Saturday, July 29, 2023

regressioni [post non facilissimo da scrivere]

sono regredito. una volta tanto il modo del verbo gerundio è, auspicabilmente, da non usare. con l'auspicio di non star regredendo. non continuare a farlo, intendo.

sono regredito facendo cose relazionali a minchia. minchiate che facevo trentanni fa. con tutti gli intorcigliamenti, casini e [auto]sofferenze inutili. per quanto minchiose erano un poco più giustificabili, allora. ora decisamente meno. come se fossero rispuntate fuori cose che pungolavano, e forse pungolano di nuovo. è questo l'aspetto quel filo preoccupevole. comprendere le ragioni non per darsi ragione, che non ho, ma per individuare l'elemeno scatenante. con qualche strumento culturale in più di qualche lustro fa, oltre che consapevolezze del sé, centrature e cose così. lavorarci sopra, all'elemento scatenante, o tenerlo a bada, evitando si manifesti il trigger. e per tenere a bada il senso di colpa, che ci metterò un po' a perdonarmi, se mai ci riuscirò.

la questione è ancora la necessità di sentirmi voluto bene, desiderato, amato. nel senso più profondo ed ampio del termine. al di là di ogni ragionevolezza. pure troppo al di là. tipo che mostro lontananza e disaffezione apparente. aspettando che l'altro venga a cercarmi e tirarmi fuori dal mio silenzio. è roba totalmente disfunzionale, mica mi sfugge. soprattutto perché la mia [s]ragionevolezza è qualcosa che, oltre a spiazzare basiti, lascia fuori abbastanza del tutto l'altro. l'altra in questo caso. e non è un caso che abbia coinvolto l'amica paola. perché era una degli stress-test relazionali più importanti e probanti. ma - credo insconsciamente lo sapessi - con la rete sotto il trapezio. probabile che il novantacinquepercento delle persone, relazionalmente coinvoltemi, mi avrebbe mandato a cagare, per sempre. dal mio punto di vista con tutte le ragioni di questo mondo.

ho preteso cose senza senso. a meno di non butttar nel cesso il sano amor proprio ed oltre. cosa che per fortuna l'amica paola non ha fatto. non so se sia più turbato per questa pretesa, o per il dispiacere e l'incazzo ingenerato. nell'amica paola, intendo. la sensazione di merdolinosa che ho provato io mi sembra il minimo. meritatissima. un'aura che ogni tanto riversavo qui dentro.

il bolo minchioso non l'ho mai acclarato, era cosa davvero troppo intima. e soprattutto perché era cosa talmente minchiona che uno ha pure una sua reputazione da finger di mantenere.

se lo scrivo ora è perché ho detto basta a questo intorcigliamento da nocumento. i bubboncini bisogna inciderli. l'amica amalia quasi ci ha sofferto più dell'amica paola e me. ha seminato il seme del dubbio del buonsenso. che in minima parte non mi sfuggiva, almeno nella parte meno regredita di me. poi è bastata l'espressione del viso di odg a bollinare il tutto. una roba traducibile in: ma che minchia stai combinando, pirla?

oltre alla boccata di aria fresca, ora rimane il retrogusto del senso di colpa [tutti quegli anni di cattolicesimo castrante a qualcosa dovran pur servire, no? oltre ad aver lasciato reliqui importanti sulla mia affettività [quasi-spoiler]]. per non dire del dubbio sul perché mi si scatenino questi atteggiamenti. come fossi regredito, appunto. cosa è tornato a galla? perché proprio ora? perché mi autosaboto in maniera così roboante?

cercherò di non abusare in psicopippe per analizzar la cosa. perché l'autonalisi introspettiva potrebbe non essere la soluzione. bensì può essere parte del problema.

al solito dovrei fare. che se faccio penso meno. ed a volte aiuta. è stata la suggestione interessante dell'amica paola. che per quanto non nuovissima, l'altra sera ho sentito arrivarmi ben bene dentro.

oltre a prendere spunto. e raccogliere il buono che può venir fuori anche da 'sta stronzata. tipo che chiedere scusa può funzionare. ricordandoselo il più vividamente possibile. ed imparare anche dall'amica paola. che tutte e tutti ci hanno qualcosa da insegnarci, sempre e comunque.

non siamo bastevoli a noi stessi. [per fortuna].

