Saturday, February 29, 2020

qualche considerazione sparsa /2 [a un tiro di sospiro da uno dei focolai, in una città moooooolto popolata]: debolezze e post un po' amaro

un paio di premesse, banali.
  1. questa è scrittura sicuramente autoterapica. non è solo questione del covid, ovvio;
  2. leggo, ascolto, mi informo, ragiono, mi emoziono, sogno [oniricamente]. è tutto questo miscuglio qui: un sacco di suggestioni che mi traguardano si agganciano a pezzi di ragionamenti di mio. si compendiano, si ri-editano, si condensano. quindi ogni tanto scrivo. tipo questo post. [in maniera metaforica un virus - dal punto di vista genetico - non fa una cosa molto diversa. però questo blogghettino lo leggono in pochi. quindi si limita la capacità epidemica]
scrittura autoterapeutica, quindi.
sono spaventato? no. perché il calcolo della probabilità è dalla mia parte, così come un sacchissimo di altre persone.
penso sia necessario fare le cose come fossimo in tempi normali? no. perché non siamo in tempi normali.
questo per tutte le ragioni che le persone studiate stanno ripetendo da giorni. l'elemento precipuo è: bisogna contenere l'epidemia. è l'unico modo per sconfiggerla [il fattore r0 deve scendere sotto il più possibile sotto 1, adesso è circa 2.5]. quindi lavarsi le mani più spesso [ho le nocche irritate, da quanto ci do dentro di frequente] e limitare la socialità. limitare non significa azzerare. però si deve abbassare la probabilità di contagiarsi e di diventare strumento di contagio. è autotutela nostra. è autotutela verso gli altri. e farlo in un'epidemia spesso asintomatica, paradossale ma nemmeno troppo a rifletterci, è un po' più complicato. perché potremmo essere veicolo senza rendercene conto. ridurre la probabilità in un contesto decisamente popoloso e ad un tiro di sospiro dal focolaio, che quindi chissà quanta gente, qua attorno, è infetta a sua insaputa.
è probabilità e ragionevolezza.

c'è anche altro, ovviamente.
credo che, variegatamente, questi tempi ci stiano facendo percepire quanto in fondo siamo limitati, portatori sani di una fragilità e debolezza di cui non siamo poi così del tutto consapevoli. non che sia un concetto così originale. ma ora è come se l'incedere delle cose ci abbia messo lì, qualche attimo a fermarci e guardarci dentro, variegatamente e comunitariamente. riusciamo a sentire l'eco della nostra intrinseca finitezza. e di tempo per farlo, volendo, ce n'è quel ciccino di più di prima. qualche pezzo di pensiero immagino sia venuto a chiunque, come a guardarci dentro assieme. e ci siamo accorti che potremmo scoprirci tenuti su con degli stecchini. sensazione che non mi è così estranea, quando appunto mi pare - ogni tanto - di esser tenuto su con lo sputo, per quanto nel mio caso sia spesso tutttttuncomplessodicose. posso capire che per un sacco di altre persone sia un'esperienza meno frequente. forse è per questo che ciò che ne esce non sia così piacevole: anche per il semplice fatto si è meno abituati. quindi meglio non pensarci, rifuggire quel senso di isolamento e di pre-pre-pre-pre-quarantena. e desiderare di tornare a far la vita normale, che siano apertivi o meno. solo che il rischio è quello di rendere quel filo meno efficace la limitazione del contagio. però, se così fosse, potrebbe essere quel filo più probabile che in quarantena ci debbano poi finire molte più persone. e quindi è un po' una specie di possibile contro-reazione positiva. o effetto valanga.
ed in quel caso, è piuttosto probabile, non saremmo esattamente pronti. come sistema paese, a cominciare dal sistema sanitario. che in lombardia sarà pure l'eccellenza non solo d'italia. ma [non è un'opinione personale, ascolto gli interventi di gente decisamente più informata e capace di me] funziona bene, financo in modo eccellente, in una situazione di variegata ordinarietà. potrebbe collassare in maniera importante in una situazione di puntuale straordinarietà. perché mancano posti letto per un isolamento eventualmente necessario, ancora di più di isolalmento in terapia intensiva, per non dire di medici, infermieri, pesonale sanitario che potrebbe non essere in grado - temporaneamente - di operare, per il semplice fatto di essere stati contagiati. quanto siamo prossimi o meno alla puntuale straordinarietà probabile nessuno lo sappia. è certo la si possa escludere di meno rispetto a una diecina di giorni fa.
anche per questo non sono tempi normali. comunitariamente. qualcuno ne sta già subendo più di altri le conseguenze. io continuo a lavorare [e guadagnare] lo faccio in una sede distaccata. piccolo paradosso molto meno sbadta, a pranzo arrivo con appetito, nel contesto normale è capitato mangiassi perché era ora, senza averne granché lo stimolo. ci sono stati periodi in cui, per decantare, ho ridotto la socialità di mio. ma io sono solo io. ascolto, leggo, mi raccontano di situazioni molto più complesse, complicate dal periodo. quindi quello che sarà necessario fare, che dovremmo andare a fare nei prossimi giorni, settimane, impatterà in maniera diversa: peggio chi è meno tutelato, protetto, in balia di situazioni meno controllabili e gestibili. tutto di colpo l'effetto anche per come è si evoluto [involuto?], precarizandosi, perdendo pezzi di tutele, il mondo del lavoro. anche in questo caso non è una considerazione poi tanto originale. di nuovo c'è che, nei tempi non normali, un sacco di persone ne stiano subendo l'effetto, contemporaneamente. e si scateneranno, variegatamente, effetti più o meno a catena, chissà per quanto tempo ancora.

