatori dell'opera d'arte stessa. con fottutissimi e diversissimi risvolti. nelle reazioni di costoro - quello che prima erano fruitori- in maniera a volte molto evidente. immagino anche reazioni negli otto performer - propriamente detti - alcuni di questi con disabilità nemmeno troppo banali.

vabbhè.

ed il fatto è che io, tanto per cambiare, non ho fatto, ma ho osservato, per analizzare e provare a capire. sono rimasto nei pressi di due esercizi/perfomance: lo scimmiottamento - imitare i movimenti dell'altro - e lo sguardo - guardarsi intesamente negli occhi pensando a che tipo di persona si pensava di aver di fronte. non sono riuscito a vincere la ritrosia, come bloccato da qualcosa di paralizzante ex-ante. nel senso che proprio non ci ho nemmeno pensato di dare un contributo a quella perfomance. però mi sono giustificato provando ad accontentarmi del succedaneo: gli altri perfomano, io osservo speculandoci intellettivamente - tipo anche pensando che ci avrei potuto scrivere un post. che poi è il paradigmatico metter in arte la personalissima declinazione del mio essere in questo periodo. speculazione in loco dell'azione. come essere sempre più eterei, così da sentirsi tipo carta velina sbattacchiata anche dai refoli che nemmeno bavetta, specie quelli del mattino, quando ogni tanto mi chiedo come farò ad arrivare al pomeriggio. poi il pomeriggio arriva e trovo qualche punto di ancoraggio rispetto al completo smarrimento. con sempre il dubbio di cosa potrebbe essere, dovesse tirare un vento un po' più sostenuto. o cattivo.

vabbhè.

non ho fatto ma ho osservato molto intensamente. che poi è la versione pacifica/costruttiva del ne ho prese un sacco, ma quante cazzo gliene ho dette. ed è stato a suo modo emozionante, tanto per cambiare. anche ragionando sul fatto, in quel momento, che quelle reazioni così toccanti, che percepivo in maniera molto vivida, di un vivido bello, erano gli epifenomeni di fluttuare di neurorecettori secreti e riversati in costoro. anche il mio emozionarmi, il vivido bello e la sensazione di piacevole appagamento, era determinata da interazioni endocrine omologhe. probabilmente un mics di adrenanalina, ossitocina, dopamina e serotonina, e chissà quali altre ina mancano o chissà quale ina è messa qui a cazzo. ragionavo su questo, osservando gli altri e provavo una qualche forma di sottilissimo piacere. che poi non è molto dissimile a quando a volte scrivo queste psicominchiate. a volte [a volte, nel senso di la sensazione che provo sottile, non il fatto siano comunque psicominchiate]. [che poi a volte questa specie di understatement un po' ossessivo, che forse sfocia quasi nella sindrome dell'impostore, potrebbe essere regolata da un qualche abbondanza o carenza di un qualche neurorecettore]. ora. capisco che questa visione possa apparire, e forse scadere, nel meccanicismo-determinismo: le emozioni come banale effetto di un qualche ormone proteico o neurotrasmettitore. forse è una specie di riflesso pavloviano da materialista disperante quale - forse - sono. non mi stupirei che qualcuno possa stigmatizzarlo, quale altro tributo ad una visione fideistica alla scienza [di fatto, lo scazzo più profondo, verte su quello: solo che forse il meno fideistico sono io. vabbhè.]. però. però. la perfomance d'arte ce l'aveva nel titolo un neurorecettore: dopamina. forse è proprio questa la spettacolarità dell'essere umano. il suo essere opera d'arte. che basta una qualche cozzaglia di ammionacidi combinata opportunamente per farci vivere quelle cose lì. anche quelle mica tanto belle, ovvio. d'altro canto se fosse tutto sempre bellissimo non capiremmo la differenza di quando è bello. e mantenere elevata in continuo la tesione erotica non solo è faticossimo, dal punto di vista metabolico, ma è inutile, non funzionale. e le emozioni negative - paura, tristezza, rabbia - hanno dimostrato, anche nei manuali che trovi nelle patatine, sono state fondamentali per la sopravvivenza dell'uomo delle caverne, quindi dell'umanità. forse è proprio questa l'opera d'arte: il salto quantico da quei fondamentali di chimica organica alla complessità che riusciamo a racchiudere con questa specie di leva vitale che sono - appunto - le emozioni. anche fruendo di qualsiasi forma d'arte, qualsiasi cosa significhi. per i più fortunati anche creandola. o forse nemmeno i più fortunati. forse tutti. performanti o meno.

cose così.

