Tuesday, April 25, 2023

pensieri scomodi venticinqueaprileschi

il disclaimer vorrebbe acclararsi dichiarando che: questa notte alcuni sogni mi hanno turbato et innervosito, ho ancora i coglioni girati adesso. pedddddire.

però.

ametto mi sia pregustato il divenire, nonché atteso questo venticinqueaprile. importante come forse il più importante che ricordi. il primo con la destra-destra al governo. forse era pure caricato di una qualche aspettativa, intima, che sembra già essere andata delusa. pace.

forse anche per questo percepisco vaibrescion malinconicheggianti. anche se, al solito, potrei essere semplicemente io. con la sentita speranza non sia per la densità plasmatica sertralinica che ormai approssima lo zero.

vabbhé.

però, appunto, mi pare che l'esigenza di festeggiarlo sia tanta, quanto almeno la preoccupazione, o lo sconforto, o la rassegnazione per questi figuri a governarci. e ci sia una qualche forma di reazione pavloviana. solo che, proprio perché altri rispetto ai fasci [neo, cripto, para, post, viscido] cerchiamo di porci in maniera altra, e probabilmente - mi arrogo a pensare - alta.

oddio. poi parliamone neh?

stamani alla radio hanno telefonato et messaggiato un discreto numero di ascoltatori con tanta di quella sicumera, a spiegare come si è antifascisti. solo che devi esserlo come dicono loro, che evidentemente hanno la ricetta, o la prescrizione per. che se hai posizioni un po' sfumate rispetto le loro, allora che ci vieni a fare in corteo domani? anzi, qualcuno ha anche dichiarato che fosse per lui volerebbero molti schiaffoni.

non erano mia tutti così, per fortuna, neh? però a me è sembrato un furore da frustrazione. che sarà pure di frustrazione, ma l'impressione è che abbiano capito mica tutto di quel moto di popolo, di allora. che è stato minoritario, ma è stato fottutissimamente largo et inclusivo. c'erano dentro tutti, tranne i fascisti ovvio. talmente eccezionale, quell'unità, per il periodo eccezionale, ma che ha prodotto qualcosa di fottutamente eccezionale.

ed un sottile fastidio sì, l'ho provato, ad ascoltare elencare le modalità per essere antifascisti. che non basta essere contro i tutti i fascismi, bisogna essere contro anche un altro numero di cose. che magari sarei pure d'accordo, neh? è il tudentro-tufuori che sopporto poco. una specie di violenza nebulizzata, che a me non sembra poi così distantissima, in termini di principio e fatte le gigaproporzioni ovvio, alla violenza ontologica del fascismo.

non è nemmeno escluso che molti [dei pochi] di costoro abbiamo vissuto le durezza della lotta degli anni settanta. che è un punto di accumulazione di punti angolosi, variegatamente putridi, che fa da emettitore apppppalla di bias. deforma il senso della lotta partigiana, della Liberazione, del venticinqueaprile, tipo una supermassa che devia la luce. solo che qui le aberrazioni sono esiziali. e non fatico ad immaginare cosa devono provare costoro - di qua - al revanscismo di quelli - di là - per non dire del modo surrettizio e vomitevole di quello che dovrebbe essere la seconda carica dello stato. [peraltro mi son lasciato andare pur io, al giudizio. che tra l'altro quegli anni mica li ho vissuti].

insomma.

ho un vago sospetto - almeno di me - che a tratti sia un po' rassicurante andar giù così a differenziarsi sul venticinqueaprile. che se ci sono i fasci - innegabile - c'è anche tutto quello che non va esattamente bene a noi che terremmo un po' in disparte. quando va bene in zone molto diverse del corteo, che passerò avantetindrio nel pomeriggio.

le altre volte lo facevo per cercare di cogliere tutta la variegazione di quella manifesta. ora, ex-ante, quella variegazione la vivo con un po' di insofferenza. tanto per variegarmi pur io.

forse è l'effetto di una serie di sogni fastidiosi. forse è l'effetto di quello che - in fondo - sto facendo relazionalmente pur io: sto espuntando gente che levati, perché alcune cose mi tornano un po' di meno. e quindi faccio un gran mischione.

anche se era ampiamente previsto me ne starò solo, per tutta la giornata, in quanti più appuntamenti possibili - con tutta la loro variegazione.

cercherò una comunanza con un sacco di gente, inevitabilmente molto variegata, ma in fondo tutte e tutti più o meno consapevoli. il paradosso è che, nella mia tendenza ad isolarmi, spero si sia comunque sempre di più, cosicché ancora più variegati. non so quanto senta l'eco di un richiamo alto, inclusivo, ma che è ormai nell'elenco delle cose andate. non so quanto sia una disperata volontà a curvare il paradigma, perché si abbia piena contezza di quello che ci è stato donato, grazie al venticinqueaprile. è di nuovo la dicotomia che da solo anelo a qualcosa di bellissimo. è tutti insieme che però si cambiano le cose, anche se non sarà bellissimo esattamente come quello che è bellissimo per me. e ne sussumerò questa certezza, anche domani, in solitudine in mezzo a maree di persone.

continuo a pensare saremo ancora non abbastanza. e comunque il corteo sarà variegatissimo, e non so quanto così armonizzato, putroppo. che poi basterebbe solo un po' meno di proterva certezza di essere quelli autenticamente antifascisti. che in fondo c'è posto davvero per quasi tutte e tutti.

basta non essere fasci, 

il venticinqueaprile è [dovrebbe essere] divisimo solo se sei fascista [in tutte le declinazioni suggerite dal senso sbagliato della storia].

