Saturday, July 31, 2021

l'arabesco

provo a mettere su una specie di tavolo le idee sparse qua e là del post precedente. forse sbrodolate. comunque ri-editate per la storia dell'anarchismo, che mi ero dimenticato di metterci dentro.e da quelle idee far venir fuori l'arabesco.

che secondo me si può financo riassumere in questo modo. le funzioni di probabilità è come si sostanziassero nella collettività. capisco faccia molto psicopippa, ma secondo me è una cosa bellissima. poi, in sé, ha un significato neutro. le categorie siano cosa positiva o negativa si manifestano nell'insieme complessivo dei singoli gesti del comportamento di ciascuno, nel contesto del vivere collettivo.

provo a dettagliare

credo che l'idea del griiiiiiiiipasssse sia tecnicamente una cosa non giusta. bensì giustissima. tecnicamente, l'idea. perché la sensazione è che verrà fuori una cosa pezzottata, l'italico inno al compromesso. che poi sono gli stati bipolari di talune forze politiche che esprimono ministri al governo. alcune contraddizioni di quel che sta uscendo non mi sfuggono. ma è l'idea che tecnicamente è giusta. anzi giustissima.

'ché la cosa cogente ora è quella di fermare 'stacazzodipandemia. che è processo stocastico, che è governato dalle probabilità che accada qualcosa, per migliaia, milioni, miliardi di combinazioni di elementi puntuali. la probabilità sta a monte, la statistica registra le realizzazioni, il processo stocastico come evolve - tecnicamente - il sistema complessso umanità-pandemia, che per brevità di può definire quelPuttanaioDiRoba. griiiinpasssare per elementi di interazione particolari significa aumentare la probabilità si blocchi 'stocazzzoevirussssse. perché il vaccino è efficace entro certe percentuali a proteggere dall'infezione, e dal propagare il virus e dal propagarlo mutato. l'efficacia non è al centopercento, o probabilità uno. dovrebbe proteggere, con probabilità molto più prossime all'uno, da complicazioni importanti e ancora di più dalla morte. per questo si ammalerà gravemente e morirà anche qualche vaccinato. a parità di rapporto, se aumenti una fottia il denominatore, deve alzarsi per forza anche il numeratore. se interagiamo in modalità complesse, là dove è più probabile contagiarsi, più vaccinati ci sono, meno probabilità ci sarà di propagarlo, mutato. anche per negativotamponati. che è una foto a meno di quarantottore, con efficacia di esattezza non pari ad uno. ma è pur sempre, molto, di più che tirar dentro a caso chiunque e la qualunque. che metti che fermi un tamponatopositivo che magari - per cazzi di motivi che non sono noti - porta seco la sfiga di essere un superdiffusore, hai ovviato ad un piccolo troiaio. si tratta di sfruttare la leggi delle variabili aleatorie, che stanno alla base della probabilità, della statistica, dei processi stocastici. è come aumentare le facce del dado con gazziGlioni di facce che sono favoreli all'umanità e toglierle a virussssse, con buona pace del virussssse. e posto, ovvio, che la sfiga non esiste, come la fortuna. esistono elementi aleatori - il caso - che può essere sfavorevole o favorevole. tutto qui.

il corso di MPSPS, per me, è stato segnante. e forse me la sto raccontando. ma è una chiave di interpretazione del fottutissimo navigare abbastanza al buio in cui siamo finiti dentro. tenendo ben in mente un paio di questioni, che non sono esattamente quisquilie. ma che - ho la sensazione - manchino abbastanza a chi è variegatamente novocse, per quanto lì dentro ci sia di tutto ed il contrario di tutto. ed in cui - probabilmente - c'è un bell'atto di rimozione, per i più variegatissimi motivi.

e il paio di questioni sono: non ci sono certezze e che tutto questo ha un senso solo se lo si considera collettivamente

non ci sono certezze, nel senso più stretto del termine. certezza che peraltro l'approccio scientifico non dà. se non nel senso profondo: è il modo migliore che abbiamo di procedere e di progredire. provando, vagliando, analizzando i risultati, correggendo gli errori. ed in questo caso vi è un insieme di pratiche che prenderanno addentro l'evolversi del sistema. c'è la spiegazione di come stocasticamente potrebbe andare. non è un granché come prospettiva? eh. bellagggente, è quel che di più preciso abbiamo. al netto di un sacco di persone si sentirà circonfusa di certezze e garanzie, che sgorgano da chissà dove. mentre forse solo una bella pittata illusoria di quello che sono speranze. che è più che lecito avere, ovvio. ma speranze rimangono. di aleatoriamente certo c'è solo soltanto il fatto che, assembrandosi vaccinati e negativamentetamponati, si può sfruttare quello che offre la probabilità accada qualcosa e non altro. più o meno come avere un mancamento improvviso in una sala di un convegno. preferirei - di molto - fosse un convegno di medici di pronto soccorso, piuttosto che di omeopati [al netto di: cosa cazzo ci faccio, io, ad un convegno di omeopati?].

e tutto questo ha senso solo se lo si considera collettivamente. l'occorrenza singola, del mio singolarissimo ombelico, è importante per me, ovvio. ma acquista il significato più pieno all'interno di sistema di interazione complessa e - di nuovo - collettiva. il novantaepassapercento di efficacia del vaccino che ho scelto di inocularmi, solo su di me, non ha molto senso. il concetto di probabilità non sa che farsene di un importantissimo ed unicissimo pirla - quali noi siamo tutti, presi da soli. e quelle descrizioni stocastiche, che sono quasi tutto quello che abbiamo per le previsioni, si sostanziano solo nell'insieme della collettività. così come ogni singolo comportamento. che serve a ciascheduno, certo. ma soprattutto serve al collettivo, con una buona sprone acciocché sia il bene collettivo. è di nuovo la storia che se ne esce solo se lo si fa assieme. tutti. altrimenti 'sto cazzoevirusssssse continuerà a propagarsi, mutare e portar nocumento. poi finirà, ovvio, finirà l'universo, vuoi che non finisca anche 'sta pandemia. finirà tutto. il fatto è dopo quanti e quali danni.

poi io mica mi dimentico della dicotomia bene collettivo vs libero arbitrio e autodeterminazione personale. in cui non mi addentrerei, un po' perché non so mica se son buono,  e poi il post è già abbastanza sbrodolato così. però credo - nella maniera più intellettivamente onesta sono capace - che in questo momento, in questo contesto, in questa tempesta [che è la tempesta ad essere la medesima. mentre siamo su barche diverse], anteporre l'aspetto dell'autodeterminazione personale non possa che essere a scapito del bene collettivo. quindi un errore. immagino vi siano essere retoriche che concludono che, riassumo, il vaccino sia contro il bene collettivo, e va bene così. e ci mancherebbe. manco ci provo a confutare. è semplicemente inutile.

poi però, se proprioproprio ti devi assembrare, fallo almeno tamponegativo. che le funzioni delle variabili aleatorie dei processi stocastici dicono un bel stigrandissssimicazzi a quel che pensi te, che non ti vuoi vaccinare. [beh, dai sono quasi alla fine del secondo sbrodolatissimo post, e non avevo ancora giocato sul calembour stupido del stocastico-stocazzo-sticazzi]. e se proprioproprioproprio questo lede la parte irrinunciabile della tua dignità, il vaccino o il tamponenegativo, sei comunque libero. tipo di non andare al ristorante, far l'aperitivo, o viaggiare. oppure di obiettare. è lo strumento più puro e libero: non obbedire alle leggi che si ritengono ingiuste. solo che poi bisognerebbe quanto meno dimostrare la coerenza e la forza morale di saperne pagare le conseguenze. non come i ginecologi obiettori alla legge sull'interruzione di gravidanza, che tanto a loro non cambia niente, ma con tutti gli effetti pesantissimi per le donne che non possono fruire di un diritto - immagino comunque dolorosissimo - che la legge dà a loro. se citate sandro pertini, o antigone, però poi non fate i chiagnaefotti che vi è da pagare delle conseguenze, che siano sanzioni amministrative, o penali. che a fare i gheiii col culo degli altri, sono buoni tutti, soprattutto i quacquaraquà. [poi quando, agguerritissimi sulla tastiera, si definiscono in nuovi partigiani, o resistenti patrioti, mi sale un po' la carogna cattiva. ma poi comincio a contare e respirare profondo.]