Tuesday, December 7, 2021

santambroes [avvertenze: non è un post rievocativo-nostalgico]

a santambroes mi sono successe cose. ovvio, tutti i giorni succedono cose. sarà che forse quelle di santambroes me le ricordo più delle altre. posso dire di sentirlo quasi come giorno più sentito rispetto quello della festa dell'hometown. per quanto possa significare tutto ciò, ovvio. e per quanto matreme mi rompa sottilmente i coglioni su 'sta cosa, la vede come un affronto alla memoria di patreme. capisco il suo punto di vista emotivo. non ho mai saputo intuire quanto lei capisse il mio.

che santambroes potesse diventare un giorno importante, per me, lo capii sei anni fa. dopo millemiGlioni di anni già passati quivi. mai del tutto distaccato dall'hometown. mai del tutto innestato qui. una qualche via di mezzo, che per fortuna non è roba geografica. una medietà territoriale. che il varesotto son financo dei bei posti, quando non strafalcionati urbanisticamente. ecco. dei bei posti. punto. dicevo. santambroes di sei anni fa. ero sulla metro lilla. me ne stavo venendo via da là dentro a metà mattinata. una delle poche ferie o cose così di quel primo anno. venivo via da là dentro, ed ebbi questa specie di percezione piacevole, che valeva davvero la pena festeggiare santambroes e tutto quel senso lì. a quel giro la prima era "giovanna d'arco". la primadiffusa fu per me in triennale. tornai a casa cone brandelli di entusiasmo addosso.

al giro di due anni fa, invece, la prima era "tosca". per la mia primadiffusa stavo andando al pacta salone, diciamo milanopiuttostomoltosud. aspettavo l'autobussssssse. ero nei pressi di san vittore, il carcere dico, e stavo guardando verso ovest, verso il sole che cominciava a calare. ed in quel momento capii che avevo intravisto un progetto a medio termine. niente di spettacolare, o così originale neh? roba relativamente semplice: comprarmi un appartamentino, riequilibrare la situazione finanziaria e poi cercare un altro lavoro: meno pagato, ma con più soddisfazioni. cercare casa e lavoro. semplice quanto essenziale e ri-strutturante. e soprattutto mi sembrava chiaro, limpido. piacevole come il momento che stavo vivendo in quel soffio di cose che passano, ma un pochino restano. il santambroes, la prima diffusa, il sole che scaldava, il mio progetto, nel senso di concetto progettoso. come se tutto il rimbalzare da pallina del flipper di quegli anni avesse trovato un senso. il mio progetto. come se per quell'attimo tutto si fosse messo [quasi] al posto, creando un bel effetto di coerenza costruttiva: e quella era la cosa da fare. e fu bellissimo. che mica sempre le epifanie, piccole o grandi che siano, fanno quell'effetto. scrissi ad odg, rompendo il setting. la parola progetto l'aveva usata lei in una delle ultime sedute. quando ormai convenivamo che la terapia - propriamente detta - ormai poteva ritenersi ad un punto molto importante, e che fosse ora di entrare in una nuova modalità di iner-relazione, via via più diradata. "mi viene a trovare e mi può raccontare anche delle cose belle che le sono successe". disse così. ed in un altro passaggio la parola progetto. che lì in attesa dell'autobus era come si fosse sostanziata in qualcosa che capivo nel profondo. e son quelle cose belle.

poi è venuto quello che è accaduto. a tutti. sono abbastanza fortunato. mi ha portato via questo e [poco] altro. anche se è un altro significativo. e quel progetto sono parole che ripeto. ma mi suonano un po' vuote.

di quell'attimo, di quella piccola epifania di due santambroes fa, le ho racconato. forse il momento in cui il mio singhiozzare è arrivato meno atteso e più violento. e più singhiozzavo e più volevo finire la frase, rievocare quell'attimo, quel concetto, quella cesura che mi sembrava tra l'irritante ed il commovente, tanto fosse lancinante. non è stato semplicissimo.

ho come l'impressione che in quel momento abbia deciso di pigliare il blocco intestato per le ricette.

però questo non è un post rievocativo-nostalgico.

perché, occhei i santambroes passati, o i progetti più o meno epafanici. ma è roba andata. e dopo mesi ho come sentito dentro un'eco, flebile, ma l'ho percepita. che qualcosa là avanti potrebbero non essere solo parole piuttosto vuote, del tipo che quando si raccontano, e ancora non hai terminato, stai già iniziando a sabotarti. la densità plasmatica credo sia ancora del tutto irrilevante. quindi non penso dipenda da quello. vai a sapere da volte salta fuori, che giro ha fatto. eppure là davanti è come avessi intravisto la possibilità di. intravvedere non è sapere cosa. ma almeno so che ci può essere.

