Saturday, February 25, 2023

il secondo anno di guerra

e così siamo nel secondo anno di guerra. [il disclaimer, cinico, ci siano altre guerre nel mondo lo diamo cinicamente per assodato.]. 

non so per quale motivo, totalmente irrazionale, un anno fa coltivavo la serena convinzione sarebbe durata poco. e quel fijebocccchino se ne sarebbe tornato indietro. devo avere un'insopprimita.. insoppromessa.. insoppromeggiuta... insoppressa tendenza a immaginare che la storia stia svoltando nel verso giusto. al netto bisognerebbe specificare il concetto di giusto in questo contesto, sono comunque convinto sia quello stia accadendo, nell'evoluzione dell'umanità. il problema al limite sono i tempi. tempi non molto coerenti con il fatto io lo possa apprezzare per come la intenda. in termini più ampi: le guerre ci sono sempre state, arriveremo a capire si possa farne a meno. il punto è quando sarà il punto di incrocio tra questa consapevolezza e l'evolvere della storia dell'umanità. che magari ci estinguiamo prima. sicuramente dopo questo blogghettino da provincia denuclerizzato, di me e dei due-tre lettori [nel caso valgono i gesti apotropaici].

comunque.

il secondo anno di guerra.

nel mentre è successo tutto ed il contrario di tutto quello che si è dichiarato nel gran caravanserraglio della propaganda: meeinnstriiim ed eterodossa. quella da una parte che considera eroico il presidente ucraino ed è convinta che quel maglione verde militare gli doni. quella dall'altra che invece ne stigmatizza il fatto abbia avuto financo l'ardire di farsi invadere da uno che, cazzo, è proprio stato costretto, che altrimenti ne avrebbe fatto volentieri a meno.

mi spaventa la prima, che danno del filoputiniano a chiunque provi ad alzare il ditino per provare a proporre un confronto, che la fazenda è complessa.

mi ribrezza la seconda, che dietro la storia della complessità fa strali di logica, e di buon senso, per non dire sul lagnosissimo piagnisteio del: ecco ci date addosso perché siamo al pensiero unico.

peraltro pure io nei miei puntuti riassunti sono quel filo giudicante [che non mi piace]. cosa che sto cercando di dismettere, al pari del consumo di carne e pesce [che invece mi piacciono assaje].

hanno tocchi variegati di ragioni tutti. chi tantissimo, chi giusto un peto. perché il tutto è talmente ampio, intricato e - di nuovo - complesso, che se la racconti in uno spot puoi scegliere il tocchettino che ti interessa. quello che non fa troppo a pugni con il buonsenso.

e così dagli addosso all'altro.

io mi sento in una situazione psichedelica. di spiazzamento interiore che non riesco a ricomporre, che non riesco a conchiudere in una presa di posizione razionale. irriducibile come sono, appunto, i numeri irrazionali. nemmeno più in una dimensione frattale. ma la schizofrenia di stare su piani dimensionali diversi.

che non riesco a smettere di pensare che senza armi il paese invaso sarebbe occupato e sconfitto, in spregio a tutto: dal diritto internazionale al senso di giustizia e di umanità. armi che mi ribrezzano, che è dal primo giorno che sono già state usate troppo. armi che saranno rimpiazzate, con la ola disgustosa degli azionisti delle aziende che le producono. 

e non riesco a smettere di considerare un tentativo negoziale come l'unica cosa da farsi. in spregio tutto quello che è stato fatto per andare nella direzione opposta. e che gli obiettori di coscienza sono da esempio: nel paese invaso così come quello che invece ha invaso, che col cazzo è stato il nostro obiettare può essere lontamente paragonato.

e che comunque tutto questo: il meiiinstriim, l'eterodossia, il mio spiazzamento dimensionale è fatto qui, al calduccio del culo al comodo.

che là stanno morendo persone. già una è troppa. e mi consola proprio per nulla il fatto che, dopo un secolo, stiano tornati a morire più soldati piuttosto che civili. sia perché i civili stanno soffrendo, comunque e a prescidenere, porzioni di territori devastate. sia soprattutto perché che se a morire sono soldati non cambia il fatto stiano morendo donne e uomini. che abbiano la divisa addosso e che lo mettano in conto non ne diminuisce l'assurdità. 