dal mio punto di vista, alla legge e all'obbligo, guardo con un po' di supponente alterità. un po' perché posso permettermelo, un po' [tanto] per quell'anarchismo ontologico di cui il post precedente [post-editing]. credo di saperlo da me qual è il mio realizzarmi, che ha senso solo se è simbiotico al bene collettivo. tanto che ormai una cosa sfuma nell'altra e viceversa, senza soluzione di continuità. tipo la formichina di escher che cammina sul nastro di möbius. credo di saperlo, appunto. forse è supponente. forse è l'effetto di tutti i masticamenti delle cose intercettate e degli angoli che son diventati curve nella memoria [quasicit.]. so solo che quando mi viene da raccontarlo nella maniera meno violenta possibile, allora sono sulla strada giusta.

Monday, July 26, 2021

post che è un po' arabesco di idee, tipo MPSPS, l'anarchismo, la vaccinazione, il bene collettivo. tutto assieme. [edited]

vabbhè. niente. rispetto al post precedente, in effetti, guardo con occhio diverso quello che sproloquio lì dentro. e probabilmente il punto di rasserenamento è stato [anche] scriverlo.

comunque.

ho in testa queso assembramento di idee, che a collegarle sembra venga fuori arabesco. e non so nemmeno se lo finisco in un'unica soluzione. ma sticazzi. e non uso assembramento a caso. in questi casi si puote fare.

le idee sparse sarebbero queste.

in questo momento la cosa più importante - per noi del mondo nord-occidentale ricco e pasciuto - è che la pandemia di 'sto cazzo di virussssssse finisca. è cosa di pragmatica.

la pandemia finisce quando si spezzano le catene di contagio. che il virussssssse, in fondo, fa la cosa che fa qualsiasi organismo vivente, da quello monocellulare all'homo sapiens-sapiens: prova a sopravvivere per cercare di riprodursi, che prima o poi morirà. per 'stocazzzoevirusssse significa cercare di diventare quanto più contagioso possibile - per ampliare la platea degli ospiti umani che può raggiungere, di cui ha bisogno - cercando di non seccarne troppi - 'ché altrimenti ridurrebbe troppo velocemente la platea degli ospiti umani che può raggiungere, di cui ha bisogno. ed è un cazzzodivirusssse che muta ogni volta che si replica. e [intuisc] non è un caso che le varianti che via via prendono il sopravvento siano non necessariamente più letali, ma sicuramente più contagiose. quelle meno contagiose sono diventate minoritarie. se ce ne di più letali non si fa verosimlmente in tempo a sequenziarle, non ce ne sono abbastanza, 'ché hanno ucciso i loro ospiti troppo in fretta.

io non devo essere amico di tutti, come aammmiocuggggino. mancoproprioperuncazzo. son sempre stato piuttoso selettivo, figurarsi col fatto uno invecchia quindi essere amico dei novacse, anche no. non mi interessa esserlo, oltretutto credo sia cosa reciproca. per quanto provo a spiegarmi. nel variegatissimo insieme di chi [ancora] non si è vaccinato c'è dentro tutto ed il contrario di tutto. e non so nemmeno raccontare bene da che punto in là possa anche lasciarli fuori - interlocutoriamente e relazionalmente, dico. ed oltre quel punto in là si arriva facili a situazioni imbarazzanti, e senza un minimo senso della decenza, tipo paragonare i vaccini alla shoah ed indecenze simili. poi il problema, al limite, è che si fa delle amicizie un po' più storiche e delle motivazioni piuttosto disturbanti addotte, che ti fanno esclamare, grattandosi - figurativamente la parte alta del cuoio capelluto: sì, ecco, però... ma è un problema puntuale e - mi auguro - singolo.

il corso di metodi probabilistici, statistici e processi stocastici (MPSPS) è stato forse il corso del secondo anno che più mi catturò e mi entusiasmò. i metodi probabilistici, statistici, e processi stocastici pealtro sono quelli che - tra l'altro - spiegano benissimo una pandemia e la sua evoluzione nel sistema complesso come l'umanità. certo, lo spiegano nel loro modo di spiegare - benissimo - i fenomeni di quel tipo. quindi lo fanno in termini di probabilità, statistica, e di evoluzione di processi che sono stocastici. ed è una visione d'insieme e di certa aleatorietà. che si sostanzia in un qualcosa che non è determinato. e non ha senso sul singolo. quindi il singolo potrei essere io con il mio ombelico. ma averci in testa il significato profondo di quei concetti - come credo di averi tutto sommato acquisiti - dà una chiave di lettura che è spiegazione complessiva, che è quasi rassicurante. sapendo per benino, però, che il concetto di certezza non esiste. e non esiste se guardo, appunto, il mio solispistico ombelico. che è poi la doppia negazione di quello che strepinano quelli che stanno dal punto in là di qui sopra. quelli che non mi interessa per un cazzo averli amici.

io credo di avere una componente ontologica di anarchismo importante. non è il mifaccioicazzimiei italico, proprio per un cazzo. ma qualcosa di ben più profondo. posso guardare con alterità le leggi e gli obblighi. è tipo se li prevenissi. nel senso che ci arrivo da me. non ho bisogno me lo dica una norma. specie e soprattutto se c'è di mezzo il bene collettivo. norma che sarà comunque sempre imperfetta, come peraltro lo sono io. ma imperfezione per imperfezione, meglio maneggi quello che conosco meglio, quello del mio ombelico.

a riguardo. la probabilità che un qualcosa non accada sicuramente è 0. che accada sicuramente è 1. proabilmente, per determinati contesti, quelle probabilità non esistono. certo. se io vivo davvero isolato da chiunque - eremita, in qualunque posto ci si possa eremitizzare - e se non entro in contatto diretto o indiretto con nessuno, la probabilità che io mi infetti con 'sto cazzo di virusssse è prossima allo 0.

la percentuali di soggetti immuni alla replicazione di qualsiasi epidemia, acciocché si raggiunga l'immunità di gregge, è data dalla legge di HIT, che è legata dal tasso di replicazione (statistico) a tempo 0 (R0), cioè quanto una comunità è totalmente infettabile da un agente patogeno. [minchia, c'è di mezzo la matematica. qui qualcuno non ce la vuole contare giusta. ci vogliono schiavi. ma noi lotteremo comunque per la nostra libertà. vabbhé. dai. c'è del sarcastico perculamento. mi son lasciato andare un poco. mi è scivolato via il piede dalla frizione per un attimo. ma ho letto cose che voi umani sereni e pacati non potete immaginare...].

a proposito di cose che voi umani, etc. etc. molti novcasse [quelli che non me ne fotte un cazzo di averli come amici, di qualche punto sopra] beneficeranno dell'immunità di gregge senza vaccinarsi. anche perché non lo farebbero comunque, chiagnando del fatto siamo in una dittatura. continuando a non vaccinarsi, peraltro, denunciano dittature. ex-post, ci scommetto quel paio di copechi, brandiranno le certezze che avevano ragione loro: visto? mica mi sono ammalato. ma va bene così ugualmente.