la questione dirimente è questa. facile. là davanti c'è ancora qualcosa o no? che è il modo per dribblare in modo creativo l'ovvietà che passeremo tutti. però quando il dribbling riesce è prendere consapevolezza - in tutto l'ambito - che là davanti c'è un progetto da incrociare. qualsiasi sia. è la questione progettosa che conta.

ed il fatto che non sono i santambroes passati, alcuni molto belli, neh? il fatto sono i santrambroes che devono venire [assieme ad un sacco di altri giorni, ovvio].

Friday, December 3, 2021

sertralina

il fatto è che un po' bisogna fidarsi. un po' bisogna buttarsi, nel senso di provarla. non ostante lo stigma che è attaccataticcio qua e là [e forse pure nel vissuto che uno si porta dentro]. non ostante le avversità nelle reazioni. che poi si relativizza e si contestualizza il concetto di rarità. che se sei tu il caso raro, un po' tutto lo sembra meno, mentre molto altresì totalizzante. guarda un po' te questo disio di star nella maggioranza, chi l'avrebbe mai detto. questa tensione nel non finire nel percentile sbagliato, per quanto non comune.

poi non significa che uno non possa aver un qualche tipo di timore. che son letterature, esperienze, suggestioni, incoraggiamenti, delucidazioni. ma poi sei un po' te lì, per i cazzi tuoi, inteso come sistema complesso endocrino e quello che gli gira intorno. una bella funzione di trasferimento f(dt) che chissà com'è che girerà mai. che si sostanzia come solo lei sa - inconsapevolmente, anche perché va per i fatti suoi, che la contezza sta da un'altra parte. e tu dietro e muuuuuto. al limite in vigile attesa. sperando di sbugiardinare. o di non dover smentire quel senso tra il rassicurante e lo sbrigativo del: son qui, mi spieghi e fugo i dubbi.

e così si mette sul piatto quella forma eterea, impalbabile, evanescente dell'affidarsi. roba che può bastare un doppio battito di ciglia e finisce il sogno, nel senso di roba onirica. che sono le sceneggiature dell'inconscio. rapido movimento di occhi e s'affoga quel che è centellinato e ammonticchiato nel tempo, come cosa preziosa e boa georiferita. che ho smesso di idealizzare le persone. ma poi non significa che di alcune ci si possa fidare. appunto.

anche se meglio non perder di vista l'infine. che tutto scorre, occhei, e non potrà che essere un infine che è in mezzo a tutto il resto del vivere. è un in fin che è tentativo di cavarne fuori qualcosa. che mica si fa senza apprensione, ma un qualche senso lo si spera ne esca. che tutto concorre, neh? ma poi forse non che prima si era felici senza saperlo. era proprio che prima era un'altra cosa. e ci tocca passare in mezzo a tutto il resto. tutti, ovvio. ognuno a suo modo. ognuno la sua patina che rende quel cicino più offuscato. ma è bene sapere che esiste, la patina. e non che c'è sempre stata, solo perché ora si è quasi abituati. è la consuetudine che frega, tipo i meccanici con la lingua [semcit]. 

che comunque ci son passati in mezzo in tanti. occhei. ed io avrei voglia di andare oltre la commozione quando mi videotelefonano il tramonto che sta finendo in acqua. avrei voglia di guardare sempre meno con lo sguardo verso il fuoco infinito, le spalle un po' curve senza saper dove andare a parare. avrei voglia di stabilizzarmi, non il moto browniano delle alternanze disperanti-massìchecelasifa. avrei voglia di cacciar fuori un sorriso, perché ci sarebbe poi un sacco di cose che vengono incontro per cui farlo, il sorriso. e non scansarle. che bisogna pigliare, non inibirne le captazioni.

non basterà. ovvio che non basterà. mica non lo so. speriamo non dis-funzioni.

sono arrivato a quarantanove donazioni. conto e mi auguro fragorosamente di arrivare alla medaglia d'oro. di cui non mi frega molto e che non mi piglierò mai. ma è il traguardo, che i simboli hanno ben la loro importanza.

bisogna fidarsi. bisogna buttarsi. bisogna provare. un po' di culo non si disdegna, nel senso di evento casuale positivo e favorevole. e che i sogni - onirici, ça va sans dire - continuino ad essermi amici.

ora si lancino in azione i selettivi.