siamo un sistema debole, per millemiGlioni di cause tanto o poco concatenate fra di loro. che lo si sia non significa debba venir giù tutto. potrebbe succedere, è vero. anche se forse è più probabile non sarà così.
un piccolo mantra che ho ascoltato da più e più persone - tutte molto più studiate di me - è che quando sarà passato il peggio non ci si dimentichi del perché si sia arrivati a percepirla e misurarla quesa debolezza. specie per quelle questioni strutturali, declinate in un sacco di modi, del sistema paese. e si cominci a pensare di porvi, magari partendo dal rimettere in discussione alcuni paradigmi che stanno andando per la maggiore da qualche diecina d'anni [venti, trenta, quaranta] [butto lì quel paio di cosette da nulla: il sistema sanitario come bene pubblico, le tutele per tutti i lavoratori]. roba insomma da portare l'orlo del baratro più in là. non tanto perchè ci si sposta uscendo dai tempi non normali. ma perché si costruisce roba solida, oltre i territori di sicurezza che calpestiamo adesso. che molto deboli e fragili siamo, più o meno consapevolmente.
è una piccola speranza. nel senso che sarebbe una cosa grandiosa. non sono così fiducioso avremo la maturità, comunitariamente, di pretenderlo, obbligando la classe dirigente politica di farsene carico. anche questa è debolezza.
poi, ovvio, prima o poi ne usciremo. resta da capire con quanti bozzi addosso.
di sicuro qualcuno ne avrà molti più di altri. in parte è inevitabile. in parte è un amaro in bocca ex-ante. anche perché, se fossimo stati meno deboli, la distanza tra gli estremali sarebbe stata di certo più limitata.

Wednesday, February 26, 2020

qualche considerazione sparsa, a un tiro di sospiro da uno dei focolai [in una città moooooolto popolata]

e figurarsi se la storia di avercelo qui, appena sotto il culo, il focolaio lombardo, non poteva scatenarmi considerazioni. le fanno un po' tutti. figurarsi uno psicopipponico.
alcune non sono per nulla originali. le altre nemmeno così tanto. ma me le voglio appuntare.
parto dai sogni, nel senso delle compensazioni oniriche sulle suggestioni del giorno. faccio sogni gratificanti. come se inanellassi situazioni che mi fanno battere la mano sulla spalla, patpat. come se lì mi riuscisse compiutamente il fatto di sentirmi molto soddisfatto di me medesimo. e non solo per i riconoscimenti dei miei interlocutori onirici.

ho percepito, per quanto da lontano, il concetto di panico. percepito come se dei recettori fossero stati mandati in risonanza dal campo emotivo esterno. da lontano come qualcosa che vibrava lieve, come fosse - appunto - lontano. ma la cosa più viva è che mi sembrava potesse arrivare vicino in pochissimo tempo. quel sottile brulicare, appena distinguibile, in fondo l'orizzonte, dall'altra parte del deserto dei tartari. solo che tempo di un sospiro avrebbe potuto attraversarlo quel deserto.

non sto prendendo i mezzi pubblici. però mi sa che adesso torno a farlo. anche perché sto leggendo molto poco. e soprattutto la probabilità succeda chissà cosa è molto più bassa del valore simbolico distorto di quel fare.

domenica, arrivando dal treninotrenord, in quel della stazione dedicata al generale macellaio luigi cadorna, mi sono domandato cosa avrei trovato, al netto di quelle vibrazioni. quali sensazioni mi avrebbero accompagnato nel tragitto a piedi verso casa. ho acceso la radio. la voce di claudio jampaglia era talmente pacata, razionale, serena che ho capito che c'era un modo per tenere lontano - mica solo io, ovvio - il brulicare appena distinguibile di cui sopra.

alla radio è da domenica che trasmettono una lunga, lunga, lunga diretta. specie la sera. ne sta venendo fuori una specie di racconto collettivo, di autocoscienza. ci si confronta, si ascoltano le vite di un sacco di altre persone, e la pragmatica delle declinazioni sulla realtà di ciascuno nell'era dell'epidemia. è molto utile. tanto per cambiare il proprio punto di visuale, e ricordare il valore dell'empatia. aiuta nella resilienza.

sono una persona privilegiata perché, al momento, lavorativamente non mi cambierà nulla. non che d'un tratto sia divenuto felice di starmene là dentro. è che tante persone non possono raccontare altrettanto.

a proposito di là dentro, la banca e il suo management, stanno gestendo queste giornate in maniera davvero encomiabile - fin qui.

uno-vale-uno, in alcuni casi, è una cagata pazzesca. casi tipo questi. che forse è il caso di ascoltare le persone competenti, quelli che hanno studiato, quelli che hanno imparato. la voce della scienza. se qualcosa servirà tutto periodo, che ce lo si ricordi anche dopo. acciocché si tolga un po' di fiato ai soloni.