come banale esercizio di salute intellettuale provo a ricordarmene senza tregua. questo sì, senza tregua. la tregua vera che arrivi il prima possibile, che sarà già troppo tardi. senza nascondere il fatto che - pat-pat al principio di realtà - non se ne intravveda una reale possibilità.

per il resto proverò ad espuntare il giudizio verso gli altri, che tutte le guerre passano anche da lì. cercherò di vivere nella maniera più consapevole il fatto che il periodo di pace che ci è toccato è una figata, tanto quanto non scontata. abbiamo avuto solo un po' più di culo.

e il senso di spiazzamento me lo tengo e me lo vivo. la spavalda convinzione degli armiamoli ad libitum disarma la mia la volontà di dare loro credito. la nonviolenta pervicacia dei pacifisti ad un punto si fa  evanescente, che la pragmatica che ne discende è: nonviolenti col culo degli altri, arrendetevi. e son riuscito anche a scazzare su 'sta roba, silenziosamente. con logiche e derive non troppo diverse dagli scazzi:vacse-novacse [evidentemente ci sono cose così divisive che mettono un punto a certe relazioni importanti. specie quando si arriva a: te lo spiego io come stanno le cose, che sei imbevuto, acritico, di pensiero dominante]. 

ma sono comunque fastidini assolutamente sopportabili. i punti, segno di interpunzione al termine di dichiarazioni apodittiche, li lasciamo pure agli altri: meiiinstriiim o eterodossi che siano. la loro retorica banalizzante, con gli eventuali stigmi, scivoleranno via sulla superficie liscia della mia indifferenza. son ben certo del mio disorientamento dubbioso, piantato ben per terra. sai il solletico che può farmi la convinzione altrui. rimango ben più a mio agio nelle minoranze.

e poi è tutto molto gestibilissimo, anche perché qui le minoranze non sono schiacciate, non sono in pericolo.

in altri posti meno, decisamente meno. tipo dove si fanno le guerre. maledettissime, stronzissime, merdosissime guerre.

Saturday, February 18, 2023

comevorreinonmorire@gmail.com

e così andai in radio, ad un suggeritore night life, dove ci sono presentazioni, anteprime di spettacoli teatrali in scena, da lì ad un po'. c'erano più artisti sul palco che spettatori. mi aveva incuriosito la storia del punk apotropaico [acustico]. due fulminati, ma tutt'altro che sprovveduti. accanto a loro c'era 'sta ragazza alta, con la chioma leonina. mi ha colpito per come tenesse il tempo, battendo la mano sul ginz, durante l'esibizione del duo punk-acustico.

poi la ira presenta 'sta figliola. eh, niente, ho scritto questo monologo stand-up comedian per elaborare la malattia e la morte di mio padre.

attenzione - mi son detto - e questa chi è?

ha recitato un brano dello spettacolo. brava l'era brava. ad un certo punto, per esigenze interpretative, ha calcato sull'inflessione toscana, la sua nativa. molto attizzante. e nel mentre una fottia di suggestioni.

nell'uscire dall'auditorium demetrio stratos le sono passato accanto. non so bene chi abbia preso l'iniziativa di domandarle una dettaglio di quel suo momento, durante la malattia del suo di padre. pazzesco: io che attacco bottone così, come una cosa naturale e spontanea. a lei è stato molto più naturale il self-marketing [sei un'autrice, stand-up comedian, qualche rapporto strutturato con l'autostima dovrai pure averlo]: vieni a teatro e così ascolti il resto, e vediamo cosa ti stimola.

così, qualche giorno dopo, non so bene chi abbia preso l'iniziativa di chiudere all'improvviso il picccì, ratificando: sì va a teatro. ora. non ostante nessuna possibilità di prenotare il biglietto, nonché la biglietteria latitante al telefono. vado. al massimo, se non ci son più posti, torno indietro.