 

aldo dice 26x1.



Thursday, April 13, 2023

tutti sono importantissimi, nessuno è indispensabile. poi ci sono importantissimi ed importantissimi, tipo il reverendo giaguaro

credo che la sintesi più mirabile l'abbia data l'amico GHZ [l'amico GHZ è tanta, tanta roba. poi è pure l'antinomia dell'egotismo. quindi fa robe importanti, e molti a pensare siano cose normali]. dicevo della sintesi mirabile dell'amico GHZ: il reverendo spesso è il miglior attore di sé medesimo.

i primissimi tempi di là dentro, quando davvero non sapevo minimamente da che parte ero girato, l'amico omar mi disse: se ti capita di incrociare uno con l'accento del basso lazio e vestito tipo dj techno, vedi di farti spiegare un po' di cose, che è uno che sa tutto della baracca. poi il tipo vestito da dj techno lo incrociai, assieme agli altri del mio gruppo, nato da poco e piuttosto spaesato. fu un incontro abbastanza lisergico. il tipo vestito da dj techno a raccontarci di come funzionava il sistema di monitoraggio che - di fatto - aveva messo in piedi lui. nello spiegarcelo divagare su aspetti applicativi della baracca e noi a capire poco un cazzo. pareva rapito tra sé e sé nell'illustrare. raccontava e scriveva. scriveva e raccontava a mitraglia, faticoso stargli dietro. e in quel turbinio lui a scrivere tipo uno stenografo i nomi dei servizi middleware, come a recitare di una preghiera laica. non c'era abbastanza spazio sul foglio? nessun problema, bastava curvare verso il basso l'incedere della grafia. una specie di trance comunicativo-infrastrutturale. un flusso di coscienza tecnico-sistemistico. non ce la farò mai, pensai sconsolato: continuando a non sapere minimamente da che parte ero girato, allora. ma non si poteva non rimanere folgorati dall'esplosione sui generis e non esattamente politicamente corretta di quel personaggio.

la prima volta che ebbi a che fare direttamente con lui fu durante una piccola emergenza applicativa. io a seguire incerto il teo, che voleva introdurmi al reverendo. ci accolse con un: eehhhh qui abbiamo dei cazzo di probbblemi, chi si occupa di 'sta menata? [coi bassi del tono di voce belli apppalla]. ti ho portato la persona che segue questo prodotto, è qui disponibile per te - rispose il teo. ed io che pensai un po' intimorito: e mo che cazzo gli dico a questo? [poi, come sempre accade là dentro, non si fece male e non si mise in pericolo la sicurezza di nessuna creatura. e tutto ripartì, senza particolari reliqui]

a volerla risolvere facile la pensavo così: il reverendo giaguaro riassume tutti i luoghi comuni del nerd, tanto geniale quanto dissociato dalla realtà e le persone comuni. senza che però non scattasse una malcelata ammirazione.

là dentro ho passato i primi anni con una certa dose di ribellismo soffocato. mi stavo sui coglioni, quello che facevo e molte delle persone che ci lavoravano. il classico degli approcci da persona irrisolta.

ovvio tirassi dentro anche il reverendo. non foss'altro per la sua geniale peculiarità.

c'è stato un periodo in cui pensavo che il reverendo dividesse il mondo in due: quelli che tecnicamente erano delle merde e quelli che non erano bravi quanto lui. però non mi sfuggiva l'impressione che quel suo essere istrice e inavvicinabile nascondesse qualcosa di fascinosamente complesso.

e comunque, non ostante le difficoltà vissute di accettarmi là dentro, non penso mi sia mai mancata l'onestà intellettuale. ed in alcune situazioni ho visto fare cose al reverendo che riescono a pochi. non mi toglierò mai della testa l'immagine di un certo numero di gente altolocata, totalizzanti qualche centinaio di migliaia di ral annui, attorniarlo a mo' di nicchia, mentre lui risolleva la baracca. risolleva mica per modo di dire: smadonnando e cristonando, con una punta di malcelato orgoglio chinato sul suo piccì vissuto, con l'adesivo "scappatidicasa" accanto alla tastiera, a digitare compulsamente e far ripartire server, servizi, istanze, con la baracca che torna di nuovo online. ce l'aveva in testa lui come fare. e gli accessi in produzione per azioni dispositive aiutano, neh? però POI serve che alla base ci sia un talento. poi forse ti tocca recitare una parte, e quindi ti comporti da istrice, e non fai avvicinare più di quel tanto le persone. un po' lo sei, un po' lo fai.

l'unica persona di cui ho contezza sia riuscito zittirlo è stata la collega pierina. talmente una scogliera d'ardesia con tutte e tutti che non si fece mica tanto intimidire: fottesega fosse il reverendo. la perentorietà seriosa, una parete liscia e senza appiglio della pierina lo spiazzò. "ah, se vi hanno di fare così, allora non dico altro". senza aggiungere altra considerazione sull'infrastruttura che dominava con il pensiero e con gli accessi in produzione. li osservai piuttosto sbalordito.

in un paio di occasioni mi ha buttato lì cose di dettaglio, diventate poi una specie di testa di ponte. da quello ho avuto modo di approndire aspetti, processi, cose, che animano l'infrastruttura di là dentro. rimanendo ogni volta colpito dall'ampiezza del suo conoscere tanto. e dire che non sono uno facilmente impressionabile, nel mio puntacazzismo.

