Sunday, February 27, 2022

ninnenannedeleguere [e teleologie]

chicco mentana spiega al tiggì l'evolversi della situazione. ed il fatto possa scoppiare una guerra. la creatura, con tono quasi viziato da sedicenne che si lamenta del broccolo freddo, esclama: una guerra? come si può essere così stupidi da farla? come si può al giorno d'oggi pensare una cosa del genere? mentre io provo a ragionare, con l'augusto suo genitore, su cosa possa avvenire, perché, come, quando e quanto, un pezzo di pensiero abbraccia quella lamentela da tiiiineger.

ed in maniera polifonica penso che lì dentro vi siano una candida ingenuità e un fottutissimo buon viatico. oltre alla mia malinconia per il sacro fuoco.

non mi sfugge che, a quel pensiero così genuino, sfugga la complessità delle storture del mondo. a partire dal semplice fatto nel mondo, di guerre, ce ne sono già comunque una fottia, mentre sta scoppiando anche questa. che ci siano troppe persone che la stanno subendo, effetti collaterali inclusi. roba che non si augurerebbe nemmeno ai nemici, figurarsi a chi non ha colpe. loro a sguazzare nel guano di ingiustizie epocali, noi no. nessuna responsabilità loro, nessun merito noi. solo il fatto di essere nati nelle latitudini e longitudini sfigate piuttosto che quelle con il culo di avere il culo al caldo e al riparo.

però, nel modo di vedere della creatura, c'è dentro la bellissima ovvietà di quel punto di vista: che cazzo di senso ha una guerra? e si puote anche guardare oltre la considerazione che, quel punto di vista, sgorghi dal senso condiviso di un pezzo di continente, dove negli ultimi settantacinque anni si vive in pace. peraltro in un continente dove ci si è saccagnati per secoli senza soluzione di continuità. sembrava si sapesse fare soprattutto quello. cosa sono settantacinque anni in confronto ai secoli e la storia dell'umanità? poco, ovvio. ma sono serviti a far attecchire, sempre di più, che la guerra è una cosa merdosa. e che il mondo continui ad essere onusto di storture ed ingiustizie non significa non immaginare ci si possa dirigere verso un'altra direzione. quella per cui l'idea della merdosità della guerra diventi sempre di più un riflesso automatico dell'intelligenza collettiva dell'umanità. che ciascuna creatura ce l'abbia dentro, esattamente come sa che deve riempire i polmoni, appena viene al mondo. anche se dicono debba bruciare un sacco 'sta cosa, l'aria nei polmoni dico. lo so che ci vorrà tempo, che è una psicopippa para-utopista. anche la creatura capirà degli insopportabili intorcigliamenti che vivono ancora troppi suoi simili, e forse incrocerà periodi mediamente meno lieti di questi, magari anche per gli europei. l'augusto genitore vorrebbe che questo non accadesse, o con meno intensità e traumi possibili, ovvio: è un genitore. ma non dipende da lui. però la creatura è un altro neuroncino. e i paradigmi si cambiano anche considerando ovvie, con candida ingenuità, certe cose. tipo che la guerra è una cosa merdosa. e 'sticazzi se succede perché si è stati baciati dalla sorte e si è vissuti in pace. è successo. che si capisce facile sia meglio della guerra. è tutta roba buona per far decorrere di là, sempre di più, la coscienza collettiva. sono neuroncini che costruiscono gli assoni della relazione dell'intelligenza condivisa.

