Friday, January 27, 2023

il dovere della memoria

liliana Segre ha commentato con amarezza, al beppe sindaco, che fra qualche anno della shoah non si parlerà più, al più una riga in un libro.

dibattito serrato il giorno dopo col bacchetta, in radio. nel mentre ascoltavo il resoconto meta-verbale, di come l'aveva percepito il luca parena - che può essere si farà strada quel giovine. un po' sfighinz, come appariscenza, ma col moto di simpatia per similitudine, quando lo vidi in piazza.

ecco. il luca parena era in sala alessi, il giorno di quelle dichiarazioni di liliana Segre. ed ha raccontato di quel suo viso rilassato, con quella specie di sorriso che però non racconta gioia. anche il luca parena non è riuscito a capire fino in fondo il senso, l'eventuale disperazione, la consolidata amarezza di quella dichiarazione.

ho pensato: forse lo dice perché è liliana Segre. oltre che: mannaggia se lo pensa davvero liliana Segre.

perché, che saccentello che sono, ho provato ad intuire da lontanissimo, cosa deve passare nella testa di una come liliana Segre. a lei e tutti quelli che come lei sono tornati e sono ancora con noi, presa diretta di quell'abominio. e presa diretta dopo tutto quel tempo, in questo tempo. che poi in italia significa al governo gli eredi, mutatis mutandis [tanto? poco?] di quelli che furono complici di quell'abominio. che ora tutti a dichiarare anche loro fu abominio, con dei distinguo e non detti pelosi e urticanti. e comunquee alcuni hanno il fio di doverlo anche dimostrare, qualsiasi cosa significhi. così il tentativo di intuizione lontanissima e saccentella: cosa debba rappresentare ricordare, farsi memoria. quanto possa essere lancinante e nel frattempo fondamentale. e farlo alla loro età. quindi, per quanto mi spiazzi, in fondo provo a non essere così stupito delle parole di liliana Segre: la gente è stufa di sentire parlare di shoah, e rimarrà forse una riga nei libri. una disperazione che forse è l'eco che riverbera da quei giorni. non ostante è proprio grazie a liliana Segre che centinaia di migliaia, milioni di persone sanno di più di quell'abominio [cit. michele serra]. forse è il senso di quello che liliana Segre e gli altri hanno vissuto, talmente abominevole che, non ostante tutto, alla fine è quel buio nel centro della storia dell'uomo contemporaneo che ottunde. come lo zero in una moltiplicazione. come il contatto che crea il cortocircuito. il contraltare del talmud che vuole che chi salva una vita salva il mondo intero - che abbiamo imparato nella lista di schindler. la sua dualità: per il fatto di averlo pensato ed attuato quell'abominio è perché il mondo è condannato.

oppure, in modo molto meno saccentello, è che se lo pensa davvero liliana Segre c'è davvero da preoccuparsi. non fosse per il fatto che alcune cose riesca a percepirle, molto probabilmente, molto meglio di moltissimi altri. come una specie di riverbazione anticausale. vibrazioni, beeedvaibrescion, che arriveranno, e già lei e quelli come lei, già le sentono. non è escluso possa aver contribuito anche la scorta cui è stata costretta. l'esposizione per la popolarità su istanze che turbano così tanto da scatenare - anche - i peggiori riflessi che ci si porta dentro, per le paure e le difficoltà che non si sanno gestire inconsciamente. il proluvio vomitevole che le è arrivato addosso. anche la retorica benaltrista della grande colpa di non spendere parole sulla causa palestinese. [parentesi. è irritante e vergognoso cosa succede lì. la sopraffazione dello stato di israele nei territori occupati. ma una vergogna oggi non può incrociare il contronto l'abominio di allora. quand'anche dovessi provare reprevovole i silenzi di liliana Segre. ed il mio moto di coinvolgimento verso il senso della memoria è lo stesso che alimenta lo sdegno per quello che accade laggiù. capisco che molte persone non resistano ad evitare di mescolare le due cose, indignati da quello che accade oggi. d'altro canto il presente è più capace di suggestionare il senso di un passato. lo capisco sia complicato tenerle separate. io ci provo e voglio riuscirci].

in definitiva che quelle parole possano effere l'effetto di combinazione lineare di quei aspetti. i fatti smentiranno o confermeranno quello che liliana Segre ha preconizzato. succederà quando lei, e probabilmente anche noi, i quattro-cinque tra chi si scrive e chi si fruisce qui, non ci saremo più.

quindi non è roba all'ordine del giorno.

perché all'ordine del giorno c'è l'impegno ad essere noi l'eco di liliana Segre e tutti coloro che subirono quell'abominio: ebrei, rom, omosessuali, testimoni di geova, prigionieri politici, ex-emigrati antinazisti, disabili, malati di mente.

perché c'è il dovere della memoria. che è tanto semplice quanto necessaria. perché ce l'hanno raccontato chi è tornato [e forse non ci soffermiamo abbastanza a quanto cazzo debba essere faticoso quel raccontare. perché è come riviverlo, ogni volta], per dare memoria a chi non c'è riuscito. se penso al mio ombelico ed alla mia bolla fatico a concepire che lo dimenticheremo. da qui un primo spiazzamento a leggere le parole di liliana Segre: ma come liliana? come potremo mai averVi a noia. il mio ombelico ed io a leggere primo levi quasi quarant'anni fa. con matreme che mi disse una volta visto quel libro regalatomi: è un dono importante. dono in principio poco apprezzato - in quanto libro - ma poi letto e riletto. il mio ombelico ed io, la mia bolla con variegate attenzioni a quell'abominio. ma non certo dimentichi. che guardare appena il proprio naso, aiuta. ma ugualmente gente consapevole ve n'è. e suppongo tanta. anche grazie a quello che è stato e ha fatto [anche] liliana Segre. dare un altro senso a quel senso di colpa di cui parlano molti sopravvisuti: il senso di colpa di essere tornati.

certo. non mancherà la gente annoiata e stufa. per mille ragioni: che voglio evitare di giudicare. e per milleuno ragioni liliana Segre ha tutto il diritto di adontarsene. e forse anche magnificare la sua disperanza. che ogni alzata di spalle è un'offesa, più o meno consapevole, a ciascuna stilla di Umanità ha subito quell'abominio. talmente grande che non riuciremo mai a coglierlo e comprenderlo.

però è stato. e se è stato è perché ne siamo [stati] capaci. e se ne siamo [stati] capaci il titillo del dubbio possa ripetersi non ci deve abbandonare. è il portato del dovere della memoria.