c'è stato un periodo in cui ho vellicato l'idea di far sfiatare parte della frustrazione, immaginando di scrivere racconti brevi di là dentro. parodiando tutto il ginepraio di incasinamenti che si intuiscono in quella realtà. specie in quel coacervo del contesto IT, che ci sto per sbaglio in quel mondo, e prima o poi riuscirò ad evadere. il reverendo non avrebbe potuto che essere un personaggio precipuo. poi non se ne fece nulla. mancava sempre più il tempo, diminuiva la frustrazione.

non era cambiato solo il mio approccio rispetto là dentro. stava cambiando anche il reverendo. come se stesse mostrando meno aculei verso il prossimo. in alcune situazioni di una cordialità che ha stupito gli astanti. nel mio piccolo l'ho sentito meno inavvicinabile, e non solo quando ho avuto la sensazione che considerasse anche il mio punto di vista. fate come vi dice lui [sempre col tono lazial-baritonale]. ha dichiarato in alcune war room, son galloni che si conquistano sul campo. in alcune situazioni chiamandomi pure per nome, non per cognome.

di più. non son mancate le occazioni in cui mi son sentito libero di contattarlo direttamente per farmi dare una dritta. il primo appiglio per risalire la china di un problema. per non dire delle volte che ha dato una mano a risolvere le menate, e poi contattarmi in privato per dirmi: io risolvo cose. non mi sono mai sembrate boutade spocchiose. ma come degli aculei che si ritraveano e mostravano - una sensazione neh? - un certo rapporto con l'autostima che non ti aspetti, specie da uno che ha in testa l'infrastruttura della baracca. ma per fortuna ho smesso di dare le cose per scontate. e mi son sembrate piccole stille di una persona che è tutto tranne che nella pancia della gaussiana, tipo razzi di segnalazione per chi vuol intuire, e andare un po' oltre la realtà e tutti i suoi clichè.

e comunque: aculei a parte, non si è mai tirato indietro - mai - per cercar di risolvere le beghe che sapeva poteva contribuire a risolvere. da un parte credo la soddisfazione di sentirsi utile. da una parte il desiderio di dare comunque se possibile una mano. alla sua modalità, ovvio: ma sempre - sempre - con lo spirito di collaborazione.

oggi è il penultimo giorno del reverendo là dentro. è rimasto colpito da tutto l'affetto che l'ha circondato. quella masnada di eperti IT che se presi assieme tiran fuori cose che - apparentemente - possono stupire. gli ho scritto che la gente gli vuole bene, deve solo non fare troppo il riottoso all'idea di farsene volere.

abbiamo bevuto assieme ed alzato calici e bicchieri di cocktail vari. non mi son mai sentito così coinvolto e facente parte di un qualcosa che mi trascendesse lavorativamente. non penso sia solo per i quattro spritz campari. forse le contezze di questo periodo [al netto della sertralina ormai quasi dismessa]. forse la percezione dell'affetto che il reverendo ha ricevuto e non si è fatto troppi problemi a riconoscere. come gli abbracci che si ricevono e si danno. il reverendo ha poi anche condiviso il fatto stia seguendo un certo percorso. e un po' di cose è come se avessero trovato conferma ex-post. non erano solo sensazioni mie. forse sono gli effetti di cose di quando si affrontano alcune asperità aculee. non solo per questo è stato bello abbracciarlo e augurargli il meglio.

là dentro, tecnicamente, ora sarà una bella sfida. sono convinto che tutte le persone siano importanti e nessuna sia indispensabile. poi ci sono quelli che mettono alla prova questa verità, rendendola ancora più pregna. di certo sarà un personaggio di cui si sentirà la mancanza. e non solo per il talento. spesso è stato il miglior attore di sé medesimo. è stato interessante intuire cosa ci fosse oltre gli aculei, che ormai stava dismettando.

ora che ne fruiscano altri, in altri là dentro. forse è frutto del percorso che ha iniziato: che quindi debba andare a far altro ci sta tutto. anche se ho la vaga sensazione rischierà di annoiarsi, prima o poi. troppo vulcanica la mente del reverendo. e si sa: le assicurazioni sono fottutamente meno complesse delle banche.

a suo modo è stato importante incrociare uno come il reverendo. con la curiosità di intuire e scoprire com'è fuori da un là dentro.

in bocca al lupo, reverendo [non mi stupirei se mi rispondessi, come si dovrebbe fare: viva il lupo!]

[il reverendo giaguaro]


Tuesday, April 11, 2023

il viaggio - ora lieve - dell'amica amelia

oggi se n'è andata l'amica amelia.

io ero bimbo, terza, quarta elementare. lei con la sua casacca maròn che indossavano le studentesse delle medie delle orsoline. quello il primo ricordo di lei. aveva un qualcosa che mi colpiva. per quanto possa colpire un bambino delle elementari, una ragazzina cinque anni grande. fu lo sguardo, gli occhietti vispi.

ci siamo re-incrociati e conosciuti un quarto di secolo dopo. sapevo chi fosse - senza conoscerne il nome - sapeva chi fossi. ci ri-trovammo la sera di un mio compleanno. dovevo conoscere un tastierista, avevo bisogno qualcuno che suonasse l'organo per la marcia nuziale di purcell, di lì ad un paio di mesi: testimone e suonatore di marcia nuziale. ce l'ho io l'organista - mi disse l'amico daniele, sempre amico di tutti - è il marito di amelia. amelia chi? - risposi. quella sera così realizzai chi fosse. l'amica amelia era in cinta e raggiante. mi venne incontro la figlia quattrenne, suonando un piccolo tamburo, con le bacchette, guardandomi divertita. le dissero come mi chiamavo, così per lei divenni subito dracomallfoi, o qualcosa del genere: il cattivo di harry potter. fu una serata bella. sembravano felici, eravamo contenti e pieni di entusiasmo. l'amica amelia innamoratissima.

