Monday, January 27, 2020

l'umanità perduta e rimossa [e forse le stille]

e così mi è venuta in mente una cosa tipo dorian gray.
però moltiplicata per milioni, miliardi. in cui non c'è di mezzo l'apparente giovinezza che non scolora, i ma pezzi di umanità rimossi, distaccati, ripudiati, nel mentre si continua a sembrare uomini, mentre donne e uomini non lo si è compiutamente.
è giornata della Memoria.

mi è venuto di pensare ai carnefici, ai complici, agli indifferenti di allora. perché accadde quello che fu, l'indicibile e l'inimmagibile, poiché qualcuno fece, agì, non impedì.
coloro che se non ci fossero stati, non ci sarebbero state le vittime, i sommersi. coloro attraverso il quale l'incidibile e l'inimmaginabile divenne: immaginato e da raccontare.
e poiché quello che è stato può ancora essere, mi è venuto di pensare giù giù fino ad oggi, ai giorni nostri. ed ho pensato a coloro che rimuovono: osannando, giustificando, negando, ignorando volontariamente quel che accadde allora. tutti coloro che non provano vergogna, orrore, repulsione per quello che fu. portatori del virus patogeno, che può scatenare una nuova epidemia dis-umanizzante.
la cosa tipo dorian gray, quindi, moltiplicata per milioni, miliardi.
ho pensato ai pezzi di umanità dismessi, strappati via, da tutti coloro che agirono, fecero, non impedirono. come se per ogni azione, per ogni gesto, per ogni pensiero che permise tutto quello, un pezzo di umanità che tenevano dentro volasse da qualche parte, lontano da loro, per sempre.
e giù fino ad oggi, ai portatori del virus patogeno. che non agirono allora, ma che oggi, pur avendo avuto la possibilità di conoscere e sapere, rimuovono. tocchi di umanità che se ne va, strappata via da loro per ogni pensiero assolutorio, gesto osannante, negazione disonesta, indifferenza ignava.
ho provato ad immaginarmela quell'incommensurabile quantità di umanità, rimossa, allontanata, reietta da tutti i carnefici di allora e portatori del virus patogeno di oggi. accumulata chissà dove, e persa per sempre? impalpabile e inutile? spreco e pensiero annichilente?
non so se ci sia riuscito.
o forse è di nuovo quell'idea che mi fluttua dentro da tempo, e che declina in vari modi. anche in modi eterodossi, o forse un po' eretici.
tipo questa volta. cioè che quell'enormità di umanità rimossa, dismessa, strappata via, allora come oggi, fluttua. carica di possibilità, potenza che attende solo di farsi atto. e quindi stille vengono intercettate, raccolte, introiettate chissà come da tutti coloro - donne e uomini di buona volontà - che desiderano, pensano, agiscono, fanno, si adoperano, acciocché quello che è stato non torni ad essere possibile. in millemilamilioni di modi diversi.
coloro che dalla memoria, dal ricordo, costruiscono tocco a tocco ed inevitabile le difese immunitarie dell'intelligenza umana, contro i virus patogeni che l'umanità vorrebbero annientare.
ed acchiappano, forse inconsapevoli, stille di quell'umanità dismessa, reiettta, gettata via, che forse è ammassata enorme da qualche parte. desiderosa solo di tornare in circolo.

ed anche con quelle stille ci siamo per ribadire, ricordare, celebrare la complessità dell'uomo che si fa un culo pazzesco per tendere al bene, da contrapporre alla banalità del male.

