Tuesday, May 31, 2022

sulla inossidabile pacatezza delle idee - presidente Carlo

l'ho ascoltato più di una volta, dal vero. mi piaceva financo la crasi tra il nome e cognome che a volte facevano nell'annunciarlo. che avrebbe potuto anche chiamarsi Carlos Muraglia. e sarebbe andato benissimo ugualmente.

l'ho anche ascoltato in occasioni pubbliche, ma più conviviali. la lorenza, che poi sarebbe la mia giornalista preferita della radio [devo averci una qualche ossessione non del tutto risolta, che prescinde lei, ovviamente. perché mi capita di sognare di averci a che fare] era ormai diventata una sua amica. quanto meno quello che si poteva intuire dalla cortese confidenza con cui si rivolgeva a lei. per questo,  quando all'anpi barona parlava lui, in qualche modo poi sbucava anche lei, col suo caschetto ed i suoi occhietti vispi. quando non era lei ad intervistarlo direttamente.

nelle occasioni formali e solenni, nei consessi più amicali, negli interventi per auscultare la sua opinione su alcuni temi, nei dibattiti. in tutte quelle occasioni mi ha sempre colpito un aspetto. che oggi si è legato con una pacata naturalezza ad un'idea che mi gira dentro da un po' di tempo. per cui prima o poi proverò a scriverci un post.

un aspetto che prescinde dalla fottia di cose che ha fatto. a favore dei diritti dei lavoratori, di categorie con stigma sociale, di battaglia in difesa dei diritti di alcuni contro l'arroganza del potere, variegatamente espresso. come se tutto questo fosse la logica conseguenza del primo impegno, da adeolescente, antifascista, quindi in lotta contro il nazifascismo durante la guerra partigiano e inquadrato. come se da lì fosse partito tutto. e da quell'esperienza gemmasse con una coerenza inevitabile tutto quello che ha fatto dopo.

era una persione colta, capace, determinata. che si è meritato la stima e l'affetto di tanti, la riconoscenza di molti, oltre che il rispetto anche degli altri. non mi sono mai tesserato anpi [anche perché non sono mai stato tesserato, punto.]. ma con lui come presidente è come se lo fossi stato. e pace per quel che han fatto dopo la Nepsoli che gli era succeduta [e quel giorno di ottobre in barona la buttò lì, che avrebbe lasciato e che avrebbe potuto esserci una grande sorpresa. tipo? - gli chiese la lorenza - e lui: bah, chissà, forse una donna. e la lorenza: ma daaiiiii? visibilmente e meravigliata e felice, perché donna e perché giornalista a incrociar la notizia]. 

e insomma.

quell'aspetto che mi ha sempre colpito di lui è la pacatezza rasserante del suo eloquio. a tratti quasi ignifuga. parlava abbastanza serrato, come se avesse chiaramente tutto in testa, quasi con il rigore del metronomo, la musicalità dell'incedere del moderato e suonata semipiano. insomma, tutt'altro che l'enfasi del comiziante, delle sovrastutture del sceneggiante. non ne aveva bisogno, bastava l'inossidabile contezza della giustezza delle idee cui si riferiva, e che l'animavamo. aveva dimostrato di fare, ispirandosi a quelle idee e con le parole di conseguenza. e non è che le mandasse a dire. alcuni concetti erano risoluti e irrefutabili. non gli serviva alzar troppo la voce, alterar il tono per sottolinearlo.

roba che, nel 2016, con renzie imperante ad un dibattito alla festa nazionale del piddddì [quella dove renzie imperava, per capirci] si confrontarono sulla riforma costituzionale. Carlo era per il no. e lo argomentò con lì, davanti il palco, le prime file riservate alla claque dell'altro [era pur sempr eil pidddddì dove imperava renzie]. e fece un figurone di eloquenza, di stile, di eleganza rispetto alle tarantellate di quell'altro. tanto che financo renzie si mostrò rispettoso. peddddire. [ricordavo che, altresì, l'altro fenomeno della boschi, si fosse riferito a lui con il termine dipregiativo di professorone. in realtà era accaduto un paio di anni prima. e non a Smuraglia di riferiva quella gran ministra delle riforme istituzionali [sic!], peraltro con una sgrammaticatura di stile che levati. poi i populisti erano solo i faivstarrrrre].