memoria che non si fa da sola. vero. che magari il mio ombelico e la mia bolla sono più memoranti di molti altri. ma non è questo il punto. è che si è un baluardo, verso un dimenticarsi che non dovrà essere mai. e declinando l'altra suggestione di michele serra: importante è che ci sia, comunque tanti o pochi. la memoria la si fa assieme, vero. non fosse altro per essere una comunità che si fa carico - un gioghetto che siamo ben in grando di portarci appresso - di quel dovere, che diventa necessità etica. e per assurdo ne basterà uno solo. è come quell'uno in una sommatoria di zeri. come il baluginio in uno spazio di buio. come la voce che esclama in un campo deserto: sono memoria di quello che è stato e di coloro che lo subirono.

si chiama giornata della memoria, perché imparare a coltivarla è necessità preziosa. perché la si corrobori. per guardare e guardarci in faccia su ciò siamo [stati] capaci di immaginare e di attuare. non abbassare lo sguardo o volgerlo altrove: averne consapevolezza è la condizione per non ripeterlo. farne memoria è baluardo. e poi essere anche noi memoria, l'eco di tutti coloro che passarono in quel gorgo. è portarli un po' più avanti nella storia. finché ce ne ricorderemo è come se vivessero nei nostri pensieri, nelle nostre emozionie: quindi nel mondo. non so se sia come salvarli, come recita il talmud. è però un abbraccio, per quanto simbolico e molto ex-post. non dimenticateci. in questo momento in italia sono rimasti in trenta, testimoni diretti di tutti gli alti. il più anziano ha centodue anni. non rimarranno ancora per molto. è cosa buona et giusta l'esercizio di portarli con noi [da donne e uomini di buona volontà]. è come ci stessimo allenando per quel momento: quando quella causa sarà solo nostra, avanti senza più nessuno di loro. glielo dobbiamo.

portare nella memoria è come se quel tocco di Umanità non fosse stata inghiottita, definitivamente o meno, solo per dare sostanza all'abominio. per portarli nella memoria ne bastano pochi, perché conquistino un pezzo di eternità, nell'immanente del dove e quando noi stiamo. se siamo in molti è financo meglio.

ricordiamocelo. si sia memoria.

 



Tuesday, January 17, 2023

l'abate, e la fiducia

domenica scorsa, a sanndeeiiblussss alla radio, un ascoltatore tra l'iconoclasta ed il pirla, esalava sarcasmo sul fatto che nel suo paese della brianza la mattina avessero benedetto i trattori, grade scampanamento che lo svegliarono. stupore del gatto [luca maria] e del facco [davide egidio] [che poi sarebbero i conduttori, considerato nessuno ascolta quella radiotrasmissione]: com'è che si benedicono i trattori? da lì un proluvio di messaggi di altri ascoltatori: anche qui, pure accà qui, qui anche. poi qualcuno ha avuto la contezza di segnalare si festeggiasse sant'antonio abate. che poi sarebbe il nesso causale, un po' trasformato. magari anche un po' a minchia.

il senso scende da altro.

a sant'antonio si benedicono gli animali: quelli domestici, quelli d'aia e quelli della campagna. vai a capire fin dove arriva la devozione, dove la tradizione, dove il rito apotropaico. un gran misto di roba. che nella brianza a similari declinano, che basta si mantenga la tradisiùn e le origini cristiane. e così benedicono i trattori.

a sant'antonio si fanno anche i falò. la luce del giorno che ricomincia a rubare tempo al buio della notte [nella mia hometown, a sant'antonio, il sole torna a lambire la cima del campanile della frazione che per qualche mese rimane all'ombra]. dalla catasta ardente si sollevano forconate di brace e si osservano le barbe incandescenti, si cercano auspici. e si gira attorno al fuoco, battendo i piedi: si risveglia il terreno si scacciano gli spiriti dell'inverno, che è sotto la neve che rinasce la vita.

tutto a sant'antonio abate. dove è l'intercessione del santo, dove è il fatto sia a metà di gennaio. ma sticazzi.

appunto. la cosa interessante è lo sticazzi. seppure nel mio agnostico fottuto razionalismo scettico. che dismettere il giudizio è una gran bella conquista, che ci si regala molta levità. forse ai tempi avrei canzonato la benedizione dei trattori, o avrei usato sarcasmo a quel particolare modo che patreme aveva di festeggiarlo. con la banda si andava a suonare a cursolo, processione in onore di sant'antonio. sta in cima alla valle. patreme impiegava gran parte del pomeriggio per tornare a casa, molte le tappe negli altri paesi. tutti ad onorare sant'antonio abate. che loro quella cosa, molto probabilmente, hanno fatto a tempo a viverla e viverci dentro molto più di me. magari con molta poca consapevolezza. però il giro delle stagioni, a convivere con i ritmi della terra, ti entra dentro: mica è necessario te la spieghino, con variegate psicopippe come provo ad intuire da lontano io.

la cosa altrettano interessante, nella sua apparente stranezza, è che ci sto tornando magneticamente. e la stranezza è che me ne scappo dalla hometown, per venire nella città dove mi piace stare nel più urbano del posto. e poi, all'occorrenza, vado quasi rabdomantico in un angolo della città dove si festeggia sant'antonio: falò, animali e piedi che battono sul terreno del parco delle cave. come una specie di reminiscenza della famiglia paterna, un richiamo antropologico. [l'amica paola vi è attratta da anni. l'amica paola che è la cosa più lontana mi venga in mente, dovessi associarla ad un contesto che non sia cittadino. eppure ha pure lei questa chiamata, per quanto lei si risparmia le psicopippe].

io, altresì, mi rendo conto di quanto voglia godermi quanto meglio questo periodo dell'anno. proprio questo. come per sentirmi pronto, che è quando le cose [mi pare] ricominciano. per quanto anche i ricominciamenti è pur sempre un fatto relativo. sentirmi pronto. sta cosa ho la sensazione succeda sempre di più mentre più avanzo con gli anni. forse è lo sguardo che si allarga, che le foto col grandandolo che figata.

