Sunday, March 26, 2023

l'amica paola ed il tempo passato e invece anche no

qualche giorno fa l'amica paola mi mandò una suggestione, riguardo una sua suggestione sui migranti e il fenomeno migratorio. quando la lessi mi si spalancarono una serie di considerazioni, moderatamente psicopipponiche. troppo lunghe da impacchettare in una serie di uotsapp. gliele racconterò a voce, pensai tra me e me. per quanto un proposito con poco addentellato con la pragmatica delle cose. per un fatto molto semplice: sono lustri che non incrocio l'amica paola, dal vero intendo. per quanto, con alcune persone, nessun luogo è lontano [cit.]. non solo. quando lessi quella suggestione sulla sua suggestione rimasi suggestionato da una percezione. oltre al suo biasimo - sacrosanto - come se ci fosse un peduncolo di troppo, quasi lamentosamente ostentato.

una percezione, certo. e che non mi sarei aspettato dall'amica paola. per quanto siano lustri non la incroci.

poi niente. pensavo di non esserci nel uichend a respirar il pm10 meneghino. e quindi non pensavo di andare in quel posto, dove son solito andare in questo periodo, pandemie a parte. poi però l'amica paola ha condiviso sul feisbuch: ehi, io sono in questo posto. e allora mi son detto: quasi quasi le faccio una carrambata. i programmi son fatti anche per essere stravolti. e per regalarsi emozioni non pianificate.

e così nulla. dopo lustri ho rivisto l'amica paola. ed è accaduta quella cosa, bellissima, che è stata poche altre volte. quando i suoi occhioni azzurri hanno magnificato la loro sorpresa, ho avuto la netta percezione che tutto il tempo passato evaporasse, rapido come il battito d'ali di una farfalla. come se ci fossimo salutati poco prima. come se ci fossimo sempre comunque stati. fin qui è capitato con poche persone, non necessariamente con persone con occhi cerulei [per cui, sai che novità, ho sempre avuto un debole. anche quelli dell'amica paola, ovvio].

ci siamo abbracciati, a suggellare il ritrovarsi. è stato un abbraccio rigenerante. che ha dato un senso a quell'intuizione di muovere il culo, per quanto tra casa mia e quel posto ci fossero dieci minuti di bicicletta. ha spazzato via tossine e mi ha avvolto di affettuosità che - comunque - un po' mi mancano [al netto sia io un po' a sottrarmici, a volte]

in quel momento era lì ad ascoltare persone raccontare cose. l'ho distratta da un paio di interventi, tutti in perfetta coerenza con le calzature che l'amica paola indossava. in perfetta coerenza con quella svolta di vita che è riuscita dare alla sua vita. non so se la stima, con affettuosa invidia, sia più per quella svolta o per le stille - ed il talento - con cui racconta momenti di quella svolta. che accompagare il camminare lento, contestualizzato, ho la sensazione faccia vibrare corde archetipe, profonde. che siamo prima di tutto viaggiatrici e viaggiatori. odisseandi. e ci sono persone che il risuonare di quelle corde lo percepiscono più di altri.

abbiamo parlato di un po' di cose. ogni tanto lo sguardo venva catturato da creature che salivano una parete di roccia artificiale. ho pensato di quante cose succedono in luoghi affollati, come tutto scorra con una sua disarmante, apparente normalità. mentre io ero avviluppato in un bel trambusto emotivo. con un dentro e fuori continuo tra passato e presente. con le domande dell'amica paola sulle amicizie condivise, quelle di un tempo andato. e come si collocano nel mio presente, ora: variegatamente lontane quasi tutte. e non solo per la geografia. e che ne è di quella educazione sentimentale che ci ha unito, e che poi ciascheduno ha declinato nei suoi modi. per quel che mi riguarda specie con le abiure, apostasie, disperazioni ottimiste. le ho accennato qualcosa. anche di incazzi scoperti di recente, e per nulla risolti. anzi. l'amica paola ha le spalle abbastanza larghe per sopportare cose che, probabile, scandalizzerebbero qualche ben-pensante delle amicizie di allora. ma ho evitato. se capita gliele racconterò.

le ho anche accennato che avrei voluto dirle cose sulla sua suggestione della sua suggestione sui migranti. ma erano troppo lunghe da impacchettare in un messaggio uotsapp. scrivimele in una mail, mi ha suggerito. poi ho pensato che potevo farci un post, questo. ma al solito mi è scappato via il piede dalla frizione. e quindi sono già andato lunghissimo.