non mi sfugge stia buttando la palla in avanti di decinaia di decenni, secoli. questa teleologia da manuale che si trova nei pacchetti delle patatine. forse è un riflesso pure il mio. che quando avevo poco oltre l'età della creatura mi alimentava dentro questo sacro fuoco, idealista, radicale, di una causa pacifista e non violenza senza troppi compromessi di mezzo. ero un giovane di belle idee ispirato, prima che di belle speranze. le speranze si sono schiantate abbastanza. le idee rimangono belle non ostante mi sia capitato di far pat-pat sulle spalle al principio di realtà. mica solo per le spicciolerie delle mie quisquilie esistenziali, ma anche cose ben più ampie, variegate, complesse, epocali. dove le il senso dell'approssimazione del concetto di vero sta in una dimensione frattale. son ben poche le logiche binarie. è ed tutto meno brillante ed entusiasmante di quel che immaginavo, specie quando il sacro fuoco era pure sacro, neh? e pensava dovesse alimentare robe ben più elevate dal pezzottamento che ne è venuto fuori. negare la bruma sarebbe una bella una distopia del percepito, oltre che di vivere in questa realtà. però dimenticarsi di quel sacro fuoco sarebbe perdere davvero quasi tutto. anche di quei tocchi di buono che mi sembravano inevitabili. e che poi forse lo sono. solo che ci vorranno bulaccate di generazioni. noi si è entrati in risonanza già da ora, tipo i processi anticausali. dove noi è un bel casino di gente, diversamente cazzari o capaci od illuminanti. lo sono stato, lo sono. così come lo è, nell'istinto col quel tono da quasi sedicenne, la considerazione della creatura.

poi non mi sfugge che quando succedeva questo - chicco mentana a spiegare, la creatura a far la considerazione - non s'immaginava che il tutto potesse precipitare come sta precipitando. che chissà quanto finiremo nel baratro. e che va bene la teleologia e le mie psicopippe parautopiste, neh? ma hai voglia a costruire circuiti neuronali collettivi per il futuro, quando bastano le volontà egemoniche di un satrapo che viene giù parecchio. satrapo, peraltro, con cui si è fatto affari in maniera quasi da costruire ganglî, e vabbhé se elimina gli oppositori.

e quindi come si fa al giorno d'oggi a pensare di fare una guerra? certo che succede. come si è sempre fatto. che però non significa per forza sia ineluttabile. significa che è una cosa del passato. esattamente come alcune istanze che stanno animando [anche] questo scempio sembra roba vecchia. siamo nel ventunesimo secolo. pare di essere in quello passato, e quello prima ancora. vorrei guardare al futuro, appunto. anche se è lì dentro che io finirò a non esserci più. ma bisogna pur alzare lo sguardo dal proprio ombelico.

c'è una poesia di trilussa, ninna nanna de la guera. la scoprii quando ascoltavo baglioni [cosa non si fa per amore, o quella roba lì da innamoramento da tiiiiiiinneger]. la ascoltavo e mi sembrava roba geniale - la poesia - ma in fondo vecchia. cosa che il mio sacro fuoco mi confermava fosse roba passata, per cui essere sentinella non ri-accadesse, perché quei paradigmi mi sembravano merdosi quanto stantii e marcinolenti. anche se allora sembrava che la storia fosse pressoché finita, per come si stavano mettendo le cose. l'ho ri-ascoltata ieri - la poesia, sussurrata da proietti, non cantata da baglioni - e mi è sembrata fottutamente attuale. questo non significa debba essere inevitabile, sempre e comunque. significa che le cose merdose capitano. e la loro merdosità sta anche nella loro marcescenza. ma che si può andare anche in un'altra direzione. perché l'abbiamo intravista, sappiamo che c'è.

anche se il mondo è un groviglio di ingiustizie. un senso all'essere coevi di quelle ingiustizie può essere quello di conoscere ed alimentare l'idea si possa andare da un'altra parte. quand'anche con gesti simbolici, effimeri, con pragmatismi quasi evanescenti. ma è questione di dar la direzione. mi piacerebbe travarsarlo, tanto o poco, anche alla creatura. 

in fondo siamo particelle e relazioni tra. occhio però, che è poi quel che ha cominciato a studiare la fisica, quando si pensava che con la gravitazione e le leggi di maxwell si fosse arrivati quasi a capire tutto. e la fisica fosse pressoché finita. mentre in realtà si sono aperti scenari immensamente nuovi, ed ancora si è ben lontani dall'arrivare in fondo. posto sia mai possibile. certezze non ce n'è. tranne si sia trovata la direzione.