ecco. la pacatezza delle parole, con l'inossidabilità delle idee. potrebbe essere uno degli aspetti su cui fattivamente adoperarsi. uno degli elementi con cui provarci ad essere coerentemente portatori di quel modo di porsi. che a far gli smargiassi sul fatto che semo tutti contro la guerra e testimonianze varie. c'è un pacifismo anche nell'uso delle parole, nel para e metaverbale, nella semantica e nella retorica. non significa che non userò più le parolacce. ma significa che proverò ad argomentare usando sempre meno le lame smozzicate di una cifra che potrebbe essere, intrinsecamente, con dentro delle lamette di violenza. anche in un dileggio che poi è fine a sé medesimo. [occhei, poi qualche eccezione, suvvia, tipo renzie e la considerazione di quel figuro].

io non sto nemmeno a sindacare o pensare se Carlo Smuraglia fosse un pascifista. però era un uomo che si è sempre adoperato per la giustizia sociale e la perequazione delle disugualianze. ed è un bel modo per essere un uomo di pace. a cui bastavano le idee, che testimoniava in quello che ha fatto. in modo talmente inevitabile che non serve urlarlo. ed è una bella conquista anche quella. meritatissima, peraltro.

che la terra ti sia lieve.

 



Sunday, May 29, 2022

piccolo post di ubbie et contraddizioni /10: europa e le ricorrenze [2/3]

siccome sono sul pezzo, questo è un altro pezzo di post sulla giornata del novedimaggio. comodo, neh?

non ci avevo mai fatto troppo caso. però le incombenze di questo inizio di nuova era ne hanno dato una certa eco. ed il fatto cui non avevo fatto troppo caso è che il novedimaggio si celebra sia la giornata dell'europa [in europa] e sia la ricorrenza della vittoria della grande guerra patriottica [in unione sovietica, prima, nella federazione russa e nelle altre ex repubbliche ora].

la differenza tra la giornata e la ricorrenza salta agli occhi, tipo tra bufalo e locomotiva. non foss'altro per l'epica estetica che le caratterizzano.

da una parte celebrazione compite di austeri funzionari, qualche bandiera blu con il cerchio di stelle in lustro, qualche riverbero in più del coro d'insieme della nona [i miei post psicopipponici non contano, ovvio].

dall'altra parate imponenti, truppe schierate, bella mostra di armamenti sempre più grossi e sempre più potenti tirate a lucido, poi uno non si chiede se sigmund non ci abbia preso alla stragrande. poi, vero, c'è anche un profondissimo sentimento popolare, l'amica viburna rimase colpita quando le accennai alla grande guerra patriottica, nel senso che fu colpita sapessi che là la chiamino così. non ricordo se le dissi che l'avevo imparato da un paio di romanzetti non esattamente da caposaldi della letteratura dei primi anni duemila. però il senso di quel sentimento in quei libri emerge. non fosse anche per lenire ciò che ha rappresentato resistere ai tedeschi ed alleati, e ricacciarli indietro. l'assedio di leningrado, i villaggi bombardati delle retrovie per fermare l'avanzata nazista, le carestie, le devastazioni, i milioni di morti. la viburna, che tutto è tranne che guerrafondaia, mi raccontò di cosa significa viverla, lì, quella giornata. e del trasporto emotivo con cui si è coinvolti, a prescinedere.

poi quest'anno, appunto, è finita al centro dell'attenzione mediatica, per le note vicende. che cambiano la storia. che ci affannano con variegazione. ma qui stanno.

ed ho pensato una cosa banale. che nella sua impalpabile retoricità la giornata dell'europa guarda al futuro. è una specie di concetto dinamico, come il limite. la ricorrenza della vittoria nella grande guerra patriottica è ferma a rievocare un passato, accaduto, congelato nelle cose che sono accadute, da cui ci si allontana ogni ricorrenza di più. un risultato statico.

non che, dal punto di vista antropologico, non abbia un senso profondo rievocare quell'evento - e quel trauma - collettivo. che occhei la bandiera rossa sul reichstag - e prima ancora la liberazione di auschwitz - ma quella guerra costò loro un'ecatombe di morti. e magari evito di stracciarmi le vesti a ricordarmi di come quell'evento, anche fondativo, serva a sostenere la retorica della grande potenza con una missione salvifica sul mondo, la grande madre russia [madre russia - Матушка Россия]. e come tutte le retoriche anche basta stracciarmi le vesti, le osservo con meno retoriche che ci abbiamo comunque dentro tutti. e provo a capirle [provo]. anche se quella retorica è supporto di nuove devastazioni, ingiustizie, guerre, fine della pace, punto angoloso della storia. 

