Thursday, February 29, 2024

scarti

non ho resistito: metterci un post il ventinovefebbraio. chissà che sarà il prossimo ventinovefebbraio. che poi mi girano dentro, i post. spesso mi censuro: che cazzo li scrivo a fare?

vabbhé.

l'amica amalia sostiene che ormai sono rimasti solo gli scarti. non le viene da usare la prima persona plurale, è un'interessante barlume di difesa. ma il senso è quello. quelli che ormai non si pigliano più, nemmeno tra scarti.

io altresì utilizzo il termine tieffe, nel senso di t ed f, che sta per tagliati fuori. espressione che mutuai dall'ermi. lui con il suo understatement scartavetrante si definiva così, intendendo per tagliati fuori da quelli che contano, cui dare retta, coloro che avranno una quale eco. sfuggente, l'understatement, considerata l'eco che ha lasciato. quasi asociale, l'understatement, almeno con me: che ne subii la fascinazione, con sempre la sensazione di stargli fondamentalmente sui coglioni.

tieffe, tagliati fuori. che ora mi vedo il gioco delle sedie, quelli dove si corre in cerchio, e quelli che corrono sono sempre di più delle sedie a disposizione. al segnale convenuto tutti a provare a sedersi. ed almeno uno rimane in piedi. non ci sono sedie per tutte e tutti: tieffe. non mi è mai piaciuto quel gioco. forse per la sua stessa natura: escludente, per questo con quel non so che di disturbante. non ho mai capito perché. o forse intuivo in maniera anticausale che lo sarei stato, un tieffe, un giorno.

una volta era la sedia, ne mancava una per almeno una persona. ora, ogni giro, è quando si prova a tentare di nuovo con un'altra persona. magari incidentalmente con l'idea di farci allammmmore sulla sedia, se capita. non è strettamente indispensabile, ma ha il suo perché. ed ogni giro è come se si rimanesse [auto]tieffe. la delusione, il tocco di speranza che qualcosa potesse cambiare che si vaporizza, l'amarezza, la malinconia. being tieffe

che sembrava una specie di grazia ricevuta - laicamente - ci fosse da provare a fare di nuovo un giro. capitato così inaspettato, in un periodo non da argento vivo addosso [meno del solito, intendo, giusto per dar la tara]. però capitato, da vivere. e poi, più o meno d'emblée: rimaner ancora in piedi, non ci son abbastanza sedie. tieffe.

che a leggerla con i numeri freddi della sociologia del contemporaneo urbano, la città pullula di persone sole. che uno immaginerebbe di gente che manco deve farli i giri attorno alle sedie: ce ne sono così in abbondanza. ed invece sembra tutto così complesso. o complicato dalle sclerotizzazioni dei giri precedenti. ognuno che gira, con appresso la disillusione, la diffidenza, le spigolosità. tutto un portato dai giri precedenti. e così a cercare di occuparla, una cazzo di sedia libera, tutto tranne che semplice. facile che non si riesca, o la cosa è tutto tranne che appagante. così la volta dopo è peggio, ancora più titubanti, diffidenti, sclerotizzati, spigolosi. ed anche un po' incazzati. come a levare delle sedie per il giro successivo. sempre ci sia un giro successivo, che il timore sia l'ultimo rimane appiccicato addosso.

oppure che forse le sedie son talmente malridotte, scarti. che mica ti viene da sedervicisi sopra.

anche se, dopo gli ultimi tentativi di giro, forse arrivo ad intuire l'amica laura. ed il suo essere terrorizzata, la voce che le si incrinava struggente: non sopportare l'idea che quel desiderio di amore rimanesse incompiuto. non ne sono terrorizzato, forse perché perché sormontato dal fatto la speranza sia quasi terminata. dis-sperante. tieffe o scarti che sia. non ostante il desiderio. de sidera, allontanarsi della stelle.

o forse, di nuovo, l'inadeguatezza dopo un altro giro andato male. senza peraltro aver del tutto contezza del perché. forse non ne sono capace. forse è roba che non fa per me. punto.

mi sono riuscite alcune cose, al netto il fatto mi interessi ormai poco nulla di quello che mi è venuto.

altre no. scrivere una canzone decente. padroneggiare le espressioni regolari in javascript. imparare il francese: fondu, menù, lupin, e quella u che devo sforzarmi per pronunciarla giusta, quando ci riesco. oppure - vado per vie brevi e banali - conquistare il cuore di una persona che ha fatto battere il mio, di cuore. figurarsi quando all'inizio proprio non è dell'idea. e consolidare il tutto per un tempo congruo. ed in quel tempo essere parte di una relazione.

non è roba che fa per me.

e dopo il giro, ballo lento il ballo-scopa, come quello rimasto in piedi alla festa delle medieue [manco il giuoco della bottiglia]. che sembra sia partito tutto da lì. ed ogni volta è quella specie di ritorno al quel momento fondante nell'essere un tieffe. una sorta di sliding doors, che è andata in quel modo, quindi a posto così, per sempre. quando nicoletta, camminando nel corridoio della scuola, mi vide con gli occhi a forma di cuore, o forse di pesce lesso. e mandò a dirmi, tramite orazio il messaggero, che no, non se ne faceva nulla. quel pomeriggio, nella cameretta, senza farmi scorgere da mio fratello, piansi lagrime che credevo inesauribili, stringendo al petto il gatto musty, peraltro piuttosto perplesso.

si torna lì. giro dopo giro. tieffe dopo tieffe. a domandarsi, con la paura della risposta, se l'inadeguatezza sia talmente manifesta che il resto è inutile. e se ormai si sia finiti tra gli scarti.