ma almeno un pezzo di considerazione sulla suggestione di suggestione, sì. suvvia.

e quindi, amica paola, accade che, se sento discutere di pianificazione di flussi migratori in funzione della filiera produtttiva, provo ad allontanare il senso di nausea. anzi: credo che la nausea sia qualcosa da non poterci permettere. perché se ce ne facciamo soverchiare si perde di lucidità. e soprattutto si rischia di mettersi a litigare con il principio di realtà. però il principio di realtà, comunque, alla fine vince. che può pure essere stronzo, neh? ma se ci litighi comunque non ne esci bene. a meno di arroccarsi in una qualche nicchia, che prima o poi sociopatizza [avrei qualche esempio da portare, a mo' di esempio]. ecco. io non ho più voglia di litigarci col principio di realtà. tanto più se penso ad un fenomeno così complesso, epocale come quello migratorio. e che sarà sempre di più intricato, alla luce - nefasta - del riscaldamento globale. poi ci potrà essere modo e modo di gestirlo quel fenomeno. dal decidere di gestire non gestendo alcunché. ma poi il fenomeno ci penserà lui a gestirsi, probabile in maniera anche disruptiva. oppure lo si potrà gestire facendo cose più o meno prossime al concetto di giustizia sociale e umanità, come son certo la intendiamo, tu ed io - abbiamo la stessa educazione sentimentale, appunto. da par mio continuerò a vigilare, ad informarmi e sentirmi coinvolto, come da accezione deandriana [anche se questo non lo si cantava, ai tempi]. ti ho raccontato che se potessi andrei a tirar fuori dal mare le creature che affogano, per salvare stille di Umanità. questa la gestione nel mio piccolissimo: non lo faccio direttamente io. supporto coloro che lo fanno anche nel mio nome, come se fossi lì con loro. ma poi c'è un gran tocco che trascende dal tuo e dal mio desiderata. e ci saranno alcuni che dovranno gestire, pensando qualcosa di scomodo, che il mio io di allora avrebbe contestato con furore adolescenziale. mentre ora bisogna adoperarsi acciocché quel lavoro scomodo sia quanto più giusto possibile. e so che l'esattamente giusto per me potrebbe non esserlo per la maggioranza delle persone. e so che questa cosa non posso ignorarla. tanto meno pretendere di imporla, anche solo nel mio piccolo mondo: giudicando con alterigia e spocchia chi non la vede come me.

sto cercando di far pace con la complessità delle cose, specie le contraddizioni che inevitabili si portano dietro. è averne contezza, osservare le facce spigolose e fastidiose dell'icosaedro, che era bello pensare fosse una rassicurante figura piana. su cui scorrazzare piuttosto allegri, quasi felici, sicuramente sognatori fosse una superficie abbastanza liscia, l'immaginario del mondo in cui si stava entrando. che avremmo migliorato, ovvio, e ci avremmo cantato sopra, ognuno con la sua chitarra.

mi agitavo per apparire come quello più immaginevolmente convinto, anche per questo mi vedevano come quello sui generis. e non solo per l'amicizia col prete. [che poi quell'amicizia credo mi abbia portato nocumento, oltre che turbare la mia percezione erotica e non solo. ma questo è un altro discorso. quello che credo di aver capito leggendo un romanzo a suo modo geniale. e forse un'altra volta a voce, tu ed io].

ecco. ho sempre avuto la sensazione che tu e la tua sister così sui generis non mi percepiste. forse anche per questo, nel rivederti, il tempo non mi è sembrato essere passato. non ostante quello che invece si è portato dietro tutti gli eventi, con cui siamo diventati quello che siamo. a partire dalle mie irrealizzazioni e tutti i bachetti, i pochissimi rimorsi, la fottia di rimpianti. ma anche, di nuovo, la consapevolezza di dover far pat-pat sulle spalle al principio di realtà. che quando è stronzo è una sfida smussarne le stronzevolezze. senza stracciarmi le vesti davanti alle contraddizioni, ma cercando una sintesi, la migliore possibile.

ero un giovane idealista, radicale, entusiasta per cose poco di moda, per quanto piuttosto perso nel suo vagheggio e facilmente [auto]infinocchiabile. ora sono un adulto un po' più sgamato. so che le eco delle radicalità le si può declinare in vari modi, in maniera altrettanto adulta. l'importante è la declinazione, non l'aggettivo sull'età. strepidando appena appena: così si è più lucidi ad affrontare le complessità. forse meno affascinante. ma decisamente più efficace. poi a riprendere la chitarra e cantarci qualcosa, si fa sempre in tempo.