un gancio con i soloni che si stagliano contro le persone competenti è il portato dell'autorità, specie quelli che occupano i ruoli apicali. e il senso di fiducia che rischia di sfarinarsi - se possibile - ancora un po', per le reazioni da palcoscenico che sembra torni ad essere preminente, dopo gli inviti all'unità. una classe dirigente che mostra la sua mediocrità. cui diventa ancora più complicato riconoscere autorevolezza: ora che ne abbiamo tutti [più] bisogno. [parentesi. non è certo per difendere i figuri che comandano in regione lombardia, figurarsi. figuri che hanno nel controllo del sistema sanitario regionale il fortino per perpetuare il loro centro di potere. ma se tu, avvocato degli italiani, asserisci con solennità sovrastrutturata che il focolaio lombardo è partito - come ormai è appurato - perché in un'ospedale non ha seguito i protocolli credo che i casi non siano più di due:
  1. hai le prove, le mostri, dimostrando un'affermazione così importante. forse mi sono sfuggite, anche se dubito, non mi pare vi sia nulla di tutto ciò;
  2. hai raccontato una falsità perché:
    1. sei in malafede, anche se provo a non crederci;
    2. hai usato approssimazione, nella trance agonistica della tua autorevolezza posticcia;
roba da piccolezza e/o pressapochismo].


ne usciremo, comunque. certo che ne usciremo. non sappiamo, figurarsi, quanto costerà tutto questo. e non durerà poco.

ne usciremo. ed io mi sento responsabile. per l'incolumità mia e per l'incolumità di tutti. noi si può solamente limitare il contagio. e per farlo bisogna ridurre i grandi assembramenti. è una questione di probabilità: meno contatti molto ravvicinati, meno probabile possa propagare. semplice.
senza paranoie, senza isterismi, qualche piccola rinuncia qua e là. è senso di comunità, è prendersi cura di sé e degli altri.

[che poi non è detto mi torni la voglia di scriverci ancora sopra, a considerazioni sparse].

Saturday, February 22, 2020

in effetti non è solo la storia del covid-19, che è ad un soffio di paura da qui [post solo un po' ad uso interno

ieri sera ascoltavo ottemmmezzo. poco più di un'ora dopo esser arrivato nell'hometown, e già con la sensazione che potesse non da escludersi il fatto di non tornare a milano a breve.
in quel mentre la gruber ha fatto una domanda a stefano massini [scrittore, che invero conosco poco-pochino]. interessante la risposta.


mentre ricordava della creazione - a suo modo rassicurante dell'untore, il capro espiatorio - mi ero già un po' intrippato con la prima parte della risposta. la storia cioè che ci fa paura quel che non controlliamo, che non sfugge ai nostri sensi, i mezzi con cui noi percepiamo la realtà.
non è una considerazione così originale. ma è punto fermo talmente essenziale, nella sua semplicità, che spesso ce la dimentichiamo, quando ne abbiamo mai preso effettiva contezza. è talmente fondante, basilare, che finisce sommersa dalle sovrastrutture del quotidiano, spesso una sequela piuttosto disarmante di bazzecolità da piccoli cazzi. che si lascia fermentare e farli diventare pesanti, ingolfanti, catalizzatore di sprechi di energie e cose così.
quindi è vero: non è una considerazione così originale. però credo sia utile ripescarla ed appuntarsela per bene. anche perché aiuta, modestissimo parere, a comprendere ancora meglio la fottuta importanza della conoscenza. e di come sia da intendere in senso dinamico: la tensione, lo sforzo, nell'adoperarsi per. un gerundio senza soluzione di continuità, per non smettere di far sì non si arresti. una specie di ragione di vita collettiva [massssssssì, dai, la sparo un po' grossa].
la conoscenza, quella specie di propaggine che estende il senso dei sensi.
il significante con cui avvicinarsi, un afflato dopo l'altro, al significato.
ed andare oltre i sensi, tendere al significato è un modo per far recedere le paure. che sono ataviche, ancestrali, archetipe perché sono state e sono fottutamente importanti acciocché noi si arrivasse fin qui. però far luce sulle paure serve per riconoscerle come tali. e quindi qualcosa per cui siamo un pezzo in più. 'ché se sei quel passo avanti puoi riconoscerle come parte di te, ma tu come qualcosa che sa trascenderle. anche la paura del contagio, giusto per tornare al fatto che il covid-19 è lì poche fermate di metro da te. non significa, sbruffoneggianti, ignorarne il pericolo in potenza. è aver contezza che affidarsi alla cononoscenza, condivisa, maturata, esperita, è l'unico modo per non propagare il virus della paura [un po' frase fatta, ma stigrandissssssimicazzi] **
sapere, riconoscere, fare luce. tutta roba che sa di illuminismo, ma che probabilmente è partito da molto prima, che quella cosa meravigliosa che è l'intelligenza collettiva, va da sempre in una direzione, tipo la freccia del tempo.
ribadisco, non sono cose così originali.
però fa bene ribadirsele, ogni tanto.
così come la certezza che nel concetto di conoscenza c'è dentro anche tutto il desiderio di consapevolezza. quel gran lavorio, quel tentativo emozionante di provare ad avvicinarsi al sé medesimo più profondo, nascosto e forse anche un po' disorientante. come [ri]scoprire il valore  all'esercizio a volte complicato, che è "sforzo, costanza, ripetizione, lentezza" per connettersi al proprio io. aiuta, anche solo [solo, odddddddio, è questione cogente] per mettersi in coerenza, sincrono, sintonia col principio di realtà. è un moltiplicatore di sensi, che si può starsene nella realtà se non esattamente centrati - che può essere financo quel filo duepallllle - con quella spolverata di eccentricità, che fa più interessante.
si dominano le paure.
ci si avvicina, quel che ci è dato, al senso. ed è una cosa bella, fa bene.