Sunday, February 25, 2024

dolori[smi]

abbracciare il dolore altrui è come aggrapparsi assieme, per sostenerlo in due. almeno per qualche attimo. è una piccola immersione, roba rapida neh? nulla di eroico, nel lacero dell'anima dell'altro. il dolore altrui serve a rimettere in prospettiva il proprio, relativizzarlo. ricordarsi che c'è sofferenza, variegatissima, oltre quello del nostro ombelico.

e in questo periodo sembra facilissimo trovare gente da abbracciare. come la sensazione vi sia un proliferare mai percepito prima. che magari è - appunto - una questione di percezione, perché l'ambito di personalissima risonanza è [solo?] quello. e quindi tanto, troppo, sembra riverberare attorno al cantuccio di anime che si lacerano. e mi riesca di ascoltare solo quelle eco.

ciascuna con la sua, piccola e grande. difficoltà a trovare degli squarci di luce oltre la nuvolaglia tenebrosa. lutti di genitori che vanno avanti. caducità di salute che spengono gli ultimi sorrisi. bandoli della matassa che ormai non si trovano più, oppure la matassa è sbrindellata, ed il resto che si ingarbuglia in un caos senza più sorriso, speranza, lucidità. occhietti vispi, ma con una luce triste dentro. fatiche, nelle più variegate declinazioni: dipanano dal coniugare, ognuno a suo modo, il senso di mettere a terra ogni giorno che dio manda in Terra [che poi sia dio, il cielo, il caso, il nulla: chi lo sa]. coniugazioni che son difficoltose.

il primo ribadire l'ovvio è che non c'è solo questo, e ci mancherebbe. è come se lasciassi fuori dal perimetro percettivo quasi tutto il resto.

il secondo ribadire l'ovvio è che siamo in situazione antipodale rispetto alla minchiata del mal comune e del mezzo gaudio. antipodali ad una minchiata non significa cosa intelligente. ma essere agli antipodi di una minchiata: è starsene già a buon punto. non basta, ma aiuta.

il terzo ribadire l'ovvio è il disclaimer che andrebbe messo in capo ad ogni post para-meta-simil-giaculatorio. c'è qualche miliardata di umanità che avrebbe tutte le sacrosante ragioni di mandarci a fare intouuuucuuuulo. e a noi non rimarrebbe che rispondere: eh, ci hai ragione!

mentre noi ci si arrovella nei nostri piccoli, imprescindibili, particolarissimi dolori. quando non si pensa di essere autorizzati a presentare il conto a quelli che, magari, passano vicino di lì. poco importa se quello che passa vicino di lì c'entri qualcosa, oppure nulla: qualcuno, 'stocazzodi conto, lo dovrà pur pagare, no?

abbracciare il dolore altrui è come aggrapparsi assieme, per sostenerlo in due.

se poi guardo il mio, di ombelico, mi accorgo che sto fuggendo gli abbracci che - in linea teorica - potrebbero arrivare dagli altri. che li fugga non significa che ce ne siano 'sta gran profusione, neh? per quanto qualcuno c'è, è lì. sì che c'è.

e poi ci sarebbe quella cosa che non se sia esattamente un dolore. o una specie di allarme tipo sala operativa dei pompieri che suona: nieeeec, nieeeec, nieeeec. è che quando sento, leggo, ascolto di gente che è andata avanti, c'è quel mezzo pensiero. sgorga prima che me renda del tutto conto, e che poi riesco a ricacciare indietro. ma intanto l'ho pensato. di quella gente che è andata avanti penso: almeno ha smesso di fare fatica.

Saturday, February 17, 2024

scopare

se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

mi piace il sesso - toh, quando si dice una considerazione che fa esclamare: uau! - mi piace scopare, mi piace fare l'amore. non son mai riuscito a capire se esistano e quali i confini fra queste cose, che succede, cosa si prova se e quando si passa da una all'altra, e viceversa. qualcuno potrebbe facilmente osservare: pistola, evidentemente non hai mai fatto davvero l'amore. può essere. ci ho ragionato sopra come un vegliardo ottantenne, ho l'esperienza di un diciannovenne impacciato.