Saturday, July 22, 2023

tu prova ad avere un mondo nel cuore...

...e non riesci ad esprimerlo con le parole. [cit]

il matto, è uno dei due in cui più mi ci ritrovo, tra quelli di spoon river. l'altro è il chimico, ma è una storia diversa.

l'amica silvia [di là dentro] mi ha scritto qualche settimana fa: è sempre un piacere leggerti. non ha idea di quel che ha significato, per me, quella cosa. dopodiché, qualche giorno dopo, ha aggiunto a voce: certo... la lettura non è proprio immediata. le ho risposto: pensa che è quello che ne esce dopo aver stirato ed ordinato la forma. mi ha ribadito: mi piacerebbe leggere una cosa non stirata ed ordinata. non ho risposto. ma le ho voluto molto bene per quella ipotetica possibilità.

al netto della forma, che ha tutta la sua fottuta, sostanziale importanza, è l'effetto che ne esce ad essere incasinato. ed a volte sputtana un po' tutto. [per quanto sputtanare, mandare a puttane, sono locuzioni che pescano da un pensiero maschilista-patriarcale. proverò a non usarle più].

già. perché io le cose le ho fottutamente ben chiare in testa. credo anche con un rigore logico-emotivo piuttosto inconfutabile. anche quando so di alimentare pensieri, approcci, tocchi di esistenza sbagliati. dove per sbagliati intendo qualsiasi cosa che provochi nocumento a me e agli altri. guarda un po', qualcosa che incasina la relazione, anche quella tra me e me. sbagliati non è una questione morale. è una questione psico-releazionale, sociale. l'io che è parte del noi.

in testa le ho ben chiare le fottutissime cose. è quando provo a farle uscire che si intorcigliano. con un punto di aggravio disturbante: non me ne accorgo se non quando gli effetti sono spiazzanti. nel senso che l'altro capisce anche molto altro, a volte troppo altro. questa è una delle situazioni più frustranti che mi sta capitando di vivere, in questo periodo.

vero. si comunica e ci si fraintende in due. la locuzione non hai capito, è tanto autoassolutoria quanto solipstistica: fastidiosissima. meglio iniziare con non mi sono spiegato, se è cosa sincera e non solo una scusa per massacrarsi i coglioni [o le ovaie]: cosa per cui mi parte spesso il riflesso pavloviano. ma resta la frustrazione di quando si ha il mondo nel cuore e non si riesce ad esprimerlo con le parole. o ne esce, davvero, qualcosa di troppo intorcigliato.

l'amico davide [di là dentro] ha la capacità di trovarsi dei grovigli laocoontici dei cavi del mouse, cuffia, alimentatore. non sa nemmeno lui come accada. ogni tanto si nota alla sua postazione questo blob, apparentemente inestricabile, che non si sa bene come possano bastare poche decine di centimetri di cavi, per ottenere un robo simile. un altro collega, qualche tempo fa prima di diventare importante, si incistò con puntiglio per provare a scioglierglielo. mi sembrò significativo, istanza che raccontava molto di costui.

mi è tornato in mente l'amico davide e il suo bolo, che non sai come. significativo per lui. rappresentativo per me. specie dopo alcune suggestioni di odg molto pregnanti [tipo una boccata d'aria fresca. ci voleva]. con la bollinatura di alcune cose che avevo ben già in testa. e la considerazione di come sia fuorviante l'idea di pensarsi bastevoli a sé medesimi. cosa che in parte sto facendo. sul perché ho una qualche idea. tra l'altro, appunto, che [mi] sia così difficile comunicare. anche se in battuta si potrebbe pensare l'esatto opposto. anche se le cose in testa ce l'ho ben chiare. tanto vale, se poi vien fuori il bolo che non sai come. ed è frustrante, cazzo se è frustrante.

ma lamentarsi ha poco senso. così come continuare a pensarci sopra. che ben chiara in testa ce l'ho la cosa. ma poi tanto esce ingarbugliata.

forse è una specie di destino. non riuscire ad esprimere con le parole quello che ci hai nel cuore.

tant'è. il resto può essere solo superfluo. 

nel mentre provo a non farmi ottundere dalla frustrazione.

