Friday, December 31, 2021

cose meno bbbbuone e cose bbbbuone [e cose su cui non distogliere lo sguardo]

'sta storia delle aspettative disattese l'ho scritto un paio di post addieetro a questo. quindi nulla di così nuovo. figurarsi di originale. la storia del clangore cacofonico che genera, dico. ed il riiiibaund conseguente.

quindi, chetttelodicoafffà, quanto cazzo ci si aspettava da 'sto duemilaventuno, così dispari e così quasi primo [suvvia, divisibile per quarantatre et quarantasette, a loro volta primi]. che gli era toccato di venire dopo quel funesto duemilaventi. con tutte le speranze che vi si riponevano, ovvio gli sia venuta l'ansia da prestazione. così ha fatto abbastanza casino. e soprattutto si è un po' qui che mediamente si ha la sensazione che abbia fatto un po' cagarella pure lui.

povero duemilaventuno.

naturalmente lo sappiamo benissimo che non è andata proprio così. e che noi, mediamente col culo al caldo, si gode di qualche vantaggio in più rispetto a dodici mesi fa. anzi, mica qualche: parecchio vantaggio in più. poi non lo cogliamo forse appieno, in battuta, per il semplice fatto c'è il carico dell'effetto accumulo - un altro anno piuttosto complicatino - e l'effetto aspettativa, appunto. specie quelle così elevate che in tutta serena speranza ci si augurava. quindi non è proprio colpa del duemilaventuno. è che le cose vanno, a prescindere dagli anni, da 'ste fottute tappe simboliche, che è sempre un andare senza soluzione di continuità. la cagnolina maya, domattina, si sveglierà alle settetrenta e ticticiticticticticticchiccherà sul parquet ikea della stanza di matreme, che vorrà magnare. esattamente come le ultime decinaiadimesi. nulla sarà cambiato. poi è appunto sempre speranza. o quanto meno intuire il dominio dello spazio del possibile. 

che probabilmente il discrimine è appunto questo. quando smetti di vederlo il possibile là davanti. ci son stati dei tratti in cui questa cosa mi è mancata. per tuttuncomplessoecose. per lo stillicidio della pesantezza di quello che è accaduto e [molto meno pesantemente] è accaduto a me. per piccoli traumi affettivi o di atti mancati - molto desiderati ed anelati, nello spazio immaginario - e poi puffff, niente: mancati. e di amicizie che non so come saranno. il figlio del franco, su tutti. e la tristezza diffusa, spaventato impaurimento, che aleggia e si sussume in maniera impercettibile ma pervicacemente costante. è stato faticoso. è faticoso. e se ne sono stato risparmiato dall'acme [e ringrazio da laico il cielo o quella roba lì], ne ho colto ed accumulato il riverbero. granello dopo granello. un blandissima sindrome da stress post traumatico: quello di questa parte di mondo col culo mediamente col culo al caldo.

però ho camminato. però ho avuto a che fare con persone, importanti e andate. però ho guardato il mare. ho percorso sentieri nuovi, sudato pashmine, madidato t-shirt. ho goduto di viaggi parte della meta. ho alzato calici. ho provato ad ascoltare lagrime altrui, più o meno sostanziate. ho abbracciato e massaggiato piedi. mi è riuscito di scribacchiare, qua e là. ho pedalato senza fretta. ho potato e raccolto. ho letto pagine da uau!. ascoltato ritmi a volte irresistibili. per non dire della pelle d'oca alta un metro, o il groppo in gola che non era perché stavo scartando di lato, che poi va bene anche il groppo in gola perché stavo scartando di lato. mi sono fidato delle persone, mi sono fidato della scienza, che è tempo, metodo, dati [ri-cit.]. ho intravisto lo spazio del possibile.

intravedo lo spazio del possibile.

ora.

duemilaventidue come numero mi piace poco. troppo pari. ma poi in fondo 'sticazzi. anche basta con 'ste menate numerologiche da manuale che si trova nelle patatine. poca ansia da prestazione. poca aspettativa. se non la sana richiesta: stattene buono e tranquillo. al resto proviamo a pensarci noi. evitando quelle promesse, che dopo la prima settimana ci si è già dimenticati.

però un pensiero sì. suvvia. proviamoci. lo rubo da un editoriale di domani, nel senso di quotidiano che ha un nome geniale.

che noi siamo col culo mediamente al caldo. occhei. mediamente però. ed in questi due anni la varianza è fottutamente aumentata. le disuguaglianze si sono ampliate. chi ha perso il lavoro e chi non ha perso un'ora di lavoro [io]. chi ha visto ridursi drasticamente le possibilità economiche e chi le viste aumentare, anche per il fatto vi siano state meno possibilità di spenderle nel non strettamente necessario [io]. chi se n'è stato in panciolle a guardare serie tivù a far pasasre il tempo in case comode [parzialmente io], chi ha condiviso in spazi stretti numerosità complicate. 'sta cazzo di pandemia ha colpito in maniera quasi uniforme. ma non siamo tutti sulla stessa barca. siamo su barche diverse nella medesima tempesta. chi ora può pagarsi i tamponi decine di eurI, chi no. e se i tassi di letalità sono molto diversi per fasce di età, forse lo sono stati anche un pochino per censo. che poi, a proposito di tasso di letalità, quella dei migranti che hanno provato ad attraversare il mediterraneo è di circa duemilacinquecento morti su meno di settantamila che ce l'hanno fatta. gli ultimi dell'anno, come titola oggi il manifesto. che noi appunto siamo quelli mediamente col culo al caldo. mediamente però. ecco. le disuguaglianze. siamo il paese dove il 10% della popolazione detiene il 48% della ricchezza. con sperequazioni dovute alle rendite di posizione, mica il lavoro e l'impegno. siamo una repubblica fondata sulle disuguaglianze. ecco. il domani scrive che questo sarà il chiodo fisso per questo nuovo anno. può essere un bell'inizio. ed uno sprone. anche per cambiare qualche banale abitudine di lettura. non so se e quanto riuscirò a dare il mio minuscolissimo contributo. però, se proprio proprio uno vuole fare dei buoni propositi, mi pare cosa stimolante. da controreazione negativa, quella cosa che tende a stabilizzare i sistemi. non è che uno vuol la vita comoda. è che i sistemi non stabili possono dar fuori di matto. e tanto ancora di più c'è chi prenderà più mazzate di altri. e poi perequare è semplicemente una cosa giusta. da articolo 3, che forse è uno dei più belli della Costituzione.

 



Thursday, December 30, 2021

fallimentarismi, ma soprattutto ricominciamenti [et liberazioni]

ho conosciuto una bionda, virtualmente. è una fanciulla interessante. ha i capelli esplosi et forastici. peccato poche tette, ma 'sticazzi. non ostante mi faccia discretamente sesso dubito ci apparteremo mai in maniera intima. ma 'sticazzi. anche perché è appunto una fanciulla interessante. sa essere autoironica e con quell'understatement cazzaro delle persone intelligenti [deve essere questo, insieme ai capelli, che mi fa sesso, peccato le tette].

tra le varie chiacchiere - peraltro mi ha conosciuto forse in uno dei momenti più bassi et tendenzialmente depressivi. un paio di volte ho sospettato si fosse data perché sapevo di non essere 'sta gran attrattiva - ho provato a chiederle del suo essere tre volte madre, ora singol. ci sono miGlioni di cose che mi affascinano e mi incuriosiscono sulla genitorialità. ed in effetti non ne conosco mica poi tanti di persone - genitori - con cui raggiungere un certo livello di confidenza, o piacevolezza nel soddisfarle, quelle curiosità. sì, ci sarebbero tutta quella pletora figliante degli ecs oratoriani. di quelli lì, variegatamente pii et devoti et convinti o conformisti, senza discendenza siamo rimasti in pochini. ma soprattutto lo iato tra loro e me mica me le accende, le curiosità. a volte è più semplice con una praticamente sconosciuta, una volta confrontatisi che di tette, in effetti, poche. le curiosità sono verosimimente legate al fatto io quella cosa non l'ho vissuta. e probabile mi sarebbe pure piaciuto molto farlo. per quanto chissà i danni avrei combinato. e per quanto forse c'era una qualche eco di paradigma sociale da ottemperare, in maniera più o meno pedissequa.

ma c'è un altro aspetto, della bionda, che mi ha molto colpito.

forse è sovrastruttura, forse mica me la racconta tutta - sono pur sempre uno praticamente sconosciuto. però mi pare di cogliere sia stata capace di superare, di essere andata oltre il trauma della fine della relazione con il padre dei suoi figli. ribadisco: forse ho capito un cazzo. o forse è qualcosa per cui farle vivi complimenti. perché non credo sia così scontata quella specie di serenità che intuisco contraddistinguerla su quella fazenda. non ostante le difficoltà che immagino comporti essere tri-madre singol, tra l'altro di un figlio nel pieno della complessità adolescenziale ed una figlia furbetta. [cit.]

nel mio piccolo mondo fatto di cazzate ho la vaga sensazione che la fine di una relazione, con quella figliolanza, sia una declinazione importante del concetto di fallimento. che volendo, pur nel dolore e difficoltà, è un concetto financo asettico. preso così, da par suo, potrebbe nulla declinarsi sulle persone che lo sperimentano. fallisce una relazione. non significa lo siano le persone siano che quella relazione l'hanno fatta vivere. anche se, immagino, sia per un cazzo semplice andarci più o meno oltre, non farvicisi avvinghiare. ma intuisco sia possibile.

ci ho pensato proprio in questi giorni. quelli in cui viene ratificato il fallimento di quel progetto pezzottato che fu quella specie di aziendina. verosimile la scelta più sbagliata abbia mai fatto [ho ragionato anche se studiare ingegneria sia stata altrettanto sbagliato, se non di più. ma su quello ho decisamente sospeso il giudizio. ero troppo imberbe. e se dopo, accortomi dell'errore, non son riuscito a far altro che quello è perché son debosciato io, mica perché sia stato sbagliato iscriversi a quella facoltà]. quella che si chiude, fallimentarmente, non è stata solo un'aziendina. voleva essere un progetto di vita non solo lavorativa. qualcosa con cui ripartire dopo la morte di mio padre, per cui sarebbe stato fiero [per quanto sia sempre stato fiero a prescindere, non ostante non si sia mai riusciti a comunicarselo]. una scommessa che ero felice di fare, soprattutto perché me l'aveva chiesto una persona cui volevo bene, in cui avevo riposto fiducia in maniera spropositata. e fondamentalmente in maniera nevrotica, totalmente squilibrata.

in fondo non ci ha messo molto a venire un po' giù tutto. le macerie ce le trasciniamo da decisamente più tempo. e soprattutto per tanto, troppo tempo, ho masticato amarissimo. quando non revanscista e carico di risentimento. per la fiducia che sentivo tradita. per la dabbenaggine a fidarmi in quel modo. per la mediocrità ed il solipsismo che via via mi è parso di intravvedere. non sono mai riuscito, davvero ad andare oltre del tutto. ancora, almeno. con il travaso fallimentare che ho sentito ricolmarmi per un sacco di tempo. [poi uno dice quando ho cominciato a star là dentro, avevo paura anche della mia ombra. speravo che tre mesi di fattura forse li avrei inanellati, tanto poi ci avrebbero cacciati tutti. quando scoprii si stesse cambiando sede, ed il nostro responsabile aveva già preso accordi con chi di competenza per la nostra posizione logistica, chiesi: ma quando ci trasferiamo? settembre, mi risposero. ed io: ah, allora significa che non ci cacciano]. il fallito, insomma, ero io. consecutio inevitabile della scelta fallimentare fatta. per gli altri era stata mala sorte, contesto sbagliato, lobby impenetrabili, personaggi inaffidabili: tutti elementi esogeni.

da un paio di settimane, ogni tanto, penso che forse l'inibitore selettivo del ricaptatore avrei dovuto prenderlo prima.

quindi, quando nella bionda ho percepito l'essera andata oltre la sua relazione finita, mi sono interrogato. su quel suo traguardo. su fatto sia possibile.