**[piccola epifania mentre rileggo il post, che poi che rilegga un post è un picolo evento. l'ho messo come nota, in fondo, per evitare di interrompere il flusso del ragionamento qui sopra. e poi è una specie di spin-off del significato del cuore del post. la piccola epifania  è questa: sarà per questo che è da qualche tempo che mi parte il bias carognoso verso svariegate forme di complottismo. le dietrologie che caricano come molle coloro con la pretesa di spiegarti come si sta al mondo, che loro ha capito più o meno tutto. sono surretizie prese per il culo: ci si alimenta, senza saperlo, delle proprie paure ancestrali e per esorcizzarle si pretende di usare un simulacro di conoscenza, che spesso si pensa puntuta e rigorosa. la forma didascalica e fittiziamente dotta della paura che qualcuno, il potere costituito, formale, non ce la racconti giusta, ci nasconda qualcosa. come se ci si potesse fidare solo del proprio scettiscismo, invero poco sereno e sano.]

Wednesday, February 19, 2020

se riesco a non spengere il telefono [spengere, non spegnere]

partirei con le buone notizie.
quest'anno non ho spento il telefono, come altri anni accadde [2017, 2019]. è una buona notizia perché non è stato necessario un diversivo, tipo l'operazione di protesi bilaterale d'anca di matreme [2018], con lei da accompagnare in ospedale, quindi altri pensieri ad occuparmi la testa. peraltro, matreme, a 'sto giro ha giocato d'anticipo. e quindi gli auguri me li ha fatti il giorno prima, nel caso in cui decidessi di bissare l'afflato d'ansia dello scorso genetliaco. quando portai millemila brioches là dentro. con la scusa potesse essere l'ultimo genetliaco là dentro. cosa che in realtà non è stata, visto  che là dentro ancora ci fatico. però lo scorso anno, dopo la briosciata collettiva, mi si evaporò la botta adrenalinica, ed andai moderatamente in daùn. così spensi il telefono per due giorni. [poi, un anno dopo, ripenso che forse fu anche l'addio che si palesò il giorno prima. non ostante la felicità sincera che provai per ella, mi sconvolse molto più di quanto realizzai nel momento del. ma tant'è].
insomma, poi uno dice non era il caso di investire un certo gruzzoletto in tutti quegli anni di sedute da odg.
matreme che, giova ricordarlo, è anche quella che ha fatto la fatica più grande di tutti. non foss'altro per il vitello di oltre quattrochili che fui allora, tanto da sventrarla, e non sono figurativamente. e non dire di quanto dev'esser stato complicato tirarmi su, che son sempre passato per gli arabeschi, più interessanti delle cose lineari. matreme cui ho detto di regalarmi la radiosveglia della sony, quella a cubotto, rossa. che butterò via quella che mi ha accompagnato per tutte le case - tutte - in cui sono stato in quel di milano e hinterland. la getto. non foss'altro per liberarmi di un oggetto il cui portato transazionale mi fa montare una discreta e serena rabbia, al pensiero di chi me la regalò, un natale di millemigLioni di anni fa, oltre che le millemila carezze surrettizie di quegli anni orsono [poi uno dice che ha fatto fatica a rasserenarsi con la propria vita sessuale attiva a singhiozzi].
vabbhé.
stigrandissssssssssimicazzi.
scrivevo che non ho spento il telefono, quest'anno.
credo sia stata una combinazione di fattori, più o meno favorevoli. devi tenerli in considerazione più o meno assieme. tipo quando vuoi andare su marte. che se ne sta a seconda dei momenti a 401 milioni di chilometri da qui, però puoi trovartelo anche a soli 55 milioni. è sempre una fotttia, ma è poco più che un ottavo. se aspetti i mesi giusti poi sfruttare il momento migliore, tra i 26 mediamente [i mesi dal massimo al minimo, dico]. conviene insomma scegliere di partire nel momento giusto. andare su marte è fottutamente complicato, ma almeno si è coadiuvati dalla meccanica celeste, che offre vaticini di regolarità financo sconcertanti, nella loro imperturbabile inevitabilità. invece i cicli umorali, causa combinazione di eventi, nei pressi del mio genetliaco sono fottutamente più semplici, miliardi e miliardi di volte. però sono decisamente più imprevedibili. anche perché la vita nel frattempo accade.