[oltre a tenere a mente un titillo, che ogni tanto torna. un buon modo per non cedere a pensarsi bastevoli e sé medesimi è quello di dimenticarsi. abbandonarsi agli altri, per altri.]


[dietro ogni scemo, c'è un villaggio]


Sunday, July 16, 2023

tutti i mondi sul tavolo delle novità editoriali, da immaginare quando non faccio girare la ruota

succede quasi sempre il sabato mattina. non è un caso. le ragioni sono parzialmente correlate. il sabato mattina è un momento che può essere delicato, da ormai centoquattromesi. non è sistematico, per fortuna, perché significherebbe oltre quattrocentoventi sabato mattina di merda.

il sabato mattina è un momento che può essere delicato, perché è il primo momento compiuto della settimana in cui non sono là dentro. come uscire dalla ruota del criceto e guardare fuori: roba che può essere disorientante. che scappano pensieri, che gli altri giorni - quelli della ruota - ricacci indietro perché concentrato a farla girare, la ruota. pensieri del tipo: ma che cazzo faccio? come sto lasciando correre questo tempo? come altro potrebbe essere? come altro dovrebbe essere? com'è distonico guardar fuori e pensare, immaginarsi, di altre millemila vite possibili. molte delle quali meno ossessivamente compulsate a far girar la ruota di là dentro. certo: potrebbe andare anche molto peggio, ci son stati periodi molto peggio. ma guardar fuori, con la ruota che non sta girando può essere disorientante. minchia se disorienta.

quando non sono qui [invero, i momenti più delicati del sabato mattina son ben più probabili quando son qui], bensì su , nella hometown, è al sabato mattina in cui vado in biblioteca.

è forse uno degli ultimi riti relazionali rimasti. ne avevo a bizzeffe una volta, quando tornavo su. quando tornare su aveva un altro senso e pienezza. persone da passare a salutare, come metter i nodi all'ormeggio. era rassicurante, nella familiare ripetività, che però era sempre un nuovo tocco di relazionarsi. ammonticchiarne pezzetto dopo pezzetto. ora mi sembra un tutto costruito sul vacuo, quasi il niente, considerato cosa è rimasto, che poi è anche cosa ho contribuito a far rimanere. però sarebbe disonesto non riconoscere fosse bello, coinvolgente, appagante. come le cose che danno senso. quei riti sono evaporati tutti. poi magari torneranno, neh? oppure ce ne inventermo di nuovi. tipo quello che mi son ritovato a compiere ad un certo punto. andare in biblioteca anche per salutare l'amico paolo. che è il mio bibliotecario preferito. una persona che è sempre coinvolgente incrociare. una persona che non si intruppa nella placida [stantia?] piccolo-borghesia-arricchita-frontalieristica dell'hometown. una persona che ha accompagnato i suoi genitori con una grazia filiale che mica è di tutti. uno che accoglie ogni anno la guendalina, 'ché la guendalina ha capito che le sue nidiate sono al sicuro. non ostante le compagne feline dell'amico paolo, che le gatte non vanno a star bene con lui: di più.

mi piace convesare con l'amico paolo. hai sempre la sensazione di aver dall'altra parte uno che ti capisce, almeno ci prova, che comprende la dissennata complessità psicopipponica, senza giudicarla. affetta considerazioni su altro. ed è gradevole, comunque, ascoltarlo quando dà fuoco alle polveri se quella persona o quella situaizone non lo convincono, a voler usare un eufemismo.

e poi l'amico paolo sta in mezzo ai libri. la biblioteca dell'hometown ne ha tantissimi. l'amico paolo non sa più dove stiparli.

per le nuove uscite ha imbandito due tavoloni, onusti all'inverosimile di libri, tutti foderati per proteggerli dall'uso condiviso. l'amico paolo comincia a prendersene cura così, prima di catalogarli: uno ad uno.