poi, ovvio, intuisco che crescere tre creature ti distragga molto dallo psicopipponaggio su quanto si riesca ad essere pirla, a imbarcarsi in quella specie di roba. accudire tre figli stanca, molto più che scrivere lunghi post pieni di refusi ed avverbi, al netto rimanga poco tempo per farlo. ed è verosimile che la fine di una relazione di quel tipo sia fottutamente diverso che il fallimento di un progetto[ino] aziendale. [tipo che il mio amico figlio del franco è in situazioni cazzofottutamente più pesanti et complicate. io sono stato davvero un pischello, anche da quel punto di vista. poi su altre istanze penso abbia serenamente sbracato. ma è appunto altro discorso].

per questo, soprattutto, c'è un po' la prova provata - tra le tantissime, ovvio - che si può ripartire sempre e comunque. e soprattutto sul soprattutto, si possa lasciar andare. mollare. l'acredine incazzosa che per millemila mesi mi son portato dietro è stata zavorra faticoserrima [ti stanno a zavorrà, odi, mi disse la vibù il primo giorno. ma che stai a diiì? risposi. aveva ragione lei. anche se non sapeva quanto mi sarei fatto zavorrare io]. sono le scelte ad essere sbagliate. non le persone in sé. e per quanto sbagliate, martellarsi i coglioni serve fino ad un certo punto. forse solo a vivere nel cauterizzante senso di colpa. che il  moralismo cattolico, puoi anche abiurare, ma te lo porti dentro. o forse è il portato del bigottismo della parte più interessante e particolare delle tue origini famigliari.

e poi è roba che sta nel passato. passata. non serve intossicarsi il presente, che è il momento in cui vivi, minchiaz. gira la testa da quest'altra parte, cazzo. guarda davanti. che si va in quella direzione. sii misericordioso, laicamente, che si puote perdonarsi le minchiate. tanto più che abbiamo ricominciato un sacco di volte. i ricomnciamentismi è un pezzo di zavorra che si frantuma. e si è più leggeri. andiamo oltre, davvero.

chiudiamola qui. e non solo per quello che abbiamo ratificato oggi. che è stato solo un fallimento tra i millemiGlioni che affannano la variegata umanità. figurarsi se il mio è così importante. la levità non è preclusa per una qualche oscura fattura [da fattucchiera]. anche perché siamo scettici razionalisti, che provano ad esserlo da cazzari. con levità appunto.

tutto quello che potrebbe concorrere ad una fottutissima liberazione.

e comunque voglio parlarne con la bionda e confrontarmi. imparerò di sicuro qualcosa. e sarà interessante [e 'sticazzi per le tette].

 

[peraltro, ci sta pure la pizzica, della liberazione. pedddddire]

 



Tuesday, December 28, 2021

Vacs et alter

sono onusto di piccole manie. tra queste sono le date di eventi in cui più o meno [mi] son successe cose. ricordo:

  • il giorno in cui iniziai l'università e quando mi laureai;
  • che feci la prima comunione il giorno in cui l'amico luca compiva dieci nove anni [quando conoscevo solo l'amico che mi presentò l'amico luca. [e di cui ricordo la sua di data di laurea]];
  • il giorno in cui conobbi il piacere dell'intimità di una donna;
  • il giorno in cui iniziai a laurà là dentro;
  • che feci la cresima esattamente due anni prima della tragedia dell'heysel;
  • quando iniziò ufficialmente la mia ossessione più rincoglionita per una femmina.

l'ordine è ovviamente casuale, non temporale.

tra le tante cose c'è anche la storia delle mie tre dosi di inoculatia di vaccino mRNA. che da una parte è semplice, dall'altra significativa. semplice perché è roba di quest'anno ed è fresca fresca nella memoria, mi piace vincere facile. significativa per il senso profondo che tre punturine veloci sono state in grado di portarsi appresso. che chissà che cazzo ne penserebbe un novacse e similaritudini a legger questo post. ma quand'anche leggesse e pensasse chissà quali nequizie, onte stigmatizzanti, su tutto plani il più serenamente obliante degli stigrandissssimicazzi.

però, al netto di un ipotetico novacse e similaritudini, il ricordo quasi annualistico delle inoculatie si porta appresso un suo esser pregno, per l'eco che ciascuno di noi gli ha dato. che sarà solo roba simbolica. però i simboli possono avere una loro importanza. e per il passaggio che 'sta cosa rappresenta. o avremmo voluto rappresentasse. o che ci si augurava.

il giorno di pasqua del duemilaventi, nell'appartamentino, in solitudine, lessi un articolo di massimo recalcati. [mi sa che 'sta cosa l'ho già scritta, poi uno dice che ha contezza delle cose che si postano]. il punto che mi colpì fu quella specie di lucina, là in fondo, che colsi quel giorno. quando tutto era immerso nel dubbio si potesse tornare ad un forma di normalità. qualsiasi cosa significasse. recalcati scrisse che il vaccino avrebbe significato la svolta, la possibilità di riconquistare l'idea che ne saremmo usciti. un ritorno alle cose che conscevamo. l'elemento che poteva placare il disagio di quei tempi nuovi ma sgomentamente sconosciuti. la ricordo bene quella scintilla di speranza che intravvidi. fu un balsamo pazzesco, alla sottile angoscia che provavo, senza volermene rendere conto. più per l'incertezza del futuro che per l'eventuale malattia. recalcati è uno psichiatra e non un infettivologo, e nell'aprile del duemilaventi si parlava di un vaccino non prima di dodici-diciotto mesi [quando non sparando cose un po' a caso]. quindi era piuttosto inevitabile che il vaccino recalcaticesco era cosa ben diversa da quello che è spuntato solo sette mesi dopo. e di tutto quello che è stato poi in grado di fare, negli effetti. forse non poteva che essere cosa ben diversa. dopo è facile. anche misurare lo iato tra le attese e quello che è accaduto. e che speravamo accadesse. pur tenendo in considerazione che dal punto di vista tecnico-scientifico hanno fatto un qualcosa di pazzesco, è probabile non ce l'abbiano raccontata esattissimamente come la sapevano, di sicuro non potevano sapere esattissimamente come in realtà fosse o sarebbe stata. il metodo scientifico è tempo, metodo, dati [l'ho sentita alla radio, mi è piaciuta]. all'inizio avevano giusto il metodo, con ben pochi dati.

io non so dove stia, ora, la lucina che intravvidi nella pasqua duemilaventi nell'appartamentino, in solitudine. cioè non so quanto ci manchi ancora ad arrivarci. se è tenue perché è tenue o perché è lontana. ci sono stati momenti in cui [mi] è stata del tutto scomparsa: anche sel'inoculatia c'entra fino ad un certo punto.

pensavo di esserci abbastanza vicino, all'inizio di questo giugno, prima inoculatia. prima bevuta al bar dopo mesi, non osai pigliar la birra che chissà che effetto potesse farmi. ricordo la tensione speranzosa. mica solo per la prima dose, ma per quello pensavo potesse succedermi da lì a breve. non so quanto cogliessi il sottile tremito che mi pervadeva. era sottile, forse per quello. ma era tremito.

pensavo di essere riuscito ad ovviarlo, quel tremito, cinque settimane dopo. che tanto sottile non era più. anticipai l'inoculatia di qualche ora e partii per il mare. 'sticazzi gli effetti collaterali immediati. 'sticazzi le paure, le titubanze, le incertezze, e 'sticazzi lo smottamento esagerato per la spia del motore che si accendeva. quasi beffarda a rovinare quell'attimo che mi sembrava perfetto. fu uno dei momenti più intensi degli ultimi mesi. quel viaggio, arrivare là, il terrazzino. poi niente, fu invece il prodromo della consapevolezza stessi scartando di lato, mica tanto poco.

ovvio che, a guardare tutto questo, oggi, dopo è più semplice, fa tutto un effetto diverso. e per fortuna sono stato così eccentrico. nel senso che per fortuna oggi ne ho contezza. non è responsabilità di nessuno. così come le inoculatie, di cui oggi il buuuster, fanno solo quello che sanno fare: diminuire drasticamente la possibilità possa eventualmente evolvere verso forme gravi di malattia, e ridurre la probabilità di rimanere contagiato. solo, ma comunque non è mica poco. il resto sta attorno ed è abbastanza scorrelato. ed è tutta la vasta variegazione di un pezzo di tutto. dentro e fuori di ciascheduno.

ed è quasi rasserenante non aver più 'sta grande necessità di aspettative importanti. ma di far quello che è il meglio che si può fare, ora. che non è l'ottimo, che avremmo voluto funzionasse in altro modo, ma resta come opportunità importante. anche se non basta. però è roba di buona salute farlo.

non vale solo per le dosi di vaccino.

per quanto, anche l'aspettativa, in sé non è ne buona né cattiva. non è da pirla caricarla a molla, ma spesso una tenera necessità. ed un po' di laica misericordia a non puntare il ditino se la si carica anche un po' troppo. che sarà complicato quando poi si rompe la molla. e poi avercela, l'aspettativa, è un sintomo importante, quasi un discrimine fondamentale. è la ricerca a intravvedere lo spazio degli eventi del possibile. che è come l'aspettativa che fa pat-pat sulle spalle al principio di realtà. e che al fin ce l'ha fatta. e 'sticazzi se ci dovremo convivere con l'endemia. impararemo a fare anche quello. anche se sarà faticosetto.

non vale solo per dosi di vaccino. e comunque, se serve, faremo pure la quarta di inoculatia.

Friday, December 24, 2021

non è un post sul natale

non so se sia la storia dei ricaptatori che ricaptano meno. in fondo si può pensare anche di non trovare una spiegazione a tutto. e godersi l'effetto complessivo, che non è che siano state tutte queste grandi gioie [vale sempre il discorso che è così per tutti, e che tutti si stia mediamente con molto più il culo al caldo che molta altra umanità].

un altro effetto è che, in fondo, 'sto fottuto natale non lo si teme cccchhiù. a dirla tutta non è il primo anno che accade. forse perché, sempre in fondo, bisognava guardarlo bene, senza pregiudizi spaventati, ed accorgersi che BUH!, fottuto natale non fai mica paura. anche perché, ancora più in fondo, è mica colpa tua se tutto il contesto instilla questa fottutissima - lei sì fottutissima - ansia da prestazione da onustamento di spirito natalizio. che non è nemmeno l'ansia da prestazione, è la sovrastruttura che prova a perettarla, 'st'ansia da prestazione [perettarla, nel senso di qualcosa figurativamente più dispregiativo dell'instillare. non credo sia necessario il disegnino per far propria la semantica. ed in fondo si scherza, suvvia]. quindi cara fottutissima sovrastruttura va a farti fottere. che, nemmeno troppo in fondo, ti si può mandar a quel paese, tipo una cosa grossa ed impettita che basta spingerla in là, con un dito [facciamo l'indice, che si può porre un freno anche all'astio verso la sovrastruttura] e casca giù con la sua boriaggine. però facciamola cascare con delicatezza. è pur sempre la notte natalifera.

dicevo. non lo si teme ccccchhhiù. e non da 'sto giro, ricaptatori meno ricaptanti o meno. che succedono comunque cose, ogni anno, cose attorno a tutto questo bailamme da neve che scende, bimbi festanti, pacchi doni luccicanti e sentimenti inoculati. succedono cose liete e meno liete. robe capitano quando si è felici, quando si è tristi, quando si è medi [quasicit.]. qualche serenità in più, progetti che s'intuiscono e che s'immagina da perseguire, pandemie che anniliscono - temporaneamente - i progetti, pandemie che non se ne vanno non ostante i propositi o le speranze. succedono cose, insomma. ed è sempre più l'intuizione semplice che c'è da prendersi il buono che sgorga qua e là. o che si ha accanto, che lo si dà per scontato come una sciocca bimbominchionata. poi va bene, cazzo c'entra che è da farsi solo perché è natale? come la più scontata e plagiante circostanza da sorbirsi perché lo dice l'intorno, il sistema? ma stigrandissssssimicazzi. almeno lo si fa a natale o quella roba lì. che se mancasse pure quello sarebbe un po' peggio. che non è che ci sian sempre tutte 'ste grandi gioie.