e non che l'europa, in cui culliamo tanto migliori, non abbia di che migliorarsi parecchio. che siamo il pacioso e pacifico vecchio continente, occhei [vecchio... e la cultura estremorientale?]. ma in cui alberghino fottute disuguaglianze, ingiustizie, con i confini blindatissimi, dimentichi che il nostro benessere poggia, facendo finta di niente da qualche secolo, sullo sfruttamento di altri continenti. non che non si possa migliorare, neh? minchia se ci può migliorare. anzi: i versi di schiller, la potenza che ne da beethoven, dovrebbero metterci il pepe nerculo afarlo.

ma d'altro canto questo è quello che si può fare all'interno di un concetto dinamico, che guarda al futuro. che se guardi al futuro lo fai per migliorarti. mica per fermarti al risultato statico, rievocando la vittoria che fu, sperando di motivare solo con quello una guerra che sta nella visione delirante di pochi.

non è una questione manichea, buoni e scaltri noi, cattivi e servi del loro passato quegli altri. no. no. quelli studiati ce lo spiegano grandiosamente, quanto sia europea la russia e quanto l'europa debba alla cultura russa. si tratta di ripigliare schiller. si tratta che la pelle d'oca ad ascoltar la nona viene ben anche a loro. si tratta di considerare che siamo il risultato di un limite. tendiamo. dinamicamente.

 

[postilla a mo di post scriptum postico. mi son domandato: mammmmminchia, proprio tu scrivi 'ste cose che ogni venticinqueaprile spacchi le palle sulla festa più bella dell'anno? e mi son risposto così. che quella festa ricorda la fine di una guerra e la Liberazione. ma soprattutto la vittoria di un'idea che guardava e guarda avanti che levati. che poi sarebbe basta guerre e fascismi, le democrazia, giustizia e libertà. che l'idea stessa di europa unita germoglia da lì. proprio in virtù di dell'intenzione condivisa di andare oltre quella guerra fraticida e quello che la determinò. è questo quello che celebriamo. mica cotiche retoriche, pur senza missiloni ma fermi statici a quell'evento. che poi si sia pezzottato gran parte di quelle idee. che si stia in un tempo di riflusso, non inficia mica quella roba lì. è cosa a cui tendere. dinamicamente resistenti.]

Wednesday, May 25, 2022

del perché sono [in parte importante] quel che sono anche grazie alla magistrini [ecstendiid version]