ed è entrando in biblioteca, con lo sguardo che subito volge ai tavoloni delle ultime uscite, che succede. quasi sempre il sabato mattina, ovvio. quella catasta di libri ha una sua armonia, nel contenere in maniera casuale tutto ed il contrario di tutto in termini editoriali. quella visione è una specie di cornucopiale fuga in avanti, in alto, in entrambi i lati, altrove. immaginatevi l'effetto che può dare, quando non faccio girare la ruota, e guardo fuori. di sabato mattina, appunto. è una specie di salto nell'iperuanio, potenziale. è la sensazione materica della promessa che sa darti la letteratura. lo spalancarsi [bulimico?] di una delle più commomenti citazioni di Eco, le vite che vive un lettore.

su quei tavoloni c'è l'invito a vivere le vite di altra umanità, per farcele scorrere dentro. c'è il memento che lo studio, la saggistica apre mondi nuovi, spalanca visioni che ne gemmano altre. ad intuire la vastita vertiginosa dell'umana intelligenza. è su quel tavolo, metonimicamente.

ed io l'osservo giù dalla ruota, quando guardo fuori. non mi sfugge sia una possibile via di fuga, per quanto solo mentale. aprire la porticina e salutare la ruota. possibile, che rimane nel dominio del potenziale. che tanto non farei comunque in tempo a leggere solo quelli che sono su quei tavoloni. fuga solo da scrittura creativa, che si impantana nel mio speculare, nel senso stretto del termine. che so che leggere di quelle altre vite, di quegli altri saperi è per metter da parte, solo per attimi, l'infilata di attimi senza soluzione di continuità che vivo facendo girare la ruota. mi potrei immergere nelle vite di quei libri, che vivrebbero nella mia testa di lettore potenziale. quella che invece vivo, smettendo di contarla su, non mi realizza, non mi completa: occupa il mio tempo ma non mi riempie. tanto che faccio girar la ruota per non pensarci troppo. ovvio che poi sembri roba gassosa, evanescente. le vite che potrei leggere lo sono forse ancora di più. ma è una sostanza che ha armonie, mica particelle che viaggiano a caso - appunto - come il gas.

su quella tavolata c'è un titillo, una promessa, un altro rispetto al solito compulsivo. un altro che sarà solamente quando leggerò. per poi tornare a far girare la ruota.

mica non lo so che è roba evanescente. e che, irrealizzato, non riesco a far altro che farla girare.

però mi piglio, comunque, stilla di piacere. per quanto sostanza fatua, potrebbe avere effetti anche reali. la percezione di star bene, financo solo attimi. l'intuizione la ruota da far girare è solo un di cui. e chissà cos'altro può essere. molto poco probabile, vero. con la mia inazione lo diventa ancora di più. però so anche non è ancora un mai. non si può dire.

per fortuna.

[updt. peraltro proprio in questo momento, domenica mattina luglio solitario chiuso in casa, sto mandando a meretricio cose. a dirla tutta siamo in due, che non ci si fraintende mai da soli. però intanto la frustrazione alimenta la rabbia, e viceversa. ed è pure caldazza. e domani ricomincio a far girare la ruota. il rischio di sbrocco è importante, che il carico in questi giorni non è indifferente. smetto di pensarmi e basta. mitigo vivendo vite d'altri. declinazione taumaturgica dell'aforisma di Eco].

Friday, July 7, 2023

piccolo post para-giaculatorio

sarà che son stanchino. sarà che la gente [più] equilibrata comincia ad andare in ferie, mentre io mi defilerò dalla pratica. sarà tutto il contesto faticosetto, per quanto non avulso dall'ovvietà che potrebbe andare molto peggio. sarà la malinconia affettiva e gran disio trombinevole inespresso che mi torna indietro.

insomma. sono un pochino giuino, spompatino, abbattutino. nulla di che neh? nulla che non possa passare. nulla a che vedere con ben altri et variegatamente momenti merdosi.

però. ecco. sì. un po' para-giaculatorio. pochino, suvvia.

ma non è nemmeno questo il punto.