invece son finito in terza fila. financo ad interloquire con lei, durante lo spettacolo: a domanda al pubblico si risponde. brava l'era brava. e poi a teatro si crea questa tensione emotiva. cazzo, mi pare quasi banale acclarare che la sua chioma leonina mi abbia ammaliato.

non so bene chi abbia preso l'inziativa di farmi rimanere, dopo lo spettacolo, ad aspettarla fuori dalla sala, assieme a tutta una fottia di persone che sembravano conoscerla. quando è stato il mio turno, trotterellando verso l'ucita del teatro, punta il ditino verso di me:

- radio popolare! [ndo: nel senso tu sei quello di] alla fine è venuto.

- ma come? non ci davano del tu.

- giusto. ti ho riconosciuto [ndo. avevo la mascherina] quando ti ho chiesto durante lo spettacolo. anzi mi stavi mettendo in difficoltà.

- infatti. mi stava partendo una mezza psicopippa, ma non volevo portarti fuori il fluire del tuo monologo. e comunque si sono smosse un bel po' di cose.

- scrivile sulla pagina dello spettacolo. scrivimile, mi rendo conto ci voglia qualche giorno per far sedimentare le cose.

- sì. provo a lasciar decantare. e comunque ti sarai ben resa conto del fatto che ogni volta che porti in scena lo spettacolo, il tuo babbo è come se fosse lì con noi. è come fosse ancora vivo. un po' foscoliano, mi rendo conto. però ho avuto questa sensazione.

- sai che all'inizio non ci avevo mica pensato a 'sta cosa. poi mi son reso conto che è così.

stavo per prendere l'iniziativa chiedendole: ma se ti invitassi a prendere una birra, se non ora in un altro momento? poi qualcuno deve aver preso l'iniziativa di dire: magari anche no.

però ho pensato ad un sacco di cose, camminando per parecchi passi, prima di incrociare uno stallo di biciclette.

ne sono fluite molte altre. tra cui un sogno significativo e toccante, in cui è comparso mio padre.

così le ho scritto. siccome questo è un blogghettino che ce la contiamo fra di noi, quel che segue è quello che le ho inviato.

 

cara comevorreinonmorire,

son quellodiradiopopolare.

mio padre faceva il giardiniere, con un'anarchia tutta sua. di lui ho gli occhi sporgenti. almeno ne avessi preso anche il colore ceruleo. ma va bene uguale.

dopo una vacanza all'elba, c'è stato un periodo della preadolescenza di mio nipote in cui ha chiamato mio fratello: babbo. qui si usa poco, mica non lo sai. mio nipote che ha appena iniziato [splendidamente] medicina, e che son certo diventerà un gran bravo chirurgo [ndo: il padre di costei era un chirurgo, viceprimario a firenze], come ha già in testa da tempo [diventare chirurgo intendo, che sarà bravo lo so io]. è un predestinato, sembra che tutto gli riesca con una facilità disarmante, senza che per questo se la meni. ha talento, certo. ma sono altrettanto certo che è anche per come mio fratello gli è padre.

già. che la figura paterna è riferimento diverso per le bimbe, piuttosto che per i bimbi.

non hai idea di quello che si sta smuovendo da un po' di giorni. e i sogni che ne stanno uscendo. e pensare che in radio ero venuto incuriosito da quei due fulminati punk-acustici. avevi catturato la mia attezione distratta giusto perché tenevi il tempo sulle loro canzoni. poi hai spiegato del tuo monologo. e mi son detto: ohibò, e questa chi è? virandoti una nuova attenzione, e mica per la chioma leonina.

mi son quasi stupito di averti agganciato dopo la presentazione. e di come abbia deciso di venire al parenti [ndo: nel senso del teatro], così, senza pianificarlo, quasi improvvisando.

quindi mi son sgorgate una fottia di considerazioni. ma eviterei di sommergerti. però un paio di suggestioni sì. anzi tre, via.