poi mica non lo capisco il disagio, neh? variegatamente è compagno più o meno presente e ottundente da svariati miGlioni di anni. figurarsi se non lo capisco. qualsiasi cosa significhi, in qualunque modo declini e si manifesti, con qualsivoglia intensità. specie di questo senso cazzonatalifero. io ho cominciato a sabotarmici prima ancora di avere un grande trasporto desiderevole di metter la lingua in bocca ad una fanciulla. nel mio mondo sognante, di tensione verso donne angelicate, i baci anelati erano a labbra serrate. e nel contempo trovavo ingiusto e ipocrita che io festeggiassi con il mood del semotuttipiùbuoni, quando dei ragazzi di colore vendevano accendini fuori dai supermarket, da cui si uscita col carrello pieno di suggestioni opulentifere natalizieggianti. questi incroci pernicioni ed irrisolvibili qui. banalotto, mi rendo conto [ora]. ma almeno allora c'era il furore dell'idealismo  adolescenziale e la relativa inesperienza, e ciaociao alla percezione della complessità delle cose. e quindi era un po' per darmi un tono. un po' per idealità autoradicalizzanti. un po' per darmi un senso del sé per riconoscermi e farmi riconoscere. specie in famiglia. dove lo spirito natalicheggiante - dicono - dovrebbe deflagrare. se poi tutto il concetto di famiglia è intricato, per millemiGlioni di motivi, allora può deflagrare male. e quindi altro disagio. cose così.

però riconoscerlo il disagio, è come la storia del natalicume. è il primo passo per guardarlo dritto negli occhi e dirgli: disagio, nun te temo, son più forte io. o qualche cosa autopromuovevole simile.

però almeno si può coniugare un po' al passato, il disagio. non esattamente prossimo, non ancora remoto. non credo sia solo questione della poca ricaptazione. però ho la vaga sensazione funzioni meglio, la coniugazione al passato dico. che appunto è il presente quello da vivere - toh - tanto per cambiare. che sia nataleggiamento o meno.

il mio amico itsoh, qualche anno fa, fece notare - volendo - un dettaglio interessante nella parte dell'incipit del gloria, che ha la sua trionfale contestualizzazione nel rito proprio nella veglia natalicheggiante. il dettaglio: e pace in terra agli uomini di buona volontà. l'amico itsoh ci vedeva un coinvolgimento pieno nell'immanente di tutte e tutti. un augurio molto laico e cattolico, nel senso etimologico καθολικός - katholikós: universale. forse qualche esegeta e teologo non è del tutto d'accordo, specie per la cesura netta con la predominante: gloria a dio nell'alto dei cieli. però 'stigrandisssimicazzi all'esegesi. per quanto si possa vivere anche senza recitarlo, il gloria, è un bel dono quella suggestione: agli uomini di buona volontà.

che la volontà, come i ricaptatori meno ricaptanti, non basta. però tutto può aiutare. a godersi tutto quel che di buono può capitare e starci accanto. se non è pace - figurarsi felicità - è almeno un po' di serenità. che poi succede quando si smette di litigare con sé medesimi, e si sospendono le ostilità verso i coinquilini e quello che costituisce il principio di realtà. non è che sia sempre semplice. però cazzo se funziona. che appunto va bene pacem in terris, neh?, però anche pace tra sé e sé ed i conqulini ce la pigliamo volentieri comunque.

io, quella cosa del captare ogni cosa che c'è di buono, lo farò con matreme. soli lei ed io. quando decise sarebbe stato così non ero del tutto d'accordo. però decisi che avrei accettato. ora invece credo vada benissimo così. si sussume tutto quel che può far bene. che, a dirla tutta, niente è così scontato.

Tuesday, December 14, 2021

opere d'arte e neurorecettori

sono stato ad una performance al PAC. PAC [uau, ogni tanto qualche maiuscola] sta per padiglione d'arte contemporanea. l'arte contemporanea è tra le cose più lisergiche in cui mi piace infilarmi a fruire. poi magari ci capisco poco un cazzo, ma tant'è. mi piace. ed ho scoperto che mi piacciono molto le performance. che poi sarebbero quella forma d'arte in cui è l'artista che sostanzia l'opera d'arte. che magari ho capito poco un cazzo, ma tant'è. però mi piace pensare che è la donna e l'uomo che sono in potenza un'opera d'arte. che va bene, potrebbe non essere un'idea così originale. ma è un pensiero che si porta dietro una sacralità laica che mi soverchia, emotivamente. d'altro canto questa cosa qui dovrebbe fare un'opera d'arte. emozionare, no? poi ci saranno opere d'arte che fanno cacare, figurativamente ovvio. ma questo non significa, per forza, che manchino d'essere opere d'arte. tutto questo è molto psicopipponico, mi rendo conto. forse per questo mi coinvolge così tanto.

vabbhè.

la perfomance cui sono stato al PAC era intitolata "dopamina. uno studio visivo sugli ormoni dell'amore. performance sulla gestualità dell'affetto. il primo appuntamento". la cosa ancora più interessante, con la sua peculiarità artistica, è stato il fatto fossero anche i fruitori della perfomance a dovervi entrare a far parte, come condizione necessaria. sì insomma, solo pubblico fruente e non ci sarebbe stata perfomance, quindi opera d'arte. mentre quando qualcuno del pubblicao smetteva di essere solo fruente, diventava perfomance, quindi opera d'arte. anche questa non è un'idea originalissima, oltre che molto psicopipponica. però 'sticazzi. si è trattato di otto possibili interazioni tra performer: quelli propriamente detti ed i fruitori. otto diverse interazioni per sviluppare altrettanti esercizi per stimolare l'innamoramento. detta così capisco possa non essere molto efficace. ma d'altro canto non è proprio semplicissimo descrivere un'opera d'arte. soprattutto che non c'è più, che si aggrappa solo ai tocchi della memoria, per quanto recente. in ciascuno di questi otto esercizi un performer - propriamente detto - si interfacciava, interloquiva, entrava in comunicazione con chiunque volesse provare: fruitori/creatori dell'opera d'arte stessa. con fottutissimi e diversissimi risvolti. nelle reazioni di costoro - quello che prima erano fruitori- in maniera a volte molto evidente. immagino anche reazioni negli otto performer - propriamente detti - alcuni di questi con disabilità nemmeno troppo banali.

vabbhè.

ed il fatto è che io, tanto per cambiare, non ho fatto, ma ho osservato, per analizzare e provare a capire. sono rimasto nei pressi di due esercizi/perfomance: lo scimmiottamento - imitare i movimenti dell'altro - e lo sguardo - guardarsi intesamente negli occhi pensando a che tipo di persona si pensava di aver di fronte. non sono riuscito a vincere la ritrosia, come bloccato da qualcosa di paralizzante ex-ante. nel senso che proprio non ci ho nemmeno pensato di dare un contributo a quella perfomance. però mi sono giustificato provando ad accontentarmi del succedaneo: gli altri perfomano, io osservo speculandoci intellettivamente - tipo anche pensando che ci avrei potuto scrivere un post. che poi è il paradigmatico metter in arte la personalissima declinazione del mio essere in questo periodo. speculazione in loco dell'azione. come essere sempre più eterei, così da sentirsi tipo carta velina sbattacchiata anche dai refoli che nemmeno bavetta, specie quelli del mattino, quando ogni tanto mi chiedo come farò ad arrivare al pomeriggio. poi il pomeriggio arriva e trovo qualche punto di ancoraggio rispetto al completo smarrimento. con sempre il dubbio di cosa potrebbe essere, dovesse tirare un vento un po' più sostenuto. o cattivo.

vabbhè.

non ho fatto ma ho osservato molto intensamente. che poi è la versione pacifica/costruttiva del ne ho prese un sacco, ma quante cazzo gliene ho dette. ed è stato a suo modo emozionante, tanto per cambiare. anche ragionando sul fatto, in quel momento, che quelle reazioni così toccanti, che percepivo in maniera molto vivida, di un vivido bello, erano gli epifenomeni di fluttuare di neurorecettori secreti e riversati in costoro. anche il mio emozionarmi, il vivido bello e la sensazione di piacevole appagamento, era determinata da interazioni endocrine omologhe. probabilmente un mics di adrenanalina, ossitocina, dopamina e serotonina, e chissà quali altre ina mancano o chissà quale ina è messa qui a cazzo. ragionavo su questo, osservando gli altri e provavo una qualche forma di sottilissimo piacere. che poi non è molto dissimile a quando a volte scrivo queste psicominchiate. a volte [a volte, nel senso di la sensazione che provo sottile, non il fatto siano comunque psicominchiate]. [che poi a volte questa specie di understatement un po' ossessivo, che forse sfocia quasi nella sindrome dell'impostore, potrebbe essere regolata da un qualche abbondanza o carenza di un qualche neurorecettore]. ora. capisco che questa visione possa apparire, e forse scadere, nel meccanicismo-determinismo: le emozioni come banale effetto di un qualche ormone proteico o neurotrasmettitore. forse è una specie di riflesso pavloviano da materialista disperante quale - forse - sono. non mi stupirei che qualcuno possa stigmatizzarlo, quale altro tributo ad una visione fideistica alla scienza [di fatto, lo scazzo più profondo, verte su quello: solo che forse il meno fideistico sono io. vabbhè.]. però. però. la perfomance d'arte ce l'aveva nel titolo un neurorecettore: dopamina. forse è proprio questa la spettacolarità dell'essere umano. il suo essere opera d'arte. che basta una qualche cozzaglia di ammionacidi combinata opportunamente per farci vivere quelle cose lì. anche quelle mica tanto belle, ovvio. d'altro canto se fosse tutto sempre bellissimo non capiremmo la differenza di quando è bello. e mantenere elevata in continuo la tesione erotica non solo è faticossimo, dal punto di vista metabolico, ma è inutile, non funzionale. e le emozioni negative - paura, tristezza, rabbia - hanno dimostrato, anche nei manuali che trovi nelle patatine, sono state fondamentali per la sopravvivenza dell'uomo delle caverne, quindi dell'umanità. forse è proprio questa l'opera d'arte: il salto quantico da quei fondamentali di chimica organica alla complessità che riusciamo a racchiudere con questa specie di leva vitale che sono - appunto - le emozioni. anche fruendo di qualsiasi forma d'arte, qualsiasi cosa significhi. per i più fortunati anche creandola. o forse nemmeno i più fortunati. forse tutti. performanti o meno.

cose così.

Tuesday, December 7, 2021

santambroes [avvertenze: non è un post rievocativo-nostalgico]

a santambroes mi sono successe cose. ovvio, tutti i giorni succedono cose. sarà che forse quelle di santambroes me le ricordo più delle altre. posso dire di sentirlo quasi come giorno più sentito rispetto quello della festa dell'hometown. per quanto possa significare tutto ciò, ovvio. e per quanto matreme mi rompa sottilmente i coglioni su 'sta cosa, la vede come un affronto alla memoria di patreme. capisco il suo punto di vista emotivo. non ho mai saputo intuire quanto lei capisse il mio.

che santambroes potesse diventare un giorno importante, per me, lo capii sei anni fa. dopo millemiGlioni di anni già passati quivi. mai del tutto distaccato dall'hometown. mai del tutto innestato qui. una qualche via di mezzo, che per fortuna non è roba geografica. una medietà territoriale. che il varesotto son financo dei bei posti, quando non strafalcionati urbanisticamente. ecco. dei bei posti. punto. dicevo. santambroes di sei anni fa. ero sulla metro lilla. me ne stavo venendo via da là dentro a metà mattinata. una delle poche ferie o cose così di quel primo anno. venivo via da là dentro, ed ebbi questa specie di percezione piacevole, che valeva davvero la pena festeggiare santambroes e tutto quel senso lì. a quel giro la prima era "giovanna d'arco". la primadiffusa fu per me in triennale. tornai a casa cone brandelli di entusiasmo addosso.