però a 'sto giro non ho spento il telefono, anche perché sono stato bravo, suvvia. e sticazzi se la stragrande maggioranza delle umane persone non ne farebbe 'sto gran problema, anzi. d'altro canto però per me non è 'sto gran problema far cose ben più complicate, quindi? che poi sia meno faticoso riuscir facile nelle cose semplici, piuttosto quelle più complicate, mi è chiaro. ci si sta lavorando. che è la cosa fondamentale, starci provando: che il gerundio è una bella coniugazione assieme al congiuntivo. sono stato bravo non foss'altro per tutto il lavoro fatto con odg negli anni passati, non ostante a volte mi sembra di essere tenuto su con lo sputo. è che forse non è esattamente così, che sono un grandissimo rompicazzo a giudicarmi. e poiché sto smettendo di farlo con gli altri [anche questo l'ho imparato nelle sedute qui accanto], forse è ora di cominciare di farlo con me medesimo. e sempre a proposito del lavoro fatto con odg, è vero che non c'è il doppio fondo cieco, che poi è il modo un po' di tirarsela nel dire "cosa sarebbe stato se non l'avessimo fatto", ma ho la vaga sensazione che tutto sarebbe stato molto, molto, molto, molto più complicato. altro che telefono spento il giorno del compleanno.
che poi la storia del telefono spento non è buttata e ripetuta lì a caso. è il significato dello starsene pronto alle chiamate dell'altro, che è come saperlo accogliere l'altro. l'altro, che poi sarebbe  l'altro elemento della combinazione di cui sopra. se lo si spenge [spenge] il telefono ci si chiude dentro le proprie preziosissime miserie. e non si coglie il bene dall'altro. lo si lascia fuori. specchio riflesso, quasi ce ne si vergognasse, si ci sentisse imbarazzati. ci sono stati tratti, in passato, in cui ho pensato di non esserne degno, figurarsi. ora ogni tanto mi chiedo incuriosito: cosa ci vedranno gli altri, che vogliono donare qualcosa di loro, a me. ho in mente una risposta, ma poi quasi arrossisco al pensarlo. quindi in momenti di serena consapevolezza, mi rendo anche conto che se la domanda è legittima, ancora più sensato è non affannarsi a cercar risposta. senza [auto]severità inutili, senza giudizi da genitore normativo [cit.].
credo che il punto stia quasi tutto qui. il riuscire ad avere contezza che sì, è una questione di saper accogliere il bene dell'altro: in qualsiasi forma, modalità, declinazione, fantasia, ispirazione, coniugazione, proiezione, ammirazione, pensiero, intuizione, effusione, azione, voluttà, inclusione, determinazione, osservazione, ricordo, afflato. è un modo per mettersi alle spalle il malassorbimento: non riuscire a far propri i nutritivi emozionali, emotivi, interiori. quelli che corroborano la resilienza e l'adattamento al principio di realtà, che è lì sempre bello complesso da abbracciare e mettercisi in sincrono e coerenza. ma diamine se serve farlo, per riuscire ad essere un adulto integrato ed un bambino libero [cit.].
per questo è stata così paradigmatica questa giornata genetliaca. ho tenuto appizzato quel fottuto telefono. mi sono regalato del tempo per me, come una coccola. ho letto, di cose donate da altri, regalatemi come qualcosa di loro [senza che mi venisse da chiederemi il perché]. perché ho fatto una cosa per matreme. perché me ne sono andato a guardarmi al cinema il concerto ritrovato del mio cugino de andrade.
e perché poi festeggiato, prendendomi - consapevolmente - il bene degli altri. non eravamo in tanti. ma è stata una bella conquista per me, a 'sto giro.
vero, mi riescono complicate alcune cose semplici. ma poi quando riescono sai che ficata ne viene fuori.



Sunday, February 16, 2020

piccolo post pre-pre-pre-pre-creativo [ad uso interno: la tensione pre-pre-pre-pre-pre-artistica]