io ho fatto - quasi - l'eremita per mesi [anche/soprattutto] per proteggere matreme. l'alternativa era quella di infilarmi un tampone ogni volta mi sarei allontanato con socialità per poi tornare a stare con lei. e non passare i mesi entrambi da soli. ho preferito il quasi eremitaggio a sfrucugliamenti ben oltre le mie narici. non è che quell'eremitaggio non mi sia costato, in altri termini, neh? ma era la scelta giusta. quindi mi sono vaccinato. l'ho fatto per proteggermi - nel senso probabilistico del termine - e di proteggere la comunità. l'ho fatto consapevolmente e con la cognizione avessi dei dubbi e delle remore.

nell'istanza vaccinale di massa si manifesta il contrapporsi di due istanze - comunque - costituzionalmente garantite. il bene e la salute collettiva, con l'autoderminazione personale ed il libero arbitrio. per questo è un ambito delicato, che crea - sacrosante - diversità di vedute ed approcci. poi ci sono le nevrosi solipsiste. dove si sbraca con il concetto di libertà. che si piscia amplissimamente in aiuole fuori da vaso [poi, avessi il tempo e la serenità necessaria, mi piacerebbe capirci di più. avere gli strumenti per indagare nei disagi profondi che - immagino - debbano spingerti a sbracare con quel concetto].

dalla prossima settimana il green pass diventerà obbligatorio per fare un sacco di cose. al netto abbiamo perso un'altra occasione di evitare un fottutissimo inglesismo a minchia, credo sia una cosa non giusta, bensì giustissima. non ti vuoi vaccinare? ti fai il tampone ogni cazzo di volta ti metti in un situazione potenzialmente assembrante [anche] con me. non ne sono convinto per prese di posizioni ideologiche. o perché non me ne frega un cazzo di essere amico di un bel pezzo della categoria di cui sopra [così come non credo vorrò più avere a che fare con alcuni, sparutissimi, di questi]. tanto meno per ripicca verso le idiozie di molti di costoro. ne sono convinto perché bisogna fermare 'sta cazzo di pandemia. e perché credo di aver interiorizzato il senso profondo di MPSPS. il corso forse più interessante del secondo anno.

[adesso, però, per l'arabesco ad unire le idee magari un altro post]. 

[intanto... musical [sì, la storia della legge di hit l'ho scoperta qui]].


 

Saturday, July 17, 2021

post muto - nel senso che è una specie di pagina di diario

il terrazzino con il roero arneis fresco - con le goccioline ad imperlare la bottiglia - non hanno funzionato mica tanto.

anzi. rettifico.

non hanno funzionato come speravo funzionassero.

forse è che una casa è fatta delle persone che vi abitano. starci solo mi ha spiazzato. o forse starci solo adesso, in quest'infilata di settimane. che da solo ci vado garrulo a teatro, a museo, ad una mostra, al cinema. al ristorante o pigliare un aperitivo no. non mi viene.

forse dovevo fare delle ferie vere. non il succedaneo del: se si rompe qualcosa di imprescindibile, mi chiamate. che il piccì si accendeva al mattino comunque. gli davo un'occhiata ogni tanto. ma acceso rimaneva lì, a ricordarmi fosse un succedaneo.

e quindi sono tornato. che poi era quando pensavo di. non avevo immaginato di tornare così. il rebound non era stato messo in conto, in effetti.

ho pensato di essere ammalato. ho provato a guardare in faccia la convinzione di non stare bene. e non so se sia un bias cognitivo. so che quella cosa mi si parava davanti, oltre che le corsie nord dell'autostrada, con quella di sorpasso inibita per parecchi chilometri. sono stato colto dal terrore che questa cosa non passerà più. e che i farmaci - eventuali - non potranno che aumentare di dosaggio, o di categoria. dentro, affogato per sempre. perso. dovrebbe chiamarsi ansia anticipatoria. tipo la multa per diviero di sosta, che ero convinto avrei preso anche oggi. il terzo giorno consecutivo.

i singhiozzi sono partiti improvvisi et inaspettati mentre cominciavo a discendere l'appennino, che è già piemonte. sono riuscito a placarli - anzi no. si sono interrotti loro così com'erano arrivati - quando ormai la parte collinare era alle spalle.

ho inserito il cazzillo che ti permette di impostare la velocità di crociera e mantenerla. schiacciando i pulsantini l'ho piazzata a centonove, nel senso di chilometri orari. mi piaceva. suonava molto numero primo.

ho acceso l'autoradio. vi era ivi inserito il secondo cidddì dello stuciocollecscion di battiato. credo fossero la canzoni adatte a quel momento. come una specie di pensiero altro. ho cominciato a respirare più placido. c'è un passaggio in "un oceano di silenzio", sul finale del verso scorre lento, dove la voce mantiene la nota sulla o finale, ed è il sintetizzatore che modifica la melodia di [mi pare] un semitono, e una seconda voce, di una terza più bassa, accompagna il "senza centro" dell'inizio del verso successivo. e mi sentivo la nota sulla o lunga, che la melodia cambia di un mezzotono, scuote la progressione, e arriva a supporto una seconda voce di terza, per un attimo. che sono molto al di qua del voler poter vedere del mondo, al netto di questa Luce. di certo sono pensieri neri.

non che non sappia di fortune, o privilegi o rinforzi positivi che mi sono costruito pezzo a pezzo. dall'intelligenza, alla pregnanza sul lavoro che mi permette di poter dire: si fa così. fortune. privilegi. meriti costruiti. mica non lo so. mica non lo so che ogni attimo, ogni tic-tac che tittttacca passa e se ne va. passa e se ne va impregnato di vita e di possibilità e di occasioni e di incontri che non torneranno più. mica non lo so. 'sta cosa la so talmente bene che un po' di singhiozzi sono anche per quello. per non dire l'incazzo.

la questione problematica, o incistante, è che accade tutto questo non ostante quelle consapevolezze. il punto dirimente è questo. così come io ne avrei anche un poco i coglioni pieni di sentirmi così. che avrei voglia di stare con gli altri senza la sensazione di ammorbarli con questa nebbia scura per quel che sarà domani [e se gli altri ci stanno, con ne me e la nebbia scura, però sarebbe utile non mi venisse stigmatizzata 'sta cosa. non aiuta. so già abbastanza tutto]. al limite è sapere come uscirne. vorrei sapere come si fa - anzi no. in parte lo so. è che poi devo farlo. cominciando dai pensieri neri. che saranno neri. ma sono pensieri.

[l'umore non sono io. e l'umore cambia, mi hanno ricordato mentre imboccavo l'autostrada.]

intanto il viaggio era - come sempre - parte della meta.

per molti chilometri il massiccio del rosa ti accompagna, là: imponente et immoto. guardando bene, decisamente a sinistra, si riconosce anche la morena del neozoico. che ti scorre a destra quando entri in valle. e seguendo il profilo della morena, si riconosce anche l'imbocco della valle. che è un portale maestoso, che si schiude nel muro che appare da lontano. poi i chilometri passano ancora. la morena del mesozoico e l'ingresso della valle ormai è alle mie spalle. inutile continuare a cercarli con lo sguardo. sto guidando altrove.

nel frattempo ho spento il cd ed ho acceso la radio. è cominciata la sigla di hexagone, per la seconda puntata della nuova trasmissione della radio sulla musica francese e francofona. ero praticamente nello stesso punto, quando iniziava la prima puntata. una settimana fa. il tono e l'incedere del conduttore, con il suo accento piemontese, ma è già quasi occitania, mi aveva messo di buon umore. e sticazzi la r un po' arrotata e la s molto blesa. sticazzi specie per lui. che canta e scrive [sono voce e penna di un gruppo che qui in radio passa spesso, l'orage, si era presentato la scorsa settimana]. chissà dei suoi eventuali pensieri neri. stessa sigla, stesso programma, stessa collina su cui rotolano le ruote dell'auto.

ma tutto sembra capovolto.

io non li voglio più meco, i peniseri neri.