 

e comunque gli abbracci sono stati davvero una cosa bella. come risentirsi percepiti. spero non un commiato di altri lustri.

 

[e comunque anche questa è una suggestione dell'amica paola]


Saturday, March 18, 2023

"ognuno ga le so rezon" [sì, però...]

oggi c'erano parecchie manifesta, in quel della metropoli meneghina. ero indeciso tra la commemorazione di dax/fauso&iaio, oppure il presidio delle famiglie arcobaleno. incazzati per incazzati [anfifà in modalità antagonista oppure con una checcosità rivendicata], non del tutto in contesto per non del tutto in contesto [non riesco a conformarmi, tanto meno in quello di ritorno degli antagonisti. sono un maschio binario eterosessuale singol per inevitabilità] son stato al presidio. dovendo scegliere: presidiare i diritti, estenderli in futuro, piuttosto che una memoria - sacrosanta - militante cui non appartengo per educazione sentimentale.

è vero. decido di esserci e di occupare così parte del [poco] tempo libero. qualcuno potrebbe financo pensare che lo perda, del tempo

peraltro in presa di coerenza con alcune cose emerse in un tuttoscorre che ha condotto il bacchetta qualche giorno fa. il tema proprio il divieto di trascrizione dei certificati per le creatura di omogenitori. pareri e considerazioni. è venuto fuori di tutto. bacchetta, che è sempre un signore, intuivo faticasse più del solito a tenersi parco e tranquillo. dando voce e considerazione anche ad opinioni che non avrebbero sfigurato, chessssssò, su radiopadania.

alcune e alcuni erano piuttosto sconcertati. io fino ad un certo punto. non era la prima volta. lo sconfonrto sconcerto lo provai quasi dieci anni fa. in una trasmissione omologa, dopo il naufragio di migranti a lampedusa. guarda un po' il casino emotivo che possono determinare 'sti qui, che si permettono di venir ad affogare a favor di telecamera e di esperito diretto, con alcuni che li vedono andar sotto. anche allora telefonarono persone che il senso era: cazzi loro, se ne fossero stati a casa non sarebbe successo [il ministro di oggi non ha mica inventato nulla]. scrissi anche una mail alla lorenza, che condusse quel microfono aperto, rimanendo ben provata da alcune chiamate. devo avere da qualche parte la sua risposta.

comunque.

il tuttoscorre dell'altro giorno. e alcune prese di posizione, che a prenderle isolatamente potrebbero essere ributtanti. però ho provato ad andare oltre. che una delle cose che ho imparato da odg è quella di lasciare da parte il giudizio, finché si può. e possibilmente mai verso le persone. e poi ognuno ga le so rezon. come diceva lo zio benassi, nel senso di zio di antonio pennacchi, non il mio. che ascoltavo le telefonate ed i messaggi ed ho avuto - di nuovo - questa piccolissima epifania. anche se non so quanto sia epifania una cosa che hai più volte. cioè: può essere molto interessante provare ad intuire da dove sgorghino e perché, le rezon. che poi a metterle tra le ributtanti si fa sempre in tempo.

ed in maniera un po' banalotta ho avuto la sensazione che ci sia - in parte, anche - una pregiudiziale classista. che chi ascolta quella radio può ben venire da un melò, che vede nella lotta di classe un'ontologia imprescindibile del pensiero, con l'inevitabile categorizzazione delle cose che capitano. la banalizzo: 'sti gheielesbiche che figliano son ricchi radicalscic, possono permetterselo, anche solo andare all'estero a farli. è costosa fatica per soddisfare un'istanza personale, non di una classe lavoratrice. per non dire che si può prefigurare anche lo sfruttamento dell'utero di donne, bisognose, che lo affitano. carletto marx - ex-ante, loro mica no lo sanno - non avrebbe avallato questo capriccio borghese. via, sciò.

mi vien da pensare anche di un ostracismo ad un nuovo conformismo - percepito. mo so tutti fluidi, e l'idelogia gender: tutto questo adattamento di gran parte del meinstriiiim e del modello consumistico- capitalista a questo nuovo paradigma. pubblicità comprese. ne ho esperienza diretta, per quanto molto, molto, molto limitata. un'acredine [percepita] smussata con del sarcasmo, al nuovo dipingere come situazioni felici, da carosello, famiglie fuori dal modello standard da mulino bianco. infastidisce la standardizzazione, vista come paraculaggine del marketing. che magari ci può anche essere neh? la cosa che mi ha colpito è stata l'acredine, per quanto percepita. ho provato a condividerlo: naturalmente avevo capito male, mi è stato risposto. sarà.