questa notte ho fatto un sogno, tra le serie di sogni al solito pirotecnici et laocoontici [è che al mattino ti svegli stanco, anche perché è un po' faticoso tener in piedi tutti quei sogni così].
insomma, c'è stato questo sogno che forse è stato pre-pre-pre-pre-epifanico.
ho sognato che un collega, un consultente, uno dei più disponibili e proattivi ci siano là dentro - è per questo non farà mai carriera - mi prestava la sua fotocamera. era una canon, come quelle che usa lui. e va bene fosse un modello D[saLaMatonnnaCheAltroC'eraComeModello], anche se sono i modelli della nikon. ma suvvia, era sempre un sogno, non si può mica pretendere una certa coerenza. era un fotocamera fica, con ottiche ancora più fiche. ed io ci facevo foto, ritraevo persone, in quel che poteva essere un'approssimazione del lungolago della mia hometown. la cosa interessante era che, già mentre scattavo, sapevo sarebbero state belle foto, apprezzate. ed era roba mica da mettere sul feisbuch o sull'instagrammo e pigliarsi qualche laich. no, no. apprezzate come si apprezzano le foto di un fotografo cui è riconosciuta la propria abilità. e questo apprezzamento, esattamente di quel tipo, lo sentivo come connaturato al mio essere, al ruolo propriamente riconosciutomi. nemmeno roba di cui andare fiero, menarsela, alitar sulle dita quasi chiuse quasi a pugno e quindi mimar di lustrarsele tra la spalla ed il torace. e tantomeno [soprattutto] per cui vergognarsi, come fosse spacconeria saccente ["chi si loda, s'imbroda" mi ammoniva la nonna paterna,con azzeccato portato educativo, nonché consolidante la mia autostima].
insomma, ero un fotografo. lo sapevo e questo mi era sufficiente. ne ero pregno nella consapevolezza consolidata che non deve dimostrare granché altro.
sufficiente e pregnamente consapevole nel domino del sogno, dico. e per sogno si intende la declinazione onirica del trambusto che, più o meno costantemente, mi porto appresso.
è stata una bella sensazione, per quanto confinato dentro quel pezzo di sogno.
sogno, tra le serie di sogni, che è una specie di perlina di plastica colorata da inanellare, per costruire quella collanina delle emozioni di queste settimane. l'ultima.
ed alcune di quelle prima sono omologhe a quella sensazione che mi ha portato a mettermi a frignare sulla tazza der cesso, giusto una settimana fa. quando leggevo dell'adoperarsi, del lavoro, del creare della protagonista di un romanzo [bello, davvero]. che non sono così diverse dalla sensazione, rasserenante e di soddisfazione, di quando un incastro si combina nel modo giusto a veder così luce tra i meccanismi, o la serratura si apre. specie quando leggo, osservo, mi raccontano di gente che ha creato qualcosa che sia una qualsivoglia oggetto artistico. a sublimare un significato che ti sgorga dentro e non si può far altro che declinare in un significante, che si sostanzia nei millemila modi possa accadere.
è come se quando mi raccontano, osservo, leggo di questa gente percepissi una specie di sintonia ex-ante. e la luce che traguarda i meccanismi dell'incastro fosse: quella è una direzione possibile. come la limatura di ferro che racconta come sono disposte le linee di forza del campo elettromagnetico. o come il ruscello di montagna che, alimentato sempre di più, ad un certo punto ramifica in quel rivolo, inevitabile, e così tutta la portata idrica che da lì in poi passerà da quella parte.
è una serie di piccole perline colorate, che ogni volta se ne inanella una è inspirare d'aria fresca, in tutto questo florilegio di polveri sottili di quest'inverno.
e l'ultimo tassello, l'ultima perlina in ordine di tempo, è questa consapevolezza mentre mi adopero con una fotocamera fica. per quanto dentro un sogno.
chi crea, realizza, sostanzia un qualcosa di variegatamente artistico [qualsiasi cosa significhi], lo presenta come tale, lo fa con il supporto di un ego più o meno robusto, senza per forza sbrodolare nell'esagerato o patologico.
io son venuto su con l'eco dell'ammonimento della nonna paterna, non tanto a causa sua, ma tuttuncomplessodicose che quell'ammonimento sembra l'abbiano fatto riverberare per bene.
poi questa notte ho sognato di fare foto.
consapevole.
come fosse riuscito a spegnerlo un pochino quell'eco. per quanto dentro un sogno, che forse è pre-pre-pre-pre-epifanico
[senza dimenticare, peraltro, che esistono gli pseudomini, o le realizzazioni anonime].

Tuesday, February 11, 2020

piccolo post moscio [ad uso interno: magonamenti again]