 



Saturday, July 10, 2021

post [che nemmeno questo è] rapido - finali /2 (2012)

quando giocarono la finale dei campionati europei di calcio del duemiladodici facevo il piccolo imprenditore. che è un modo menoso e vestigiale per dire che mi facevo un culo pazzesco per l'azienda, ed il suo bene. meno per il mio. oppure è un modo diversamente vero per dire che piccoli eravamo piccoli. mentre a prendere era stata l'aziendina, abbastanza tutto. un sacco, troppo del mio tempo, di certo. quasi tutte le mie speranze di aver messo in piendi una cosa per cui valesse la pena farsi tutto quel culo. praticamente tutti i soldi et risparmi. e nel frattempo l'aziendina era di fatto già bollita. io non volevo prenderne ancora coscienza. ci avrei messo altri ventitremesi. non sono esattamente un tipo che in alcune situazioni coglie le cose al volo. sapevamo fossero finitit i soldi. di piccioli per tirar fuori delle fatture per noi, in quei mesi, non ce n'erano sono. così annnciò l'amministratore. così io pigiai il butòn nuovo, per inaugurare il file ecsel in cui avrei appunato tutti i piccoli rabbocchi che dal conto di matreme facevo verso il mio. più raramente quelli in senso inverso. quando capitava. era come un balzo all'indietro di quindici-ventanni. quando chiedevo i soldi a mio padre. senza più essere quello studente che sapeva ne avrebbe guadagnati lui, in futuro. eravamo in quel futuro, mi ero fatto un culo pazzesco. avevo ricominciato a farmi dare dei soldi. poi vabbhè. erano un prestito. li avrei restituiti. per quello c'era il file ecsel. pero ogni volta che aprivo et aggiornavo quel file era un misto di incazzo, intima vergogna, dubbi, convinzione si potesse limare qualche spesa, rimpinguando la categoria di quelle considerate non strettamente utili. in quel periodo l'amica paola offriva lei i giri [rarissimi] di birra.

quella fottutissima aziendina [delllammminchia]. doveva essere il progetto della vita. ecccccheccazzo. me l'aveva proposto lei. quella persona taaaaaaanto particolare. come altro non poteva non finire se non con un comunque vada sarà un successo? non era lei garanzia, per il fatto solo di esserci lei, di un distendersi, di dispiegarsi di praterie di successi, soddisfazioni, progetti avvincenti, sbalorditivi, innovativi. tutta roba che, oltre a farci ricchi, avrebbero soprattutto fatto rilucere il suo talento, la sua capacità, la sua unicità.

poi dice - uno - che forse c'è da registrare la percezione degli altri. e quel masochistico fidarsi. anche perchè c'è un masochistico fidarsi solo dove c'è un sadico fidati di me. cose così.

poi dice - due - che si riesce a farsi scivolare via le situazioni tossiche, quelle che non lasciano esattamente un ricordo gaudente e piacevole. [c'è dell'amara ironia. se non si era capito].

però, appunto, c'era il campionato europeo di calcio. sennò il post che c'entra col titolo? che è già andato in vacco il fatto sia rapido.

mi godetti con una bellissima solitudine del mio appartementino la semifinale, sulla poltrona poang dell'ikea. tv a volume zero, ascoltando il commento alternativo alla radio. che fottutissima e dominatissima partita. non vincete maiiiii, non vinceta maa-aiii, non vincetemaiiiiiii, cantarono quelli della radio, alla fine. che eravamo un po' la maledizione per i teteschi della germanicalcio.

quindi, nel pomeriggio del giorno la finale del campionato europeo del duemiladodici, poco prima del fischio d'inizio, io stavo cominciando a sistemare il giardino della casa dell'hometown. nel senso che c'erano reliqui di lavori finiti di recente. e pezzi vissuti, vita organica verde, eco di una vita passata di un'azienda floricola ormai chiusa da tempo. tutti, a loro modo, interferivano quando facevo soft gardening con il tosaerba e il giechibois. e quella domenica pomeriggio decisi che bisognava cominciare a risolvere la questione. quindi di vanga, piccone, guanti, mi concentrai sui reliqui. e tirai fuori un po' di tutto. e fu lavoro più improbo e sudante di quanto immaginassi.

e mentre ci davo dentro di vanga e piccone e di porcherie che saltavano fuori dal terreno, mi riempivo di dopamina, per lo sforzo. che è un gran bel riempirsi. e vedevo che stavo facendo qualcosa che il risultato era lì, immediato, tangibile, visibile. come un riscontro diretto del culo che mi stavo facendo. il contraltare - occhei, forse un po' facile - di quello che stavo vivendo in quei mesi. e quella minchia di aziendina bollita. ma stigrandisssssimicazzi fosse un po' facile come contraltare.

ed era un piacere. e questo, quel pomeriggio, mi bastava.

e pensavo. pensavo che la spagna era squadra davvero ancora molto forte. e che una cosa, in cui poteva forse sperare l'italcalcio, era che le furie rosse fossero ebbre et soddisfatte del fatto che, nei quattro anni precedenti, avevano vinto un campionato europeo ed un campionato del mondo. e quindi potevano giocarsi più stancamente la terza finale consecutiva. con la paciosa rilassatezza di chi ormai è satollo di successi. deboluccia come speranza. e spagna fottutamente forte.

e pensavo. pensavo che quella viburna stava impreziosendo di commenti il mio blogghettino relativo. e che fosse davvero un personaggio interessante. a dirla tutta in quel periodo i commenti interessanti non è che mancassero in quel blogghettino. in fondo era fatto per l'acchiappo. però un acchiappo autoselezionante. come, perché, cosa uno scrive è già un bell'indizio di chi si cela dietro i nickname più fantasiosi. e quindi sapevo che chi finiva lì dentro non era idiosincrasico alle mie psicopippe. e quindi poteva valer la pena interloquirci. e quello era un periodo interessante, in quel contesto molto etereo, psicopipponico, protetto. interessante per quel fermentìo di conoscenze che erano arrivate un po' tutte assieme. forse nemmeno così scorrelate fra di loro. contatti, di lettori, lettori di contatti, in quella commmmmiunity blogghica molto variegata, che era quella di libero - non il quotidiano, ovvio. tanto variegata che c'era un mondo banalità conformistica e normale. bastava starci lontano. tanto poi arrivavano quelli sui generis. e tra questi spiccava, eppur mimetizzandosi in quel gruppetto, 'sta viburna. non si poteva non notare fosse quel passo avanti gli altri. o meglio. a me appariva smaccatamente evidente. lei se ne stava un po' nel mucchio - sempre relativo a quel piccolo consesso di bloggatori sui generis - senza sgomitare poi tanto per farsi notare. per notarla bastava leggerla. ed era un altro leggere rispetto a praticamente tutti. a partire dallo scialacquare debordante mio. la sua cifra stilistica, la forma, la durata davano l'idea che per scrivere scriveva spesso, bene e verosimilmente per altri scopi. quelli dove una densa, essenziale, sinteticità era un obbligo. concetti pesanti, articolati, pregni, sunto punto di accumulazione di un sacco d'altro. scriveva bene. e la voglia di conoscerla di più era tanta. ma si scopriva poco. provai a farglielo capire. o magari mi immaginai io che potesse essere chiaro. lei un po' nicchiava, un po' interloquiva, un po' si ritirava. non era un'interlocuzione così serrata. e da un parte fu meglio così. [parentesi. poi accadde che quasi nel mentre arrivarono rapide altre. che andarono glabre più dirette al punto. e i fumi dell'alcool e del tetracannabinolo ed il contesto apparecchiarono serate dove - per fortuna - c'era di mezzo tutto l'italico stivale. sennò. altre suggestioni arrivarono. e in fondo poi passarono]. insomma, 'sta viburna un po' di alone di mistero, e cortese ritrosia, la manteneva. provai ad inferire quanto più possibile di lei. c'era il papero, quindi aveva un figlio. grande città, ma non milano. un blu profondo in una parte del fondo degli occhi. echi di passaggi complicati del passato. il caldo che le gocciolava addosso e che non riusciva a cacciarsi via. non so perché me l'immaginavo con delle belle tette.