al giro di due anni fa, invece, la prima era "tosca". per la mia primadiffusa stavo andando al pacta salone, diciamo milanopiuttostomoltosud. aspettavo l'autobussssssse. ero nei pressi di san vittore, il carcere dico, e stavo guardando verso ovest, verso il sole che cominciava a calare. ed in quel momento capii che avevo intravisto un progetto a medio termine. niente di spettacolare, o così originale neh? roba relativamente semplice: comprarmi un appartamentino, riequilibrare la situazione finanziaria e poi cercare un altro lavoro: meno pagato, ma con più soddisfazioni. cercare casa e lavoro. semplice quanto essenziale e ri-strutturante. e soprattutto mi sembrava chiaro, limpido. piacevole come il momento che stavo vivendo in quel soffio di cose che passano, ma un pochino restano. il santambroes, la prima diffusa, il sole che scaldava, il mio progetto, nel senso di concetto progettoso. come se tutto il rimbalzare da pallina del flipper di quegli anni avesse trovato un senso. il mio progetto. come se per quell'attimo tutto si fosse messo [quasi] al posto, creando un bel effetto di coerenza costruttiva: e quella era la cosa da fare. e fu bellissimo. che mica sempre le epifanie, piccole o grandi che siano, fanno quell'effetto. scrissi ad odg, rompendo il setting. la parola progetto l'aveva usata lei in una delle ultime sedute. quando ormai convenivamo che la terapia - propriamente detta - ormai poteva ritenersi ad un punto molto importante, e che fosse ora di entrare in una nuova modalità di iner-relazione, via via più diradata. "mi viene a trovare e mi può raccontare anche delle cose belle che le sono successe". disse così. ed in un altro passaggio la parola progetto. che lì in attesa dell'autobus era come si fosse sostanziata in qualcosa che capivo nel profondo. e son quelle cose belle.

poi è venuto quello che è accaduto. a tutti. sono abbastanza fortunato. mi ha portato via questo e [poco] altro. anche se è un altro significativo. e quel progetto sono parole che ripeto. ma mi suonano un po' vuote.

di quell'attimo, di quella piccola epifania di due santambroes fa, le ho racconato. forse il momento in cui il mio singhiozzare è arrivato meno atteso e più violento. e più singhiozzavo e più volevo finire la frase, rievocare quell'attimo, quel concetto, quella cesura che mi sembrava tra l'irritante ed il commovente, tanto fosse lancinante. non è stato semplicissimo.

ho come l'impressione che in quel momento abbia deciso di pigliare il blocco intestato per le ricette.

però questo non è un post rievocativo-nostalgico.

perché, occhei i santambroes passati, o i progetti più o meno epafanici. ma è roba andata. e dopo mesi ho come sentito dentro un'eco, flebile, ma l'ho percepita. che qualcosa là avanti potrebbero non essere solo parole piuttosto vuote, del tipo che quando si raccontano, e ancora non hai terminato, stai già iniziando a sabotarti. la densità plasmatica credo sia ancora del tutto irrilevante. quindi non penso dipenda da quello. vai a sapere da volte salta fuori, che giro ha fatto. eppure là davanti è come avessi intravisto la possibilità di. intravvedere non è sapere cosa. ma almeno so che ci può essere.

la questione dirimente è questa. facile. là davanti c'è ancora qualcosa o no? che è il modo per dribblare in modo creativo l'ovvietà che passeremo tutti. però quando il dribbling riesce è prendere consapevolezza - in tutto l'ambito - che là davanti c'è un progetto da incrociare. qualsiasi sia. è la questione progettosa che conta.

ed il fatto che non sono i santambroes passati, alcuni molto belli, neh? il fatto sono i santrambroes che devono venire [assieme ad un sacco di altri giorni, ovvio].

Friday, December 3, 2021

sertralina

il fatto è che un po' bisogna fidarsi. un po' bisogna buttarsi, nel senso di provarla. non ostante lo stigma che è attaccataticcio qua e là [e forse pure nel vissuto che uno si porta dentro]. non ostante le avversità nelle reazioni. che poi si relativizza e si contestualizza il concetto di rarità. che se sei tu il caso raro, un po' tutto lo sembra meno, mentre molto altresì totalizzante. guarda un po' te questo disio di star nella maggioranza, chi l'avrebbe mai detto. questa tensione nel non finire nel percentile sbagliato, per quanto non comune.

poi non significa che uno non possa aver un qualche tipo di timore. che son letterature, esperienze, suggestioni, incoraggiamenti, delucidazioni. ma poi sei un po' te lì, per i cazzi tuoi, inteso come sistema complesso endocrino e quello che gli gira intorno. una bella funzione di trasferimento f(dt) che chissà com'è che girerà mai. che si sostanzia come solo lei sa - inconsapevolmente, anche perché va per i fatti suoi, che la contezza sta da un'altra parte. e tu dietro e muuuuuto. al limite in vigile attesa. sperando di sbugiardinare. o di non dover smentire quel senso tra il rassicurante e lo sbrigativo del: son qui, mi spieghi e fugo i dubbi.

e così si mette sul piatto quella forma eterea, impalbabile, evanescente dell'affidarsi. roba che può bastare un doppio battito di ciglia e finisce il sogno, nel senso di roba onirica. che sono le sceneggiature dell'inconscio. rapido movimento di occhi e s'affoga quel che è centellinato e ammonticchiato nel tempo, come cosa preziosa e boa georiferita. che ho smesso di idealizzare le persone. ma poi non significa che di alcune ci si possa fidare. appunto.

anche se meglio non perder di vista l'infine. che tutto scorre, occhei, e non potrà che essere un infine che è in mezzo a tutto il resto del vivere. è un in fin che è tentativo di cavarne fuori qualcosa. che mica si fa senza apprensione, ma un qualche senso lo si spera ne esca. che tutto concorre, neh? ma poi forse non che prima si era felici senza saperlo. era proprio che prima era un'altra cosa. e ci tocca passare in mezzo a tutto il resto. tutti, ovvio. ognuno a suo modo. ognuno la sua patina che rende quel cicino più offuscato. ma è bene sapere che esiste, la patina. e non che c'è sempre stata, solo perché ora si è quasi abituati. è la consuetudine che frega, tipo i meccanici con la lingua [semcit]. 

che comunque ci son passati in mezzo in tanti. occhei. ed io avrei voglia di andare oltre la commozione quando mi videotelefonano il tramonto che sta finendo in acqua. avrei voglia di guardare sempre meno con lo sguardo verso il fuoco infinito, le spalle un po' curve senza saper dove andare a parare. avrei voglia di stabilizzarmi, non il moto browniano delle alternanze disperanti-massìchecelasifa. avrei voglia di cacciar fuori un sorriso, perché ci sarebbe poi un sacco di cose che vengono incontro per cui farlo, il sorriso. e non scansarle. che bisogna pigliare, non inibirne le captazioni.

non basterà. ovvio che non basterà. mica non lo so. speriamo non dis-funzioni.

sono arrivato a quarantanove donazioni. conto e mi auguro fragorosamente di arrivare alla medaglia d'oro. di cui non mi frega molto e che non mi piglierò mai. ma è il traguardo, che i simboli hanno ben la loro importanza.

bisogna fidarsi. bisogna buttarsi. bisogna provare. un po' di culo non si disdegna, nel senso di evento casuale positivo e favorevole. e che i sogni - onirici, ça va sans dire - continuino ad essermi amici.

ora si lancino in azione i selettivi. 




Tuesday, November 30, 2021

numeri e cose così [quasi un flusso di minchiatine]

oggi finisce novembre. non me ne voglia l'undicesimo. ma io son più garrulo così. peraltro avrei voluto andare ad un incontro di solidarietà a mimmo lucano, in quel della camera del lavoro. al quarantatre di corso di porta vittoria. avrei lasciato ventieurI di ingresso come donazione per entrare, oltre che mostrare il mio secondo griiiinpassse. ho dovuto scaricarlo di nuovo, 'ché il venticinque è scaduta la tessera sanitaria. lo stesso giorno del diciottesimo compleanno dell'unico nipote. quello stesso giorno, ma quello del suo undicesimo compleanno mi dissero avrei iniziato a laurà là dentro. il primo dicembre. che poi è come se si svoltasse ormai davvero in inverno, con il correre impetuoso verso il tramonto che la tradizione vuole il più anticipato, il tredici. e comunque, appunto, domani sono sette anni. che quindi ho la sensazione che qualcosa possa smuoversi. perché mi sono un po' costruito la trappola del sette, nel contesto lavorativo. che è roba del tipo che per sette anni ho cazzeggiato, invero con qualche spensierato divertimento. per altri sette ci ho provato a dare una svolta, ma furono magrissime vacche. e per altri sette mi sono fatto un culo che più culo non saprei, però il conto corrente è decisamente in sicurezza. peraltro con scarse capacità di gestirlo. che detta così sembra la tripletta [se, vebbhè, nemmeno ai tempi potenzialmente d'oro, avrei fatto tripletta. ossessionato per nove anni - non del tutto consecutivi per fortuna - con una che zero volte me la fece mai vedere, figurarsi annusare, figurarsi usare [so che questa trivialità che è antiottomarzo susciterà gli strali - sacrosanti - dell'amica roby]], dicevo la tripletta del numero biblico del sette può scorrer via distrattamente, ma fanno ventuno-cazzo-ventuno anni. [che un po' impressiona anche me. figurarsi che è percentuale importante della vita dell'amica roby][che poi è la seconda volta che la cito, a 'sto giro. tre con il post precedente. devo prendermi meno queste confidenze]. e comunque la storia del sette che si ripete e che poi cambia qualcosa è una trappola. ma non è nemmeno la prima, anche se non saprei enumerare quante altre mi sono costruito. una però è relativa al primo periodo di là dentro. che io devo analizzare delle segnlazioni. che non dico come le chiamiamo perché potrei essere licenziato. anche se tecnicamente sono stato assunto in vita mia per poco più di quindici mesi. quindi non mi possono licenziare. al limite stabilire come consulente non gradito. comunque. le segnalazioni che devo analizzare, dicevo. hanno un ovvio sistema di numerazione, identificativo. quando entrai là dentro erano arrivati al numero poco sopra l'ottantamila. non ricoro il numero della prima segnalazione che analizzai. però c'era di mezzo un'assicurazione vita, che è il prodotto con id milleecento [no, non è così confidenziale, posso scriverlo]. e comunque, la trappola mentale che mi costruii: mi ero messo in testa di andarmene da là prima che si arrivasse alla segnalazione CENTOMILA [TUTTOMAIUSCOLO. che così mi viene anche in mente l'amico emanuele. che fa gli anni il giorno ventidue. che poi è anche il giorno in cui se ne andò il mio nonnetto putativo, quando di anni ne aveva novantatre. e comunque tanta mestizia. in quei primi mesi di lavoro là dentro. mi viene in mente l'amico ema, che una volta mi disse che leggere i racconti che gli propinai gli faceva strano, che vedeva le lettere iniziali delle frasi in maiuscolo.][e comunque CENTOMILA TUTTOMAIUSCOLO è una citazione ed omaggio agli elii. che pubblicarono il primo album ufficiale quando io avevo ancora molti brufoli, cominciamo a subire l'idea castrante che farsi le pippe era peccato e soprattutto amavo angelicatamente la fanciulla che ora ha tre figlie ed abita a poche centinaia di metri da qui. o forse sono io abito a pochi centinia di metrei da loro. nel senso di famiglia a cinque unità][comunque, vediamo se qualcuno coglie l'omaggio agli elii con CENTOMILA. per quanto ve ne siano due versioni. ovvio che io preferisco non quella di radiodiiigei, e non solo perché sono un abbonato ritoccato [non nel senso del moltipipparolo] a radiopopolare, che trasmette sui centosettepuntosei. che se qualcuno volesse abbonarsi, non farebbe comunque una cattiva cosa.]. comunque la segnalazione CENTOMILA. mi ero messo in testa me ne sarei andato prima di quella segnalazione così tantosa. certo, certo, i mesi passavano. il numero identificativo aumentava, e ben oltre il novantamila mi dicevo: ma non sarò un po' pirla a mettermi questa fretta un po' ansiogena? e quindi un po' sì, cominciavo a pensare fosse un po' da minchioni. forse anche grazie alla presa di coscienza che - indubbiamente - mi ha aiutato a fare odg. che 'sticazzi se l'hanno definita una cura soluzione ottocentesca [dimentichi, peraltro, a voler epitomizzare che la psicanalisi è del primo novecento. però forse questo l'ho già scritto in un altro post.]. e comunque la segnalaizone CENTOMILA che vedevo da lontano avvicinarsi, ed io a chiedermi: me ne vado prima? e poi niente, cambiarono il sistema informativo delle segnalazioni. e partirono direttamente dal CENTOMILA, quasi dall'oggi al domani. ed io mi ritrovai un po' con il cerino in mano. e comunque, oggi che chiudo l'ottaquattresimo mese, ho gestito alle venti e rotte minuti di questa sera, la segnalazione numero centoventiquattromilaquattrocentosessantanove. non sono mica tutte mie, ovvio. e ci mancherebbe altro. sarei semplicemente già liquefatto. mentre, molto più prosaico, triste e poco assertivo, non me ne sono andato all'incontro di solidarietà a mimmo lucano, che appunto alle venti ed un pezzo ero ancora collegato. avendo così cubato in due giorni di questa settimana mezza giornata di straordinari. poi uno dice che immaginava qualcosa di più interessante, all'inizio della tripletta dei sette anni. non so quale numero ordinale di manifestazione delle mie nevrosi sia, questa cosa che invece di andare all'incontro, sono rimasto connesso col piccì ancora guindowsseven, dopo tutte quelle ore. forse volevo davvero salutare il fottutissimo mese di novembre anche così. anche se mi ero prefigurato una settimana di mitigrazione, post lavorativa. ieri andò così così, ma non per responsabilità mia. oggi lasciamo perdere. domani, che inizia dicembre, rivedo dopo millemilamesi la mia cummmmmmmà. e questo mi mette molto di buon umore, non ostante oggi abbia sbracato [la mia unica gioia è stata di accaparrarmi quattro panini schiocco alla lidol, che i bastoni alle olive erano finiti. oltre che fruire del venticinquepercento della razione giornaliera concessa alla casetta dell'acqua, che eroga al massimo sei litri per dì, presentando la tessera sanitaria. esattamente quella che mi è testé scaduta e per cui con quella nuova ho chiesto il secondo griiiiipasssse. che dovrei peraltro inaugurare proprio domani, alla cena con la cummmmmmmà, agile et scattante e con il suo marito, forse un po' meno agile et scattante, ma è l'altezza che lo frega. ovviamente il griiiiinpassse nuovo avrei potuto usarlo per la prima volta questa sera, se fossei andato all'incontro di solidarietà verso mimmo lucano [chissà se i passssssadran dell'antigriiinpasssse stigmatizzerebbero il fatto lo esibisca anche ad una manifestazione di solidarietà a mimmo lucano. la domanda intima è bizzarra, ma non del tutto campata in aria [e la risposta non è quarantadue]. 'ché nel diciassette ho quasi incrociato una, che all'inizio mi aveva molto colpito. poi si è rivelata essere un personaggio un po' spigolosetto. tanto che non prese in maniera proprio serena il fatto decisi che forse non era il caso. [di lei abbozzai ad una cena con gli amici - oltre la cummmmmmà - quando volli fare una foto con loro, per mandarla ad ella, prima di capire che forse non era il caso. ed a quella cena eravamo tutti i miki. oggi probabile ne mancherebbe uno.]. e comunque costei ora è una dileggiantissim novacsenogriiinpassssse e cose così. quindi forse del tutto sbagliato non ci vidi, allora. e comunque appunto ho letto qualche tempo fa un post, trasudante un livore agghiacciante, verso coloro che mostravano il griiiiinpasse per entrare al ristorante. invero, un post davvero scritto bene. sono le contraddizioni e la complessità dell'esistere]. e comunque poi vedrò anche l'amico ema. che magari a 'sto giro cambiamo birreria, e comunque questa volta sta a me. e poco prima rivedrò odg. dopo parecchi mesi. che ragionavo se abbia ancora senso la terapia. e probabile glielo chiederò. non solo per il fatto abbia rimandato per settimane, prima di contattarla, non ostante mi senta un po' sottosopra da tempo, oltre che con l'umore di moto browniano. poi ho anche pensato, però, che sono di fatto quasi ventiquattro mesi che non si fa un qualcosa che assomigli ad una terapia. ed è successo di tutto. a tutti, ovvio. non voglio mica arrogarmi la palma di una qualche originalità. però non sto benissimo nel modo che è solo mio. gli altri avranno il loro. [poi pochi ne hanno contezza, per non dire quelli che pensano di essere con le difese immunitarie altissime e protezionissime, ma è altro discorso.]. che in fondo domani inizia l'ottantacinquesimomese, là dentro. anche se là dentro non ci entro di fatto dal sessantatresimo. domani, peraltro, sarebbe andato in break-event-point l'abbondamento annuale ai mezzi. facendolo annuale dal primo di marzo, il primo di dicembre cominciavo a risparmiare [dai suoi trecentotrentaeurI], l'avessi fatto mensile tutti i mesi. in un altro mondo, prima di questi ventimesi, avrei fatto tutte queste considerazioni. e me ne sarei andato alla manifestazione di solidarietà a mimmo lucano [che questa sera c'è una manifestazione in solidarietà a mimmo lucano, l'ho già scritto?], con i mezzi, leggendo il libro che sempre è il piacere che mi accompagna quando salgo sui mezzi pubblici, che sono una cosa che a me piace molto pigliare e salirci sopra [è tipo una cosa del tipo il campanalismo proiettivo, di cui scrivevo nel post sul fontanile di disperato ottimismo, ed il suo tredicesimo anniverario di posa, quel giorno di novembrediciotto. un post [il quattrocentoundicesimo, di questo terzo bloggggghe] che secondo me funziona. e cui mi sento comunque legato. ma se l'è cacato quasi nessuno][ci sarei andato con i mezzi alla manifestazione di solidarietà a mimmo lucano, se non ci fossero stati questi ventimesi. 'ché immagino che sarebbe stato condannato a quell'abominio di pena anche senza questa merda di infarto della storia]. e invece poi le cose danno in numeri in tutt'altro modo. e siamo tutti stanchini [senza dimenticarci, invero, che stiamo nel punto più culoso del pianeta, con nemmeno tanto merito].