e così per alcuni mesi di quell'anno, che sembrava andare così per il verso giusto. c'erano anche loro, in questa nuova amicizia,. l'amica amelia, il marito che sembrava così interessante, la bimba per cui ero dracomallfoi. otto-nove mesi di grande condivisione. l'ultimo ricordo bello - di quell'anno, ma forse non solo - fu quando nacque la seconda creatura. io che raggiungo il marito in osteria, aveva appena fatto visita alla bimba e alla amica amelia. brindiamo assieme, un calice in alto a tutto quello che di bello lo attende e ci attende. felice di condividere la felicità di quel neo papà, personaggio che sembrava così interessante. felice di essere accanto a lui in quel momento.

la settimana dopo si ammalò mio padre. l'amica amelia era una delle tre persone del paesello, non strettamente famigliari, che sapeva. uno degli abbracci al cimitero che ricordo fu il suo.

otto-nove mesi felici. poi non fu più lo stesso.

nella loro casa nuova organizzarono per me una serata di ripartenza - ho ancora le foto [fottutissime le foto, a volte]. la prima serata fuori con amici dopo la morte di mio padre. l'amico daniele che tiene in braccio la piccola e nel mentre quasi si addormenta. la quattrenne che mi mostra orgogliosa la sua nuova cameretta.

fu la prima di molte altre serate. tutte che ricordo come offuscate da un velo. roba di tristezza finissima e impalpabile, ma a passarci in mezzo poi t'accorgi che c'è. spesso invitato a cena da loro, il sabato sera. da una parte mi spiaceva lasciar solo matreme. da una parte percepivo altra tristezza finissima, una serenità che non c'era così serenamente. scazzammo anche, con l'amica amelia. sentii messa in dubbio la mia onestà intellettuale. allora mi offendevo molto per cose del genere. ci ritrovammo dopo qualche tempo. mesi che ricordo di un colore stinto. ma non ero solo io, scoprii qualche tempo dopo.

poi mancò il suo di padre, al quale era legatissima. e nel contempo il marito la convinse a lasciare il paesello. andiamocene in riviera, a casa mia: avrò più possibilità di lavoro, le bimbe altre prospettive. troppo innamorata e lancinata nella scelta. un pomeriggio voleva mandare tutto all'aria e rimanere. il marito mi chiamò per chiedermi di convincerla. lo aiutai anche nel trasloco. due mesi dopo essersi trasferiti la lasciò. io avevo già intravisto tutto, senza rendermene conto. non l'avevo realizzato, non l'avevo capito. non era nel novero delle possibilità. guarda che succede quando hai un bias di fiducia verso un immenso stronzo.

sono certo: lì cominciò il lento declino dell'amica amelia. l'amore per l'uomo sbagliato. incidentalmente padre delle sue figlie. che l'aveva ingannata e strappata al suo paese nel momento di lutto importante. per trovarsi sola, lontano da casa e dai suoi cari. sola come, alla fine, ho avuto la sensazione l'abbiano lasciata tutti. un po' anch'io, ovvio. sola e fondamentalmente mai disamorata di un uomo che provava a lasciarsi alle spalle, senza mai riuscirci del tutto. nei primissimi tempi successivi ho provato a starle vicino. telefonate chilometriche. qualche ospitata da lei. una tristezza importante, una tensione che non se ne andava. ha trovato pure il modo di complicarsi la vita autodafè. non so quanto per disperazione, non so con quanta lucidissima ed inconscia volontà. ne ha pagato tutte le conseguenze. non le hanno scontato nulla.

è stato un lento, inesorabile, inappellabile rotolare verso un qualcosa - la dico grossa - in cui ha scelto di lasciarsi precipitare. intuisco fuori dal conscio. ma da quel trauma, ho la sensazione, non si sia mai del tutto ripresa. non ostante le ripartenze, le nuove prospettive, la nuova vita. anche con il nuovo matrimonio. mi scelse come testimone. sembrava fossero arrivati tempi più sereni. eppure io non riesco a togliermi dalla testa che tutto fosse velato da una qualcosa di innominabile, prima che non detto. come se fosse rimasto un elemento irriducibile: mai accettata la fine di una storia. tutto il resto un tentativo di inventarsi succedanei. credo abbia affrontato tutto questo da sola. sola con sé stessa e quel pungolo. non son mai riuscito a chiarirlo del tutto con lei.

le cose sembravano potessero rimettersi, rifarsi una vita, prendersi una rivincita con il destino, o quella roba lì. eppure tutte le volte che ci si sentiva avevo l'impressione di una donna che stesse scartando lentamente, piccolo passettino dopo piccolo passettino. non me la sono mai sentita di chiederglielo davvero. il perché di quello iato tra il raccontarsi, e una malinconia ogni volta più spessa. o che ce la si stesse raccontando. come se mi narrasse quello che doveva essere la versione ufficiale. chissà se ci abbia davvero mai creduto. davvero, intendo. una voce ed un entusiasmo [alla modalità dell'amica amelia, ovvio] che sembravano svaporare.