e quindi osservavo, nella mia agnostica laicità razionalista scettica, lo stendardo di sant'antonio abate. e lo osservavo in quel pomeriggio bigio e quasi di scighera. roba che metterebbe alla prova l'ottimismo dei migliori. e mi son detto che ci vuole una gran fiducia, per quanto ben riposta dalla ciclicità delle stagioni. che fa freddo, è umido e bigio, ma vai comunque a saltare sul terreno del parco delle cave [gNente falò, ma qualcosa che lo simboleggia]. butti un po' il cuore più in là. che tutto ripartirà dopo il freddo [quando faceva davvero più freddo]. che già le giornate cominciano ad allungarsi.

e così mi è tornata in mente l'amichetta. quando mi chiese di farle da testimone. in uno dei momenti più bui degli ultimi anni. ed io nel mio essere paralizzato dentro le dissi, in battuta, di no: non ce la faccio. e lei mi disse: stai tranquillo! e siccome è mia amichetta mica per altro, io comincai a tranquillizzarmi. cominciai a capire che ce la potevo fare. anche se quella non era esattamente la percezione del momento, nulla impediva che le cose, le sensazioni, le consapevolezze sarebbero potute cambiare. fu come aver visto rispuntare da qualche parte il concetto di fiducia.

ecco. con le stagioni è più semplice: è talmente dentro di noi che, in millenni e millenni abbiamo costruite epiche di epiche su questa circolarità. però anche il celebrar l'abate è una specie apertura di credito verso il futuro. anche accompagnandolo con il pffiiuuuuuuu, del pericolo scampato che l'inverno forse non ci avrebbe avuti. è fiducia anche quella. 

in quei mesi credevo di averla persa la fiducia. ed il trucco fu quello di sospendere la disperazione. smettere di pensarla, smettere di pensare. e lasciar che le cose venissero. le si sarebbe affrontatate al momento opportuno.

senza spocchia. ma è il senso profondo non credo sia poi così tanto diverso. seppur arrivando da punti piuttosto diversi. come se su altri piani si fosse mica tanto lontani. e va bene così. lasciar andare il tempo, che danza e circola da sempre: che è come credere alla provvidenza e l'intercessione dei santi, così come mollare la razionalizzazione ossessiva del proprio incedere. un grande salto sospeso nel vuoto. che senti lo stomaco con dentro le farfalle, può quasi spaventarti, ma è fottutamente affascinante. l'ho pure sognata una cosa del genere, la notte prima del falò di sant'antonio abate.





Saturday, January 14, 2023

reazionismi, visto che la vita accade

morire per un arresto cardiaco, sotto sotto, è la morte che tutti si augurerebbero. visto che di qualcosa bisogna pur morire. ovviamente durante il sonno: ti addormenti e nel mentre trapassi, senza passar per il risveglio. certo, c'è il trauma per chi rimane. ma in fondo, ciascheduno pensa, visto a morir son io, che possa almeno augurarmi di farlo senza [quasi?] rendermene conto.

quando succede a ventiseianni però le cose un po' cambiano. che uno si augura l'arresto, ma magari facciamo un po' più avanti, che ci ho ancora cose da fare. figurarsi quando si è nel fulgore della giovinezza, ed un gran tocco di vita hai tutte le ragioni per immaginare d'avercela davanti.

lo ha trovato il fratello minore, riverso sul divano. lo scorso anno era mancata la loro madre. se esistesse la sfiga si confermerebbe il fatto ci veda piuttosto bene.

la nonna di questo ragazzo è nell'inner circle delle scarlampane cui si accompagna matreme. ed è stata proprio matreme a chiamarla al telefono, con una punta di preoccupazione: oggi non è venuta al centro, provo a capire se le è successo qualcosa. come se avesse riverberato in maniera anticausale.

ho capito, dalle esclamazioni quasi rotte dal pianto, fosse successo qualcosa di terribile. ed ho percepito quel suo stupore atterrito quando riceve notizie di quel genere. le capita così da dopo la morte di patreme. ed io è come se intuissi quella voragine che le si apre sotto i piedi, la meraviglia incazzata, risentita, quasi offesa verso il divenire delle cose. come se tirasse fuori la sua spigolosità per mandare affffanculo quel cuneo che il principio di realtà le pone di fronte di colpo. il dosso improvviso che sbarra la strada, lo si affronta veloci e sembra si siano sminchiate le sospensioni.

in fondo la capisco perfettamente. cavalca da tempo, ormai, quel territorio in cui basta che le cose non vadano male, e si può essere più che soddisfatti. e quelle notizie drammatiche, improvvise, le ricordano che tocca a tutti, quindi potrebbe arrivare a cingere qualcuno di molto vicino. e dall'altra parte non ha più nessuna voglia di sbattersi, affrontare situazioni scomode o faticose, né tanto meno obbligate. ho già dato abbastanza, mi ripete ogni tanto, a motivare il fatto si sottragga a situazioni di circostanza, che il super-io bigotto-moralistico che hanno provato ad inculcarle [riuscendoci un po' sì, ma anche abbastanza no] additerebbe come da affrontare.

quando l'ho sentita quasi gridare la costernazione al telefono ho avuto un momento di sconforto pure io. perché intuisco tutto il turbinio che le si scatena dentro. ed in sedicesimi avrei una cazzo di gran voglia che le menate girassero più alla larga. anche quella emozione molto negativa improvvisa, che le è capitata addosso. sì. non mi biasimo il desiderio di zone di comfort.

però poi, durante il viaggio in auto, mi sono anche ripreso un ragionamento durante la prima potatura del kiwi [sarà un lavoro lungo e certosino]. che va bene il desiderio delle zone di comfort. che va bene che non si deve più dimostrare nulla a nessuno. però intanto la vita accade. in tutto il mondo la vita accade. e in certe zone accade ben peggissimo. e se la vita accade significa che c'è il principio di realtà che ci va a braccetto. e guardarlo nelle palle degli occhi senza abbassare lo sguardo, specie quando fa un po' lo stronzo nei nostri pressi, non è cosa da poco.

la vita accade. le sbadte ci sono. alcune sono piccole, anzi la maggior parte sono piccole. matreme si incazza anche per quelle, un po' per lo sbadta, un po' per il timore ne arrivino di ben più grosse. in sedicesimi lo fo pur io [è che sono stanchino di mio]. però poi, in fin dei conti, i conti sappiamo tutto sommato farceli. 