direi che potrei chiudere qui, il fluso di minchiate di questo post. più o meno come finisce novembre. che al solito è una questione di convenzioni. ma in quelle più o meno camminiamo dentro. domani inizia dicembre. cambia poco. cambia quel che verrà. un po' sarò disperante, un po' sarò più garrulo. un po', cazzo, dai non è ancora finita. [non rileggo, non metto l'italico alle parole storpiatelle. non oso immaginare gli innumerevoli refusi. 'sticazzi].

Thursday, November 25, 2021

gNente specchio riflesso per i novacse.

l'amica roby mi chiede(1)  che genere di roba, nel caso, vorrei scrivere. tra le alternative propone il buongiorno di gramellini. immagino fosse la chiusa iperbolica, tra le alternative. in effetti credo che l'effetto iperbolico sarebbe stato meno riuscito se avesse proposto l'amaca di michele serra. forse perché la leggo abbastanza spesso. quella di oggi mi ha fatto pensare che, in maniera tangenziale, avevo scritto un post qualche settimana fa. uno sui novacse, intendo. tangenziale e con molte più parole di ciascuna amaca. quella di oggi inclusa.

mi ha colpito in un paio di punti "al bisogno di rimanere umani che può salvarci non tanto dai No Vax, quanto da noi stessi" e quindi "ma avrà capito? [...] sarà capace di fare due più due".

mi ha colpito perché c'è dentro la doppia speranza. che se la leggi da una parte è quella di provare a mitigare quel senso dicotomico di divisione e di frattura. che io comunque percepisco e continuo a non vivere bene. tanto più ora che me ne sto dalla parte numericamente importante. incredibile: nella maggioranza del paese. e mi viene, quasi riflesso pavloviano, di provare una specie di attenzione ripettosa per le minoranze. un po' per abitudine a sentirmici. anche se questa minoranza, pervicace, fa scelte sciargurate che credo fottutamente sbagliate, a danno di tutti. quindi provo a ricacciare indietro, se sento spuntare da lontano, quel senso di revanscismo. roba del tipo: e mo ve le cuccate tutte le limitazioni del supergriiiinnpasssedeluccse. revanscismo perché la speranza è che, come si chiede-auspica michelino, è che capiscano. che poi c'è dietro la speranza o la convinzione che noi si è capito qual è la cosa giusta. e si è agito di conseguenza, al netto di avercela del tutto la contezza quale sia la cosa giusta. che poi sarebbe come leggere dall'altra parte la doppia speranza.

in maniera duale, la contezza di qual sia la cosa giusta, ce l'hanno pure i novacse. che verosimilmente declina in una miriade di motivazioni più articolate nei recessi della testa. è probabile per situazioni ben più convinte, rispetto a quello della maggioranza. in cui non è difficile confondere la netta convinzione con il fatto si stia dalla parte giusta e della verità. quindi non a caso un sacco di costoro ci chiama pecore di un gregge ammansito. starsene in una minoranza è fottutamente più complicato che starsene dove stanno quelli che sono di più. ci vuole appunto una certa motivazione e caparbietà. figurarsi se questo nasce da un disagio più o meno consapevole: ovvio che tutto questo debba essere puntellato per bene e con qualsiasi ellisse interiore [peraltro credo che, nella stragrande maggioranza di questa minoranza, il disagio sia del tutto inconsapevole. e se parlo di disagio, lo faccio sganciandolo del tutto a qualsiasi forma di giudizio. mica per altro. il primo a vivere un disagio sono io.]. ed uno dei puntelli che riescono meglio è quello del dileggio. è un buon modo per rafforzare il senso di appartenza, e per ribaltare quel senso di minoranza, che poi a passare in minorità è un attimo. sono di più, consoliamoci con il fatto siano dei coglioni. e se i coglioni sono loro, non possiamo essere noi, che incidentalmente siamo meno: situazione non proprio agevole.

ecco. io vorrei evitare un meccanismo simile. e non perché sono nella maggioranza.

specie ora che, mica non lo capisco, la stretta del supergriiiinnpasssedeluccse non potrà che portare ad un arroccamento. e questo acuirà la dicotomia e la divisione. provo, davvero, a mitigare quello che inevitabile si porta dietro. come eco che mi riverbera dentro, e di certo il disagio non diminuisce. anche se, davvero, io non sono loro. non solo nelle scelte molto pratiche. ma anche nello smontare il carico emotivo di separazione. visto che separati comunque lo siamo. e me ne sto dalla parte di quelli che sono di più, quindi di sicuro avvantaggiato. poi mi piacerebbe lo capissero. tipo la domanda di michelino: sarà capace di fare due più due? che la domanda è legittima. com'è legittimo augurarsi ci venga riconosciuta la giustezza delle nostre azioni. e se non riesce loro, pace. io comunque provo anche a rimanere umano. è un modo per dare ancora più valore alla scelta che ho fatto: quella più giusta.(2)


 

 

(1) La risposta è stata, ovviamente: eh, saperlo! [rifacendomi il verso]

(2) spero di riuscire a rimanere umano meglio di quello che mi riesce ad essere sintetico. che le amaca, così come il succedaneo buongiorno-che-ora-si-chiama-caffè, quanto meno godono del dono della sintesi. e quindi immagino ci voglia molto meno tempo a scriverlo, così come a leggerlo [e minimizza la probabilità di refusi, al netto uno abbia un correttore di bozze]. è questa una delle invidie [sane] più pungolanti. oltre che a dimostrare che non sarò mai editorialista, se ce ne fosse nel caso ancora bisogno.