ho un ricordo di bambino pure io, che non riesco a cacciare dalla memoria. di quanto subito mi vergognai. e provai un dispiacere lancinante per come doveva essersi sentito lui. l'ho ancora davanti, pietrificato, dopo aver letto quello che avevo scritto anche su di lui. non ebbe nemmeno la forza di cazziarmi, come mi sarei aspettato. fa ancora un po' male ricordarlo oggi [anche se quel bimbo, allora, stava sfogando alcune frustrazioni]

quando la malattia si acclarò - un ittero improvviso. fegato. roba partita dal pancreas si seppe poi - chiedemmo un secondo consulto "informale". gli dava un anno, un anno e mezzo. molto meglio delle poche settimane del primo responso. ero in auto, tornavo da una specie di docenza. e pensai a come e quante cose avremmo potuto fare in quell'anno e mezzo. giurai a me medesimo che non ne avrei sprecato un minuto. se n'è andato esattamente un mese dopo quel primo ricovero, dopo esser diventato giallo dalla sera alla mattina.

tornando a casa dal tuo spettacolo ho forse capito perché proprio adesso si stiano muovendo cose. che ormai il lutto di mia madre è già un po' che lo tengo sotto controllo emotivo. no. il punto è che alcune cose si stanno smuovendo ora, perché comincio ad essere serenamente e consapevolmente orgoglioso di me medesimo. che il lavoro sull'autostima understatement è roba complessa, ma che sta riuscendo. oroglioso come - comunque - lui di me lo è sempre stato, a prescindere, al netto di non aver questa grandissima capacità di manifestarlo ed acclararlo. però c'era. lo sapevo ma non lo sentivo. e poiché, quell'orgoglio, non lo riconoscevo a me era come se non gli riconoscessi potesse farlo lui. mentre lui di quell'autorizzazione, ovvio, se n'è sempre battuto, com'è giusto che fosse. tutta roba sotto il livello del conscio, ovvio. adesso è come se ci capissimo anche su questo. una specie di sintonia emotivo-affettiva ex-post. e si sta decisamente meglio. e molto fluisce.

io al destino ci credo poco. molta più epistemiologia dal caso. però mi piace il caso di essere stato in radio, per la prima volta per quella cosa del suggeritore, proprio quel lunedì.

ora.

quasi mi stupisco, così come mi stupivo avrei voluto buttartela lì dopo lo spettacolo.

però, se capita, se ti va, mi piacerebbe far altre due chiacchiere con te. si. insomma. una birra o quel che capita o cose così. non so come funzionino queste situazioni qui. solitamente non invito autrici e attrici teatrali. peraltro era da parecchio non venissi a teatro.

però c'è tutto il discorso dell'elemento artistico e creativo, la drammaturgia, la necessità e capacità [e coraggio] di fare arte, per tirar fuori parte del mondo che hai dentro. roba che mi titilla molto. tutto un complesso di cose. se non un confuso desiderio di fondo, da anni et anni. che si declina in maniera mimetica giochicchiando [ndo: declina in maniera mimetica è anche questo blogghettino]. che io farei tutt'altro nella vita [invero con poca soddisfazione interiore e realizzazione, ma va bene uguale. anche solo per rispetto verso chi non è privilegiato, lavorativamente, come lo sono io].

comunque è stata una bella suggestione. e comunque viva il teatro.

quellodiradiopopolare

 

dubito risponderà. ed è ancora meno probabile si farà offrire una birra. però, davvero, mi importa fino a un certo punto, un punto che è piccolopiccolo. perché son già coinvolto da tutto questo gran fluire di cose dentro, come non accadeva da un po'. e sogni come un fiume di montagna impetuoso.

[peraltro c'erano altre tre suggestioni, sgorgate pure loro dopo quello spettacolo. legate al mestiere che faceva patreme. gliele ho risparmiate. magari prima o poi le riverserò qui dentro.]