il problema non è in sé il principio di realtà quando fa un po' lo stronzo. il punto su cui porre l'attenzione è che, pur sacramentando, col principio di realtà poi arrivi ad un accordo. si reagisce, insomma. e continui a renderti conto che la cosa ti riesce. è qualcosa che eviteresti volentieri di fare? occhei, e come non darti ragione. ma è la vita, bellezza. e lo si scopre ogni volta che si prende contezza che le menate, poi, è financo possibile superarle. che finisca pure con un cortesissimo gesto dell'ombrello. perché ce la si è fatta. perché si sarà pure stanchi e desiderosi di relacse. ma non toglie il fatto si sia più abili e resilienti di quanto si pensi. tipo il pugile che quello che vince non è quello che va a tappeto meno volte, ma quello che è in piedi alla fine. magari tutto pieno di bozzi e lividi. ma è in piedi alla fine. ci si può concentrare a rimirarsi i lividi, che fanno male e sono antiestetici. si può altresì prendere atto si sia in piedi, stigrandisssimicazzi i lividi, che peraltro passano.

se lo spiegassi a matreme son certo abbozzerebbe. magari dissimulando l'effetto della suggestione positiva e costruttiva. facendo finta di non darmi del tutto ragione. un po' per quel riflesso pavloviano a non concedersi dei "sono stato brava" [pensa te che danni può fare un brodo di cultura disfunzionale in cui cresci]. un po' perché son sempre la sua creatura. la pedagogia di ritorno, da figlio a madre, non è così semplice da accettare. anzi. ma non giudico più, a riguardo. anche per evitare, in un universo parallelo, di finire parimenti giudicato da parte delle mie di creature, che in questo universo non ho avuto. [e comunque la vita accade anche in quell'universo parallelo].

Wednesday, January 11, 2023

le palle, per essere stronzi [epiteto binario e maschilista, ad un governo guidato da una fratella]

[disclaimer: questo post non considera la complessità globale del fenomeno migratorio. mica non lo sa che esiste. ma lo ignora anche in considerazione la stronzaggine di chi ci specula politicamente sopra.]

nel millenovecentonovantanove l'anna era l'unica, a mia conoscenza, che usasse C6 con soddisfazione. ci avevo provato, ma nulla. non mi cacava nessuno. l'anna no. magnificava di conoscenze interessantissime ed umanità pazzescamente bella da incrociare, seppure attraverso una chat. una sera ci disse: pensate, ho avuto modo di parlare con un premio nobel, che emozione è stata. minchia, anna, dai, conta un po' su. eh, niente, qualche giorno fa ho chattato con un medico che lavora per medici senza frontiere, ora che hanno dato il nobel per la pace a quella organizzazione, chiunque ci lavora è un po' come se il nobel fosse stato assegnato anche a costui. iperbolico come sillogismo, da sempre una caratteristica dell'originalità dell'anna.

era il millenovecentonovantanove. l'acronimo oennegggì non era ancora diventato sinomimo di gente poco raccomandabile, lestofante, che sicuramente non ce la contano giusta e sono in combutta con qualcuno. un rovesciamento di termine, una carpiatura culturale. han fatto un bel lavoro, non c'è dubbio, son stati abili.

anche perché mi piacerebbe chiedere oggi all'anna: anna, che ne pensi di medici senza frontiere? o delle ong che salvano i naufraghi nel mediterraneo centrale. dubito riporterebbe di quell'emozione che provò ormai quasi un quarto di secolo fa. potrei sbagliarmi, ma dubito. o forse argomenterebbe con il benaltrismo: operare in scenari di guerra buono, far da taxi del mare [cit.] ad immigrati clandestini nobuono.

mi è tornato in mente questo episodio, del nobel per sillogismo, ragionando sull'incazzo intimo che mi provoca quella inutile cattiveria che è il nuovo codice di condotta, cui devono attenersi le organizzazioni che effettuato searchandrescue nel mediterraneo centrale.

perché non c'è assolutamente nulla di utile a dover rientrare subito dopo un soccorso, senza aver la possibilità di effettuarne un altro [dovesse capitare che fai:? li lasci lì? se li soccorri ti sanzionano con decine di migliaia di eurI? ti sequestrano la nave?]. non c'è nulla di veramente funzionale essere costretti a recarsi in porti sicuri a quattro-cinque giorni di navigazione, molto più a nord. che poi significa, al netto dei costi molto più alti, otto-dieci giorni lontani dalle zone sar. che significa molti potenziali naufragi in più, che poi significa potenzialmente molti morti in più. che sarà solo potenziale: ma ogni cazzo di creatura che finisce in fondo al mare è uno sfregio all'umanità. lì si muore. e si morirà di più per una cattiveria totalmente inutile.

è già uno scempio questa cosa qui. basterebbe e avanzerebbe.

poi c'è il perculamento, peloso e meschino. le giustificazioni: sicurezza dei confini nazionali, regolamentazione della condotta, razionalizzazione della gestione dei migranti. che poi la guardi meglio e si nota che: i migranti sbarcano a prescindere le ong, sono manovre ostative a costoro, il processo di gestione logistica ha più senso concentrarlo dove arrivano comunque in maggioranza, non sparpagliarlo per i porti dell'adriatico o del tirreno. ed il pull factor so ben io dove lo pullerei, nel suo essere una minchiata ripetuta ogni piè sospinto.

gli effetti saranno: più gente a morire in mezzo al mare. e la giustificazione è che lo fanno per migliorare il tutto. come se tutti fossero davvero così rincoglioniti da crederlo.

non hanno nemmeno i coglioni per acclarare quello che sono: stronzi, che se muore più gente, pace. ovvio che poi lo chiamano carico residuale.

dice: eh, ma mica puoi confessare una bassezza del genere, un approccio così criminoso. al netto che forse nemmeno riescono a confessarlo a lor medesimi. e questo mimetismo, con le sovrastrutture con cui ci si maschera, poi ovvio che crei dei fuori bolla mica da ridere. anche perché mi piacerebbe essere lo specchio di uno di costoro, ad intuire l'effetto che fa, quando la sera si sciacquano la bocca dopo avero lavato i denti, alla fine del giorno dove hai decretato, che ne so, sbarcateli ad ancona e fottesega che sono quattro giorni in mezzo alla tempesta. lo specchio che cattura quello sguardo, che si guarda nelle palle degli occhi e sfugge, magari, il pensiero: diommmmio, quanto son stato stronzo a far una cosa del genere. poi si sbattono le palpebre, breve scuoter la testa e si rigetta il pensiero. il viso si rilassa, come lo specchio può confermare: ahhh, che sollievo, che mi è saltato in mente per quell'attimo, pussa via, sciò, che domenica potrò fare sereno la comunione.