mi aveva già cooptato per darle una mano per il trasloco. anzi, lo dava per scontato. con quel suo modo un po' da finta dura e poco formale: era il suo modo per dimostrare affetto. arrivo, arrivo, arrivo: tu tieniti pronto, che dopo che hai aiutato quell'altro a fare il trasloco del mio esilio, devi darmi una mano per quello del nio ritorno. tecnicamente non faceva una piega. di nuovo: come riparare un torto. eppure: ascoltavo e percepivo qualcosa di sempre più trascinato e con un velo di opacità nella lucidità del suo ragionare. ad ogni telefonata - sempre lei a chiamare invero - come uno strato di quella sensazione in più, ad aggiungersi.

con un po' di ignavia ho atteso la sua chiamata, che non arrivava. e poi ho saputo del ricovero. come se tutto si fosse sostanziato in un amen. voci vaghe su cosa avesse, cosa le fosse capitato, piuttosto all'improvviso. meravigliati un po' tutti, a partire dai suoi. io non mi sono del tutto stupito. tipo come lo squarcio del velo, le quinte che cedono e si vede cosa c'è dietro il palcoscenico, di quel che è andato in scena, quello che ci si era raccontati: lei con tutti gli altri.

quando sono andato a trovarla la prima volta in ospedale ho avuto la percezione netta non ne sarebbe uscita. ne ho giusto fatto parola con matreme. si era arresa, o forse stava pervicacemente dirigendosi verso qualcosa che aveva deciso lei, per quanto inconsciamente. ho sentito dirmi: son le corde vocali, poi la gola. poi il secondo marito non si è fatto sentire ed è sparito, lesto a chiedere il divorzio. nel mentre l'ho rivista altre due volte. sguardo sempre meno convinto e rassegnato. gli occhietti vispi, che mi avevao colpito da bambino, oramai velati ineluttabili. prima che lo facesse la neoplasia si era già ritirata lei.

la pandemia, il ricovero sempre più difficoltoso ed isolato han fatto il resto. forse pure picchiando giù duro anche con lei. ho chiesto un paio di volte sulla possibilità andare a trovarla. non mi hanno mai incoraggiato a farlo. non son mai riuscito a capirne davvero il motivo. io non l'ho mai fatto, con una pizzico di codardia, lo ammetto.

l'ho pensata spesso. se c'è una qualche forma di ingiustizia nel piccolo della mia prossemica, è quello che ha vissuto l'amica amelia. totalmente sui generis e anche con una dose di ribellismo non indifferente. un personaggio quasi de andreiano. si professava di destra, per tradizione familiare, ma era una che avrebbe dato tutto ed oltre per gli altri. te sei più di sinistra di me - le dicevo - solo che vuoi far per forza la testadicazzo e non te lo ammetterai mai. credo l'abbiano davvero capita in pochi. e non solo per la testa che faceva girare molto veloce. a volte troppo. e in certi contesti se non vieni capita diventi semplicemente la pecora nera. non se n'è mai troppo curata e spesso ha scelto la geodetica, la via più diretta ma ripida per provare a superare i problemi. spesso scornandosi, ed una fottia di bozzi. alla fine hanno vinto i bozzi.

alla nucci, alla sua mamma, questo pomeriggio ho raccontato qualcosa a cui parzialmente non credo. ma spero a fin di bene: ora è lì serena con il suo papà. che lei ha sofferto davvero tanto. come non meriterebbe nessuno. il parzialmente è sul dove e con chi sia l'amica amelia. il resto un immanentissimo dato di fatto.

credo, amica amelia, che tutte e tutti ti si debba delle scuse. che è vero che la vita viene. e tu ti ci sei incaponita, anche con spigolature che ti potevi evitare, mica per altro: han riverberato prima di tutto su di te. però io non riesco a smettere di pensare che in tanti, troppi, ti si sia lasciata un po' sola. cosa che proprio non meritavi. l'hai spurgata dura, davvero dura. non dovrebbe toccare a nessuno, figurarti a te.

che il viaggio - qualsiasi cosa sia - ora sia lieve, finalmente. sarà piuttosto difficile dimenticarti.

Saturday, April 8, 2023

la luce del sabato di pasqua

ho visto quella luce, in quella chiesa, il sabato di pasqua del millenovecentottantanove. ero lì, nell'angolo alla sinistra dell'altare, dove ci si metteva noi del coro a cantare, accanto all'organo. mi ero messo in testa di realizzare una derivazione parallela all'attacco di un microfono, me ne serviva un altro. quella sera c'era amplificare l'armonica a bocca, che avrei suonicchiato al canto alla comunione. era lì con me la fanciulla di cui ero perdutamente innamorato. in stato di semi-esaltazione: come non rimanere affascinato dalla mia capacità di realizzare una derivazione parallela all'attacco di un microfono. era lì perché aveva deciso di accompagnarmi. io immaginavo chissaché. probabile fosse una di quelle sue azioni estemporanee, di cortesia o altro, che a lei venivano con naturalezza. anzi, nemmeno probabile: certo. visto come continuarono a [non] andare le cose. quella pasqua, peraltro, rientravo all'ovile. ci ero uscito poche settimane prima, scosso e folgorato dalle istanze illuministe che la magistrini ci aveva spiegato. mi si era instillato il seme del dubbio. quella rivoluzione concettuale, quei filosofi, la non necessità di un dio supremo e creatore mi aveva scosso, come si fosse squarciato un velo, un'epifania laica. ma questo avrebbe significato rinunciare a quel rifugio uterino oratoriano, l'amicizia col prete. non ero pronto [la consapevolezza del nocumento di quella amicizia particolare, ancora molto lontana a venire]. o forse troppo debosciato, paurato da quel nuovo paradigma. l'avevo risolta leggendo, per rassicurazione, dei tratti de le confessioni. mi sentii più sicuro e meno eterodosso. rientrando all'ovile, derivando un nuovo attacco per un microfono, con accanto a farmi compagnia la ragazza di cui ero perdutamente innamorato.