[comunque sì. brava l'era brava. ben più di quanto, alla fin fine, non sia riuscito non ammettermi di quanto fosse anche bella]




[e comunque non è un caso, questo post, oggi]

Monday, February 6, 2023

ienismi e gli effetti del relazionarsi

lo so che 'sta notiziadellaminchia è vecchissima. e son accadute cose decisamente più pregnanti. però i post li inizio. e poi li lascio lì. che ciòdafffare. e poi mi perdo via manco una donna che non le è consentito di girare le mappe secondo la strada.

e quindi, parecchie avvenimenti fa, il meeiinnstriiim un po' cacareccio ha di cui dissertare sul fatto che la ecs-iena giarrusso dino [dino, come pare sia anche il nome del figlio] voglia entrare nel piddddì, però quello di bonaccini. che il fatto si parli della ecs-iena giarrusso, per brevità da qui in avanti solo la ecs-iena, già racconta molto. non foss'altro per il null'altro contributo che il nostro ha saputo dare al paese stivalone-italico. ho sempre avuto la percezione che la ecs-iena si portasse appresso un ego piuttosto ingombrante [che se la storia del figlio onomio se fosse vera: peddddire], cosa per cui ho questo immarcescibile bias. vero: non ci ho mai preso una birra, quindi potrei sbagliarmi. quand'anche fosse, comunque, non credo ci sia una-ragione-una per cui possa si possa intuire valga la pena votarlo nel caso in quella cosa cosa del pidddddì. dicono che vuol salire sul carro del vincitore del pidddddì. per quanto vincitore e pidddddì nella stessa frase, ultimamente, è ardimentosa anche solo pensarla. e comunque non sono organico al piddddì [e per certi versi è un sollievo] né tanto meno alla ecs-iena [ed per qualunque verso è un sollievo]: quindi stigrandissssssimicazzi che la ecs-iena voglia entrare nel piddddì, però quello di bonaccini. saranno pure affari loro. per quanto lo zeitgeist del pidddddì è già complicatino di suo, che devono anche vedersela con il fatto debbano vedersela con la ecs-iena. tipo mainagioia.

però la storia della ecs-iena che vuole entrare nel pidddì, al netto sia quello di bonaccini, mi ha spritzettato un paio di considerazioni. tipo quelle che verrebbero bene davanti ad uno spritz [io campari, grazie]. a parte la numero zero, che sfrutta le delicate nuance che i francesismi sanno evocare: il talento di chi non si fa problemi ad aver la faccia come il culo. ma ci sarebbe anche il resto. che con la ecs-iena nulla hanno a che vedere. perché interessa il relazionarsi di tutte e tutti con tutti e tutte.

e che cioè si sia talmente presi dal proprio ombelico da dimenticarsi gli effetti del relazionarsi sugli altri. e che è grande conquista prenderne contezza e non far finta di nulla.

provo a spiegarmi.

ad ogni azione ed ogni presa di posizione sono legate delle responsabilità di chi le fa. anche le più minchiominute, inerti, totalmente tralasciabili. poi ci sono le volte che le azioni o le prese di posizione sono in contrapposizione - pragmatica o dialettica - nei confronti di qualcun'altra o qualcun altro. ed una di quelle responsabilità sono gli effetti quella contrapposizione produce: piccola o grande sia. specie quando è esalata con variegato sgarbo o quando impatta con uno sbbbbbam pù o meno nel profondo l'altro. per quanto sia uno sbbbbbamm figurato, ovvio.

ecco. io ho l'impressione che di questa cosa tendiamo, mediamente, sempre più a battercene. mica sui massimi sistemi, roba di cui discettano filosofi, intellettuali, sapienti. no. no. nella quotidiana e nebulizzante normalità del raffrontarci col prossimo più prossimo. non so se questo battersene stia auentando o è l'ennesimo bias che sta prendendo corpo meco. però, per quel che mi riguarda, sta diventando un elemento di discrimine, personalissimo, di chi può aver senso tenere in una qualche considerazione e a chi dire ciaociao, senza troppo sbadta. poi ovvio che la mia rete intimosociale sia diradata, tipo gli eventi quantici nello spazio profondo, ma tant'è. anche in considerazione del fatto declini con certa ineluttabilità la massima: perdonare molto, vendicarsi poco, dimenticare mai.

e non è questione del mio ombelico. quindi non è solo rimostranza verso coloro che non tengono in cosiderazione il mio ombelico. ma proprio quelli che pensano che ce l'abbiano solo loro, l'ombelico. e fottesega del resto dell'umanità.