che poi, forse non è nemmeno questione di [sola] stronzaggine. è una questione di cinica narrazione delle cose. tutto quel blocco imperante si è fatto eleggere sbandierando quelle istanze. che sanno rassicurare un antro nascosto della nostra ragione. rendono più accettabili le cose che si fa più fatica a confessarsi. che abbiamo nel retrocranio l'idea del mammaliturchi. il neghèr che fa paura, in quando così diverso. se qualcuno liscia il pelo a quei riflessi, forse nemmeno troppo consapevoli, non è che aumenta la sicurezza in sé. e che così disturba meno l'idea di sentirsi stronzi. che ci vogliono i coglioni per prenderne atto. se il potente fa quelle cose lì, le giustifica con deciso puntetitudine, significa che è un po' stronzo come il cittadino medio, che son io. ed è un po' meno complicato prendere atto sia così. se lo fa lui, che dovrebbe essere "meglio" di me, molta meno tensione interiore, lo sbadta per certi pungoli piace poco. tutta roba che scorre forse un filo [o molti fili] sotto il livello di consapevolezza. ma son convinto ci sia.

ovvio che poi è più placidante l'idea che le ong, qualcosa di losco, devono per forza averlo. così che non possano farmi la morale, a me che sto in pantofole a farmi i sacrosanti cazzi miei. voi fate cose che io non ho il coraggio, o la voglia di fare, che preferisco il culo al caldo e comodo. ma avrete sicuramente qualcosa da nascondere. quindi muti, che siamo tutti simili nella mediocrità.

quindi ha un senso quel codice di regolamentazione. dagli a chi fa. visto come siamo integerrimi con costoro? d'altro canto un qualcosa per cui se le sono meritata, a prescindere, di sicuro ce l'avranno. ovvio che poi ti inventi il pull factor della minchia. per non dire - visto che non [te] lo puoi dire - anche solo per la rottura di coglioni del pungolo. che così, visto che se lo meritano, pungoleranno di meno. noi inflessibili a decretare norme, quindi definire cosa è legale e cosa no.

cosicché si è incurantemente stronzi e perculanti. incuranti del diritto internazionale, della legge del mare e dello iato che può venirsi a creare tra legalità e giustizia. che poi è la cosa più peggiore in cui può incappare chi governa.

figurarsi se per tutto questo moriranno ancora più persone.

esistesse quel dio che sbandierate sarebbe interessante vedere come ve la farebbe spurgare, tutta quella stronza, inutile cattiveria. che va bene l'infinita misericordia, ma davanti al perculamento se ne potrebbe mettere da parte una certa infinità. e giù qualche legnata, misericordiosa ovvio.

Friday, January 6, 2023

inconsapevolezze di latinloverismi

erano tre sorelle. la mezzana l'ho sempre trovata di una bellezza magnetica. non che non si somigliassero. ma la mezzana aveva quel non so che, che dovevo abbassare lo sguardo dall'imbarazzo di farmi sgamare.

il paese è piccolo, ma per anni non mi sono accorto di lei. da una parte la mia partecipazione claustrale uterino-oratoriana, che la mezzana non frequentava, con il prete e un'altra adulta a sabotare la mia sfera affettiva - probabilmente con l'inconsapevolezza di tutte e tutti, la mia di sicuro. dall'altra la mia ossessione compulsiva verso un paio di personaggi [mica contemporaneamente, ovvio], oltre un paio di altri innesti temporanei [mica contemporaneamente, ovvio]. una delle compulsioni ossessive ci ha anche messo del suo: le titillava l'ego il fatto la corteggiassi zerbino e la desiderassi, ben sapendo che mai mi si sarebbe concessa. poi dice che alla fine si sentiva l'epigono della rejezione erotico-sentimentale.

e quindi niente. ad un certo punto mi accorgo che c'è questa ragazza, che figurati se avrò mai il coraggio di parlarle o di immaginare chissà che. a dire il vero non era l'unica. al paesello ce n'erano un altro paio. per cui provavo un'attrazione totalmente irrazionale. ma lei, intuivo, avrebbe avuto financo cose da dirmi.

erano anni di passaggio e di ridefinizione. il prete che se n'era andato, la partecipazione claustrale uterino-oratoriana che svaporava. quindi la tensione dentro che mi avrebbe portato all'apostasia, all'agnosticismo. finita l'università, cominciare a lavorare e costruirmi un futuro. quel momento in cui si dovrebbero mandare al massimo i motori, in principio della pista di decollo, dare il la al rullaggio e spiccare il volo. e invece mi sentivo piuttosto sbarellato dentro, a cominciare dall'aver capito non me ne fregasse poi così tanto di fare l'ingegnere. anzi. non li ricordo esattamente come anni semplici e sereni. corcazzo.

e poi c'era il pungolo della compagna. anzi, a pagar il fio del paradigma sociale piccolo borghese: la moglie. la nuova ossessione era metter su famiglia, costruendo finalmente una relazione con una donna che non mi si negasse. cosa che da una parte desideravo ardente [in tutti i sensi, capiteammmè], dall'altra pensavo: ma ci sarà mai qualcuna?

in quel periodo sarei venuto via con poco. non dico la prima che passasse, ma quasi. avrei idealizzato la situazione e poi sarebbe successo quello che doveva succedere. scornandosi con il principio di realtà: gli amori eterni non esistono. si sarebbe trattato di prenderne coscienza, affrontandolo con intelligenza e maturità, oppure facendo naufragare il tutto, oppure -la peggiore delle tre - facendo finta di niente e mantenendo una facciata da separati in casa.

sarei venuto via con poco. ed avrebbe dovuto arridermi il caso: incrociare qualcuna con cui affrontare insieme il resto, intelligente e poco stronza. ma sarebbe stato solo una questione di caso. ero troppo rincitrullito ed ossessionato a cercare qualcuna che mi volesse bene.

ogni tanto, timidamente e quando si creavano i presupposti, provavo a sondare il terreno. la prescelta però intuiva il peso emotivo con cui caricavo il tutto. e si dava. ed io mi sentivo ancora più rejetto erotico-sentimentale. e più mi incaponivo.

poi ovvio che prima o poi uno finisca da odg.

con lei, con la sorella mezzana che tanto mi magnetizzava, nemmeno mai presi in considerazione la cosa. mi imbarazzava troppo, non la conoscevo così bene. e poi me la ricordo più o meno sempre già fidanzata. quindi figurarsi. facevo disastri con quelle libere. era fuori dal mio orizzonte degli eventi immaginare una cosa simile con una già accompagnata.