è che se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

ci ho pensato al perché di 'sta cosa qui.

una chiave di lettura con nuance para-romantico-profonda potrebbe essere: se si condividono certe prossemiche, se ci si dona nell'intimità - fisica - più profonda che abbiamo, se ci si lascia andare alle reciproche piccole morti, ovvio si stabilisca una relazione. pure di quelle importanti. che magari dura l'evanescenza di un'alba. ma che ti [mi] rimane addosso. roba che non si risolve girandosi dall'altra parte ad addormentarsi, dopo aver fumato la sigaretta, figurativamente ovvio.

e sono questo tipo di relazioni in cui rimango intrappolato, emotivamente. che mi riverberano dentro. per quanto sia riuscito a tacitare abbastanza del tutto il diavoletto e l'angioletto, quelli che stanno ognuno su una delle due spalle. il diavoletto esorta: la prossima volta sarà ancora più godereccia, altrimenti mollala; l'angioletto mi riprende: devi volerle ancora più bene ora, nel caso sposala. tacitati abbastanza questi due, rimane l'eco ed il riverbero. e non credo sia un bias della morale cattolicheggiante, quella che non si leva dal fondo, il brecciolino compatto su cui poggiano le fondamenta.

quindi se ci finisco a letto, poi le cose si complicano.

forse è che, come succedaneo, funziona fino ad un certo punto. provo a spiegarmi. [forse] vorrei una relazione sentimentale, compiuta e corrisposta [probabilmente], in cui scopare è una delle cose da fare assieme. contenuto nel fare l'amore. il desiderio di una relazione mi vagola dentro, come il desiderio di fare sesso. stessa portante, ma le due cose sono modulate in bande separate in frequenza. in una c'è l'informazione in cui un desiderio si porta dentro l'altro, completandolo. nell'altra il desiderio - a tratti soverchiante - della scopata corrisposta, roba comunque importante, neh? non si banalizzano 'ste cose.

ecco. capita che arrivi a demodulare una banda. vorrei una cosa. ci trovo quella meno completa. e la cosa mi stordisce. abbastanza da crollare un po'. perché [forse] desidero, in maniera profonda, di più l'altra [probabilmente]. perché comunque, in ogni caso, la relazione con l'altra persona riverbera, e ci si sente un po' inadeguati e disorientati: perché scoparci è bello, lo si fa con amorevolezza, e l'abbraccio dopo non è di circostanza. ma tu avresti voluto demodulare l'altra banda.

se poi il periodo è affaticato di suo [e scopare con amorevolezza richiede un po' di energia, fisica ed emotiva]. se sa come di lunga coda di cose che non si schiodano. se la stanchezza non molla. ecco, anche con questo si rischia di finire in una buca, di quelle importanti. 

appunto.

Wednesday, February 7, 2024

illeggibilità

mi hanno commentato gli ultimi post. che sono illeggibili.

la reazione è stato la mescolanza di:

  1. una sottilissima punturona di spillo;
  2. pensare "in fondo ci ha pure quasi abbastanza ragione";
  3. stigrandissimicazzi

ho ribattuto. è quando li penso mi sembrano ficcanti, puntuti, forse anche interessanti. poi li scrivo e qualcosa si incrocchia. come dovessero essere spremuti fuori a forza, tipo attraverso le forme del pastamatic, chi se lo ricorda. però faticano. e nella spremitura si intorcigliano, arricciano. un bel arruffamento di cose spremute fuori. però faticando. e così il soggetto finisce in fondo la frase, il complemento all'inizio. i periodi si circonlocuzionano. le subordinate germinano, manco lievitazione veloce.

e così il post mi appare molto meno interessante di com'era quando era nei pensieri.

o forse non erano poi così interessanti i pensieri, quando erano embrioni di post.

però pubblico, ugualmente. stigrandissimicazzi. forse è poco rispetto per i tre, quattro che leggono. lo so. tipo quanto vai pettinato forastico a far due chiacchiere. devo, dovrei pensare all'interlocutore.

è che è tutto molto più faticoso. come scrivere anche questo, di post, chissà quanto illeggibile. figurarsi rileggerli e rintuzzare, tagliare, raddrizzar la forma, pulire la cifra. è faticoso. cazzo se è faticoso. e 'sta stanchezza non mi passa.

dice: ma checcazzous ti metti lì, pensarli [tanti], scriverli [pochi], per farne mezzi riusciti pochissimi?

eh. bella domanda.

la risposte tante, troppe.

forse è che nel blogghettino ribalto un tocchettino di quel che vivo, più o meno dentro, forse di più più dentro, anche tanto. è uno dei riti che mi sopravvivono, e guarda caso quanti post in giorni rituali miei.

forse scrivere mi piace pure, refusi compresi. ed è un modo anche per buttar la pallina di là, quando la scarsa fiducia nei miei scarsi mezzi me la tira di qui, con dei rovesci a due mani che levati. al netto di intercettar la pallina.

forse è un modo per scrollarsela di dosso 'sta fatica. prendendola un po' in controbalzo nel contropiede. fatica tu me provochi? ed io te sfido, e scrivo. anche i refusi.

anche se ne vien fuori qualcosa di illeggibile. che poi forse è perché [mi] sono illeggibile dentro. per non dir dei refusi.

seguitemi per avvincenti nuove illeggibilità. o qualcosa di simile. potreste finanche darmi una mano e rileggermi. e che magari si fotta pure la fatica. del fottere anche la scarsa fiducia nei mezzi, nemmeno lo chiedo.

però mi sa che continuo. la leggibilità se ne farà una ragione.