e poi c'è una terza [macro]motivazione. forse la più sfacciata. che in alcuni messaggi non ci si è presi nemmno troppo la briga di mitigare. la banalizzo in modo trivio: se ci ho i miei cazzi da svangare, chi se ne fotte dei figli di 'sti froci o leccamoquette? come se esistesse a prescindere un'inevitabile piramide di maslow anche nelle consapevolezze condivise, che ci fanno alzare, o meno, lo sguardo dal nostro ombelico. 

ora. le rezon di chi ha difficoltà oggettive, cogenti, sotto la sussistenzialità: solo rispetto. e non solo, adoperarsi. chi non arriva a fine mese, chi fatica anche nella base della piradime maslowiana originale, ha necessità e rezon che levati.

le rezon di tutto il resto del mondo, invece, è interessante da intuire. e provare a capire perché sia così difficile accorgersi che i diritti, tutti, dovrebbero andare di concerto: quelli sociali, civili, ambientali. che sono più interconnessi di quanto possa apparire a guardarli rapidi. magari con visioni ancora ancorate a categorie [primo] novecentesche. e che non sono mutuamente esclusivi. e se si lamenta che eallllorailpidddddì? non si è adoprato abbastanza per quelli sociali, in passato, non è ragione sufficiente per non indignarsi sulla regressione di quelli civili che oggi impone la destra.

oppure il fatto che i cazzi della vita, capitano. variegamente nelle variegazioni a ciascheduno. che con l'avanzar degli anni è una normalissima declinazione del concetto di probabilità [nella specificità del teorema dell'o-piccolo]. e questi ultimissimi anni lo hanno provato tutte e tutti. in maniera molto diversa, ovvio. ed anche chi con il culo al caldo può aver ben sbandato. il fatto è che a seguito di quello sbandamento nascano pretendevolezze, verso non si sa bene chi o cosa. ci si sente in credito con il destino, o qualcosa che gli si approssimi. comunque in credito con il resto del mondo. forse nemmno troppo consapevolmente. però, ho la vaga sensazione, scatti automatico il pensiero: ci ho miei cazzi da svangare, che il resto del mondo si fotta. c'è una grande platea, sparpagliata per il globo terracqueo, che lo pensa a prescindere, senza averceli poi, 'sti gran cazzi da svangare. il discrimine lo percepisco, al limite, da un po' di situazioni che intuisco spuntare que e là nella mia bolla. o la bolla che contiene bolle omologhe alle mie. per capirci: non mi è mai venuto di conservar relazioni con chi chissenefottedeglialtri. anche se forse ho sovrastimato questa pulsione empatica di alcune persone. ecco: ho la percezione che invece ce ne siano un po' che il disagio ha acclarato quella roba lì. che poi il disagio è pur quasi sempre giustificato. che ognuno ga le so rezon: è l'effetto che ne consegue è comunque un po' più intristente.

ribadisco. è una specie di metonomia che mi viene osservando situazioni prossime a me, oltre quelle contigue. tipo gli ascoltatori di una radio di sinistra. che magari loro mica lo sono, di sinistra. se per di sinistra intendiamo una certa predisposizione ad osservare il bene della collettività, accanto se non al pari del mio.

forse scivolo in qualcosa di poco elegante. ma ripenso ai cazzi variegatissimi, piccoli o grandi, in cui sono inciampato. non mi è mai passato di mente che certi principi, diritti, fondamentali potessero chissenefottedeglialtri. spero non arrivino cazzi così grossi che mi si accenda quel [non] pensiero nella testa. e non solo perché - sperabilmente - vorrei evitarmi cazzi così grossi. forse non succederà per un qualcosa che matreme ha calettato nel mio cranio, quando ancora non lo sapevo, in termini di empatia e di attenzione agli altri [ho in mente un post da svariegati mesi, a riguardo. magari prima o poi lo butto giù].