però nulla: ogni volta che la incrociavo, se già ci si riusciva a salutare, era sempre una specie di sguardo tra l'ammirato ed il perso, che nemmeno riesci ad intuire di iniziare il pensiero che possa essere. cose così.

credo che alla sorella più grande la cosa debba essere arrivata di sguincio.

la sorella più piccola invece se n'è andata, quando mai dovrebbe accadere. e da lì posso immaginare il riverbero di quel dolore contronatura, oltre la mancanza per sempre a delle creature. l'ho scoperto solo mesi dopo. con l'imbarazzo ex-post di averle magari incrociate, ignorando quel loro punto angoloso.

tutto questo di colpo tornato così prepotente alla memoria. l'amica sonia mi ha raccontato della combinazione che non ci fu. che la sorella mezzana si era ben accorta di me. e non solo. aspettava un mio cenno, una qualche mia iniziativa, un impeto proattivo. insomma: avrei dovuto fare.

ed invece non feci, per il semplice fatto mai avrei pensato di poterlo osare. troppo imbarazzato a sostenere quello sguardo. e quel suo fidanzato è poi divenuto marito.

quando l'ho sentito raccontare dall'amica sonia mi ha colto un moto di grande empatia verso quel me di qualche lustro fa, così scombinato dentro. non che adesso sia del tutto in bolla. però qualcosa nel frattempo - e per fortuna - è stato messo più in ordine. e non solo: con quel racconto è venuta anche una piccola botta di autostima, per quanto ex-post, che comunque non guasta.

poi è vero. non ci sono storie belle come quelle che non hai vissuto. e può anche essere che, presa confidenza con la fascinazione magnetica di quello sguardo, avrei capito che non era cosa. così come, ovviamente, avrebbe potuto capirlo lei: a regazzzzzzì, ma tu così contorto, complesso, intorcigliato mi sei? a pensar cose talmente alte, in modo così sconclusionato da non tener i piedi per terra, con quei periodi così lunghi, pieni di subordinate e senza usare le maiuscole dopo il punto? ma vaaaa a ciappà i ratt.

nel mentre mi è tornata in mente una cosa. un sospetto che ho sempre avuto su di me medesimo. capisco non sia la [auto]pubblicità più azzeccata, che poi è ovvio che le donne ti girino alla larga, alla fin fine. a meno che non siano follemente innamorate di me medesimo: dove la follia sta nel fatto si innamorino di me, intendo. [poi c'è la storia di quando sono fuggito io, ma a 'sto giro lascerei perdere. al netto del fatto ora non vengo proprio più via per un cazzo. ma filtro le persone manco uno snob aristocratico con la puzza sotto al naso]. 

ed il sospetto è che abbia una qualche carenza instintivo-evolutiva, che mi sfavorisce la stocastica. provo a spiegarmi, semplificando partendo dal "basso": io sono anosmico, non sento gli odori. se fossimo nel regno animale senza coscienza del sé, non avrei modo di capire quando è il momento di corteggiare una femmina. e quindi non mi riprodurrei. dal punto di vista evoluzionistico tornerebbe. crudele, secondo la nostra sensibilità di esseri con coscienza del sé, ma funzionale: la tara anosmica - potenziale - si fermerebbe senza correre il rischio di propagarla alla prole.

ora noi siamo qualcosa di un po' più strutturato, per fortuna. però, ecco, ho compulsato l'idea che non aver [quasi] mai capito certe cose, lasciato andare occasioni che tanto non mi vuole, sacrificato i rimorsi sull'altare dei rimpianti, fatto la figura dell'asino piuttosto che del porco, cozzato quasi volontariamente addosso situazioni improbabili per destrutturare la mia autostima. tutto questo è come una specie di carenza istintivo-evolutiva [una volta avrei scritto: tara sociogenetica]. tutta roba che non mi ha aiutato. e la stocastica ha fatto quel che è stata messa in condizione di fare, con molta più probabilità: cioè singol impertinente, con addosso a tratti la sensazione di incompletezza.

mi manca, ogni tanto, il fatto di non aver potuto crescere delle creature. ho fatto pace con la solitudine, tanto più che offre un sacco di possibili alternative [sarebbe scaltro sfruttarne qualcuna in più, ma è altro discorso]. però l'abbraccio di un'altra persona unica, che ci siamo scelti, ogni tanto desiderei mi cingesse. tanto più dopo il piccolo sconbussolamento di un paio di mesi fa.

tutto questo non è venuto non perché non sia fortunato in amore. perché la sfiga e la fortuna non esistono. e siamo persone fottutamente privilegiate a prescindere. tutto questo non è venuto perché ho messo i bastoni fra le ruote a me e al caso, senza saperlo [per un sacco di tempo] e senza volerlo [razionalmente]: carenza instintivo-evolutiva, appunto. non esattamente un mostro di abilità a costruire e gestire le relazioni, nessuna creatura da crescere. probabile avrei fatto qualche casino, come tutti i genitori. è ancora più probabile sarei riuscito a passar loro qualche suggestione importante, come quello che son riusciti a fare i miei, non ostante tutto. di certo ne sarei stato travolto sentimentalmente, come la cosa più unica da preservare e aiutare a farsi largo in questo mondo, moderatamente pieno di mmmmerda, ma pur sempre destinato a far sì sia un posto migliore.

l'amica sonia mi ha ricordato come mi sia dimostrato un latin lover inconsapevole. io non so dove finisca l'inconsapevolezza e dove inizi l'essere un po' rincoglionito e/o pirla. in fondo il confine è molto labile. ma non me ne farei troppo un cruccio. alla fine andò così e c'è poco da recriminare. anche perché serve a poco. molto più utile far tesoro anche di questo: che tutto concorre a farci un po' meno storditi o stronzi, se lo si desidera. quello sguardo magnetico mi imbarazzava. forse perché, in modo totalmente incosapevole, percepivo quel mio essere corrisposto: roba che forse mi spaventava, che non serve saperlo consci.

e quindi le cose andarono.

aver fatto pace con quella istanza è una gran bella soddisfazione. al momento solitaria, ma pur sempre soddisfazione. chissà che effetto fa condividerlo con un'altra.