il pomeriggio del giorno della finale scavavo, mentre pensavo. pensavo, mentre scavavo. all'ennesimo periodo complesso, nel complesso. al fatto che alcune cose bastava dare di vanga e picccone per sistemarle, che bella la pragmatica. che scrivere mi dava la possibilità - anche - di incrociare persone interessanti. anche se poteva sembrare effimero. e che dovevo sbrigarmi a finire il lavoro, per avere il tempo di docciarmi e guardarmi la finale. anche se la spagna era davvero squadra ancora molto forte.

poi accaddero un po' di cose.

che la partita andò come doveva andare. spagna troppo forte, l'italcalcio spianata. la roja appagata di successi un bel paio di cazzi. forse la finale meno equilibrata degli ultimi lustri. con iker casillas - che fottutissimo signor portiere et capitano - che nei minuti di recupero, inutili sul quattroazero, chiede all'arbitro di chiuderla lì, per rispetto verso gli avversari.

in quel lungo mese di agosto successivo, con l'aziendina chiusa più che per ferie, per mancanza di cose da sviluppare, lavorai di hard gardening di brutto. e feci cose che mai mi sarei immaginato di saper fare così continuativamente. e fu un contraltare che tenne in pista la mia serenità mentale. tanto più mi stancavo e mi segnavo in un po' tuto il corpo [rovi, pezzi di radici sollecitate dal piccone, schizzavano e mi colpivano ovunque, qualche movimento improprio - non era il mio mestiere] tanto più mi sentivo soddisfatto et ispirato per post psicopipponici. che la viburna commentava, assieme ad altri ovvio.

me ne andai al mare, a cauterizzare con l'acqua salata tutti i reliquii che mi ero procurato. ed un sera, leggevo alan bennet, la viburna ed io decidemmo che ci saremmo conosciuti [anche se - tecnicamente - non le chiesi delle tette]. ed in fondo fu una delle decisioni più importanti et interessanti dell'ultimo decennio.

quando ci incrociammo - non capendoci esattamente del luogo, confondendo le colonne cui facevo riferimento - parlammo abbastanzemente, infilando svariate subordinate di discorso dentro altre, che poi ci volevano algoritmi ricorsivi per chiuderle tutte, tipo quello per risolverela torre di hanoi [questa la capirà, forse, il figlio della viburna, e tutti quelli che hanno dato un esame di informatica]. tra le altre cose, eravamo sul bordo di un passaggio sulle stisce pedonali, mi disse che i miei soci mi stavano zavorrando, argomentando il perché. io confutai la cosa. e ricordo che pensai che stavo confutando quella affermazione con sincera convinzione, che non mi stavo auto-sabotando.

naturalmente aveva ragione lei. ed ho ripensato spesso al pensiero che pensavo fosse sincero, cosa che penso ancora oggi: che allora ne fossi geninuamente convinto. anche perché non stavo la stavo confutando per difendere quei personaggini, che vabbhè. stavo cercando di difendermi dalla delusione che, invece, stava crollandomi addosso. e che rimuovevo. ma il principio di realtà, anche allora, se ne sarebbe fottuto della mia rimozione, arrivando a manifestare come stavano le cose. con tutte le macerie a venir di conseguenza. e spalancando il fatto, appunto, avesse ragione la viburna. macerie che ancora non ho finito di spalar via - ma questo è un altro discorso. 

il giorno della finale del campionato europeo del duemiladodici stavano succedendo cose. variegatissime.

ed in fondo aver conosciuto una come la viburna, meriterebbe lo scambio con finali perse da qui a qualche gruppanza di lustri. e stigrandissssssimi cazzi per l'italacalcio.

 



Wednesday, July 7, 2021

post [non esattamente] rapido - finali /1 (2000)

quando giocarono la finale dei campionati europei di calcio del duemila facevo l'ingegnere. quello vero, intendo, con tanto di contratto a tempo indeterminato. ci avevo messo un po' di adoperamenti per arrivare in un posto tipo quelli. dove andavano a lavorare gli ingegneri delle telecomunicazioni veri. non creddo vi fosse correlazione tra il fatto ci stessero degli ingegneri veri, ed il fatto che fosse un posto dove volendo ci si poteva imboscare, lavorare il minimo indispensabile, tante pause caffè con spettegolamento, osservar di soppiatto qualche segretaria con gli occhioni belli e poi magari farsi bellocci a quegli occhioni, appoggiar la penna all'ora precisa e timbrare il cartellino: il tutto per pigliarsi lo stipendietto a fine mese. e poi magari spintonare per un po' di carriera, con altri stipendietti. quando ci fu la finale ci lavoravo da pochi mesi. però avevo già capito da tempo mi facesse cacare. sicuramente quel posto rivelatosi così triste. molto probabilmente anche il fatto di fare l'ingegnere vero. e questa era la cosa più angosciante. considerato quanto fosse costato arrivare ad essere un ingegnere vero.

in quel periodo avevo appena conosciuto una persona davvero taaaaaaanto particolare. era una tipa tostissima, fichissima, che sprizzava energia e buonumore. era filosofa e faceva grandi cose - diveva lei - al dipartimento di elettronica ed informazione del politecnico. sì, quello che avevo frequentato fino a tre anni prima. lei faceva faville - diceva - al secondo piano. dove c'erano gli informatici. però, che tipo questa filosofa. persona fuori dal comune. e l'avevo conosciuta anch'io. intuii che sarebbe potuto diventare una persona molto importante per me, e per la mia vita. bastava evitare di innamorarsene. che quando mi innamoravo di persone poi io facevo un gran casino. non avrei sfruttato la possibilità di aver a che fare con una persona così speciale et unica. giammai. epppppoi mi stimava un sacco  - pensavo. capiva le mie psicopippe. anzi, sembrava le interessassero, come manifestazione di un'intelligenza che trovava fuori dal comune. però. cazzo. dici davvero? non me l'aveva mai manifestato così manifestatamente una donna. una donna speciale come lei.

la notte prima della finale del duemila dormii due ore. c'era stata la serata conclusiva della festa della croce rossa dell'hometown. dopo serata si smontato tutto. un culo pazzesco. tre giorni di festa - un po' lavorandoci, un po' festeggiandoci - sarebbe finita il sabato. la domenica c'era la finale. faceva molto controprogrammazione. ero diventato volontario da poco. trascinato dall'amico daniele, che avevo ritrovato dopo anni. ancora più interessante di quando l'avevo lasciato. si era appena laureato. mi raccontava di esperienze universitarie incredibili e di compagni di corso uno più particolare e simpatico dell'altro. era gente di un altro piemoente rispetto al nostro. e dintorni. certo, capitava che ogni tanto l'amico daniele si addormentasse d'improvviso. era capace farlo anche mentre si passeggiasse per le vie dell'hometown. ritrovare l'amico daniele era stato molto significativo. avevo capito di averci perso un pezzo importante di cose condivise. certo. era un po' cambiato. sembrava molto più preso delle femmine di quanto era sembrato fino a qualche anno prima quando, tra le altre cose, era passato dall'idea di farsi prete all'ateismo nel giro di poche settimane. senza passare per il via. un po' quella cosa, aveva contribuito a separarci. non solo il fatto avesse deciso di studiare a torino. io a milano. si buttavano lì idee di roba da fare. posti da visitare. situazioni da condividere. cose così. bello.