Friday, February 18, 2022

genialismi

nell'autunno della terza superiore feci il primo tema del triennio. "racconta un film che ti è rimasto impresso". era il primo con la nuova professoressa magistrini. tanto brutta quanto segnante per tutto quello che son diventato. o avrei voluto diventare. la folgorazione che mi colse quando spiegò il cantico delle creature. ma appunto, il primo tema. avevo visto da poco amadeus, di milos forman. scrissi della frustrazione di salieri a fronte della genialità di mozart. probabilmente impressionato dalla scena - tra le altre - di quando wolfy improvvisa sulle note della marcetta di benvenuto, che salieri compone - per farsi bello a coorte - per la prima visita all'imperatore di mozart . un motivetto banale, che wolfy re-interpreta, insufflandoci il tocco della sua genialità. e si intuisce l'aria del "non più andrai, farfallone amoroso". molto cinematografico, holliwoodianamente. però son quelle cose che, poi, raccontano di sé medesimi in maniera cristallina. seppur in milleventiquattresimi. la genialità di mozart mi turbava, come asintoto che mai avrei raggiunto. ed in fondo ero un salieri qualsiasi. presi dal setteallotto. che la magistrini - stretttttttisssima di voti - poche altre volte elargì nei tre anni successivi a tutta la classe. feci meglio in quinta. ma lì ero in trance agonistica, e certi voti arrivavano più facili in vista della maturità [in tutto l'anno presi due volte sei. come minimo, dico. ossessionato. poi uno dice che alla fine non finisce da odg].

mozart improvvisava. solo che poi metteva su carta, penna d'oca e calamaio, e scriveva trii, quartetti, ottetti, sonate, sinfonie, opere. verosimilmente una buona approssimazione al concetto di genio, declinato in musica. chissà cosa doveva succedere dentro la sua testa.

il mio cuginodeandrade, invece, non improvvisava. ma era un ri-generatore di emozioni. viveva, percepiva, introiettava, ascoltava, studiava e poi scriveva canzoni. le sue canzoni. che son sue e che un po' diventano mie, per come attraversano il muscolo emotivo. e che non so quanto ho voglia di condividere. canzoni solo mie, dico. se devo dirla tutta, ultimamente faccio un po' fatica ad affiancarmi alla spettacolarizzazione del suo mito. sarà perché sono orso, sempre di più. sarà che le cose massificanti poi diventano conformismi di ritorno. sarà che anche basta quelli che le cantano a sguarciagola e pensano siano solo loro [in tutta coerenza, nevvero. mi piace ammantarmi di queste piccole incoerenze]. e comunque le cantano male. sarà perché ci percepisco una qualche forma di agiografia che si fa sciòòbiissneees. sarà che mi cullo con l'idea che avrebbe dato fastidio pure a lui, tutto 'sto bailamme. però, 'sticazzi.

però il mio cuginodenandrade era un passista. cazzaro. tabagista e con tendenze etilista e facile a tutta la scenografia personaggistica che ci hanno attaccato sopra. solo che lui era così. è la cosa posticcia sopra a darmi fastidio. ma era un passista. ha impiegato un anno a scrivere i trecento e rotti versi de la buona novella. fa un verso al giorno. io devo gestire dalle tre alle quattro segnalzioni di guano informatico, ogni cazzo di giorno accendo il piccì. non è la stessa cosa, lo so. però mi dico: cuginodeandrade, è bello tu abbia potuto scrivere mediamente un verso al giorno. o abbia potuto leggere qualche libro sui sinti e cui rom, prima di scrivere khorakhané (a forza di essere vento), che eri andato in tripppppe per quelle realtà. ma con una specie di maieutica anarcoide hai portato teco le genialità - in centoventottesimi - di un pezzo dei musica leggera italiana, della seconda metà del ventesimo secolo. poi per scrivere anime salve - tipo - capisco ci voglia una forma tutta tua di genialità.