Tuesday, January 3, 2023

pacifismi che non t'aspetti

l'amico emanuele mi ha condiviso un podcast. "è tornata la guerra in europa", intervista a vittorio emanuele parsi. io, il parsi, già lo conosco un pochetto. ogni tanto è intervistato alla radio. l'ho ascoltato presentare l'ultimo libro della mannocchi, a casa sua - sua del parsi, intendo - alla aseri della cattolica. che non mi stupirei se qualcuno della nuova classe dirigente uscisse anche da qui.

il parsi, di fatto, presentava/raccontava/promovueva il suo libro, il posto della guerra, invero interloquito per bene dal conduttore - voce molto radiofonicamente attizzante. il podcast dura quarantacinqueminuti, è bello pregno. un sacco di cose interessanti, schiettamente interessanti. roba che forse impiegherei quattrocentocinquanta post per concentrare quei concetti. d'altro canto parsi fa il parsi, io sono uno che vagola a capire bene che fare della sua esistenza.

quello che ha colpito l'amico emanuele e me, in maniera indipendente, è la questione un po' intricata tra il pacifismo e questa situazione puntuale [l'aggressione della russia di quel figgghieeandrocchia ad uno stato indipendente e democratico, non ostante le pezzottature interne del paese democratico e le minchiate internazionali a corollario [perché per la mia mente semplice c'è un aggressore ed un aggredito, anche se 'sta cosa mi è stata un po' maramaldeggiata, ma me ne farò una ragione]]. questione che peraltro io non sono ancora riuscito a risolvere del tutto, inteso come presa di posizione serena e definitiva. che di per sé non è nemmeno una questione così cogente. credo possa pensare lo stesso l'amico emanuele. perché si dà il caso che, né lui né io, si sia chiamati a decisioni fattive di gestione politica, con implicazioni internazionali. però è pur vero che tra il construtto delle nostra educazione sentimentale, e la tensione a certe prese di posizioni, un qualche elemento interlocutorio interiore lo generi. per non dire, se penso a me, a come [ri]collocarsi nel comune sentire di realtà, associazioni, situazioni che magari - magari - potrebbero eccepire. che da una parte potrei mostrare il palmo della mano e suggellare un 'stigrandissssssimicazzi. però l'elemento intimo-interlocutorio mica evaporerebbe, sccciufff, così d'amblè.

ascoltando quel podcast mi è sovvenuta un'immagine ed una similitudine. roba abbastanza variegata.

l'immagine: un arabesco di guano [o merda, se si vuol essere più intensi] ad arabescare un prato. e provare a prendere posizione, topologicamente, significa attraversare quel prato a trovare una posizione, appunto. con dei piedoni grossi, che comunque ti muovi, dovunque cammini, del guano [o della merda] la calpesti. inevitabile.

la similitudine: il concetto di giustizia, coerente con meravigliosi ideali, è come la misura della lunghezza della curva di von koch. e il ragionare intellettivamente onesto prova a misurarla, ma è capace di farlo in soli due modi: o considerandolo come segmento monodimensionale, oppure come superficie nel piano. in un modo è lunga infinito: quella linea può articolarsi ad libitum per autosimilarità, non ce la fai a misurarla tutta. nell'altro misura zero: è un segmento, non una supercifie chiusa. la misura finita della curva di von koch 'sta in una dimesione frattale, bello. mica pizzaetfichi.

capisco che il guano, forse, arriva prima, come figura. e sono arzigogolato nel semplificare con le similitudini. d'altro canto, ho ben quattro lettori. oddio, forse tre.

perché appunto cammino con i piedoni nel giardino arabescato, oppure tento di misurà 'sta curva di von koch. quindi pesto guano e non riesco a tirar fuori un numero.

perché nel pacifismo e nella non violenza [almeno anelata] io ci ho davvero sempre creduto. anima bella che se cerchi degli ideali, punta in alto. poi mica ci riesci del tutto, ed è probabile che i modelli per la maggiore della società ideale ti perculino: ma tant'è. ci credevo, anche se era funzionale a strutturar il mio essere, per quanto l'ho capito solo ora. e non mi sfugge quanto fosse un po' banalotto quel fulgore che in fondo ostentavo.

però al colloquio per andare a costruire i radar ho convintamente deciso di non recarmi. poi magari manco mi avrebbero preso, neh? però saran pure state tra le cose più fiche si era studiato, ma quei cazzo di radar li montavano sugli aerei da guerra. va bene il titillo, poi però c'era un po' il senso di coerenza.

quindi figurarsi come mi rasserena la storia della fornitura delle armi all'ucraina. con tutto il gran ballo delle ipocrisie che gli girano attorno. l'europa [ie l'espressione di alcune cancellerie dei paesi più importanti] che si fa prona della nato e degli steits, e quindi manco ci prova a farsi parte terza: la condizione necessaria per promuovere negoziati. che difatti si è nelle mai dei turchi [ie, del suo satrapo] e dei cinesi [ie del suo satrapo e del comitato centrale] che provano a far i volonterosi della pace. pigliare il gasssse dalle navi container che arrivano dall'altra parte dell'atlantico, oppure pacche sulle spalle alle satrapie del golfo, di colpo così amiche [dando del criminale al figgghieeebuccchine, che è come far gli scandalizzati davanti al bue dicendo: visto quell'asino quanto è cornuto?]. per non dire di tutti gli arsenali pieni di roba un pochino desueta, che cosa c'è di più comodo che una guerra da far guerreggiare - toh, ce n'è una nel cuore dell'europa - per svuotarli ed avere l'occasione per riempirli di nuovo.

e poi mica mi sfuggono le contraddizioni. una retorica guerrafondaia per speculazioni politiche. la banalizzazione che l'ucraina sia la culla di una società libera, aperta, all'avanguardia sui diritti, a partire dalle classi dirigenti. che lo scontro è forse anche di civiltà: tra democrazie liberali e autocrazie reazionarie. ma in fondo è roba di contrapposizione economica e ridefinizione delle sfere d'influenza. e, di nuovo, il gran brindare delle lobby che producono i sistemi d'arma: che chissà che panettone e che spumante per natale al nuovo ministro, per quanto, come succede là dentro, valore massimo del regalo accettabile cinquantaeurI [per intenderci il personaggio è quello che nella retorica mainstream prima fonda un partito con la fiamma nel cuore. poi un po' sparisce dei radar [termine non a caso]. quindi pochi mesi prima del trionfo del partito che ha fondato ricompare in tivvvvvù e nel sottopancia c'è scritto imprenditore: che fa rassicurante e che proprio non lo diresti uno con un cuore di fiamma. che poi si dimette per diventare ministro appunto. per quanto - ovvio - è pura combinazione che poco prima imprendesse nell'associazione delle industrie che fabbricano armamenti. guarda a volte il caso. [e comunque le armi le stiamo inviando già da prima]]. per non dire, giù giù, a certi toni di certa stampa mainstream, con un'ostenzazione, anche pruriginosa, degli effetti di questa guerra. quando non  diversamente dispiaciuti, se i morti sono soldati russi. [però forse sono in malafede io, neh?].