io dovevo studiare ELETTRONICA, mica troppo altro.
quando lessi che nei libri di terza c'era anche l'edizione didattica della divina commedia mi prese male. e smoccolai.
quando entrò in classe, con quei capelli cresposi e riccissimi, con quegli occhiali così spessi ed il mezzo ghigno da "mo vi faccio vedere io" fu anche peggio. con lei non ci passa più, mica cazzi. come se quelle peculiarità estetiche - non era esattamente la professoressa più bella ci fosse lì dentro - dovessero portarsi dietro chissà quali altre sciagure per quella masnada di maschi, ammassati nell'aula 57. come si è banali a volte.
poi tenne la lezione sul Cantico, gemma importante della prima letteratura italiana. ci inserì dei collegamenti fascinosissimi al prologo di giovanni, per cui mi ero intrippato, a tener a bada i miei complicati riti apotropaici. ed ho ricordo vividissimo di me, che mi vedo da fuori, osservarla incantato ad ascoltarla. dopo non fu più la stessa cosa.
cominciò così. capire quanto fosse fottutamente bella la letteratura. una folgorazione che pensa un po' te. come se di colpo si spalancasse un mondo che percpivo esserci da qualche parte. ma che non avevo colto del tutto ancora. o per cui bisognava un po' far finta di nulla. la necessità di sondare l'interiorità che riverberava eco, fottutamente inebrianti. e portarci un po' di quelle fiammelle lì. a fruizione di tutti. fruire, come la sezione del guglielmino-grosser che scelse come libro di testo - come al classico, scoprii dopo.
il primo tema lo feci su amadeus - nel senso del film di milos forman. un po' soggiogato dal monito: un solo errore ortografico e metto l'insufficienza. nel trascrivere la bella lo rimpinguai parecchio [giusto per andare del tutto contro la pratica ottima di ridurre, in riscrittura. sembra lo facesse anche carlo emilio gadda. solo che lui generava letteratura]. rimase colpita. un po' perché da pianista non poteva rimanere indifferente. un po' perché la colpii per come ero rimasto colpito dall'ossessione del personaggio con talento, rispetto alla genialità assoluta [e qui, secondo me, i prodromi delle nevrosi li avevo messi su carta. erano lì, da rintuzzare con la sua penna rossa]. mi mise settealllotto, un votone per lei, specie in terza.
al compito in classe su Macchiavelli mi mise cinque - la mia unica insufficienza del triennio. era quasi costernata: hai risposto magnificamente alle domande aperte, ma hai ciccato clamorosamente quelle a scelta multipla, non capisco che ti è passato in testa.
al compito in classe su Galileo mi mise nove [per lei una tacca sotto l'empireo]. ci avevo infilato dentro alcune considerazioni sulla relatività galileiana e ardito qualche raffronto su ciò che avevo capito di quella einsteniana [il compagno di classe pozzo si lamentò: ehhh ma che ne sappiamo noi di 'ste cose prof, mica sono nel libro! ripose: leggi un po' di più, e vedrai che poi le sai anche tu]
la varianza dei voti nei temi era piuttosto alta, quelli del compagno di classe bragnuolo molto più bassa. una volta mi disse: o me li fai da sei e mezzo, o me li fai da otto, com'è 'sta storia? e comunque i periodi sono troppo lunghi. tagliali. [difatti, basta leggere alcuni post]
aveva tutto un modo suo di essere maieutica. cinestesica nell'esporre, probabile per quello alcune cose mi si sono impiantate dentro, fisse e ferme. la didattica non era seriosa, anzi. forse perché una cazzara dentro pure lei [non ostante fosse coltissima. o forse proprio perché coltissima]. forse era per spiazzare, o tener testa, quei testosteronici studenti che, la quasi totalità, vedevano come un corpo estraneo didattico le sue materie. così lontane dal corpus di quella specializzazione. ed io invece ne ero ammaliato che levati. difatti mi sentivo a volte un corpo estraneo in quella classe.
e mi ricordo di come raccontò la grandezza assoluta di dante, e di come l'inferno sia la cantica di gran lunga più divertente. delle frustrazioni di coorte dell'ariosto, che poi la sera si rifaceva scrivendo quello che ha scritto [in miliardesimi, parecchi post dei vari blogghe son venuti fuori così. non stavo a coorte. frequentavo degli stronzi inconsapevoli]. della genialità del macchiavelli e dell'elemento disruptivo che fu l'illuminismo, e l'importanza di andare oltre l'oscurità supportati dalla ragione, anche per poter affrontare il principio di realtà [quello però l'ho capito tardi]. la struggenza del foscolo, e l'imago della fatal quiete. assieme ai lampi di eternità che si accendono quando ti si impianta nel cuore chi lascia eredità d'affetti [i sepolcri sono un inno alla vita, e pace per la povera upupa, che è un rapace con aspetto curioso, mica lugubre]. la solitudine geniale di leopardi, che morì d'indigestione, che non potevi non amare, pessimista un cazzo: guarda quel che riesce a fare la ginestra. la paciosità fondativa del manzoni [maccché divina provvidenza. per rivolvere ed uscire dai casini che han messo in piedi gli uomini, deve arrivare la peste, che riazzera, rimescola e per cui si trova la sistemazione alla vicenda dei due promessi. e mica solo quella]. la considerazione per pirandello contro la retorica fascista quando vinse il nobel. la risposta un po' superiore quando le chiesi se de gregori fosse ermetico, come avevo letto di lui: non mi pare proprio sia ermetico, per me è chiarissimo cosa scrive. ah!
era socialista, lo si sapeva, per quanto ne capissimo noi pre-nerd elettronici [io avevo già capito che craxi mi stava sui coglioni. non sapevo ci fossero socialisti non craxiani]. l'unica volta che lo acclarò fu quando morì Pertini. entrò in classe visibilmente provata, e ci raccontò quando aveva orgogliosamente accompagnato Sandro [mi colpì lo chiamasse per nome, come un vecchio zio], al palco di un congresso del psi.
eravamo in quinta, a pochissimo dalla maturità.
già. la quinta superiore. che anno. tutto sembrava concorrere a combinarsi in maniera da magnifiche sorti e progressive. come se a quel punto stessi rullando in principio di una pista di decollo. e nulla dovesse andar storto, come se la storia si fosse messa d'accordo per finire. in realtà non avevo capito quasi un cazzo. e se avessi fatto davvero mio il senso di quello che la lettere ci raccontano avrei dovuto quanto meno sentir puzza di bruciato. ma ero anosmico [figurativamente], giovane ingenuo, e onusto di inebriante trance agonistica. studiai quasi solo letteratura, e quel po' di telecomunicazioni per rimaner [azzz] affascinato dal dominio delle frequenze [è stata questa la sfida intellettuale che mi ha traviato]. però il furore estatico con cui confrontavo concetti, suggestioni, nozioni, oltre il guglielmimo-grosser, cazzo se me lo ricordo.
a bragnuolo e me disse che, per il programma di letteratura, non avevmo nulla da invidiare a studenti del classico, per quanto e come fossimo preparati.
le telefonai agitatissimo dopo aver pensato di aver sbagliato il tema letterario, la sera del primo scritto: sei mica un critico noi hai sbagliato proprio nulla. durante l'orale, ovviamente prima materia letteratura, mi strizzò l'occhio, come a dire: stai andando bene. ed io capii di avercela fatta, in quella che in realtà fu una specie di contesa tiratissima con il professore pignolosissimo, durata qurantacinqueminuti [a quello di telecomunicazioni ne rimasero quindici. mi chiese cose cui risposi ad intuito, e che capii a fondo solo nei corsi degli ultimi anni al politecnico. 'stttttusstrunz.].
insomma. è stata tutto questo. e non solo.
però soprattutto è stata lei ad instillare il dubbio che il mio daimon mi chiamasse da tutt'altra parte. e che invece che ELETTRONICA avrei dovuto fare il classico.
difatti poi ho scelto ingegneria.
e quel tarlo dubbioso è un pungolo con cui faccio pace, per poi scazzarmi di nuovo intensità alterne. e a volte è financo faticosetto. non so mica se riuscirò mai a uscirne.
però se sono quel che sono [nella parte bbbbuona] è anche grazie a Lei. per come mi ha fatto amare la letteratura e dintorni. ed anche per quel fottuto seme del dubbio instillato. sono comunque le sue più preziose eredità. uno dei modi di onorare al meglio la missione di insegnante.
[e probabilmente mi cazzierebbe per qualcosa anche di questo post. chissà che voto mi avrebbe messo].
che la terra sia lieve Prof.