 

Sunday, November 21, 2021

il sogno qui ed ora - loro - e gli incubi della quotidianità - miei

[nota. ho inziato a scriverlo di sabato sera tardi. indi mi si chiudevano gli occhi dal sonno. ed ho deciso di ri-leggerlo e pubblicarlo la domenica]

oggi alessandro metz mi ha regalato una chiave di lettura davvero illuminante. ovviamente a sua totale insaputa. è successo a questo evento di bookcity. che era il mio modo di cominciare a dominare il mese di novembre. è stato importante, oggi, ributtarmici: lo scorso anno lo avevo totalmente ignorato, con i suoi incontri tutti inevitabilmente in striiiiming.

provo a contestualizzare. non prima di aver fatto un paio di premesse.

prima premessa. bookcity è un evento potenzialmente bulimico. che manda a nozze la mia necessità di speculazione in una solitudine affollata. nel senso che vado agli incontro di presentazione di libri, che poi non acquisto, cercando di sussumere spunti psicopipponici. ci vado solo. e solo ed anomino sto in mezzo agli altri. non mi chiudo in casa, sono comunque orso, cerco spunti ispirazionali. è bulimico nel senso che ci sono gazziGlioni di presentazioni, in giro per la città. temi, fascinazioni mainstream, coinvolgimenti [miei] molto variegati. gli anni passati il giochetto era quello di farsi largo tra le proposte. pianificandole per zizzagare in maniera fattibile, ed essere nei posti all'ora giusta. spesso decidendo a quale incontro partecipare sacrificandone altri, quando contemporanei. la scelta spesso fatta in maniera rabdomantica: leggo la presentazione rapida e decido, ma delle volte è come se l'evento mi chiamasse, cose così. poi, vero, alcuni argomenti mi attirano più di altri. oggi ad esempio, litigando con il fatto che per alcuni non vi erano più posti disponibili, ho scelto quello che titolava: i corpi dei migranti. non credo sia stata una cosa del tutto casuale. anche alla luce della seconda premessa.

che poi sarebbe che il mio lavoro - esattamente - non mi entusiasmi e mi porti ad esclamare: che figata quel che sto facendo! uso un eufemismo, ovvio. fatturo discretamente, sì. questa è una pericolossima trappola. mi dà soddisfazioni quando la fattura la emetto, che significa una volta al mese. mi sta intossicando l'esistenza, piano piano, insufflazione ad insufflazione, in tutti gli altri momenti del mese. variegatemente, percependo intensità cangianti di nocumento. così quando mi chiedono: che lavoro vorresti fare, allora? io in realtà rispondo: eh, bella domanda, a saperlo. in realtà un paio di risposte io ce le avrei anche, ruzzolano nella testa. e risponderei: scrivere e/o tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi sui barconi che sappiamo. non mi sfugge il salto in avanti, decisamente eccessivo. che così la pragmatica va da tutt'altra parte. cosicché io rimanga a fare un lavoro che non mi piace. a sopravvivere con la scrittura bisognerebbe: 1) aver qualcosa da scrivere 2) la serena convinzione essere capaci di scriverla in maniera interessante 3) un discreto buco di culo o 4) un formidabile talento. in questo momento, ogni tanto, mi si abbozza in testa qualche embrione del solo punto 1). per dire, dico. in alternativa, tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi, è un lavoro per pochi. perché bisogna essere tecnicamente preparati. con competenze specifiche, se non sei l'armatore o cose simili. anche solo a padroneggiare un paio di lingue. io son regredito in maniera importante nell'unica che conoscevo oltre l'italiano. e figurarsi se mi senta pronto anche solo per propormicisivisi - considerato il contesto della percezione del sé. è desiderio di quisquilie statistiche della popolazione. i posti sono comunque talmente pochi, che la quisquilia statistica ne ha d'avanzo. e sopravanzare la - relativa - massa bisogna davvero crederci ed essere capaci. e figurarsi me medesimo, per dire.

mi era però rimasto un dubbio curioso. perché quando leggo, osservo, ragiono sulle azioni di soccorso in mare, percepisco questa tensione quasi vocazionale? che non è la vocazione in sé. quanto la sensazione di poter annullare quel senso di frustrazione et inutilità in quel che faccio ogni mattina quando mi connetto al piccccì. invero fatturato discretamente. ma frustrazione et inutilità mi avviluppano. roba che si allarga a più o meno tutto il resto del mio esistere. mentre pensare a tirar fuori le persone dal mediterraneo è questa specie di raggio fotonico, che mette in cortocircuito tutto il bolo di roba che non mi soddisfa, non mi piace, non mi realizza. zzzzzzottt: sparirebbe. non mi sfugge che una cosa così avanti, quasi come estremale, è un bel modo di rimandare per sempre l'azione. se mi do alternative così difficilmente realizzabili, che poi proietto a roba del tipo: o quello o niente, ovvio che sarà il niente. ed io potrò continuare a rimanere nella mia zona di comfort tossica. se la metto solo come cosa dicotomica, si può evitare di pensare alle millemila posssiblità intermedie. più fattibili e raggiungibili. però dovrei muovere il culo e provare a fare. che non è qualcosa che mi riesca - pém-pém-pém-pém - immediata, con questa fludità  e reattività d'azione. [un sacco di eufemismi, in 'sto post]. con molte meno parole [ecco, se uno vuole scrivere, potrebbe cominciare ad usarne meno, di parole. anche evitare subordinate che spezzano la lettura, tipo questa parentesi quadra] non mi sfugge l'aspetto nevrotico-ossessivo. per quanto abbia studiato altro. per quanto, anche capendolo un po' meglio, non so quanto potrebbe servirmi per muovere il culo e fare.

ecco. dopo tutto questo pipponcino di premessa: qual è stato il dono involontario di alessandro metz? è il senso che lui prova quando tira fuori le persone dal mediterraneo, provando ad evitare ci si affondino: mediterranea save humans, appunto. è nella ragione sociale. e metz ha raccontato che, quando quei tocchi di umanità vengono soccorsi e portati a bordo, non si può non percepire che in quel momento, in quel preciso momento, è come se si magnificasse l'acme del loro sogno, speranza, progetto di un futuro e vita migliore. in quel momento sanno di avercela fatta. che non moriranno e che tutto quello che hanno passato - e oltre loro solo un concetto di idea di dio può sapere cosa possono aver passato - ha avuto senso perché è arrivato quel momento. quando li portano a bordo. è il punto più alto del loro sogno, del senso del loro nuovo progetto di vita.

"progetto di vita ed entusiarmo che io faccio fatica a ritrovare. sono troppo stanco e disilluso, e non riesco, nemmeno lontamente, a paragonare a quelli di costoro. io, se non avessi a che fare con quei sogni, ricadrei inevitabilmente negli incubi che la quotidianità, qui, non sa altro che regalarmi".

occhei. occhei. un filo retorico. e che perde un po' di vista la complessità - epocale, biblica - di tutto il fenomeno migratorio. ma la complessità che nessuno, nemmen metz, misconosce è altra roba. e tirar fuori una persona dal mediterraneo prima che affoghi, oltre che moralmente inevitabile, sta in un altro campionato, di un altro gioco, con altre squadre schierate. lui che gli capita di farlo.

ecco. per me è stata davvero illuminante. il sogno stortato della quotidianità - non userei propriamente il termine incubo. l'acme del sogno per ciascuno di costoro che nella metà dei miei anni hanno già vissuto ben oltre il doppio delle cose che verosimilmente vivrò io. non sono esattamente soddisfatto e realizzato. tirar fuori dal mare e salvaguardare i progetti loro è proiettivamente uno dei regali potrebbe capitarmi. mica non lo sappiamo che molti di quei progetti si schianteranno col principio di realtà di questo pezzo di mondo. così come si sono schiantati i miei, che hanno provato a farsi largo con fatiche e sacrifici nemmeno lontamente paragonabili ai loro, tanto hanno avuto la strada più spianata. che i progetti si schiantino, non è un motivo sufficiente per non sognarli e dar loro anche solo la probabilità necessaria: che sarebbe quella non affondino nel mare. la loro grida con una volontà che nemmeno riesco ad intuire. e deve essere talmente intensa che ho capito perché vorrei essere là a dargli una speranza. sì, certo, è un motivo a scrocco. ma deve valerne così tanto la pena, che non mi interessa nemmeno tanto.

alla fine dell'incontro gliel'ho buttata lì ad alessandro metz mi avesse illuminato. che avevo capito un paio di cose, importanti. [poi, al solito, il fatto le abbia capite non significa minimamente le farò. ma questo è altro discorso]. lui mi ha guardato con un mezzo ghigno. non ho capito se contento della suggestione o con l'idea fosse una cosa buttata lì per paraculismo inutile. non è 'sto gran problema. [al limite il fatto, tanto per cambiare, sia scappato via un po' imbarazzato, è uno degli epifenomeni del periodo. martellarmi i coglioni per questo non serve. e non lo faccio. prendo atto. nel frattempo che non si interrompano i sogni di questi pezzi di umanità. anche se ben non sarò io a contribuirne direttamente.]




Thursday, November 18, 2021

la fontana, ed il disperato ottimismo

il franco piazzò la fontana la sera di tredici anni fa. proprio come 'sta sera. alcune date si ricordano più di altre.

continuo a pensare sia una storia bellissima. il ritorno di quella fontana in quella piazzetta, intendo. gli portarono, al franco, un blocco di marmo rosa di candoglia. roba rara, quella cava è coltivata solo per la manutenzione del duomo, null'altro. tranne qualche magheggio del vescovo che l'hometown ha donato al mondo, o più semplicemente ad un tocco di chiesa locale. avuto il blocco, il franco, pensò di rifare la fontana. recupera foto di quella di prima, spesso sgranate, raffiguranti soprattutto altro, in bianco e nero. chiama qualcuno con la mano felice di scultore, o quasi. coinvolgi un po' della tua gente, delle tue maestranze. ed eccola lì, la fontana rifatta. pronta per essere ri-collocata. esattamente dove stava quella di prima. che sparì di notte, rubata. il giorno dopo nella piazzetta non c'era più: sottratta a tutti. il franco decise che di notte sarebbe ricomparsa: donata nuovamente a tutti. giusto per evitare di passare per fesso, il franco ci collocò due zanche importanti e robuste, sul retro. accanto alla scritta incisa per ricordare padre francesco nel decimo anniversario della morte, la moglie [del franco, non di padre francesco] e che quella fontana la fece [soprattutto] il franco. e con le zanche - non con la scritta - la ancorò al muro su cui poggia tutt'oggi. mi disse: così, se vogliono rubarla, dovranno romperla per bene, se la portano via sarà tutt'altro che intiera.

una notte sparì. una notte ricomparve.

me la fece vedere, qualche giorno prima, il figlio del franco. con la fontana quasi finita. un insieme di parti sparse, ma semplice da immaginarle insieme: sostanziarla. e mi raccontò l'idea del babbo. fu una specie di scossa di entusiasmo. un po' per il fatto fosse una fontana. un po' per il marmo del duomo. un po' per questo modo di andare a riparare un qualche torto verso la collettività [unpo'cit]. mi affascinò talmente tanto che decisi di tornare all'hometown apposta quella sera, toccata et fuga. per esserci anch'io, lieto di starci. e poter essere partecipe in piccolo, testimone di questa restituzione. a far qualche foto, tra l'altro. erano i tempi in cui viaggiavo ancora sulle ali dell'entusiasmo per la piccola azienda, destinata a luminosi futuri [invero, un paio di scricchiolii li avevo un po' sub-odorati. ma ovviamente non li riconobbi]. quindi tutto mi sembrava semplice, fattibilissimo. andare e ritornare in quella serata peraltro moderatamente frescazza.

ci scrissi un articoletto per l'allora giornalino dell'hometown. forse uno degli ultimi che ci misi sopra. lo intitolai: un fontanile di disperato ottimismo. il senso, con un proluvio di parole, era semplice e onusto di fiducia. sottrarre qualcosa al bene comune ci vuole poco, l'egoismo è rapido, insultante: e lascia una ferita. restituire qualcosa al bene comune costa tempo e fatica, l'altruismo è lento, metodico: ma sutura lo sbrego. quella fontana che ricompare in quel modo era un gesto di fottuto ottimismo, a prescindere da tutto, quasi come l'unica cosa da farsi per ovviare financo alla disperazione. 'ché passeremo tutti, rimarrà quel gesto, quella restituzione a beneficio di altri. poi sì, anche quel marmo diventerà polvere. però a lasciarlo andare da solo è decisamente più probabile lo farà dopo.

in fondo non è passato così tanto tempo da allora. il franco non è esattamente in formissima. il contesto in cui quell'idea maturò, da una parte non c'è più, dall'altra forse non è messo molto meglio del franco. al netto se ne colga contezza. ho qualche ragione di credere che un altro racconto del figlio del franco, qualsiasi sia, non mi entusiasmerà mai più così. per tuttuncomplessodicose. che poi una di queste è che ho qualche dubbio riuscirò ad entusiasmarmi a prescinedere. che dovrebbe chiamarsi disperanza. senza dimenticarmi che disperati, veri, ce ne sono fin troppi in grandissimi tocchi di umanità. mentre io, al momento, me ne sto in altri di tocchi.

eppure, questa sera, ricordando quell'altra di sera, mi emoziona ancora un po' quell'ottimismo ontologico del franco, e di quello più congiunturale mio. e colgo il senso di quel gesto. che non passa, nel suo essere ottimista, come la presa che garantiscono le zanche ancorate nel muro, vieppiù nella disperanza di oggi. la fontana è ancora lì. bene e cosa bella [a suo modo] per tutti. poi a me piace anche pensare sia di marmo rosa, ma è un campanilismo proiettivo. come un sacco di altre cose del resto. il proiettivo, intendo.

e comunque le foto, qui sotto, sono solo di un anno fa. esattamente di un anno fa. quando sentivo forse un ottimismo, anche sapendo fosse disperato. però con la fiducia di un futuro, che potesse spalancarsi ad ali che potevano riaprirsi.

nel borsino di questa sera, la stessa di quando il franco piazzò la fontana, l'ottimismo un po' scende. la disperanza sale. [per quanto, non è che sia esattamente la stessa sera. allora era allora. questa sera è qui ed adesso. è che sono fottutamente perculanti le date.]