tutta 'sta roba per infilarsi poi nell'interstizio del: sì, ma se tutto questo non ci fosse, l'ucraina sarebbe stata già conquistata da un bel pezzo. che peggio della guerra c'è una guerra dove l'aggressore vince, con la tracotanza di spacciare per pace una non belligeranza, imposta da chi stava prima in altri confini. al netto della declinazione del gheicorculodeglialtri, che vale anche in questo caso. figurarsi se non vale. che poi sarebbe: io, se fossi tra gli aggrediti, come mi comporterei? continuerei ad essere un pacifista e non violento? oppure quelle armidimmmmmerda non le desiderei come la cosa più importante per difendere il luogo dei miei padri [e madri]?

è un bel dilemma.

che da un parte mi mette quasi prossimo [ma proprio quasi, neh?] a personaggi, circostanze, ambienti, territori, da cui starei pervicacemente in ben altri luoghi. roba, per intenderci, che la cosa più accettabile è carlovuinstoncalenda, che arringa quelle poche centinaia di persone all'arco della pace, manco fosse alla recita della scuola ad impersonare vuinston, e il paese sotto attacco fosse la terra dove ristà il centro più profondo del suo cuore.

ma soprattutto c'è l'altra di parte. dove mi trovo in contrapposizione, interiore e fastidiosa, con gran tocchi di mondo che altresì hanno le idee apparentemente più chiare. al netto che a volte l'articolo 11 della Costituzione è citato un po' a cazzo. al netto che bisogna essere equidistanti perché l'ammmmerica nel vietnam, in afghanistan, in irak e l'imperialismo iuessssssei, poi 'sto neoliberismo che aumenta le diseguaglianze [tutto vero neh? ma insopportabile benaltrismo].

[tralascerei le provocazioni nato. lo "e allora che in ucraina si parla russo, quindi non esiste". le tensioni nel donbass, il battaglione azov, la strage di odessa. non che non siano parte della questione, figurarsi: ma quando si invade un altro paese, il paradigma diventa tutto un altro]

al netto del sentiero stretto e frattale pure nel discorso del PdR, tre giorni fa: una pace giusta, che chissà quante cose più a favore dell'umanità con i soldi buttati in armamenti. bellissimo. e come non volergli bene al PdR per questa sintesi di istanze così alte e onuste di buon senso. lo abbraccerei.

e poi c'è il principio di realtà che sommessamente, mentre abbraccio il PdR, mi tocca una spalla e mi ricorda: quale delle due?

  • se è pace giusta [confini prima del 24 febbraio 2022? prima del 2014 con la crimea di nuovo ucraina?] occhei, perfetto. allora bisogna sparare ancora un bel po'. morti, feriti, distruzione, dolore diffuso ed un sacco di soldi in fumo, tanti soldi;
  • se ora, da adesso, permutiamo armi con grano e cose utili a tocchi di umanità è bellissimo. però un pezzo di ucraina non sarà più ucraina. è quella che si puote considerare una pace giusta? e soprattutto: lo decidiamo noi gheicolculodegliucraini?

vittoio emanuele parsi [se ce ne fosse bisogno] mi ha reso parco di certezze indissolubili e scontate. chissà cosa direbbe ora di me il fustigatore di scelte non radicali che ero me, qualche lustro fa. quello che provava a discettare di obiezione di coscienza, con uno stile un po' ampolloso, in una lettera al direttore de l'alpino [che leggeva mio padre], [quella lettera la lesse amche l'amico daniele e ne rimase colpito [sempre non mi abbia perculato già allora]. fu un momento di orgoglio].

non mi mancano mica gli ideali. è che ho scoperto siano infrattati nelle dimesioni frattali. e cerca di dominarli, di incarnarli tu, che vivi un banalissimo spazio-tempo verosimilmente euclideo. prova a prendere posizione, poi ti si imbrattano i piedoni di guano. ed intorno, tronfi, quelli che ne se ne stanno ben seduti sui bordi a perculare "gli interstizi delle suole delle tue scarpe sportive nuove" [semicit.]: chi ti dice "aaaaadebosciato amico del tiranno", chi ti dice "povero ingenuo, ignori la complessità, mo te la spiego io, e comunque servo del capitale neoliberista, punto".

quindi sì. si rischia di rimanere un po' più soli. o un senso di estraneità verso coloro con cui si son condivise passioni ed ideali. non riconosci più del tutto alcuni con cui hai abbracciato, in modo figurato o meno, in altre istanze in passato. appunto, un po' più soli. [roba non poi così drammaticamente diversa da quel che accadde con la questione antivacse, che era un discettare di gente col culo più o meno al caldo. in questo caso ora muoiono persone ammazzate per la follia di pochi, civili con privazioni e difficoltà che levati, mentre i nostri culi continuano a stare sempre al caldo. e non solo per modo di dire].

è uno degli effetti della complessità oltre che la suggestione a ri-declinare quella idea di pacifismo e non violenza di gioventù. un po' meno passando per i massimi sistemi che si salva l'umanità ed il mondo. che a sognare di volare alto poi è un attimo ad averci la scusa pronta per non averlo fatto: emmmmminchia, hai mica visto quanto dovevo salire fin lassù? no. declinazioni più semplici. da piccoli passi che si possono fare. partendo dalle mie tenerissime miserie. piccoli passi per vivere meglio nell'esserci con gli altri. tipo magari cercando di espuntare il giudizio nel modo di pormi e pensarli, gli altri. oppure. provando a considerare ciascuno degli altri, a partire dagli effetti del mio esserci o dai suoi cazzi più o meno ontologici. oppure che non è aut aut, ma il più coinvolgente dei vel vel.

non riesco a risolvere serenamente la questione degli armamenti, acciocché il popolo ucraino possa difendersi. però non desidero altro arrivi il momento di inviar loro tutto quel che servirà per ricostruire nella pace. per loro, ovvio. sulle mie tensioni interiori, a quel punto un po' più risolte, estigrandisssssimicazzi.

[perché, in fondo, continuo ad essere un irrisolto privilegiato].