quindi ci fu appunto la finale. il primo tempo la vidi assieme ad alcuni quasiecsamici dell'oratorio. nel senso che io ormai ero un po' fuori da tutto. specie dal punto centrale e cogente della questione. che poi avrebbe dovuto essere professarsi cattolici praticanti. eri un po' quello che li stava salutando. e aveva fatto apostasia, che potrebbe non essere così semplice non intuirci una critica rispetto a quello che vivi e professi tu - così dicevano. e prima ero sempre stato quello un po' sui generis. quello particolare. innamorato perso per cause perse. troppe psicopippe. però il prete, quello che se n'era andato già da un po' ma era sempre importante per quel gruppo di quasiecsamici, aveva un rapporto speciale con me. qualcosa forse significava. sì qualcuno era geloso di 'sta roba. ma 'sticazzi.

il secondo tempo della finale ero in auto. stavo tornando a milano, avevo scroccato un passaggio. il gol del pareggio arrivò quando eravamo nei pressi del lago. del golden gol dei cuggggggini francesi e ciaociao campionato europeto si seppe alla barriera milano nord. poco prima mi ero immaginato una distesa di televisori, che puntillenavano in mezzo a quella pianura calda e con la luce ancora importante, e che baluginavano il verde del campo di calcio. ci scrissi un articoletto per il giornalino locale, che avevo contribuito a fondare. ed ebbi l'impressione mi venne financo bene. probabilmente era lungo più o meno come questo post, che forse non sarà così rapido. ci misi sicuramente di più a scriverlo. nell'articoletto, stile sui generis, ci buttavo dentro la malinconia di quella finale persa. arrivai a milano, ed andai a dormire comunque tardi..

la mattina dopo la finale mi stupii che, non ostante tutto fossi così sveglio e vispo. andai al lavoro, che mi faceva cacare. a metà mattina ebbi il crollo fisico. e quasi mi venne da addormentarmi. glielo scrissi alla mia nuova amica filosofa. ci scrivevano molte mail. avevo molto tempo libero. srivevo mail. e poi lei era così taaaaaanto interessante. ed unica. che ficata averci a che fare che c'era pure l'amico daniele. dovevo presentarli. mettere in contatto due persone così importanti.

con tutto che sembrava così un grande punto di passaggio, con quel perndo di quel campionato europeo così strano. alcune cose si chiudevano tra il malinconico ed il senso che per fortuna si chiudessero. se ne stavano aprendo altre. tipo nuove amicizie ed amicizie riscoperte. sì. ci speravo. potevano succedere cose. erano lì. avevano il profumo friccicarino ed invitante. profumo in senso figurato ovvio, per l'anosmia mia, intendo. ed erano bellissime, 'ché erano ammantate di quella cosa fascinonissima che è il senso delle cose possibili. [ed in fondo l'italcalcio si sarebbe potuto rifare, figurarsi.]

cose possibili, appunto. condizione necessaria. non esattamente sufficiente.

[che poi, no. per succedere, sono successe. sempre meglio non dimenticarlo. vabbhè. è che poi vanno un po' per i cazzi loro. e magari capisci di avere la tendenza a idealizzare le persone. dolorsamente. e magari ci fai pure delle scelte devastantemente sbagliate.]. 



Sunday, July 4, 2021

post [mica tanto] rapido - rappacificazioni

quando arrivai in riviera, ad iniziare il servizio civile, di obiettori esterni ce n'erano due. esterni nel senso che non provenivano esattamente dai luoghi nei pressi di quel comune, convenzionato a far prestare il servizio civile fino a venti unità. che poi era mano d'opera praticamente aggggratissse - fino a venti unità - per serviziuccoli qua e là, tra quelli che il comune erogava. munificenza del ministero della difesa, che mandava colà giovani ribaldi in età di leva, con status concesso di obiettore di coscienza, che lo stato aveva loro risconosciuto, avendo riscontrato - lo stato - attraverso anche colloqui informali nelle caserme dei carabinieri della residenza dei baldi, che costoro avevno dichiarato, in piena facoltà ed onestà intellettuale, di essere contrari a qualsiasi forma di violenza, quindi impossibilitati a passare i dieci mesi di coscrizione obbligatoria imbracciando un fucile, foss'anche per il solo duramento, che poi sarebbe il momento in cui "appartenenti alla categoria dei militari di truppa; l'intero corpo o distaccamento si reca in piazza d'armi, inquadrato in plotoni distinti per compagnie. la formazione da assumere è in linea di colonne, ciascun plotone a destra di ciascuna rispettiva compagnia. Il comandante di corpo, di fronte alle truppe schierate in armi ordina di presentare le armi, sguaina la sciabola, legge la formula, e con voce vibrata domanda Lo giurate voi?" e tutti L'HODURO!

vabbhè. un rigurgito degli entusiasmi giovanili. quando credevo che ironizzare su 'ste cose fosse abbastanza sufficiente. col cazzo.

dicevo. due obiettori esterni, in quel posto di riviera, quando arrivai. io ero il terzo. esterni significava dormissero negli alloggi messi a disposizione dall'ente. nel senso ci dormivano veramente, e non solo per le formalità che il comune comunicava - come segreto di pulcinealla - al distretto militare di genova. che poi alloggi significava una mezza piazza d'armi - si ironizza. cioè il piano alto della casa di riposo comunale. che allora non dava l'idea di un ritiro idilliaco per quei poveri anziani. non esattamente una costruzione ed ambienti che ti inoculavano quel senso di serenità, comodità, placidità in cui uno si augurerebbe di vivere, mentre stai arrancando per l'ultimo miglio. però l'ultimo piano era tutto per noi. una fottia di spazio, sgarruppato e a tratti decadente: ma sei giovane, ti adatti, va bene anche così. in virtù del fatto, non da poco, zero sorveglianza. bastava non smontare gli infissi o organizzare rave party. e poteva andare, esticazzi se non eri finito nel luogo in cui avresti voluto finire, per svolgere quel servizio.

tipo me, che volevo farlo a mani tese - un impegno di giustizia. starmene a ventichilometri dalla hometown, in zone e genti più o meno conosciute, situazioni sotto controllo. invece mi spedirono in quel comune della riviera - il mare d'inverno, vedrai che ficata - a fare non si sa bene cosa. e così partii. ed arrivai quando c'erano due obiettori esterni.

divago. anche se credo che essere mandato in quel contesto, cominciare - in parte - da zero, sia stato significativo ed importante. molto più significativo di quello che potevo lontanamente immaginare. figurarsi se - già allora - sia riuscito a tenermi i ritorni positivi che proruppero generosi. malassorbimento da sempre, insomma.

divago. appunto.

insomma. due obiettori esterni [anche se mi pare di averlo già scritto]. fossimo stati a naja li si sarebbe definiti, ormai, fantasmi. mancavano loro giusto un paio di mesi. di fatto era fatta, per loro. io solo all'inizio.