questo è il decimo.
nel senso di rid che accendo per qualche associazione. mi intercettano quasi sempre fuori l'esselunga, quella dei fighetti.
quelli di emergency non li avevo ancora visti. difatti, mi ha detto... boh... federica... speta che controllo su modulo che mi ha lasciato... sì: federica... che emergency lo fa da pochissimo tempo.
non è bastato dirle che li scelgo da anni per il cinquepermille, e che ho aggiunto un piccolissimo obolo mensile sulla bolletta fastweb. giustamente lei voleva attivare un rid.
breve riassunto di com'è poi andata.
gliel'ho detto. "ho già nove rid accesi".
lei un po' ha fatto l'ammirata, un po' la stupita, un po' la commediante, un po' la venditrice. "nooooooo, lei li batte tutti, non avevo mai sentito di così tanti". e poi con smaccate abilità di blandimento "però si vede che lei è attento a certe tematiche". "e chi sono le altre associazioni che supporta?". "ohhhh come sono emozionata, noveeeee rid". "ed io comunque il nostro progettino senza impegno glielo racconto". "renzo piano ci ha regalato il progetto per un ospedale in sudan [o era uganda? ndo]". "la maggior parte ci ascolta, pochi aderiscono al progetto, ma la risposta è comunque importante. alcuni insultano gino strada. la maggior parte di chi apre un rid è perché ne ha già un altro. anche se alcuni ci dicono: ne ho già uno, basta così. forse si sentono giustificati, boh". "certo che nove, accidenti..."
io: "eh, fintanto che il lavoro funziona, un piccola mano la si dà."
lei: "ehhhhh, vorrei essere una come lei, un domani, e poterne sostenere dieci anche io".
ecco.
federì.
ferma lì. anche meno.
poi io capisco l'entusiasmo dei tuoi venticinqueanni, il fatto ti sia appena arrivata notizia di un esame andato bene, che incroci uno che ti sta ad ascoltare e che hai sgamato da quando le porte dell'uscita esselunga si sono aperte, automatiche.
però, appunto. anche meno.
perché è relativamente facile arrivare ad avere dieci rid, tanto più che il decimo tra qualche mese sarà da chiudere. in fondo basta che il lavoro ti giri un po' bene, e destini una quota relativamente, relativamente, relativamente, bassa a provare a condivedere la tua possibilità finanziaria. però quello che mi piacerebbe tu riuscissi a fare non è sostentere nove rid. è quello di sostenerti a non trovarti ad uscire tutte le sere, per svariate sere, lungamente ininterrotte sere, da un cazzo di ufficio, con la sensazione di star sprecando intelligenze, energie, vita. perché sai che succede, federì? che la fatturazione per sessantunmesi ti permette anche di accendere dieci rid, e magari metterti davanti la piccola angoscia o il progetto di far la spesa grossa. però poi se te ne esci dal lavoro - sistematicamente - con le ossa un po' rotte e l'umore pesante, poi capita che incontri un'entusiasta, che magari è un po' una commerciale, che magari non ha esattamente tutti gli addentellati con il principio di realtà, che magari conosce intintivamente i trucchetti per blandire i babbi come me, o riconoscerne lo sguardo un po' così mentre si aprono le porte automatiche dell'ingresso esselunga. e quindi ti senti soverchiare da quest'entusiasmo, financo magari non così del tutto sincerissimo fino in fondo. così che inspiegabilmente ti viene, più volte, un groppo in gola. e le lagrime sono lì lì per uscire fuori per l'ennesima volta in pochi giorni. che oramai basta un buffetto emotivo qualsiasi. che vai a capire se è la storia dell'entusiasmo di quest'altra persona. di quel tutto che ancora può fare davanti a sé. o il riflesso di tutto quello che nel frattempo hai perso tu, con l'eco riverberante l'idea non sia mai riuscito veramente a fare di quello che ti senti più importante dentro. e che ti sembra di buttar via intelligenze, energie, tempo [lascia perdere federì, se quelli là dentro ti dicono che non è del tutto vero. un po' hanno ragione. un po' ragionano nel loro contesto e sistema di riferimento e dominio di esistenza].
quindi federì, aprine solo un paio di rid. magari tre. massimo quattro. ma cerca di fare qualcosa di più felicitante, che poi per quelli della tua età significherà, molto probabilmente, il poterne tenere aperto uno solo di rid. specie se continuerai a declinare quell'entusiasmo in quel contesto, in quegli ambiti.
però ti auguro, davvero di cuore, quante meno uscite dall'ufficio con le ossa rotte, l'umore pesante e senso di inadeguatezza [senza che peraltro sia successo niente di che].

[comunque federica mi ha pure consigliato di guardare qualche posizione lavorativa a casa emergency. per dire.]

me ne son venuto via con un'altra ricevuta di una donazione ricorrente.
a quel punto non era più necessario trattenere troppo le lagrime.



Saturday, February 8, 2020

picolo post para-lamentoso [ad uso interno]