e pur cercando di non appiccicare nessuna forma di giudizio mi colpisce un certo approccio, che ad approcciarci in altro modo staremmo davvero tutti meglio. non solo perché i diritti civili si devono allargare e non restringere. e non solo perché chi può fruire di un diritto, ne fruisce [che non ne fruisca io, sticazzi. evidentemente non sono discriminato dall'eventuale mancanza di quel diritto]. ma soprattutto perché un approccio ostativo, pregiudizialmente ostativo, è fottutamente più faticoso da portare avanti. si consumano energie emotive in maniera inutile. e non è che si voglia fare un inno alla debosciatezza contro le fatiche, giammai. è che salir in montagna con chili di zavorra, si spendono energie inutili. che non apprezzi la giusta fatica del cammino, la magnificenza del posto in cui sei. alzare lo sguardo dal proprio ombelico, non ostane i cazzi che ciascheduno ci ha. allarga l'orizzonte. mette tutto in prospettiva. e magari si intuisce pure che i propri cazzi sono cazzi fino ad un certo punto. e non siamo per forza così tanto in credito col destino, o quella roba lì.

che ognuno ga le so rezon, vero. però. ecco. come dire...

Sunday, March 12, 2023

miglioramentismi [la prendo larga][post che sarà genetliacante]

qualche giorno fa sono tornato là dentro. erano quasi tre mesi che non ci mettevo piede. un po' sembrava ieri l'altro. un po' sembrava esserci passato in mezzo tanta di quella routinaria ripetività, nel guscio uterino del compulsare lavoro nella zona di comfort, che levati. non ho avvisato nessuno. un po' perché avrei voluto andarci quasi in incognito. un po' perché mi piace comparire quando non sono atteso. quasi a fuggire la scontatezza delle cose programmate. difatti si vede quanto e cosa son riuscito a metter in pista, lasciando andare, per veder poi che succedeva [c'è un po' di ironia amarognola, se non si era capito].

sono entrato là dentro con una consapevolezza ed una autopercezione piuttosto nuova. quasi che mi venisse da dire: ehi, tu banca che stai là dentro, nuntetemo, anzi: forse te ci hai pure un po' bisogno di me per stare in equilibrio. non tantissimo. ma un pochino sì. di certo molto più di una discreta messe di persone, peraltro abbastanza sovrastrutturate.

sono entrato là dentro e speravo di incrociare qualcuno. due o tre persone. i primi quindici-venti minuti non sono stati semplicissimi. non sono più abituato a star in mezzo a persone non sconosciute [starmene per i cazzi miei, in moltitudini cittadine, è facilissimo]. è stato un sovraccarico relazionale che mi ha un po' stonato. alcuni mi hanno incrociato e fatto finta di nulla. altri sembravano davvero contenti di rivedermi, compatibilmente ovvio. un paio li ho abbracciati con grande piacere. anche per suggellare l'effetto sorpresa. specie a me: mica era certo li avrei trovati.

l'amico massimo mi ha redarguito col ghigno. maccccazzzo, ti avevo detto di avvisarmi saresti comparso qua dentro. beh - avrei voluto rispondergli - il caso ha voluto capitasse, la pragmatica passa come se avessimo organizzato. certo. un po' lo sfidato il caso, per quanto il non annunciarsi si possa considerare una sfida. e potrei anche tener bene a mente di come ci voglia poco, pianificando, a tirar fuori certevolezze, meno da suspance di quel che può offrire il caso, ma molto più rinfrancanti.

comunque niente, l'amico massimo l'ho incrociato e l'ho abbracciato. era una delle persone che avrei voluto ci fosse. solo per quello è valso la pena muovere il culo.

avevo promesse caffè per far due chiacchiere ad almeno quattro-cinque persone. la mia gastrite mi avrebbe chiesto il conto. e non avrei lavorato quasi per nulla. anche alla luce del fatto mi pare di rendere molto di meno a star là dentro. quindi nulla: un solo caffè. e naturalmente non poteva che essere letterario, nel senso di caffèletterario. anche se ne è venuto fuori un caffèparaesistenziale.

mentre salivo al quarto piano, a recuperare l'amico massimo, per poi scendere assieme all'area relacse, mi si è sbloccato un ricordo. una considerazione che l'amico massimo fece quando là dentro cominciarono a spuntare adesivi, cartelli, indicazioni collettive di vanto: ehi, noi siamo amici dell'ambiente, siilo anche tu. e l'amico massimo arguì: volete farlo consigliando di far le scale e non pigliar l'ascensore, oppure menandovela perché non si usano i bicchieri in plastica? tutto qui? volete fare qualcosa di davvero sostanzioso? favorite il fatto si possa sempre più lavorare anche da casa, per ridurre gli spostamenti. era ben prima della pandemia. ed io pensai a questa suggestione come fuori dall'orizzonte degli eventi, quasi inimmaginabile. e provai stima e invidia. era davvero avanti l'amico massimo. e cazzo, quella cosa avrei voluta pensarla io.