è che mi è sgorgata l'embrione di idea: vorrei condividerla con qualcuno, 'sta cosa.

ma fu aborto naturale.

giacché ritirata tosta l'idea, così che solo embrione fu.

al netto del può servire a qualcosa? ne uscirei un pochino meno giuino, spompatino, abbattutino?

può aver senso condividere con qualuno? nel senso che ognuno ci ha i suoi cazzi. piccoli o grandi siano. perché caricarvi i [piccoli] miei?

e soprattutto: dirlo a chi?

e non è solo che, a parte pochi, pochissimi, la percezione che non sia così cogente, per taluni altri, interessarsi di come possa girare a me. forse è percezione [pre-paranoide]. forse farebbe notizia non fossi un pochino giuino, spompatino, abbattutino. quindi inutile sincerarsene. nognius un-pochino-giuino-spompatino-abbattuino-gnius.

quindi no. non l'ho condiviso con nessuno.

invero c'è odg. che lo fa di mestiere. ed erano gazziGlioni di mesi che non attendevo così una seduta. per quanto ormai trimestrali e pure meno. per quanto non so quanto potrà servire puntualmente alla causa. servirà per guardarci in mezzo. anche se credo di aver capito un gran bel po' di cose. anche che non diventerò meno pochino giuino, spompatino, abbattutino, con un incontro, per quanto proficuo. non devo capire. dovrei agire. e comunque odg lo fa di mestiere. non siamo legati affettivamente-amicalmente [o comunque non fuori dal suo setting].

e poi c'è il blogghettino. una volta erano molto più frequentini i post giaculatori. ora cerco di contenermi. credo di riuscirci financo bene. e non solo perché è un contenersi molto più semplice e sereno, rispetto alla tensione che mi farebbe accoppiare con una grondaia, talmente impetuoso quell'altro disio.

una volta erano molto più frequenti i post giaculatori. e non solo perché scrivevo molto più spesso. c'erano spunti quasi quotidiani.

molto meglio adesso. mi girano, in potenza, solo un po' di più i coglioni. che allora ero più giovane et vigoroso, oltre che lamentoso. ora è il contrario. ma anche lasciarseli girare, i coglioni, ho imparato abbia davvero poco senso. quindi a posto.

sono davvero un po' stanchino. un pochino giuino, spompatino, abbattutino.

ed il post non è nemmeno così piccolo. spero sia rimasto para-giaculatorio.

 

 
[poi ci sono le canzoni. ma è come tipo roba che succedono sole nei film]


Sunday, July 2, 2023

[ri]mettere in circolo [post buonista. per quanto, buonistiuncazzo]

l'altro giorno l'amica angi [pron. /ˈeɪn.dʒii/] ha rimesso in circolo, regalandomi uno scorcio non dislluso e non disperante.

[parentesi sull'amica angi. l'amica angi è una delle poche persone che, là dentro, mi viene di chiamare amica. mi ricordo la prima volta incrociai il suo sorridere radioso, con gli occhietti che però sembrano dirti di un fondo di malinconia. uno dei primi colleghi, in quei mesi iniziali, se ne invaghì. la cosa non mi meravigliò. ho sempre avuto la percezione fosse una persona con cui sarebbe riuscito il capirsi. quando capitò il suo punto angoloso ne ebbi una triste [per lei] conferma. la capii subito, lei capì avessi capito e condividemmo, come la cosa più naturale che va a compiersi. come se in quel comprendersi sparisse il concetto di tempo: non c'è bisogno di anni perché quella cosa lì si manifesti. cose così. un paio di anni fa ci sentimmo per una questione di lavoro. senza soluzione di continuità quella situazione si rivelò per quello che il caso ci aveva apparecchiato. trovarsi assieme in quel posto e in quel momento. per quel che mi riguarda come stare nel posto giusto al momento giusto. da lì poi tutto il lavoro l'ha fatto lei, e credo lo abbia fatto ben più che discretamente. è capitato di tornare a parlare di quella telefonata. e di come fu l'ennesima conferma che, tra le poche cose che ha senso in questo esistere, una è dare una mano a qualcun altro, esserci se e quando serve. oltre al paradosso che, da lì a un paio di giorni, cominciai a scivolare verso il basso io. un nesso solo temporale, ovvio.]

dicevo di quello che mi ha regalato l'amica angi.