Sunday, January 12, 2020

se son di umore così così non scrivo [semicit.]

quando sono dentro le buche profonde, scrivo. giaculando, spesso.
quando sono ben fuori le buche, scrivo. logorroico, spesso.
se facessi un rapporto tra le due tipologie ne verrebbe fuori un razionale impietoso. quasi offensivo per la razionalità. quella che mi arrogo di elevare quasi a dea [laica] al pari dell'esser scettico.
quando son di umore così così, in effetti, non scrivo molto.
poi.
potrebbe c'entrare la faccenda che sono ancora, di nuovo, stanchino. in effetti era un po' che non lo scrivevo. quindi c'è di mezzo questo filtro, un po' bias, un po' patina che trascolora, opacizzante.
quindi osservo il futuro anche prossimo, che mi si mostra con quel filo di ansia o di inquietudine. e taglio via, zzzzzzaccchete, le possibili implicazioni positive che i potenziali cambiamenti recano seco. come se proprio non esistessero. come se i possibili cambiamenti non fossero altro forieri di robe per incasinarmi [e peggiorare?] le cose.
sì, insomma, sono quel filo spaventatino.
non è propriamente l'approccio di uno che ha finito la psicoterapia. o forse sì. solo che il come gestire questa infilata che - razionamente - mi è chiarissima, un po' mi sfugge.
perché è piuttosto probabile che cambiamenti ce ne saranno. alcuni saranno perché ho messo io la freccia, virato il timone, spostato il baricentro da una parte. altri perché le cose succedono, fuori dal nostro controllo.
una cosa che poi mi succede in questi mentre, ohibò, è che torno a far un po' a cazzottelli con l'autostima. peraltro effetto collaterale nemmeno così originale. autostima che sento che è tipo il gruviera. e quindi ora è il momento del buco. una delle declinazioni più eteree, della fase del buco del gruviera, è quella che acccade quando scorro col ditino le notifiche che il signor feisbuch decide debba leggere, e mi sento un po' inadeguato. tutti così felici, precisi, selfizzanti, sicumeri, analisti impeccabili del divenire delle cose, prosatori puntuali che hanno colto il punto su più o meno tutto lo scibile, e puntuti è come se mettessero dei punti esclamativi in fondo ad ogni sentenza.
la reazione più serena dovrebbe essere: estigrandissssssssssssimicazzi.
e invece un po' abbozzo, mi piacerebbe darci dentro con mimetismi anche solo in parte altrettanto esaustivi. e invece nulla. non scrivo. pubblico foto, peraltro credo nemmeno così ovvie, o banali. ma nessuno le caca.
e quindi torno a leggere. e mentre leggo mi si accende una piccola lampadina. che forse fa un po' volpe ed uva. ma nell'altro po' invece magari ci prende.
e con il baluginio della lampadina si intravvede una cosa che è quasi ovvia. che se si discetta su qualcosa di scibile, ci pensa il principio di realtà a rendere chiaro e splendente la complessità delle cose scibilizzate. e la profondità che ne viene fuori, o fino a quanto in fondo si dovrebbe andare scibilando: troppo per un post sul feisbuch. e quindi lo scibilato di un post, giuocoforza, ne prende dentro solo un pezzo. che sarà pure scibilizzazione fatta bene, ma è solo un pezzo. e quindi si scibila bene abbastanza facile, magari sul tocco più consono, quello più prossimo alla parte scibilata che conviene far rilucere. il resto, anche per ragioni di spazio neh?, viene lasciato da parte.
quindi.
accettare la parzialità dello scibilamento?
oppure nessuna scibilitudine?
tanto non mi cacherebbero, indi la seconda. opzione che si sposa tipo formaggio con le pere col gruviera della mia autostimia: abbinata gourmet.
e nel dubbio, magari, chiedo al signor feisbuch di pubblicare solo foto di gattini.

poi, magari passerà pure il periodo, e si entrerà nella fase pasta di formaggio del gruviera.