la cosa interessante, notavo mentre salivo le scale per andare a pigliarlo per il nostro caffè è stata: quella cosa quasi inimmaginabile è ormai una realtà ormai incernierata nei fondamentali di là dentro, e l'amico massimo continua comunque ad essere avantissimo.

mancavano un paio di gradini per arrivare al piano. e mi si è spalancato una specie di paradigma nuovo, col corolloraio: come ho fatto a non pensarci prima. e cioè il fatto che le intuzioni da pensiero laterale dell'amico massimo non devono imbarazzarmi. e devo lasciar da parte lo stordimento, da compulsivo perfezionista, che non solo mi bagni il naso. di più: vivere con gratitudine anche quando mi spiazza, quando se ne esce con cose che io nemmeno avevo immaginato. mettere da parte il senso di minorità che mi scatta[va] di conseguenza. che è un inchino deferente alla paura fottuta di non percepirsi all'altezza, con il panico a seguire se si osserva solo un pezzo. e non si coglie, non si impara, non si sale quel gradino di consapevolezza, che invece è lì a disposizione. per uscirne quel po' arricchito, qualsiasi cosa significhi. credo sia un effetto, nemmeno troppo collaterale, di un rapporto non esattamente solidissimo con l'autostima. ed è un peccato, nel senso che si rischia di perdere la possibilità di crescere un pochetto. e l'amico massimo sa essere prodigo di pioli per salire quella scala.

forse non è così casuale che la cosa mi sia spalancata arrivando al quarto piano quel pomeriggio. credo sia correlato al modo con cui mi son percepito, entrando là dentro, tre ore prima. con questa specie di consapevolezza, magari non nuovissima. ma tipo un dato di fatto: davvero assodato e nel volgere della sostanza delle cose. come il fatto il giorno dopo avrei lavorato a centocinquanta chilometri da là dentro. roba che solo una volta era inimmaginabile. può essere, invece, che ad essere non più immaginabile sia l'imbarazzo per i miglioramentismi che l'amico massimo ti butta lì. che anche quando parla di calcio puoi trovarci cose che ne trascendono parecchio.

anche perché è successo, parlando di calcio. ed io ho fatto un mezzo casino. e la cosa peggiore è che l'amico massimo, 'sto casino, un po' l'ha subito. e mica se lo meritava. mi dispiace di più adesso, forse. poco dopo, allora, lui ne è uscito da signore, mettendomi davanti al fatto compiuto di quanto sia stato pirla. mettendomi tra me e me intendo, mica che lui volesse acclarare la mia pirlaggine, ovvio.

tutto questo ragionamento sull'amico massimo, nonché il contrimento de noartri è scaturito anche da un fattarello. perché l'amico massimo ha voluto immortalare il caffè esistenzial-letterario, il primo dopo più di tre anni, con un selfi. in realtà nella sua testa era anche quello di condividerlo con una persona sopravvalutata. ma in fondo stigrandissssssimicazzi. quando mi ha girato le foto ho pensato subito di metterlo sul feisbuch. poi ho cambiato idea. per evitare di trovarmi, in potenza, nella spiacevolissima situazione di - ipotizzo neh? - rivederemi di fronte a questo caffè un domani, dopo un eventuale scazzo con l'amico massimo - ipotizzo neh?. i ricordi che son suggeriti, a volte, sono una specie di tafazzata che il signor feisbuch si è inventato. che scurdammoceopassato'nabeataminchia. e ti ritrovi lì, sorridente, con uno che magari ora manderesti a cagare. per non dir di amori passati [io almeno questo no], felicità svaporate, lancinamenti che avrebbero dovuto affogarsi nell'oblio.

ora.

ho smesso di idealizzare le persone. ed ormai dalle persone non vorrei aspettarmi più nulla. tutto quello che di buono arriva - e ne arriva - è grasso che cola. tutto il resto può capitare, o non capitar più nulla. questo vale, ovviamente, anche per l'amico massimo. però mi sarebbe dispiaciuto ritrovare il ricordo di questo particolare caffè-esistenzial-letterario con un affetto, un portato emotivo, un'eco diverse da quelle gorgoglianti meco nel mentre della pubblicazione. magari uno struggimento da cosa andata. ma turbamento per rapporti inariditi no. proprio no per uno come l'amico massimo.