Monday, May 9, 2022

piccolo post di ubbie et contraddizioni /9: europa e l'Ode [1/3]

occhei.

il compact disk, nella versione iniziale, era stato previsto dovesse contenere settantaquattro minuti di musica di audio. se serve possiamo fare i conti di quanti byte siano. però è cosa più o meno risaputa fosse il tempo dell'intera nona sinfonia. il signor sony era un fan di quella vetta della musica universale. con un coro durante il quarto movimento. come titillò il mio amico itsoh, con la sua maieutica ironico pungente, quasi trent'anni fa [l'amica roby ancora un'idea non saprei quanto già definita], quando ludwig van la presentò al mondo dissero: ehhhh, 'sti qui deve essersi del tutto rincoglionito, sarà a causa della sua sordità. un coro al termine di una sinfonia, solo un folle la può concepire. con tutta la maieutica di quel tipo che ti rimane in testa.

pochi anni dopo lo si ascoltò, quel quarto movimento, ai bordi di una spiaggia normanda. fuori dall'auto era nuvolo, forse non tirava tutto 'sto vento. però osservai l'amico luca sussumersi quel coro con un'intesità che mi pare di avere ancora qui davanti. ho idea sia stato uno dei momenti in cui salutò a suo modo il suo amico. fossimo stati meno strutturati forse avrei visto una lagrima, o qualcosa di simile. lui era lì per un motivo. io lo accompagnavo con ben altre sensazioni. mi chiese espressamente di portare il cd della nona sinfonia. credo che quel viaggio sia stata una delle cose più segnanti abbia mai vissuto. nemmeno un paio d'anni dopo capii cosa significasse vivere una perdita di quel genere. sono pure convinto che, in quelle settimane, l'amico luca sia stato una delle persone più presenti anche per il fatto di esserci passato. e quindi diventa più facile vincere l'imbarazzo dei lutti altrui.