che mi ossessiona pure quella, ovvio.

però nel mentre da odg ci sono stato. e quindi si fa un po' pace con quell'ossessione. che salieri, in fondo, non era neppure 'sta chiavica di musicista. e forse nemmeno così ossessionato da wolfy. certo, non conosco nessun pezzo di salieri. e se non avessi visto amadeus, probabilmente, non so nemmeno avrei mai saputo della sua esistenza. perché in fondo oltre ossessionamenti di genialità, è l'ignoranza ad essere sconfinata. e comunque potrei leggerne anche dozzine di libri su un argomento, o spremermi tutti i pori emzionali, ma dubito potrei arrivare ad intuire anche solo il verso "evaporato in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte". o forse potrei pure buttarla giù una cosa del genere. ma dare una coerenza di fondo non credo mi sia concesso. non perché non sia possibile. ma perché non è roba cui possa tendere. se non come asintono, appunto. anche se, in alcuni post, c'è pure dentro una specie di ritmo, o di struttura versificante. ma è roba talmente blanda ed evanescente, che non la trovo più nemmeno io, magari, nel rileggerlo qualche tempo dopo.

però. appunto. la cosa importante è farci pace. o stendere il serenissimo 'stigrandissssssimicazzi. che da una parte l'ignoranza sconfinata, dà la possibilità di intraprendere viaggi. senza perdere di vista il fatto siano, a volte, solo dei trip. a volte invece quella fantastica roba che è parte della meta [cit., cazzo, cit. che ora ha tutto un amaro che levati. pace].

rimane quella sottilissima, e credo genuina, invidia. che si è creato qualcosa da ascoltare, perpetuandolo nel tempo. con i birillini dell'emozione degli altri ad essere toccati. anche salieri, per dire - celebrato, peraltro, in un'opera di battiato. è l'atto creativo in sé. che è una piccola goccia di splendore. che l'infinito e l'eternità sono concetti sopravvalutati. [il marmo del david, prima o poi, sarà polvere]. se c'è il guizzo di una nota, di un'armonia, di un verso è financo più fico.

ci avevo intuito giusto, in quel tema. mi faccio pat-pat sulla spalla, a quell'ossessionato speranzoso di allora. non so quanto l'abbia deluso. però penso vada bene ugualmente. ci si è provato. ci si prova. e così si guarda il mare fianco a fianco, l'uno all'altro. secondo me ce la possiamo anche godere rilassandoci così. creativi, a modo nostro. cose così.




Sunday, February 6, 2022

cazzi e teleologie e ottimismi

ho letto un libercolo abbastanza flesciante. l'ho visto in biblioteca e non ho potuto non portarlo meco. si intola "un cazzo ebreo". pensavo fosse la storia di un cazzo ebreo, nel senso della capacità che costoro hanno di auto-percularsi, magari celiando sul quell'elemento precipuo: del prepuzio la mancanza [che poi, 'sta cosa, dà una mano ai tachiorgasmici?]. invece è la storia di un cazzo ebreo, nel senso di tensione di farselo aggiungere. segnatamente ebreo, senza il prepuzio. son cento paginette. ma belle intense. nel senso che devi impegnarti a non perdere il filo. per questo ne ho lette, distratto, trenta in una settimana ed ero lì per mollarlo. e, serrato, settanta in poche ore per rimanerne flesciato. è una specie di flusso di coscienza lieve. mettiamola così, è tipo una trentina di questi post, solo che:

  • non ha refusi;
  • ha periodi con una struttura che determina una leggibilità decisamente più alta;
  • sottintende un plot totalmente inventato [immagino].

[anche] per questo katharina è considerata un talento della letteratura tedesca, io imbratto post in un bloggggghettino cul de sac.

ma non è stato questo ad ispirarmi il post.