insomma. un sabato di pasqua che mi segnò. con il ricordo di quella luce in chiesa, che ho sempre associato al sabato di pasqua. anche se tecnicamente capita all'inizio della primavera, oltre che la fine dell'estate. sono le effemeridi, bellezza.

ci sono andato anche oggi a cercarla, quella luce. e l'ho trovata.

le pie donne si stavano adoperando per allestire la chiesa per la veglia [è un modo per esserci e dare il proprio tempo. mi sarebbe piaciuto, stronzetto saccente che sono, chiedere a qualcuna di costoro: ehi, pia donna che tanto ti adoperi, cosa mi dici delle sorelle e fratelli che vengono da di là del mare? ci stanno invadendo? saresti disposta a rinunciare ad un po' del tuo tutto per solidarietà a qualcuno con meno possibilità? quanto sei cortese e misericordiosa con il tuo prossimo, più prossimo nel quotidiano?]. l'enorme drappo, a cingere l'altare, era ancora quello rosso. quello che viene lasciato scivolare al venerdì, quando il vangelo recita che "emise lo spirito". non era stato ancora montato quello bianco, che poi sarebbe stato spalancato per tutta la larghezza dell'abside. un simbolo imponente del nuovo tempo pasquale. quello che si acclara con la distesa di campane a festa. le stesse che mi hanno turbato per qualche anno. i primi dopo essermene andato dall'ovile. credo per sempre. non so se per nesso causale o solo temporale. o forse solo la contemporaneità di quel periodo passato cercando - ossessivo - ma non trovando una quadra, per una qualche forma di realizzazione. scrivevo, in attesa delle campane a distesa. e mandavo poi il tutto all'amica queen.

il prete, vocazione tardiva, il nuovo don dell'oratorio, che pare non riesca a far molta breccia nei ragazzi, confessava su una panca. al termine il gesto della benedizione che sostanzia l'assoluzione dei peccati. mi ha colpito, per quanto l'abbia visto fare centinaia di volte. ed ho pensato che abbia un suo senso terapeutico. quel sacramento dovrebbe avere il significato di rimettere in bolla le cose, ma soprattutto prenderne consapevolezza, per quanto attraverso la pedagogia del pentimento e contrizione. e mettersi nelle condizioni di non rifarlo. e se ci si pensa, al netto dell'ambito intimo-sessuale, tutto il resto dovrebbe concorrere ad armonizzare e rasserenare le relazioni tra le creature: scazzate il meno possibile, che se non si scazza si sta bene assieme e con sé medesimi. dovrebbe, ovvio. e poi vabbhé: c'è l'assoluzione, che è una chiusa con un valore simbolico potente. ennnniente: ti si sono rimessi i peccati, non ci sono più. è potente, ma è beffardo, a guardarla dalla mia apostasia eterodossa. sei assolto: quanto, nell'inconscio è soluzione comoda? ti adoperi di meno ad agire sulle cause. perché tanto gli effetti te li fanno sparire: assoluzione. scompaiono. se glielo fai notare, retoricamente c'è la mossa del cavallo: dall'immanente si spostano sul trascendente, e tu a quel punto muto. e però è nell'immanente che rimangono le tossine e tutto quello che ne deriva. e si sta a volte di merda piuttosto inutilmente.

osservavo e pensavo a tutto questo. anche il fatto di aver incrociato un sabato di pasqua, sotto quella luce, la [allora] nuova fidanzata dell'amico daniele. per la prima volta con l'impressione di aver di fronte una fidanzata finalmente e compiutamente donna. oltre al fatto lo sopravanzasse di mezza spanna. l'ennesima nuova. pochi mesi dopo quella precedente. poche settimane dopo avermi raccontato la suggestione [sua] di passare la pasqua ben fuori dall'italia, a conoscere la famiglia di un personaggio interessante. per inciso: non la persona che invece avevo di fronte. erano tempi con virgulti di entusiamo, relativamente recenti. ma che ora sembrano molto lontani. e comunque prima tutta quella serie di complicazioni e traumi abbattutisi sull'amico daniele e famiglia. io sarei andato sotto per molto meno. lui reagisce in maniera ossessivo-compulsiva. ho idea con l'idea di dover far la guerra al mondo: quello che non capisce tutte le macchinazioni, i complotti, che non si sveglia e non apre gli occhi. io tecnicamente non so rifarmi alla misericordia di colui che tutto può e sa. per il semplice fatto dubito esista, figurarsi gli intercedenti. quindi non posso affidare nessuno alle preghiere che peraltro non recito. però all'amico daniele vorrei augurare, davvero con molto affetto, la contezza gli sia necessario farsi dare una mano. che il turbinio degli eventi lo sta portando altrove. da soli non se ne esce. ho pensato - e condiviso questo - mentre ero lì, a sussumere la luce del sabato di pasqua. non che valesse di più per il fatto fossì lì, neh? è che si possono trovare momenti di relativa intimità con sé stessi, e far i conti anche con quello che agita un po' di più.

già.