la prima versione a ciddddddì della nona l'acquistai da una di quelle proposte editoriali [più] accessibili alle mie scarse finanze di allora. e lessi, tra le altre cose, che schiller scrisse due versioni dell'ode. solo che la prima conteneva un verso fortemente a rischio censura. stamani ho ripescato quel ricordo. ed ho cercato nel vueb. il signor uichipiidia scrive che la versione del 1785 riporta il verso:

Bettler werden Fürstenbrüder

che significa

i mendichi diventano fratelli dei principi

va bene i richiami all'arcadia, allo stato di natura ispirandosi ai greci con l'affratellamento delle umane genti, la liberà e la fraternità universale. però cccchecccazzo che mendichi e principi pari siano, era un po' troppo osè come idea. carletto marcs anche qualche decade a venire. [la storia dell'ispirazione naturale alla filosofia e l'ideale greco teniamola lì. che magari vien comodo in un altro post].

quindi nella versione del 1808 quel verso diventa:

Alle Menschen werden Brüder 

che significa

tutti gli uomini s'affratellano

che sarà pure un tentativo di rendere meno radicale e lisergico quel testo. però cccheccazzzo, è pur sempre roba fortina. specie a calarla nel contesto di allora. roba che potevano immaginare solo le persone davvero illuiminate. roba che che non va esattisimamente a braccetto con quello che sarebbe venuto dopo. occhei, occhei: sempre affratellamenti, cui si son costruite liriche ed epiche, sì, ma sotto bandiere ben definite. ancor oggi siam fratelli, va bene, ma d'italia [nel senso del mameli, non dell'appropriazione indebita di quelli che vengon giù dritti come fusi dai fascisti].

quindi alle Menschen werden Brüder, non roba proprio banale, o scontata, o che suona bene in un simpatico motivetto.

no. cazzo. è qualcosa di davvero dirompente.

ludwig van nell'ultimo werden Brüder, quello dell'acme di quell'emozione, con tutto il coro che ricama nel pieno finale quell'ode, inventa e fa cantare ai tenori quel rivolo, come un volo verso il cielo. sembra quasi di verderne il gesto atletico, il movimento perfetto dell'armonia. ad ascoltare con attenzione non si può non sentirli arrampicarsi con la sola forza di una rincorsa brevissima. e colto la prima volta, ti entra in testa ed ogni volta ascolti come per sincerarti ci sia ancora.

è come se quella brevissima cadenza andasse ad afferrare quel concetto: werden Brüder. che è un'idea alta, molto alta. anche se la diamo per scontata, noi col culo al caldo ed al riparo. con culo al riparo ed al caldo grazie alla paciosa tranquillità che ci ha dato [anche? soprattutto?] il realizzarsi - imperfetto e imcompleta - dell'idea di europa. con tutti i millemilacazzi migliorabili, neh? ma come una specie di sintesi tra le diverse -  diversissssssssime - anime di un continente. che è stato il tentativo - è il tentativo - di provare ad ovviare a quel abisso che si è materializzato proprio nel cuore dell'europa. ci hanno provato. ci stanno provando. ci stiamo provando. dopo secoli e secoli a mazzularci con gaia crudeltà e convinzione. ho idea convenga continuare a provarci.

 Alle Menschen werden Brüder

è un'dea stracazzissimamente bellissima. come tutte quel genere di cose belle non è che siano scontate, definitive, o inevitabilmente consolidate. quand'anche nelle versioni un po' più bacate. quindi ovvio si possano correggere gli errori. anzi è roba quanto mai più che auspicabile. specie proprio in questi di tempi. che da un lato mostrano che tutto ciò, appunto, non è definitivo o che ci spetti per diritto divino - in fondo abbiamo avuto un po' più di culo di una fottia di altra gente. dall'altro che le vie comode e semplicistiche, un po' testosteroiche e guerreggianti, per mantenere quella botta di culo non sono necessariamente così argute. anche se questo aspetto è un po' meno chiaro, con la visione mediamente più obnubilata, a cercar di dimosrare di avercolo più grosso e duro. ma resta il fatto che ce l'abbiamo nell'inno, nell'ode.

Alle Menschen werden Brüder

dobbiamo andare oltre, quel soggetto che ha quel verso nell'inno. più ci allarga, più ci si affratella, più è ancora complicato. e ci vorrà tempo e fatiche e rinunce e un gran farsi il culo. però forse è davvero l'unico modo. lo hanno inntuito davvero decenni, secoli fa. i tenori con il rivolo vanno a prendercela quell'idea. che non vola via. e ci si può tendervi.

cose così.