questo post non contiene niente di particolarmente originale. né idee ricercate, o pezzi di analisi della complessità delle cose che ci circondano.
è ad uso interno. voglio appuntare, per un'altra volta, il senso di stordimento e afasia.
tecnicamente non credo di dover lamentarmi di alcunché.
però non so quanto sia un rassicurante il fatto mi sia messo a frignare, un'altra volta, questo pomeriggio. così, di colpo.
non che ci sia nulla di male a mettersi a frignare, neh? io e l'idea di un certo machismo alfa dominante non siamo mai andati particolarmente d'accordo. e mi sono rasserenanto da tempo a pensarla come una mia caratteristica, armonica e coerente con altre caratteristiche di una certa - chiamiamola - attenzione e facilità di sintonia ad esperienze emotivamente coinvolgenti. ma sì, diciamolo, [iper]sensibilità.
quindi il punto non è il mettersi a frignare. il punto è farlo mentre si sta leggendo in uno dei momenti di massima intimità con sé medesimi. che può portare a piaceri sublimi: la defecatia con un buon libro. e soprattutto, nella lettura, perché si intuisce nel dispiegarsi del fare, del lavoro, dell'occupazioni di uno dei protagonisti una specie di sublimità. che si affianca ad altre sublimità intuite e legate ad un certo numero di possibili altre occupazioni, lavori, affacendamenti. quasi che siano così tante che basta non sia quello che è il mio, adesso. il mio affacendarmi, la mia occupazione, il mio lavoro.
non è esattamente quel senso di repulsione degli inizi, che ho impiegato mesi e mesi e mesi a domare [con la dissociazione legata al fatto che tutte le fatture scaturitesi, come effetto sostanziale, non sapevano mitigare mica tanto]. ma è un senso di spossatezza, sfinimento, troppo pieno che fatico anche solo il pensare di sopportare ancora per chissà quanto. e quindi vale un po' tutto il resto. che mi sembra tutto il resto sia come prendere aria, affannato, quando nuoti sbattendo e muovendo in maniera poco sincrona gambe, piedi, braccia, torace. il bordo vasca è ancora lontano, e si è in una evidente crisi di fiato e fatica. e basterebbe fermarsi un attimo, non è necessario arrivare per forza al fin là al bordo. e invece non molli. e non hai ancora finito di soffiare sott'acqua e già hai un pezzo di testa fuori a cercare aria, affandosi. così che ne inspiri troppa, e quindi è tutto un traffico nella fluidoninamica intima del prorpio sistema respiratorio.
così. da un sacco di tempo. ed ogni tanto quell'affanno è debilitante. tanto che mi pare di non avere più la voglia, l'energia, la fantasia di riuscire a fare altro. come mi avessero - meglio - mi si fosse sfilato il tempo da sotto il culo, nonché il disio. così è come se fosse tutto un po' da fiato corto. e desiderio - meglio - necessità di rifiatare solo soletto.
la cosa positiva è che occorre poco a  far passare l'obnubilamento. tipo quel senso di soffocamento per cui nella zona relacse di là dentro chiunque mi sta sui coglioni, anche perché sembrano tutti così freschi come rose, rispetto a come mi sento io. basta mezza giornata a fare altro e rimetto fuori la testa, o almeno mi pare di. solo che la testa fuori magari significa leggere di personaggi, invero tratteggiati bene, che fanno cose che lontanamente mi sembrano più affini a me medesimo. e leggerne mi provoca quell'effetto shock-emotivo, un colpo che mi butta fuori lacrime, improvvise. tanto inventato il personaggio, ed il suo affacendarsi, tanto salate e consistenti quel che eiettano i miei condotti lagrimari, financo sia seduto sulla tazza del cesso. quasi a lasciare andare la piccola angoscia per il senso di compressione dagli eventi, e lo sfinimento che ne consegue. con la sensazione di non poterne più, e la via di fuga per non dar fuori di matto, che si sublima ad immedesimarmi nel personaggio di un libro. come se il suo star facendolo - mentre leggo - è piccolo punto di presa acciocché non perda la speranza io, 'ché c'è, ci sarebbe, un sacco di altro che potrei fare, altri affacendamenti. non so se sia più uno spiraglio per non affogare, o una illusione un po' pericolosa da distacco dal principio di realtà. di sicuro è un piccolo pensare da ebbri. non so quanto sia possibile dargli una conseguenza nell'agire da sobri.
lacrime che si fanno singhiozzi a pensare quanto sia faticoso quel soverchiamento, ma che dal soverchiamento forse ci si può sfilare. disperazione e speranza compresse in una dimensione frattale di tutto il turbinio che sento travolgermi, a volte, che mi sembra d'esser tornato leggero, ma con inconsistenza. [senza dimenticarmi, che motivi gravi e seri di cui sentire il peso dell'angoscia, non ce ne sono].
tecnicamente è una piccola regressione, come del codice che spacca robe già consolidate. tipo quelle cose che mi tocca cercare con compulsiva inevitabilità, là dentro. e per tutto questo, però, non credo sia nemmeno così necessaria odg. è un pattern già visto. ed un modo per decomprimere, alleviare quella sensazione sarebbe davvero semplice. staccare: una, due settimane. riprendersi un po' di tempo, per fare senza fretta qualcosa che rimetta in circolo aria pulita. espirare ed inspirare compiutamente. pigliando e godendosi l'epos e l'eros. e magari ripensare anche a cosa e come cambiare. ma farlo respirando facile, senza affanni.
lo so che funzionerebbe. anche se in questo momento sono così frastornato da non riuscire ad acchiapparne quel breve effluvio di speranza. ma so che funzionerebbe. quanto meno per gli effetti salubri dei [brevi] stacchi che ho fatto finora.
il fermarsi è talmente semplice, che non serve arrivare a fondo vasca, che so che non lo farò.
un po' il superio rompicoglioni [ci sono un sacco di cose da verificare, controllare, supervisionare] in armonica contraddizione con la paura di non apparire così resistente come molti altri del gruppo [dimenticando quanto sia - oggettivamente - più sostenuto il mio contribuito rispetto a quello degli altri, anche di chi  ha voglia di fare]. quando financo il piccolo panico irrazionale che si rendano conto possano fare facilmente a meno di me [per quanto sia molto probabilmente vero l'esatto contrario].
e forse anche [soprattutto?] per la fatturazione. che vado incontro alle spese grosse.
sempre mi rimanga quel po' di energia per adoperarmi, iniziare a mettermi di buzzo buono per arrivare a farle.
potrei far la mossa del cavallo. scombinare il tutto e cambiare. osando e buttandosi anche un po', suvvia. ma ho anche la serena sensazione che sarebbe poco semplice azzeccare le combinazioni giuste. mettere in fila ed in sincrono cose, per farle succedere vantaggiosamente. e non sono così solito azzeccare tempi e luoghi. sono un po' distopico per vocazione.
tecnicamente è un passaggio delicato. dovrei essere un po' più sul pezzo. ed invece sono solo molto stanco, e iperventilando col fiato corto. mentre il bordo vasca sembra così lontano.
[anche se il solo essere risucito ad imbastire 'sto post, per quanto ad uso interno, senza spunti così interessanti, mi pare già qualcosa. visti i tempi.]