ad alcune persone sto donando libri appartenuti al mio nonnetto putativo, che hanno donato a me. li scelgo abbastanza rabdomaticamente, i libri per le persone intendo, 'ché appunto le persone so bene come sceglierle. è capitato lo abbia fatto anche con chi lavora là dentro, tipo l'amica angi. ad ognuno, che lavorino o meno là dentro, spiego il perché di quel gesto. sono convinto che tutte e tutti lo abbiano inteso. mica per altro: mi piace aver a che fare, in un certo modo, con persone di un certo spessore. c'è così poco tempo, condividiamolo al meglio.

ecco. l'amica angi il suo libro lo ha [anche] letto, e l'altro giorno mi ha chiamato per dirmi l'avesse terminato. ma soprattutto nel condividerlo ho avuto la sensazione avesse capito esattamente il senso di donare quei libri. precisamente come ce l'avevo in testa. anzi: la precisione ex-post l'ha definita lei per me. che mi ha spiegato e distillato cosa mi frullasse dentro, in maniera impastata, quando mi venne l'idea e cosa ci stava fin giù nel fondo. che poi sono le cose fondanti, i fondamentali, appunto. non è cosa necessariamente da verbalizzare. sono percezioni che passano dalle pause tra le parole, dal metaverbale, dal suo sorridere che si intuisce anche solo ascoltandola con le cuffie.

e non serve nemmno che lo scriva qui, quel senso fondante. che qui le parole son peraltro senza metaverbale.

sono convinto, appunto, che tutte e tutti abbiano inteso il senso di quel dono. e magari qualcuno il libro lo ha pure letto.

è che l'amica angi ha condiviso quello che ha suscitato la mia condivisione. lei forse è stata "solo" la prima. ma soprattutto lo ha fatto. ha agito. si è presa il tempo per. ha [ri]messo in circolo. e guarda caso il caso, lo ha fatto una mattina di ufficio con una sottile disperanza, disillusione a velare più o meno il tutto, tipo il cielo ingrigito che osservato fuori le finestre e parlavo a voce bassa - ero pur sempre in ufficio. disillusione e disperanza che vanno e vengono, neh? però in quel momento erano venute.

e mentre scendevo le scale per andare a pigliarmi un caffè da solo [son pur sempre para-sociopatico, ed in ufficio bisogna far le scale per andare a pigliarsi il caffè] pensavo che comunque vale la pena [ri]mettere in circolo.

che tanto, che vadano o vengano, disperanza e disillusione sono comunque discrete rotture di coglioni. che c'è ben di peggio nel divenire, neh? meglio tenerlo sempre a mente. però son discrete rotture di coglioni. ma che vadano o vengano [ri]mettere in circolo è roba scorrelata. e fa comunque bene: che lo sforzo è davvero mimimo, ma quel che può suscitare negli altri sai tu cosa e quanto può essere? in positivo, ovvio. e 'stigrandissssimicazzi la disillusione e disperanza nostre: non è ragione di buon senso non farlo, non [ri]mettere in circolo. quelle magari rimangono, ma [ri]mettere in circolo è meglio che tenersele.

che poi è uno delle declinazioni di quella gran bella pratica: quando capitano le cose belle, facci caso.

che poi [ri]mettere in circolo magari la manda un po' avavavanintouccouuulo, la disillusione e la disperanza. ma non è nemmeno questo il punto. che invece è guardare oltre il proprio ombelico, per quanto più o meno disperante e disilluso. è pensare a tutti i tocchi di umanità che stanno oltre a noi. e produrne effetti, anche se mica si sa se, quando, dove, come ci saranno. può essere capiti, magari no. ma importa poco. poiché soprattutto, importa il perché, cioè perché siamo tocchettini di umanità tutte e tutti. meglio starsene connessi in qualche modo. la probabilità, il caso, faranno il loro. però bisogna dargli una mano. [ri]mettendo in circolo. tanto di più, tanto meglio.

cose così.

[poi le mie connessioni sono più tantissimo pensate che agite. ma è un altro discorso. guarda un po', connesso con la disperanza e disillusione, che vanno e vengono. che dovrei pensare meno ed agire, mica non lo so].