venivano tutti e due da bergamo. nicola viso oblungo e simpatico, simpaticamente cazzaro e leggero. però si intuiva avesse il ragionamento veloce e non banale. laureato in economia e commercio, non la menava tanto di 'sta cosa. mi pare facesse servizio all'asilo nido - prepara le pappette, aiuta le maestre, pulisci e butta un'occhio che tutto fili, se serve fai qualche attività di supporto logistico. comunque lo faceva volentieri e con levità. usciva quasi tutte le sere, con alcune persone del posto, conosciute durante il servizio. l'amica Marina la incrociai così, una sera, salita negli alloggi a recuperarlo: allora, babbbbuz, sei pronto che usciamo? insomma. nicola se la godeva. si era calato al meglio nel contesto. come fanno le intelligenze sociali, adattandosi all'ambiente e alle situazioni. che poi, appunto, tutto tranne che una caserma. e poi c'era l'altro. che si chiamava. mannaggia come si chiamava? ennnnniente - boh - sapete che non siamo riusciti, l'amica Marina ed io, farci sovvenire come minchia si chiamava costui? [anzi, l'amica Marina in battuta, quando ho chiesto aiuto alla sua memoria, manco si ricordava ce ne fosse un altro, assieme a nicola. rimosso]. era bassino e con gli occhietti vispi. laureato con lode in biologia. e ci teneva a fartelo sapere. e si intuiva avesse molto preso a passione quella disciplina. faceva servizio all'ufficio igiene - braccia rubate alla biologia, per un ruolo sottratto di fatto ad una lavoratrice o lavoratore propriamente inquadrato in quel comune: un posto fottuto, insomma. costui mi aveva nominato come suo successore, di obiettore utilizzato lì dentro, con quel compito. lavorava a testa bassa, a fianco del responsabile degli obiettori. il comandante dei vigili urbani. decaduto per maneggi, litigi, ripicche, castighi interni. non potevano toglierli la nomina, lo avevano spostato di mansione. direzione dell'ufficio igiene appunto, e per contrappasso respnsabile degli obiettori di coscienza del comune. era in perenne stesura dell'esposto verso il sindaco, con la documentazione giuridica per la causa che voleva intentargli, per il re-integro al ruolo che sentiva solo come suo. il mio mentore biologo, lì accanto, era punto fondamentale per quell'ufficio. faceva di fatto quasi tutto, tranne firmare. e nella compulsione delle attività mi spiegava pazientemente come fare, procedura per procedura, istanza per istanza, documento da compilare per documento da compilare. durante l'orario di ufficio era cortese, collaborativo e proattivo. appena fuori di lì il suo livore verso quel contesto, quella situazione, quel comandante, usciva con voluttà. ed erano schizzi tossici, fastidiosi. si sentiva vittima di un'ingiustizia - ontologica - non l'avessero mandato a fare il servizio all'istuto mario negri. gliel'avevano promesso. gli spettava - diceva. avrebbe continuato a far ricerca mettendo un piedino nel posto cui si sentiva chiamato e destinato per volontà divina. la sera non usciva praticamente mai. e mi fomentava. dovevo fare anch'io ricorso. non lasciar andare il fatto non avessero preso in considerazione le mie richieste di assegnazione. fuggire da quel posto dove eri sfruttato a compilare merdosissime autorizzazioni sanitarie. a dar retta ad un figuro con la voglia di bere, frustrato per lo spostamento da una mansione di comando, a sua volta succedanea qual è quella di comandare dei vigili urbani. insomma, secondo questo collega obiettore, una situazione che gridava vendetta per delle persone capaci quali eravano noi. ed io, le prime settimane, gli diedi anche ascolto. un po' perché - tanto per cambiare - in quel periodo di transizione importante non avevo ben chiaro da che parte fossi girato. un po' perché argomentava con sicumera e convinzione. un po' perché ci ero rimasto un po' male non potessi fare il servizio in maniera davvero impegnata, come mi ero prefigurato di fare per anni. cazzo, volevo organizzare i campi di lavoro dei volontari mani tese, e mi avevano mandato a compilare i documenti che ratificano le analisi della qualità delle acque potabili dell'asl di savona? [parentesi: quando mi domandarono se sapessi usare il pc risposi: beh ho una laurea in ingegneria delle telecomunicazioni ed ho lavorato sei mesi al centro di calcolo del politecnico. un po' di orgoglio ce l'avevo, allora. e loro: mecojioni, però, vabbeh, word lo sai usare? beh, sì, dai, suvvia, direi di sì. così decretarono: occhei, allora tu vai all'uficio igiene. ed io ebbi un brivido, però un po' al di là del conscio. che quindi non colsi compiutamente. se non l'intuizione mi stessi infilando in un cul de sac. ma come? dovrò passare la vita davanti ad un pc. e me lo fate fare anche durante il servizio civile? il cul de sac però non era tanto farlo durante il servizio civile. ma il fatto avrei passato la vita davanti ad un pc. per quanto passare la vita davanti ad un pc è ovviamente un raffiguazione plastica et simbolica. ma significativa. anche perché - ex-post - ci presi. insomma, senza saperlo, avevo antenne ben piazzate, vivide e riceventi, a percepire il grandissimo nocumento cui sarei andato incontro. la grandissima inculatia mi ero costruito con le mie sante manine a prender appunti, sfogliare libri, risolvere esercizi e temi d'esame. inculatia che non capivo se e come come smontare, per rimontare altro.]. quindi insomma, un po' perché spaesato quei primissimi giorni diedi non poco credito a 'sto genio sottoutilizzato. con tutto il portato emotivo si tirava dietro e che, in parte, faceva ballare il terreno sotto i miei pieduncoli. anche se una primissima avvisaglia dovessi lasciarlo perdere la ebbi già la fine della prima, faticosissima, settimana. primo viaggio di rientro nel weekend. nicola era rimasto in riviera a rilassarsi. lui rientrava a bergamo ostinatamente e orgogliosamente: non mi sono mai fermato nessun fine settimana, si era premurato di farmi sapere con una punta di rivendicazione, verso non si capiva bene chi. in treno il discorso virò sulla politica. e la sensazione che ebbi fu quella di un qualunquismo e pochezza argomentativa che un po' mi disorientò. ma come: sei genio della biologia, e sputacchi fuori queste minchiatine da elettore forzaitaliota di basso rango? non so se fu più forte il mio stupore di allora, o lo stupore di adesso per lo stupore che provai quel giorno. non avevo ancora capito del tutto che [l'eventuale] capacità analitica non significava necessariamente non fidarsi di quella montatura retorica che a me appariva lampante. ero totalmente nel bias percettivo. e argomentavo a minchia pur io, neh?, ad esser convinto di certe cose.

vabbhè. sto divagando di nuovo.

anche perché fu in quel viaggio fece l'uscita che - di fatto - ha scatenato questo post rapido. che tanto rapido non è. che quell'uscita era solo il primo pezzo di un ragionamento molto autoriferito, savasannnddiiir. che finisce a finire sul mio lavoro. e il pensar torvo che provo al pensiero di star là dentro. che ha ripreso a premere di nuovo - convinto - come la scarpa stretta preme sul callo del piede. e tu ci continui a camminare sopra. e fare un sacco di strada, peraltro.

e insomma 'st'uscita. che poi lo chiudo il post. che poi uno scrive nel titolo: post rapido. che poi cor cazzo è rapido. che se fosse rapido uscirebbe e si scriverebbe tosto. e non si dovrebbe far tanta fatica a scriverlo, almeno. e spero che non si faccia comunque fatica a leggerlo. però, per quanto voglia bene a quei cinqueoseisparutilettori, in questo momento do quel ziiiic di precedenza alla mia di fatica a scrivere. che la vostra a leggere.