per non dire di chi, proprioproprio quando si concedono all'idea di essere inseriti in una complessità sociale, il mantra è: eh, ma io son fatto così. oppure: non volevo provocar nocumento, basta non averci messo l'intenzione. financo: eh, ma se te la sei presa son problemi tuoi.

così che nel relazionarsi [spigolosamente interlocutorio] si prescinda dal fatto si provochino effetti nell'altro. ed il fatto avvenga più o meno intenzionalmente manlevi dalle proprie responsabilità. responsabilità, appunto. tipo se io mi giro di colpo e inavvertitamente do una gomitata sul viso di una persona, mica avrò fatto apposta, no? sì. però il livido che rimane mica non mi tange, non posso ignorarlo, che tanto il dolore è sulla faccia dell'altro.

tenere in considerazione gli effetti che nel relazionarci generiamo. ed il fatto che l'effetto non passa quando lo decidiamo noi. magari perché nel frattempo ci è passato l'incazzo che ha provocato il tutto. che magari l'altro ha già risolto ed ovviato lui. ma sarà pur sempre nostra responsabilità - appunto - né darlo per scontato né darlo per irrilevante.

e poiché, per fortuna, ogni tanto è cosa buona et giusta financo perdonare, come recita anche la massima, c'è la questione di come ci si re-interrelaziona. che poi è il congiungersi finale con il meiiiinstrimm sulla ecs-iena. prima chieda scusa. ecco. chiedere scusa. che col cazzo è segno di debolezza. è segno di grande consapevolezza matura del sé, un altro bel modo per dimostrare la propria onestà intellettuale. se poi non si ha questa necessità è un altro discorso, ovvio. 

questo vale per tutti gli ombelicali che hanno sbertucciato il loro prossimo. quindi tutte e tutti.

e tornando a bomba al mio di ombelico [un po' spigolato] ci son ben in sospeso una qualche situazione in cui attendo scuse. o meglio: come ne intenda la declinazione. che di capi cosparsi di cenere so mica che farmene, e nemmeno mi interessa. ma il chiedere scusa è innanzitutto riconoscere degli effetti che si è provocato. più o meno consapevolmente, ma che ci sono. e poi non è nemmeno il mio di ombelico, ma il riconoscere l'empatia dell'ombelico altrui. cosa che, personalissimamente e di nuovo, sta diventando un elemento cogente di scrematura: dentro o fuori.

che poi so benissimo che il discorso duale potrebbe ben esser fatto passando dalla parte del complemento oggetto di cenere cospandovisi. e magari il soggetto del caso può essere meno tranchant di me medesimo. quello di cui di certo non son dimentico è, appunto, l'altro. so di aver deluso e che alcuni atteggiamenti, mancanze e cose così non passeranno mica inosservati. poi c'è la mia orsitudine, occhei. non è per giustifica, figurarsi. e poi c'è anche il fatto che le cose tossiche bisogna espuntarle. ma non è più nemmeno tanto questo il punto.

la ecs-iena, immagino, sia millemilachilometri lontano dalla consapevolezza che i suoi strali politici non erano rivolti al nulla cosmico. o se ne batta. comprensibilmente una comunità si è sentita giudicata [male]. ed in maniera piuttosto strumentale e solo per speculazione iraconda politica, strumentale. quindi, ragionando su cose che poco mi confanno, che contributo può dare uno che ignori gli effetti sugli altri. qualsiasi siano gli altri, financo la comunità del pidddddì. la comunità di un partito che dovrebbe avere come idea cogente il del considerare l'altro, in termini di istanze e le disuguaglianze che ammantano i molti prossimi. dovrebbe, occhei.

ma molto giù nel piccolo e nebulizzato mondo di ciascuno il discorso mica dovrebbe cambiare. siamo tutti interconnessi. sarebbe ben utile non dimenticarsene giammai. se gli assoni, dei neuroncini che siamo, diventano oltremodo urticanti so cazzi. e possono allentarsi, più o meno per sempre. ed è una morte [figuraticamente-neuronale] un po' peggiore.