anche perché ho anche idea che - in fondo - il sabato di pasqua, sia il mio di giorno. è un tempo sospeso, di attesa che non si risolve. che è poi come mi percepisco, ma va bene così. anche perché so di tonnellate di storie di umanità che hanno vissuto e vivono nel venerdì della passione. le storture, le ingiustizie, la marcescenze che il mondo e la storia elargiscono con fecondia. per non dire delle difficoltà che in tanti vivono: senza nessun merito o demerito, capita loro, punto. il sabato è il giorno dopo, si aspetta la veglia che precede la domenica di resurrezione. ecco. io lì non ci arrivo. lo lascio a chi ci crede. ne facciano del meglio che possono. per me è già un privilegio esserci dopo il venerdì. si può essere grati, non so bene a chi o cosa, per tutto questo. io mi fermo lì. con un po' di spocchia agnostica posso pensare di rimettere in circolo questa gratitudine, anche senza il giorno di domenica. farlo perché è la cosa giusta da fare. lo so da me. farlo nell'immanente, con tutta l'imperfezione che può venirne fuori. nella di-speranza, teleologica, del caso mio singolo - me ne andrò, probabile solo, non risolto e incompiuto, con tanta vita non vissuta come avrei voluto - ma con l'ottimismo che l'intelligenza collettiva dell'umanità va in una sola direzione, come la freccia del tempo.

è un giorno complesso il sabato di pasqua. che te la devi vedere un po' da te. che c'è l'eco del venerdì della passione, anche se non ti è toccato davvero. mentre la pietra del sepolcro se ne sta tutta bella lì, ferma ed immobile. nessuna distesa di campane a festa.

è il sabato di pasqua, appunto. con quella luce. si può essere grati anche per quella.

ci si può rappacificare con il divenire, anche senza essere felici [come una pasqua].



Monday, April 3, 2023

a suo modo era geniale, il franco

quando mi disse che l'avrebbe posata di notte, la notte del diciottonovembre, gli dissi che era la data del funerale di patreme.

- è anche quella della morte di padre francesco. rispose.

padre francesco, un prete che, a prescindere, non poteva non mancare a chi l'aveva conosciuto. agnostici e atei compresi.

- la posiamo quella notte in omaggio a lui. e poi se ci pensi: ognuno ha già vissuto il giorno in cui morirà e quello in cui gli faranno il funerale.

in effetti non ci avevo mai pensato. e sintetizzai a mente la dimostrazione di quella considerazione [ie tutti coloro che hanno almeno quattro anni, per tener dentro anche il ventinove di febbraio], non ostante la sua disarmante ovvietà. ma ero già in trip per la storia della fontana, che il franco avrebbe posato la notte del diciottonovembre.

meglio: l'avrebbe donata alla comunità. la fatica, lo sbattimento, il lavoro per restituire, con pervicacia, qualcosa che era stato rubato, tolto, sottratto con vigliaccheria. rapidità e pochissimo sforzo per sottrarre, un lavoro lungo e capace per restituire. riparare un torto ha valore anche per questo. da quel momento 'sta cosa mi ha sempre provocato un certo brivido, con tanto di groppo in gola. ci ho scritto più volte, pure qui dentro. roba variegatamente psicopipponica. non ricordo se glielo abbia mai confidato, di come questo mi abbia colpito nel profondo. e di quanto avrei dovuto e voluto ringraziarlo.

in fondo il franco era [anche] 'sta roba qui. istrionico, coinvolgente, esuberante, profondo nel suo porsi cazzaro e lieve nel suo porsi piantato nel solco di quello che era, di dove veniva. credo si sia fatto tanto di quel culo a lavorare che fatico a pensarlo tutto assieme. chissà i chilometri e chilometri di tagli, chissà gli ettari lucidati. chissà la decine di tonnellate di materiale scavato. lavorare il marmo e il granito. veniva orgogliosamente da lì. che non c'è cosa di più litotipicamente posata, costituente il suolo del luogo donde provieni. perché in fondo era quella la pietra che il suo babbo ed il suo nonno avevano plasmato: colpo dopo colpo. un cazzo di lavoro duro. piantato nel solco di quello che era, come quel suo avanzare tra i capannoni della sua azienda, che mi sembrava avesse il baricentro basso. anche per far leva e magnificare una forza che non è mica da tutti. o forse l'esperienza era anche saper come prenderli, maneggiarli, quei blocchi.

veniva da lì. così pervicacemente legato al suo territorio. al padre morto di silicosi, lui ancora giovane. ovvio che il nome del figlio maschio era già deciso. e nel frattempo il franco ci ha messo del suo. l'istrionico al posto giusto nel momento giusto ad inventarsi una declinazione di quel lavoro così duro. così che ha costruito la sua attività di cui era - sacrosantemente - fierissimo. erede e innovatore, nel solco della tradizione che ha servito come un sacerdote laico. capace di affascinare e affabulare coloro che non potevano non rimanere indifferente dai suoi manufatti, l'idea di fare e di osare. quand'anche "solo" nei construtti lapidei. capace di raggruppare attorno a sé artigiani capaci, collaboratori che si sentivano di famiglia, che non erano "solo" dipendenti. a suo modo era geniale anche nel sintetizzarsi così. credo tanta tanta tanta intelligenza emotiva e sociale. è un talento anche questo.

era un bel mics, il franco. quando gli parlavo avevo sempre l'impressione che occhei tutto il nostro studiare, ma poi ci mancasse sempre un qualcosa rispetto a lui - a parte le pragmatiche che gli son venute, che con il mio andazzo nemmeno in tre vite, forse. non son mai riuscito a cogliere appieno quanto mi canzonasse affettuosamente nell'esprimermi stima. e tra la tanta stima in noi, il suo figliolo e un po' in me, quanta segreta certezza che qualcosa ci sarebbe sempre comunque mancato. credo, senza spocchia [anche perché farei ridere], che in un altro contesto, altra estrazione e possibilità, avrebbe potuto fare cose decisamente memorabili. al netto sono più che memorabili le cose che comunque ha fatto.