Sunday, January 5, 2020

mica è solo una storia di tagliare degli alberi /2

scrivevo, quindi, della storia di quel ragazzo del fridayforfuture[milano] con la sua invettiva severaMaGiustaPerQuantoDaRipensareDalPuntoDiVistaDellaComunicazione. e quindi dell'amica viburna.
immagino siano due persone piuttosto distanti. anche nel senso che, non mi meraviglierebbe, se l'amica viburna - tecnicamente - se lo trovasse di fronte ad un orale: discente lui, docente lei. e in questo rapporto interlocutorio gli facesse moderatamente il culo, anche per quel tono cantilenante ed un po' sincopato. e magari gli direbbe pure di ritornare alla sessione successiva.
però mi è venuto di metterli assieme, in quel brodo di pensieri mentre stavano tirando giù quegli alberi.
già.
perché quel giovane, e quel suo cantilenare scandalizzato, è come se mi fossero sembrati come i primi passi di un bimbo. che all'inizio quell'incedere è - tecnicamente - pezzottato. certo, fa molta tenerezza - le meraviglie dell'ossitocina - perché è un paffutellissimo bimbo che è da mangiare di baci per come si avvia a compiere quei primi gesti incerti, traballanti, incerti. ma dal punto di vista della catena sinapsi-sistema nervoso-sistema muscolare - che non si fa rincoglionire dall'ossitocina - sono passaggi abborracciati, sgrossati giù col falcetto con filo di lama che è un ricordo. grande impegno, ma il camminare spedito e sicuro rivediamoci più avanti.
quell'istanza in quei pensieri, ossia non è mica solo una storia di tagliare alberi, è come l'idea che diventerà adulta, sicura, convinta, stutturata come un adulto sano e sereno sa essere.
e perché anche l'amica viburna?
è semplice.
ma prima con una doverosa parentesi di spiega introduttiva.
con l'amica viburna ho condiviso anni di interlocuzioni serrate, piene, coinvolgenti, arricchenti, emozionali, intense, maieutiche, confortanti. credo fosse dovuto anche al fatto che, incidentalmente, l'amica viburna è una delle persone più intelligenti mi sia mai capitato di conoscere. certo, scazzavamo spesso. credo fosse dovuto al fatto che, incidentalmente, io sono una delle persone tra le mediamente intelligenti abbia mai avuto modo di conoscere. scazzavamo e mi faceva girare i coglioni. non mi meraviglierebbe sapere che io facessi girare le ovaie a lei [uso la distinzione di genere, in ossequio all'ipotesi di saphir-worf]. poi, incidentalmente, avevo ragione io, e qualche volta pure lei.
una cosa che mi ha sempre colpito di costei è di come riverberasse, ed emotivamente soffrisse, quando vedeva tagliare un albero. la sua disperazione passava anche di qua del mezzo di comunicazione intermediante. quasi riuscisse ad andare oltre le reti di telecomunicazioni che ci permettavano di interloquire. le provocava un effetto talmente vivido che era quasi destabilizzante. un qualcosa di così intenso che mi spiazzava, come se non riuscissi a cogliere il senso profondo, che mi sfuggiva, quasi imbarazzato. un volta scazzammo per gli olmi di via mac mahon. si doveva rifare la sede del tram 12, alcuni alberi erano pericolanti, ci fu un primo piano di taglio e riduzione. i cittadini si opposero e venne concordato un nuovo piano. [tipo quello che i signori politecnici hanno fatto finta di voler intavolare, facendo poi maramao!]. io le raccontai della fazenda, quando si acclarò, prima dell'inizio dei lavori. lei riverberò anche per gli alberi di un'altra città. ricordo che provai molto affetto per una sensibilità talmente accentuata che la faceva quasi soffrire. poi scazzammo nel senso che le dissi ci si stesse adoperando per ovviare e migliorare il piano: ridurre gli abbattimenti, altre piantumazioni per ovviare. lei, provata a distanza, andò giù dritta e dura a dirmi che tanto sarebbe finita a schifio, come spesso accadeva da lei. ci arroccammo sulle nostre posizioni: che si sarebbe fatto qualcosa per migliorare il piano Vs sarebbe finita a schifio.