Saturday, November 13, 2021

post complesso /1 [piuttosto editato, peraltro]

mi è sovvenuta questa psicopippa.

che è partita da un anniversario, un po' particolare: il decennale delle dimissioni di quello coi capelli di kevlar. lo ricordo perfettamente quel giorno. ed il senso di liberazione che provai, forse financo gioia. ero davvero convinto che il peggio era passato. non sarebbe più tornato, e che non potesse mettersi che in qualcosa di meglio per la travaggggghiata situazione italico-politico-peracottara. [poi vabbhé, per tuttuncomplessodicose quell'anno è stato permeato da una specie di ubriacatura fiduciante. come se il tutto fosse ammantato di un'aura di cose che era suggestivo accadessero. naturalmente c'era di mezzo una donna. forse l'ultima per cui ho perso davvero la testa. in qualche maniera ricambiato. per quanto nulla di pratico, o fattivo: non sarei stato in grado, non saremmo stati in grado. però quell'anno è del tutto appiccicato di quel ricordo diffuso. peraltro lei è appena diventata madre. il padre, lo stesso compagno di allora.]

dicevo. il decennale di quelle dimissioni, e le speranze che si aprirono. inutile ribadire l'ovvietà non sia andata esattamente così. poi sì, lui non è [ancora] tornato. anche se adesso, il fatto non ci si sganasci dalle risate, usando in una stessa frase il suo nome e PdR, è un'inquietante intorcigliamento della storia, come se qualcosa finisse per ribaltarsi addosso a sé medesima. però è stata molto interessante ascoltare alcune considerazioni nonché l'analisi fatta alla radio. foriera di altre considerazioni tra me e me. uno dei punti di sunto è che, semplifico, il berlusconismo ha prodotto come azione-reazione contraria un antiberlusconismo, che è stato un coacervo di cose e globalissima foglia di fico per gran parte della politica [in senso ampio: quand'anche il dibattito, i mass media, le visioni di un paradigma alternativo]. è stato un gran calderone. e in tanti [troppi?] avevano ben poche altre idee per realizzare davvero qualcos'altro. ci si è cullati di antiberlusconismo, e morta lì. qualche carriera gemmata sopra. e poco d'altro di costruttivo.

semplificando un po' meno, e riducendo alla personalissima esperienza del sentito, non è che dal mio punto di vista bastava essere antiberlusconiani. ma quella per che era il desiderata, l'ideale dal mio punto di vista, non poteva significare altro che essere antiberlusconiani. vi era un nesso cauale per una visione del tutto opposta al modello di costui. ma il tutto non nasceva e non si fermava ad essere solo anti lui. per quanto alcuni dei girotondi li ho pure fatti io. mi è capitato anche di essere popoloviola. ma era in di cui inevitabile.

però è anche vero che, nel nome dell'antiberlusconismo e basta, qualcosa di anomalo ha cominciato a manifestarsi pochi mesi dopo. quando ho ritrovato persone [figurativamente] con cui avevo fatto girotondo, gridarmi in faccia [figurativamente] tra il sardonico, il revanscista e con un certo astio gridoso: sietetuttimortiiiiii, andateveneafffffanculo. tutti quelli che non erano come loro.

ma come? abbiamo girotondato assieme, abbiamo partecipato alle iniziative contro quello che chiamavamo satrapo usurpatore. ed adesso mi dai del pidiota [votato raramente pealtro] e tutto il campionario di cose che non capisco del tutto. quel che capisco è che siamo stati sotto lo stesso ombrello. però forse non c'era del tutto questo mutuo riconoscimento. non da quegli altri, sicuramente. che stava succedendo? forse il tanaliberatutti di quelli che non volevano più quello con i capelli di kevlar, oltre a non essere sufficiente, si rivelava essere disorientante. col rischio di creare ancora più confusione. forse si è sostanziata una riduzione irrazionale di un'istanza delle complessità del pensiero e del fare politico. uso riduzione irrazionale non a caso. come se un tentativo di semplificazione di un'istanza complessa fosse una riduzione con elementi che non sono razionali, tipo risolvere una frazione con numeri diversi da quelli primi. e così non funziona. accorgersi della complessità è capire che non basta [non sarebbe bastato, per chi lo capì perfettamente già alllora] essere antiberlusconiani.

al netto del fatto si sia smontato tutta l'aura di quell'anno [a suo modo un altro elemento di complessità relazionale], la delusione tra quelle aspettative e quello che è accaduto è chiara. ovvio, non basta stessimo sotto lo stesso ombrello, pensando di essere sodali con tutti. mentre avevamo solo un avversario comune: con motivazioni, istanze, sistemi valoriali non sempre coincidenti. ed in molti vi si sono adagiati. e si è persa di vista la complessità. che proprio perché complessa non deve sbattersi più di quel tanto per rendere intricato quel che può uscirne. che infatti ne esce bello complesso. e non siamo del tutto pronti ad affrontarlo. perché non ne abbiamo contezza, la visione.

ovvio che la delusione è lì pronta ad attendere. e soprattutto la cosa non si fa, appunto, semplice. quando non altri riverberi sono, di fatto, grossi cazzi: per tutti.

[in realtà volevo scrivere anche di altro. la psicopippa è più ampia. magari continuo in altro post].

[updt, della sera successiva: in realtà ci ho messo un sacco di tempo a scriverlo. continuavo a ciondolare il capo, sonnissimo et stanchissimo. talmente sonno da essere costretto a provare a ricordarmi cosa avevo pensato all'inizio del periodo, per chiuderlo, il periodo. chiudevo gli occhi per concentrarmi. e mi appisolavo per un attimo. io lo so che non devo mettermi a scrivere in quelle condizioni. quanto meno da completamente sobrio [non troppo sobrio et assonnato è molto divertente scrivere]. era una strage di refusi. e qualcuno può essermi ovvio ancora sfuggito. e soprattutto non è venuto esattamente come l'avevo in testa. evabbhé].

Sunday, October 31, 2021

delle relatività dei bloggggghe

avevo deciso fosse venuto il tempo un nuovo blogggghetttino. avevo capito che, quello che stavo riempiendo di post, non avrebbe dovuto averne molti altri, dopo il post - venuto di getto, senza pianificarlo, pesante e liberatorio - in cui raccontavo del primo anniversario, di quando mio padre si ammalò. capii che quel blogggghe doveva chiudersi più o meno lì.

solo che mi rugava che in quello nuovo ci fosse scritto, a memento definitivo, creato in un qualche giorno di novembre. novembre, il mese che vorrei finisse ancora prima che cominci. poi però passa. specie nell'ultima decade. ma ormai è quasi del tutto andato.

così lo creai il trentunottobre. non mi andava di aspettare dicembre. che invece è mese che amo molto.

aprii quell'altro primo blogggghe, su suggestione della queeennn: dai, aprine uno, che così ti leggo, ti farebbe molto bene e lo useresti alla stragrande. ah, incidentelmente - aggiunse - conoscerai milllemila donne. io, babbbbbodiminchia, lo aprii per questo. babbodiminchia io. aveva invece ragione lei, non tanto per le donne da conoscere. non fu quella la cosa più importante. comunque, quando mi titillò, i blog erano strumenti di comunicazioni relativemente nuovi. almeno in italia. meno negli iuesssssei. che già servivano a raccontare [anche] delle guerra in irak, fuori dai filtri meinstriiim. e poi venne la blogosfera.

insomma. il trentunottobre nacque il blog relative. che non so mica ancora bene se fosse in inglese o in italiano ["non è la stessa cosa, i meccanici fregano con la lingua, non è la stessa cosa" [cit]]. bisognerebbe aprire un dibattito in redazione, con gli autori. di certo, per certi aspetti, è stato davvero un qualcosa di importante. e non solo perché ho avuto modo di conoscere persone davvero interessanti. che sono variegatamente nel mio cuoricino. ognuno con il suo nicccheneim, quasi mai col nome vero. persone che credo che sarebbe stata un po' più grigina la mia esistenza, non le avessi conosciute. [che poi, in questo periodo, la mia sociopatia abbia raggiunto livelli preoccupanti, che sia regredito, è un fottuto altro paio di maniche, e di camicie]. in quel blogggghettino ho infilato davvero di tutto, nella maniera più roccambolesca possibile. roccambolesca nel senso che quello che mi girava in testa, roccambolando, lo roccambolavo spesso là dentro. era davvero uno zibaldoncino in millesimi.

e scrivevo. scrivevo. scrivevo. e veniva facile farlo. certo. è pieno di refusi che levati. è onusto di post iperombelicali. c'è una densità da nana bianca di periodi circonvoluti, contorti. ma come cazzo mi piaceva scriverci sopra, la qualunque seriosa minchiata, o semplicemente minchiata.

l'amica roby mi disse di apprezzare di più questo di blogggghettino [questo, nel senso di questo dove leggi questo post]. che invece è davvero tutt'altra roba. e non solo perché è in un culdesac commmmmiunitario, e quindi ad andar bene - ma bene - siete in cinquesei. è come se mi fossi nascosto qui dentro. nessun legame con nessun altro bloggggghe. ci arrivi perché ti passo un link. non per caso. ci ritorni per affetto o compassione nei miei confronti, o qualche piacere al bordo dell'ICDC-11. forse era sociopatia anticasuale. qui scrivo meno spesso. per quanto forse di più. ho la sensazione che sia pieno di refusi. onusto di post iperombelicali. un buco nero di periodi circonvoluti. ma non ci sono troppe minchiate. e non credo sia necessariamente un merito.

di certo ora, il blogggghe, è strumento molto da matusa, piuttosto cringe per uno che per lui il feisbuch è da vecchi, ora che anche il feisbuch cambia nome. provano ad incul[c]arci i metaverso. io sto qui a scrivere su di un bloggggghe. figurarsi.

però sticazzi.

e sticazzi anche il fatto che io non lo so, che alla fine forse sono più affezionato all'altro. e qui ogni tanto ci butto su roba, quando supera il filtro della censura degli autori qui dentro.

di più.

non so nemmeno quanto sia così scaltro ritornare, coazione a ripetere, su cose che sono andate. passate. mentre la vita - mi dicono dalla regia - è hic et nunc [questa è la seconda volta che la scrivo, oggi].

di più.

coazione a ripetere su qualcosa che è fottutamente così poco addentellata sulla storia del fare. che è poi la cosa che dovrei disciularmi a fare. che scrivevo seriose minchiate. tante. il paradigma di quel che mi è parato davanti stamani, appena sveglio. quando consideravo che nella vita ho provato a fare poche cose, ma molto convinte. però quelle poche me ne son riuscite quasi nessuna. c'era una gran camera di compensazione in quel blogghe di minchiatine più o meno seriose. che mi divertivo a scrivere. ma minchiatine su di un blogghettino di provincia son rimaste.

quindi sticazzi relative, evviva relative. che l'amica roby quando lo aprii faceva ancora le elementari [se ho fatto bene i conti]. pedddddire, quanto sia un buuuuummmer quella roba lì.

eppure. eppure.

mi son sovvenute due cose. che quella del trentunottobre la scelsi tirato dalla contingenza. ma ha un suo senso ex-post. un senso per certi versi. che - ora - sto rivalutando l'aspetto antropologicamente interessante di questa notte, che è la propaggine più avanzata verso novembre. che ha una valenza potentissima nelle culture di tutta europa. e forse anche oltre. [continuo ad aver studiato altro]. la notte in cui il regno dei morti si avvicina a quello dei vivi. il tempo dell'autunno che la luce si accorcia, il freddo arriva, e si ritira in un'approssimazione di letargo. l'eco di quando si muore. e che ci doveva essere un modo per esorcizzare la paura dell'inverno che si vede là in fondo. che ovvio incutesse timore. a noi l'allovuiinn ci fa una pippa. ed anche le sovrastrutture della festa cattolicheggiante ormai sono state smontate. rimane il senso profondo, archetipo, di quell'espediente che ci siamo inventati per simboleggiare quel passaggio. che è diventata questa notte di vigilia. quel ributtarsi nell'autunno più profondo. e farsi trovare pronti, per provare ad uscirne di nuovo vivi.