un po' sì. in fondo un po' gli ho invidiato avere avuto un padre così. o meglio: quello che son riusciti a fare assieme. dei suoi ricordi e di come lo seguisse felice di seguirlo, specie nelle lunghe camminate in montagna. di come certe cose devono essergli rimaste attaccate da subito. per onestà gli ho sempre riconosciuto il merito di essersi fatto coinvolgere. cosa che, da puntacazzista un po' altero e snob, a me non è mai riuscito. non ne poteva uscire la stessa cosa.

ho sempre percepito questa differenza tra me e lui, per quanto sfumata. come se fosse ben più piantato per terra e sicuro nel suo incedere. e non è solo per la sostanza a grande densità dei marmi e dei graniti, che anche lui ha cominciato a lavorare, quarta generazione. marmi e graniti a contrapporsi con le mie idee fumose, miste ad un intimidimento che ha prodotto un certo tipo di iato.

quella del franco è sempre stata una presenza importante. molto importante. roba fondante, che immagino non sia venuta via del tutto gratis. una eredità e prosecuzione per nulla semplice. specie se il contesto, il caso, il divenire delle cose non arride del tutto. non è una questione di meriti o meno. è che uno ci prova nel suo tempo, con la propria istrionicità e per quello che può. e molto viene, oppure no, senza che tu possa farci granché.

era già da qualche tempo che il franco non era più in formissima. io non mi tolgo dalla testa sia una specie di fio, da pagare a quel suo essere istrionicamente sui generis. come se quell'essere vulcanico, alla fine, abbia presentato il conto. e per certi versi il franco mi sa che non ci aveva tutta 'sta gran voglia di pagarlo. e mica gli si può dare tutto 'sto gran torto. anche se - intuisco - ha lasciato qualche pensiero non esattamente lieve, negli ultimi tempi, alle persone a lui vicine. non credo sia mai stato il tipo da accontentarsi della situazione affollata della pancia della gaussiana. ha sempre avuto questa gran desiderio di esplorarne la codina.

lascerà un'eco importante. come tutte le persone. però ci sono genti che eccheggiano in maniera polifonica e per nulla banale. e rimane anche - un po' - in tutti quei marmi e graniti che ha amato lavorandoli: taglio dopo taglio, levigata dopo levigata, colpo di scalpello dopo colpo di scalpello.

ha fatto tanto, ha insegnato e donato di più. e mi piace ricordare che nel retro di quella fontana, nella parte murata e nascosta, ci sia il nome della sua giordana, oltre che il suo.

continua ad inseguire la codina, con lo scalpellino o meno, ovunque e comunque tu sia caro franco.



Saturday, April 1, 2023

accontentamenti[smi]

accontentarsi. che verbo riflessivo tagliente. nonché quello che ho imparato. peraltro, a cercarne per forza una, la sintesi sertralinica di tutti questi mesi, e probabilmente di tutti gli anni di odg. è un di cui della minchiatina, che semino qua e là nei vari post più o meno psicopipponici: fare pat-pat sulle spalle al principio di realtà, che comunque - stronzo o meno - ci ha sempre ragione lui.

accontentarsi è tagliente, perché si porta dietro due possibili letture. il verbo riflessivo è lo stesso, ma riflettono cose e prospettive fottutamente diverse. punto di partenza medesimo, però può uscirne roba dicotomica.

accontentarsi. che sei arrivato lì. ma di lì non si va avanti. anche ad intravvederne il tocco che si potrebbe ancora fare. e invece è precluso, o è saggio precludersi. accontentarsi. fare pari e patta con un qualcosa da associare al concetto di sconfitta. ah, cazzo, avrei potuto spuntarla. è una plaga che vorrebbe rassenerare, però mastica amaro: tanto o poco che sia. può capitare di accontentarsi di un ventinove, masticando amarissimo.

accontentarsi. che sei lì, e ne cogli il senso profondo. trovare contentezza nel qui ed ora. perché il qui ed ora non è necessariamente scontato. anche se a volte scappa fuori questa sinuosa pretesa. sussumere comunque soddisfazione per il punto in cui sei. che lì davanti si intravvede altro, ma è comunque il dipanarsi di un chissà. che ci distrae dal fruire tutto quello cui sei arrivato. può capitare di accontentarsi di un ventidue, ed esserne molto molto molto felice.

stessa medaglia, due facce. anzi no. è un nastro, con il concetto geometrico del verso. accontentarsi. ci puoi arrivare avanzando sul verso che quando giungi sei nel cul de sac. mentre ti immagini ben altro fluttuare. oppure ci puoi arrivare avanzando sul verso che quando arrivi sei in cima a qualcosa. e ti godi la vista da lì. quello che può essere dopo arriverà, però prima fatemi ammirare il panorama, che è la cosa più importante.

accontentarsi. che il verbo riflessivo è quello. come agirlo è come si dipana il camminare lungo un verso, piuttosto che l'altro. in fondo si può imparare a scegliere quale dei due. e tutto il resto viene di conseguenza.

ho raccontato ad odg che ogni tanto mi sembra di essere serenamente soddisfatto di una  [presunta] sconfitta. poi mi rimbrotto - con molto affetto - per il fatto cazzeggi a giocherellare con il complemento [che magari son sconfitte anche no], distraendomi dal cogliere la potenza autogenerativa del predicato verbale. son diventato abbastanza sgamato dal non cader più in queste trappole bischere, che mi tendo da par mio.

può diventare un'arte di vita, accontentarsi.