è che ad un certo punto, la protagonista, nel suo flusso di coscienza butta lì una doppia cosiderazione quasi banale, che è in potenza un piccolo paradosso.

  • la tenerezza ed il moto di cuore che subitaneamente suscita una donna incinta. "potevo chiedere alle persone di portarmi delle cose per la semplice ragione che, come diremmo in tedesco, stavo portando un'altra vita sotto il mio cuore. untern herzen.";
  • che tutto questo non sfugge alla quasi implacabile legge probabilistica che "sapevano bene tutti che non c'era alcun motivo per ritenere che questa nuova vita sotto il mio cuore si sarebbe rivelata meno banale di quella di chiunque altro".

c'è qualcosa di intrinscamente ineluttabile, roba contrapposta. la meraviglia [commossa, per taluni] di una nuova vita che sta per venire al mondo. e tutti i cazzi et complicazioni et difficoltà che il mondo regalerà alla nuova vita adveniente. che poi si sa ben tutti come va a finire. anche perché finirà in polvere anche il marmo del david di michelangelo [cit.]. e non solo quello.

il paradosso, quasi ovvio, si scioglie nel senso dell'esistenza di ciascuno. tutto l'alfabeto che sta in mezzo al momento alpha e quello omega. anche se c'è ben più la probabilità di creature che diranno: eh, ma quale sarà stato il mio di senso. specie se non si ottempera alla prosecuzione della specie. che ci sarà tutta la sovrastruttura delle umane genti, e le gioie della prole, e le discendenze più numerose della sabbia del mare [cit.]. quella roba lì, per capirci. ma la prosecuzione della specie serve appunto alla specie, come una specie di intuizione geniale evoluzionistica. una teleologia base, tipo livello fisico dello stack tcp-ip. però immagino ci sia anche altro, e ci mancherebbe. con sterminate pareti, anche si considerassero i soli tomi che ha senso preservare, siano stati scritti a riguardo. per quanto con idee del tutto e del reciproco contrario. quando ho letto di "un'altra vita sotto il mio cuore. untern herzen", mi è venuto in mente che forse abbiano tutti questa specie di speranzosa intuizione. molto probabile senza rendercene conto. ed è la conferma che quella creatura sarà un neuroncino. che contribuirà all'intelligenza collettiva dell'umana gente. proprio come l'autosimilarità dei neuroncini che stanno nel nostro cervello. che poi è la macchina più complessa di cui si ha conoscenza. [parentesi divagatoria. intelligenza e consapevolezze: che è tutto quell'intrecciarsi complesso che fa ciascuno di noi l'unicità che è. anche ad essere una colossale testa di minchia. c'è un tocco che spiegano la neurofisiologia e le neuroscienze: neuroni, assoni, circuiti che si istanziano, sostanze biochimiche come portanti ai segnali che ci viaggiano in testa. e con queste si arriva ad un certo punto. e poi ci sono le scienze psicologiche che provano ad inquadrare l'unicità della persona, che poi sarebbe l'altro tocco, che parte da un punto diverso. e c'è un bel po' di non contiguo in mezzo a quei due tocchi. il confine è cosa che sta tipo in una dimensione frattale. e chissà se mai lo individueremo. fine parentesi divagatoria]. sono due tipi di intelligenze autosimilari. entrambe evolvono. una nello spettacolare volgere di pochi anni, un battito di lustri, l'altra da qualche decina di secoli, chissà da quando. una si esaurisce, inevitabile, nel volgere di qualche decennio. l'altra prosegue, chissà per quanto. e l'intelligenza collettiva ad un certo punto è più o meno base di partenza per l'intelligenza personale, almeno su alcuni capisaldi. e a me sta autosimilarità mi affascina e meraviglia. per quanto, si sa, quanto io sia facile alla fascinazione verso inutili psicopippe.