avrei voluto scrivergli una cosa da tiiiinnneger, prettamente di femmine [ma in fondo, lui ed io, abbiamo componenti femminili elevate. anche se lui ha scopato in modalità esercizio ginnico molto di più me [e ha fatto bene]. e comunque ci vuole decisamente poco a far meglio del mio palmares cinico-scopatorio]. una cosa del tipo: però promettiamoci che non scazzeremo maiiisssssimo, che non voglio trovarti di fronte, suggerito da quello stronzo del signor feisbuch, e masticar amaro.

ovvio che non gliel'ho scritto. che merita ben altro l'amico massimo. ed in fondo ne è uscito anche questo post. che so che meriterebbe anche ben altro, oltre che un post può lasciar il tempo che trova. e poi, appunto, credo che il punto sia fondamentalmente un bachetto nella mia testa. che so che l'amico massimo sgamerebbe, e non solo per deformazione professionale. che cioè le mie incompletezze possono farsi insicurezza, cui si può far fronte in vario modo. a volte da pirla. mentre si puote far sì che le incompletezze, che non completerò mai del tutto, non tracimino in altro. ed esser pronto a farsi stupire et spiazzare dall'amico massimo. anche quando può essere che sentirò un pungolo che salta fuori da dove magari non te lo aspetti.

pungoli, stupori e spiazzamenti son roba che ci abbiamo a disposizione abbastanza tutte e tutti. che nessuno è così onusto di saggezzevolezze da non averci qualcosa da imparare da chiunque, tanto o poco che sia. si dona e si riceve anche qui. e con grande onestà intellettuale prendersi tutto lo spunto ai miglioramentismi. sfruttare ogni difficoltà che è anche un'opportunità [cit.]. che potrebbe sembrare una frase di quelle minchiomotivazionali. però se la contestualizza l'amico massimo vien fuori per quel che davvero è. che la sua ermeneutica è fintamente cazzara. che ci ha sotto una struttura ed uno spessore che nemmeno il più compatto macadam per costruirci sopra strade per andare. ed andare è sempre uno  scoprire percorsi nuovi. anche se li hai battuti e batutti e battuti.

è anche così che ci si migliora. si impara dagli altri. che qualcun altro poi lo imparerà da noi. e quando c'è di mezzo l'amico massimo di roba da imparare per migliorarsi non ci hai che da star lì a sussumerla. e vellicarsi le suggestioni. che è atto e volontà anche il salire un piolo di quella scala. l'amico massimo ti escirà un piolo anche quando non te l'aspetti. un bellissima surprais.

e quindi nulla. ce lo metto qui, il selfiii. anzi. i selfiiiisss. al primo caffeletterario dopo un bel po'. anche solo dopo aver imparato una volta di più che non c'è nulla di scontato. se poi son cose belle è financo meglio. come meglio ci si diventa, vicendevolmente.

anche per questo gli voglio augurare il felice genetliaco. in maniera eterodossa più di una settimana prima. ma poi lui lo leggerà solo al momento giusto. un'improvvisazione anti-causale.

Saturday, March 4, 2023

come degli attuali san tommasi, però tipo al negativo

e così son finiti fin sulla spiaggia. i naufraghi e i morti. da clandestini sono tornati ad essere bimbe, bimbi, donne e uomini. in fondo era solo questione di tempo. ineluttabile. il tempo e le modalità che confacessero all'arabesco del caso. decide lui. noi ci siamo applicati perché potesse riuscirci. come gli riesce in maniera fottutamente frequente, il fatto è che non ne vediamo gli effetti spiaggiati. a 'sto giro è andata in altro modo.

e così li hanno visti. li hanno sentiti gridare mentre affogavano. documenti filmati subito condivisi,  cosicché si è potuto vederli e sentirli abbastanza tutte e tutti. ho guardato alcuni video, alcuni frammenti di quello che è successo. ho ascoltato le parole di chi ha provati a salvarli, almeno che non li riprendesse la risacca, di chi ha soccorso quelli che ce l'hanno fatta. la commozione, la tensione emotiva, la tristezza erano lì alla portata, a non volersi girare dall'altra parte, non cambiare canale, non scorrere con il pollicione lo schermo delle smartofono. io ci credo eccome che il trauma per costoro sarà difficile da superare. figurarsi per chi è naufragato. figurarsi per chi ha perso qualcuno di caro. figurarsi.

quindi è tutto lì, ben piazzato nella matericità delle bare allineate, nel dramma dei sopravvisturi. cazzo, molto più semplice prenderne [ancora più] consapevolezza.