quella volta ebbi ragione io. [peraltro le capitò di vedere quegli olmi. solo che non ebbe molto tempo per ammirarli. quel giorno faceva un gran caldo, e si dovette aiutare a rincasare una signora che, scendendo dal tram, ebbe un mancamento. posizione antishock alla fermata, ed in due che la riaccompagnamo a fatica fin dentro il portone del palazzo, dove arrivò il marito. dopodichè andammo ad ascoltare sulla guerra del donbass, con relatori che per poco non vennero alle mani. pomeriggio intenso].
ecco.
l'altra mattina, mentre motoseghe sbriciolavano segatura sotto quell'appartamento dove passai anni comunque importanti, mi è sovvenuto che magari quel baganetto cantilenante e la viburna siano avanguardia. roba tipo i neuroncini più pronti, per costruire la rete neurale su cui si consoliderà quel pensiero per l'intelligenza collettiva: non si abbattono così gli alberi, perché non è mica solo una storia di tagliare degli alberi.
l'intelligenza dell'umanità si sta svilppando così, no? ci sono stati tempi in cui era naturale pensare di ridurre in schiavitù altri essere umani. o di discriminarli istituendo apartheid. o meno drammatico, di far votare solo alcune persone, o solo gli uomini. perché non potrà essere che si strutturerà coscienza che organismi viventi, specie in alcuni situazioni, sono bene comune raro, prezioso, fondamentale. fare pulizia sull'argine di un fiume antropizzato, tenere puliti gli alpeggi è un cosa. abbattere alberi in un contesto complicato, inquinato, iperurbanizzato come una città è un'altra cosa. in quegli ambiti, specie quando in passato non si considerava compiutamente il suolo come un bene comune costruendo a cazzo, ogni singolo albero, ogni spazio verde è fondamentale [non che fuori città fossero più avveduti, c'era solo pù spazio a disposizione per le persone presenti. è questione di domanda più bassa. per un uso a cazzo del suolo uguale]. proprio perché ancora più raro. proprio perché una specie di alveolo naturale con cui respiriamo collettivamente. sono consapevolezze nuovo, in divenire, che si faranno talmente condivise ed accettate che arriveranno ad essere ovvie. e lascerà straniti che si pensasseil contrario. abbattere un albero sano se non per ragioni di grande nocumento per donne e uomini, diventerà qualcosa di eticamente inaccettabile. consumare nuovo suolo diventerà una pratica da evitare, agli occhi degli uomini, magari anche non solo di buona volontà. e non solo perché è cosa rara e preziosa. ma perché è un bene comune e condiviso. che spetta a tutti. esattamente come la libertà di pensiero, di opinione, d'azione.
io non so mica quanto ci vorrà.
so, se non ci estinguiamo prima, che prima o poi sarà così. e per un numero di neuroncini inevitabilmente da intelligenza condivisa.
e sembrerà una cosa curiosa e inconcepibile quello che si fa oggi. e sarà così perché sarà struttura solidissima il pensiero che si è sviluppato, specie grazie al contributo, prima che di altri, di alcuni neuroncini.
tipo il giovane cantilenante e l'amica viburna.