ecco. appunto. l'uscita di questo ecs collega di servizio civile che mi spiegò anche come registrare la posta in ingresso per l'ufficio igiene. insomma, eravamo sul treno. e c'era anche una delle assistenti sociali del comune. viveva ad arquata scrivia, e tutti i giorni trascorreva una bella vagonata di tempo in treno. andata e ritorno da quel pezzo di piemonte che odora già di liguria, verso la ridente località a metà del ponente. quindi anche in quel primo viaggio di ritorno mio. e quindi lui si lamentava, non ostante mancasse poco alla fine del suo servizio, del fatto non l'avessero trasferito. e i mesi passati controvoglia. e mentre aspettavamo di ripartire da genova - ehi, il il treno va nella parte opposta di quando siamo arriva, è normale? sì, sì, tranquillo, hanno attaccato la motice dall'altra parte. si cambia direzione. [che domanda del cazzo, come se tutti stessimo sbagliando il treno, visto che non si era mica scesi dal vagone]. insomma. costui esclama a costei: comunque tu mi avevi detto che mi sarei messo l'anima in pace e mi sarei abituato a stare lì. ho quasi finito il servizio civile ma mi sono ancora mica rassegnato all'idea non sia stato giusto finissi a fare quello che ho fatto, né ci ho fatto l'abitudine, non mi avete convinto. non è vero che mi sarei rappacificato con 'sta cosa.

lo osservai. e pensai senza averne del tutto la conspaevolezza: bravo pirla, siine fiero e così ottuso da ribadirlo con fierezza, che son proprio cose di cui vantarsi [se non si era capito, c'era del sarcasmo, amaro].

l'ultima sera sera prima di congedarsi urlò come un ossesso per gran parte del dopo cena, correndo per i corridoi nell'alloggio degli obiettori. eravamo sempre in tre. un sacco di spazio a disposizione. faticai a prendere sonno perché fu manifestazione di sfogo inconsulta che andrò avanti per un bel po'. con ululati e sfanculamenti a tutti e tutto, visto che per lui era finita. il giorno dopo trovai nel borsone pagine di giornali di foto di donne nude [cit.]. ce le aveva messe lui, un ultimo idiota rigurgito gogliardico della minchia. forse una piccola vendetta cogliona del fatto avessi cambiato idea. e avessi smesso di seguirlo da tempo, nella sua furia iconoclasta a parole. avevo semplicemente capito che, in fondo, quel posto aveva un suo fascino - il mare d'autunno avanzato, le stelle ad alzo zero mentre osservavo fuori dal finestrino mentre si viaggiava sull'aurelia, tornando da una birra con alcuni del giro obiettori - l'esperienza da fare al meglio, il comandante un personaggio complesso quanto si potesse smettere di vedere come l'ultimo degli stronzi. insomma: rappacificarsi con quel contesto non era solo una cosa di buonsenso, ma soprattutto scaltra e intelligente. tanto, in fondo, era così semplice: tutt'altro che una caserma, tra l'altro. una smentita nemmeno troppo nascosta di quel suo combattere come l'ultimo giapponese, però di quelli tipo che si vince nelle patatine. con la sua battaglia idiota quanto inutile, pompata dalle sue ossessioni, smacattamente portate come istanze da preservare con orgoglio. figurarsi se poteva farmela passare in cavalleria. mai più visto né sentito.

coglionamente incapace di rappacificarsi. ecco. oggi mi è tornato alla mente costui, a parte il nome. oggi. che in fatto di rappacificazioni non sono - a volte - mica tanto migliore di lui. però magari in un altro post. che potrebbe essere il seguito di questo. che per fortuna doveva essere rapido.

Saturday, July 3, 2021

post rapido - stabilizzatori

provo a fare un'incursione nel blogghettino.

che qui le idee per pipponcini non è che manchino. è che si arriva stanchi anche solo ad aprire l'editor. poi la stanchezza passa. poi ritorna. poi passa.

attimi che tutto sembra davvero ormai inesorabilmente perduto, a guardarla in infilata. in fondo prima o poi perderò le sottoutilizzate energie sessuali. le sinapsi del ragionare si sminchieranno. e poi capiterà che saremo tutti morti. quindi l'umanità estinta. poi terminerà la vita biologica. si spegnerà il sole, che da stella di media grandezza - verosimilmente - diventerà una nana bianca. la terra una sfera di roccia con fenomeni tellurici, farà freschino e cose così. non è ancora chiaro che ne sarà dell'universo: si espanderà oltre i limiti del tempo? tornerà a contrarsi per farlo finire il tempo? ma è roba su cui possiamo anche sorvolare. quindi, perché sbattersi tanto? stanchezza per stanchezza. è tutto segnato.

attimi che invece il friccìcorio friccìcora. e ci sono possibilità oltre questa nebbiolina che paralizza. che si può andare altrove da questo tedio da zona di conforto tossica. che posso smettere di contare i mesi là dentro. o perché me ne fotterò di contarli, che si asseconderà la corrente adagiante, tanto la testa è fuori a pigliare aria e guardare il cielo stellato sopra di me. oppure che smetterò proprio di starci là dentro. che le relazioni si possono irrobustire in situazioni nuove, e se serve chiuderne alcune. che si può respirare a pieni polmoni fin giù negli alveoli più dimenticati. e che si può riprendersi il tempo. e provar a tirarsi fuori qualcosa. e che l'orsitudine può andare a braccetto con qualcosa di meno sociopatico. che si può smettere la stanchezza per metterci quel po' di fatica che serve per venirne fuori. non ostante la stanchezza [amico quiTo, se passi da qui, utilizzo non ostante in loco di nonostante perché mi colpì come lo scrive uno interessante, probabilmente non nel romanzo che più mi coinvolse.].[che poi è cosa omologa al fatto scriva occhei. solo che questo lo lessi in uno libro dell'ermi. che se ci penso, a lui, ancora oggi un po' il magone mi viene. però mica non lo sapete che tutto 'sto infarto della storia [cit.] mi abbia reso, se possibile, ancora più debosciato].

attmi insomma. ed in mezzo una grande prateria da prima settimana di gennaio. attimi che si alternano. che è tipo uno yo-yo isterico. o un moto browniano. variazioni di attimi così rapide e cangianti che aggiungono, se possibile, stanchezza.

che ficata sarebbe un po' di stabilità, non nella prateria possibilmente. intuisco del perché esistano, tra gli psicofarmaci, gli stabilizzatori dell'umore. minchia se lo capisco. non ne ho mai fatto uso, che siano stabilizzatori dell'umore o meno. non so se non mi siano mai serviti. da qualche tempo ce n'è una che ha tutte lo competenze per prescriverli. e di qualcuno bisognerà pur fidarsi. ha ventilato lontanamente la possibilità di poterne fare uso. poi la cosa è stata ventilata via. verosimilmente ritiene possa riuscirci senza. non ostante la fatica della stanchezza.

però ci si è meritati una vacanza. dentro o fuori che sia.

nel frattempo ho letto questo articolo di una vecchia conoscenza blogghica. è stato come creare una piccola connesione sinaptico-emozionale tra l'averne contezza - di esserci dentro fino al collo in questa cosa - e lo scintillio della consapevolezza.

già la scintilla e la consapevolezza.

ci sono attimi che lo percepisco che la si può mandareafffffanculo la stanchezza. e possa bastare un poco, una spintarella. lo spunto che dà l'accumulatore esterno alla batteria dell'auto per ripartire. ma che in fondo sia lì vicino, la scintilla fuori dall'ordinario. che non è ordinaria, occhei. ma basta la scintilla. sono attimi di consapevolezza, appunto. ma non sempre riesco ad arrivare in tempo all'editor del blogggghettino.