ed è molto più immediato, spontaneo, interpretare dare senso ai silenzi e alle parole. parole in libertà di chi ora è potente. il senso che è un misto tra disumanità, vacuità, sprezzo del ridicolo. che se non ci fossero di mezzo decine di morti potrebbe sembrare il pezzo cinico di un autore di satira spietato. 

e restituire il senso ai vari tipi di silenzi. 

il silenzio che accompagna l'assenza della fratella d'italia, la prima tra i potenti [per adesso]. silenzio rumorosissimo e cacofonico, un tacere per starsene ben lontana dalla melma, quella che ha prodotto le dichiarazioni dei suoi.

il silenzio rispettoso nella presenza del PdR. che ha parlato - microfoni spenti - solo con coloro che questa tragedia se la porteranno dentro per sempre. un silenzio che racconta più di millemiGlioni di parole. che ridà un po' di dignità alla pochezza istituzionalizzata dei vertici, rappresentanti semplicemente inadeguati.

certo. quelle bare allineate danno un grossa mano pragmatica. ed in fronte a loro un Presidente con il vuoto attorno [cit.], a dare un significato importante e potente. tutta roba lì da toccar con mano, per poterci credere ai drammi che il fenomeno migratorio si porta appresso. come degli attuali san tommasi, però tipo al negativo. che dobbiamo toccare con mano per crederci, ma per qualcosa che non racconta esattamente della redenzione dell'umanità, anzi. che al san tommaso originale, meglio per lui, toccò toccare per prendere contezza di qualcosa di molto più messianicamente salvifico [così almeno si narra]. noi non abbiamo questo privilegio. ma almeno la possibilità di prendere contezza di come è stato [non] deciso di gestire quell'istanza epocale che sono le persone che migrano.

e poi, comunque.

bisognerebbe moltiplicare quell'immagine per quattrocento-cinquecento volte, per dare conto dei morti in mare negli ultimi dieci anni. quattrocento-cinquecento palazzetti come camera ardente, quattrocento-cinquecento allineamenti omologhi, quattocento-cinquecento volte il PdR a rendere omaggio, silenzioso. son tanti, neh?

dice: c'è il rischio di farci l'abitudine. vero. ma almeno lo saremmo con più contezza. e non sarebbe di certo peggio alla comoda indifferenza. tutta bella camuffata dietro slogan fascio-puttanate della difesa dei confini, blocchi navali, sostituzioni etniche, porti chiusi. per non dire delle perle da distrazione: aiutiamoli a casa loro, non partite, vi veniamo a prendere. sono stronzi, ma fanno loro lo sporco lavoro di slavare la cattiva coscienza collettiva.

e quelle sessanta bare, da moltiplicare per quattrocento-cinquecento volte, danno sostanza al concetto di probabilità. che in fondo è roba semplice. e che usa l'arabesco del caso per manifestarsi. che chiamarlo destino è una presa per il culo. perché se ci si adopera per alimentarla, la probabilità, poi le cose succedono. ci si adopera non istituendo corridoi umanitari, facendo accordi bilaterali con varie autocrazie perché non li facciano partire, sapendo benissimo che così non sarà. lo si fa anche parlando di confini e porti chiusi, limitando l'azione di chi può portare soccorso - se governativo - quando non ostacolandolo con ostracismo peloso - se non governativo. poi ovvio che dire di destino è una perculata. è certo che certe cose succedano. se ti metti in auto sistematicamente strafatto o ubriaco perso, ovvio che prima o poi qualcuno lo spalmi sull'asfalto. se inoltre buchi gli pneumatici alle ambulanze è certo che qualcuno di costoro muoia. destino un cazzo.

non serve nemmeno essere degli attuali san tommasi, però tipo al negativo, per esserne consapevolmente certi. anche senza aver bisogno di guardare quella fila di bare allineate, moltiplicate per quattrocento-cinquecento volte. poiché putroppo invece queste sono innanzi a noi, che rendano un po' più difficile girarsi dall'altra parte. evitare di consolarsi da cinici sia un destino che non si può evitare.

l'indifferenza mica genera solo i fascismi. ci rende anche un po' meno umani. e poi anche basta essere come degli attuali san tommasi, però tipo al negativo. che questi morti aiutino a dare dignità e consapevolezza dell'altra moltitudine, che il mare si è preso e che custodisce. nessuna bara per costoro.

 


 

e comunque: destino un cazzo.