Thursday, January 2, 2020

mica è solo una storia di tagliare degli alberi /1

io me li ricordo bene quegli alberi.
li potevo vedere di sguincio, affacciato sul balcone più alto abitato a milano. un ultimo piano. nell'ultima casa della prima permanenza. quando lascia milano e quell'appartamento ancora non sapevo se ci sarei tornato a viverci. quanto meno a milano. uscivo sul balcone e osservavo anche il dipartimento di elettronica e informazione, lì quasi sotto casa. era vergognosamente comodo arrivarci. ci andavo per enucleare i dati di una delle tesi più inutili siano mai state scritte in quel dipartimento, e forse in tutto il politecnico.
sotto quegli alberi ci abbiamo pure pranzato un sacco di volte, con le nostre personalissime schiscette. baldanzosi studenti più o meno prossimi alla laurea, ganassa che non eravamo altri, immaginandoci chissà quali lavori fichi, interessantissimi, oltre i futuri radiosi con stipendi da luminosi dirigenti di giada.
ovvio che me li ricordi bene, quegli alberi.
noi ci siamo laureati. sono successe un sacco di cose, variegatamente complicate. tecnicamente ci deve essere già qualcuno, ganassa pure lui ovvio, che quando ci pranzavo lì sotto forse nemmeno era nato. o era poco più che un frugoletto. e che ora ci pranza.
o meglio.
qualcuno che lì sotto ci pranzava.
stamani li hanno tagliati.
sono quelle cose che fanno incazzare.
questi signori politecnici hanno talmente la coscienza pulita che l'hanno fatto il duedigennaio, alle sette di mattina. camionette della polizia, agenti in tenuta antisommossa a tenere lontani chi avrebbe potuto contestare.
già. anche perché quel progetto per realizzare un nuovo dipartimento di chimica aveva messo insieme un gruppo composto e trasversale di persone: studenti, professori, abitanti della zona. si erano intavolati dei momenti di confronto, presentate richieste di modifica del progetto. era stata coinvolta anche l'amministrazione comunale, che si era resa disponibile a mediare. uno di quei casi di partecipazione, dal basso, dove si è cittadini, e si interloquisce con le istituzioni. magari anche aspramente, ma con l'idea di trovare una soluzione condivisa.
invece i signori politecnici hanno mandato le motoseghe e la polizia la mattina del duedigennaio.
ora tutto quel menarsela dei politecnici - che sono all'avanguardia, università eccellenza internazionale, formatori delle intelligenze che dovranno costruire, urbanizzare, realizzare con una nuova coscienza ambientale ed il nuovo paradigma che il consumo del suolo è la strada da non perseguire - mai come stamani sembrava chiacchiera et distintivo. roba che risuona come un ciocco di tronco vuoto e marcescente. e con l'arroganza del tanto decido io, voi non siete un cazzo.
michelino crosti, segugio di notizie locali della radio, è riuscito ad arrivare sul posto. a fatica ha superato lo schieramento degli opliti della pubblica sicurezza. era piuttosto incazzato pure lui, talmente tracotante si è rivelata la fazenda. l'ho ascoltato nei primissimi momenti del lavoro, con gente che già mi chiedeva cose, e cazzi e mazzi che senza soluzione di continuità tossicchiano come l'anno che è appena passato.
michelino dopo la sua cronaca, ha dato voce ad un'istanza del dissenso, evidentemente incazzato e deluso pure lui. accanto a sé un ragazzo del fridayforfuture, cui ha passato per un attimo il microfono.
e a quel punto è successa una cosa cosa strana.
la prima sensazione è stata quella di pensare: vabbhé, ma se fate parlare uno così, che sembra una macchietta, con quel tono un po' da quello che tiene il megafono in manifesta, cadenze quasi cantilenanti et sincopate, analisi sgrossata giù col falcetto con filo di lama che è un ricordo, mezza invettiva con qualsiasi potere costituito a prescindere, sarcasmo perculante non proprio di qualità. insomma - mi son detto - diamo il destro alla stuola di avversatori, favorevoli a qualsiasi cosa per conformismo facile. quelli che tipo il capitonex arringa sui soscial, con una evocazione ancor più sarcasticadelcazzo, che sembra innoqua* innocua. invece è quella che serve a dare il la al florilegio di odiatori da tastiera che lo osannano.
che dire. non propriamente un'ovazione intima a questo giovane indignato ai microfoni di michelino.
mica è da escludere fosse un percepire condizionato dai bias miei [a volte ci ho dei giramenti di bias che levati]. forse tutta 'sta gente che - mannaggia - pensano che possa risolvere cose anche al mattino, appena arrivato, mentre devo ancora capire da che parte osservare il sorgere del sole, che si stava così bene due giorni fa che eravamo così sparuti al nostro piano. forse l'incazzatura per l'atteggiamento subdolo dei signori politecnici. forse l'idea che il regazzetto è tra quelli che ci ha pranzato fino a ieri sotto quegli alberi. ora tocca a lui. e magari se la gode di più di quanto abbia avuto l'intelligenza di provare a godermela io, quando sotto quegli alberi ci pranzavo con la mia schiscetta.
insomma, tutto 'sto miscuglio qui.
poi però, a collegamento concluso, sono stato illuminato da un altro pensiero. mi sono immaginato quel regazzetto sotto un'altra prospettiva. ribaltandone la percezione. e mi è tornata in mente l'amica viburna...

*come scrissi all'amico luca, che mi sgamò l'errore più refuso dei soliti, devo smetterla di scrivere quando mi casca la palpebra...