ecco. forse per puro caso. o forse no, chissà. ma quel blogghettino è stato un modo per esorcizzare il personalissimo trauma. ed il lutto mica solo mio da portare con, supportare. mi sentivo vivo, allora. e ci speravo eccome si potesse ripartire ed attraversare quell'autunno esistenziale. anche se non so di quanto avessi del tutto contezza fosse un autunno dentro. [certo confusi le primavere successive. ma è altro discorso]. ed il fatto oggi 'sto fottuto autunno esistenziale sia bello pregno e obnubilante è una correlatissima casualità. o una incidentalissima causalità. non credo basti scrivere in questo blogghe, molto cul de sac relazionale, molto più psicopipponico, a farmene venire fuori. sempre sia possibile [l'emozione dice di no. il raziocinio dice di sì]. e comunque è bene me lo ficchi in testa.

risvolto finale. nella testa, confusa, per l'idea confusa del post che avevo in testa nel pomeriggio, il post avrebbe dovuto finire qui. [a dirla tutta, l'avevo vagamente immaginato più lieve. e invece forse tanto lieve non è. giusto per ribadire quanto sia poco fluido e fluente il turbinio ispirativo-creativo, e quanto non l'abbia esattamente sotto controllo. mi sovvengono cose, e quando non le censuro escono un po' come cazzo vogliono. sempre troppo prolisse e pesanti, come da sensazione percepita]. poi ci sono tornato, sul vecchio blogggghe. volevo usarne il fascione come immagine da mettere qui sotto. mi serviva lo screenshot.

ed ho capito una cosa che forse non ho mai del tutto realizzato. in quel bloggghe ho cambiato spesso l'immagine del fascione. erano quasi sempre foto mie, photoscioppate con modalità psichedeliche, che ho smesso da tempo per pudore [oltre al fatto photoscioppi sempre meno]. era un modo di renderlo creativo anche così. ecco. ad un certo punto nel fascione ci misi un dettaglio di amore e psiche di françois gérard. e lì è rimasto. e ri-aprendo quel bloggghettino, poco fa, ho percepito una scintilla: mi sono accorto di quanto sia importante quel fascione. quanto la bellezza di quel quadro, il riverbero che mi ha provocato e che mi provoca, sia molto correlato al ricordo affettuoso che ho di quel blogggghe. la cosa mi si è spalancata nitida ed improvvisa, inconfutabile. e c'è di più. che è un qualcosa di totalmente sganciato dai ricordi, che sono stille pericolossime, che a maneggiarle come mi vien da fare spesso porta nocumento. provo a non farmi fottere dalla malinconia nostalgica di quel che vissi - magari scrivendoci sopra, che quando scrivevo ero incazzato, depresso [nel senso per capirci], o smadonnavo per la complicazione del periodo. mica quest'allure figoso, come rischio di guardarlo adesso. ecco. appunto. quel quadro, quelle sensazioni, sono immanenti: tempo indipendenti. erano allora quando lo infilai sul fascione. lo sono ora. senza ricordi da rimpiangere [surrettiziamente]. non so cosa questo significhi, giù nel dettaglio profondo. forse devo pensarci. di sicuro questo post è già lungo di suo. so soltanto che la sensazione che ho avuto nel piacere di ritrovare quel fascione, è stata rassicurante. è stato bello. come una sorpresa gradita, che uno non si aspetta. però poi quando ti compare davanti è tipo una boccata d'aria fresca. tipo uno squarcio nelle nuvole, e s'intravvede l'azzurro. che magari si richiude. però è roba immanente, è qui ed ora. hic et nunc, appunto. roba che fa passare anche l'autunno. ed il mese di novembre, ormai qui. ma poi lo svanghiamo. accompagnati da amore e psiche.




Thursday, October 28, 2021

sulle considerazioni attorno al didielle [versione non da checca isterica]

in effetti ieri mi è scivolato il piede dalla frizione. e ne è venuto fuori un post che un po' da checca isterica. non che la sensazione fosse del tutto misconosciuta. uno degli autori osservava col sopracciglio alzato. uno sguardo eloquente. era lì a ricordare: ma che cazzo scrivi con questo maglio sbeccato, ci sono alcune incongruenze logiche, dimentichi alcuni pezzi della questione, fai prendere aria all'iperbole aggettivizzante. è uno sfogo, rispondeva un altro. è una cifra stilistica da gioco pezzottato di frustrazione. ecco, frustrazione, sì. unito a tutto il contesto, che certo non è esattamente accompagnato dai fuochi artifiziali esistenziali. per quanto, invero, non vi sia nulla di cui lamentarsi. però frustrazione un po' stitica. per dare un'idea [solo] figurata della fatica con cui si inanellano ogni singolo periodo di ogni singolo post. insomma tutto sto affollamento qui. nonché il dibattito tra gli autori conseguente.

intanto io scrivevo.

questa sera provo a raccogliere le idee. ed osservare un po' più da lontano, con parte di sopracciglio alzato. e buttar lì qualche considerazione con molto meno coinvolgimento emotivo. alcune sono fottutamente negative. evito mi facciano fare lo sceich dei succhi gastrici.

innanzitutto ho pensato al travolgimento emotivo. da cui il post da checca isterica. e mi son chiesto: ehi, ma io un impeto emozionale dov'è che continuo a percepirlo negli ultimi tempi? occcccazzzo. ma nell'accozzaglia variegatissima no griiiinpassenovacseetalter. occazzzzzzzo. in effetti ci ho riempito un paio di due-tre post su 'sta cosa. ecco. sì. però in effetti mi appare di nuovo chiaro il senso, l'oggetto per cui adoperarsi, che è sospinto dal travolgimento. per cui può aver senso scendere in piazza e manifestare. ed è di nuovo un loro ed io. loro sono accozzaglia travolta emotivamente per - imho - un individualismo solipsista. li-ber-tà-li-ber-tà-li-ber-tà dei cazzi propri. io ero checca isterica nel post per un qualcosa che soprattutto trascende da me. che sarebbero i diritti civili di tutti. non ne faccio una questione che io so mejo loro, neh? mi è ontologicamente proibito dal mio understatement nevrotico. ma una questione di alterità. siamo travolti per due paradigmi diametralmente opposti. e son ben lieto vi sia questa diversità.

poi.

che il parlamento italiano sia retroguardia culturale, rispetto al paese, l'ho sentita declinare in tanti di quei miillemila modi diversi, che comincio ad avere il sospetto possa diventare un vuotissimo modo di far prendere aria ai denti. o nella migliore delle ipotesi una tristissima inutile ovvietà. che se poi le leggi le fanno e specie le affossano loro, siamo un po' tutti nella merda. tanto che forse non è proprio un caso si va ad ingrossare l'astensionismo. che poi è il modo di preservare la mediocrità là dentro. e la retroguardia culturale. e così ancora più nella merda. e non è da checca isterica.

al netto della retroguardia, là dentro han fatto onanismi di tatticismi. tutti. chi è andato diretto senza voler mediare, per tenere il punto sulla bandiera dei diritti civili. chi è rimasto fermo in attesa si schiantassero gli altri, con il rischio non si schiantassero. chi ha cambiato idea rispetto il voto alla camera perché è il solo modo per dimostrare, non solo di esistere, ma di essere determinante. tutti. han fatto le prove di quello che potrebbe tra qualche mese. con l'elezione del nuodo PdR. continuo a pensare sia uno scempio lo si faccia sulla pelle delle minoranze, che quella legge voleva tutelare. ma tant'è, è accaduto: questo non è un post da checca isterica. la situazione è talmente articolata e vasta, che ciascuno ha il suo pezzo di ragione [sui diritti non ci devono essere compromessi. chi troppo vuole. bisognava mediare. non ha senso mediare con la minaccia del voto segreto che tutto ottunde. proviamoci sulla base della coerenza di quel che è già stato votato. possiamo ri-pensare quello che abbiamo già votato ci vuole realismo politico. è colpa tua. no è colpa tua]. pezzi di ragione che sembrano tali se tolti dal contesto, osservando solo un piccolo spazio di cielo [plumbeo, per quel che ne è uscito]. che ciascuno ha sbandierato, per distrarre dalle voragini dei torti e storture, lasciata aperta dal trapuntino che era corto. per tutti.

io non lo so, davvero, se e dove e quanto si potesse mediare. come trovare un compromesso. al netto, probabile, che nessuno là dentro avesse davvero intenzione di farlo. non lo so perché mi mancano dettagli percettivi, che non so cogliere: anche solo per aver avuto la fortuna di non essere mai stato discriminato. almeno: non per le istanze che quel didielle voleva tutelare. e immagino siano dettagli che non si possono cogliere con la sola empatia. non lo so perché sono sfaccettature talmente prismatiche, che la variegazione delle possibili conseguenze, nei vari ambiti, erano davvero più ampie lo spettro del visibile. così ampie che alcune olezzano di strumentalità che non sfuggono, nemmeno ad un anosmico come me, nemmeno in questa serata inediamente paciosa. sono convinto che nel dubbio, per quel che riguarda i diritti civili, meglio allargare che limitare. sempre e comunque. sono diritti che si portano sempre dietro dei doveri. non è mai un li-ber-tà-li-ber-tà-li-ber-tà dei soli cazzi miei, che può ledere l'altrui. vuoto per pieno: scopo con chi voglio; ho il diritto di non essere discriminato; posso disporre del mio libero arbitrio in situazioni delicate, anche ex-ante; anche decidere di andarmene, in certe condizioni. è facile.

dal punto di vista del responso in senso stretto, strettissimo, c'è chi ha vinto e chi ha perso, in piccolo e in grande. ha vinto la retroguardia culturale. ha perso la possibilità di un paese di agevolare la maturazione civile e sociale, condivisa e collettiva. non dimenticando che tra cultura e norma, vince la cultura. ha vinto la destra. ha perso l'approssimazione di un concetto blando di centro-sinistra. tatticamente ha perso il pidddddddddì. tatticamente ha stravinto renzie. quella cosa lì la sa fare, e la sa fare bene. usa con efficienza da commando di guastatori la sparuta truppa, che vota come comanda lui [di vivo, in quei italivivi, c'è solo il riflesso pavloviano di tener alto l'ego del loro]. il fatto che gli riesca bene non ne aumenta la stima, anzi. conferma il bias urticante che ho da quando mi si parò di fronte in tivvvvù [michele serra scrive della "più clamorosa svista di tutti i tempi nella storia della sinistra italiana". ehm, michè, nel mio piccolissimo angolo da irsuto: mai stato abbagliato, anzi. sempre pensato come un pericoloso corpo estraneo]. gli riesce bene anche perché probabilmente è cosa che ha preparato da lontano, più o meno con consapevolezza. poi a volte gli va di culo, a volte si incasinano da soli gli altri.

incidentalmente, il nuovo ulivo o quella roba lì, è già bell'è che andato. posto sia mai davvero arrivato. che ci ho mai creduto, come mi si parasse davanti con lo stesso entusiasmo di un portiere che spazza il davanti l'androne del suo palazzo, ed un foglio di giornale spinto dal vento gli passa accanto. noti quel movimento quasi romanticamente browniano, alzi un attimo lo sguardo, il foglio vortica via, abbassi lo sguardo, riprendi a spazzare davanti l'androne.

ci sono masse inerziali, all'interno del parlamento, che potrebbero essere fuori controllo. specie nell'incognita del voto segreto. è la degenerazione putrescente del concetto [nobile] di parlementare che non soggiace a vincolo di mandato. c'è chi può aspettare gli errori altrui. chi vorrà far le prime mosse, pensando di governare la partita. e chi è talmente cinico, spregiudicato, che potrebbe fare tutto ed il contrario di tutto: basta sostanziare il proprio esserci e voler essere determinante a spostare le inerzie, e speculare sulle prebende. e tra quattro mesi si elegge il PdR. potrebbe succedere anche l'impensabile.

l'impensabile. [e non so se sia ansia anticipatoria, o scaramanzia pezzottata considerarlo].

dovesse mai succedere, con un pezzo di civiltà conquistata in meno, sarebbe ancora più insopportabile.