insomma. la creatura che viene sarà un neuroncino. per le relazioni che costituirà farà evolvere l'umanità. tantino o pochissimo. con la meravigliosa opportunità della pagina bianca. che se atterrisce chi scrive o crea, in questo caso no, perché qualcosa verrà scritto: inevitabile. così c'è una scintilla di possibile meraviglia. che in potenza tutto può venire. non ostante la probabilità ci ricordi sarà una cosa [apparentemente] banale. qualcosa che assomiglia allo stanco augurarsi il buon anno: che leopardi ci aveva già cazziato sia illusione. solo che un conto è quel che abbiamo abborracciato noi. un conto quello che può abborracciare la creatura, nuova nuova con il suo foglio bianco. che qualcuno che può assomigliare ad una scheggia di un pezzo di unghia del david ce n'è in giro. la maggior parte si è noi pulviscoli di polvere attorno. che hanno un loro senso, neh? che poi io sia il primo a non capire il mio è un dettaglio. e che magari in alcune circostanze possano portarti a far tenere buoninibuonini i ricaptatori, è un epifenomeno del dettaglio. anche se è un epifenomeno financo faticoso ed a tratti doloroso. però se allargo un po' lo sguardo, oltre i tratti di disperanza - invero più radi, grazie al fatto i ricaptatori se ne stanno buoninibuonini - sono ragionevolmente convinto che sono neuroncino pure io. che è stato una fenomenale pagina bianca, oltre al più sgamato degli spermatozoi. poi le cose capitano. e si scrive in un certo modo. magari in maniera poco coincisa, quindi poco addentellato sul pragmatico ed i risultati conseguenti. per non dire dei refusi e significati intorcigliati dalle circonlocuzioni. ovvio non venga fuori un successo di pubblico. però 'sticazzi.

è la questione del neuroncino pagina bianca, ogni creatura che cresce untern herzen. sono abbastanza certo sia questo che renda interessante ogni donna in stato interessante. e che se ne riconosca uno stato di alterità, di grazia. è un privilegio che è concesso solo a loro. che credo si meritino tutto. e quella importanza che hanno appunto costoro è una specie di ottimismo sul divenire. che ci sarà qualcuno che farà progredire questa umanità un po' provata. e contribuirà a suo modo nel farne evolvere l'intelligenza. non importa quanto. qualcosa si farà. è un moto che ci abbiamo dentro. anche se abbiamo fatto figure variegatamente magre e, quasi sistematico, non all'altezza di quello che si pensava all'inizio. però ci si è provato. è una bella sventagliata di ottimismo, in un contesto di inevitabile finitezza. che non è essere pessimisti. anche perché per fortuna siamo limitati. non ci sarebbe spazio e risorse per gli altri. e poi mica lo devo scrivere io che il pessimista è l'ottimista che ha fatto esperienza. no?

untern herzen c'è l'ottimismo della pagina bianca. ovvio le si ceda volentieri il posto sui mezzi [se poi non lo fai non sei stronzo. sei da compatire. che non vuoi osservare la scintilla].

[chiosa finale con polemicuccia da sassolino. per questo, ragionando psicopipponisticamente su quel passaggio di katharina, mi sembra - se possibile - ancora più pezzottata la posizione della mia quasi ecs-socia. che asseriva che lei mai avrebbe messo al mondo un figlio. e lo giustificava parlando di precise motivazioni filosofiche, che aveva fatto sue durante l'università, e che peraltro mica mi aveva dettagliato. per quanto allora ne fossi [masochisticamente] affascinato [a proposito di refusi belli grossi] era una cosa che non mi ha mai del tutto convinto. non avevo gli strumenti filosofici per confutarla. non mi sarei mai sognato di pensare di farlo: dapprima per rispetto succube, poi perché non mi ha più fregato condividere alcunché, figurarsi i dubbi. probabile sia supponente e la faccio tranciante, come quello che vorrei rimanesse di quel relazionarsi. si ammantava di motivazioni filosofiche. era la versione didascalica e cordiale di un solipsismo che molto ottunde [forse pure senza teleologia].]