Tuesday, November 30, 2021

numeri e cose così [quasi un flusso di minchiatine]

oggi finisce novembre. non me ne voglia l'undicesimo. ma io son più garrulo così. peraltro avrei voluto andare ad un incontro di solidarietà a mimmo lucano, in quel della camera del lavoro. al quarantatre di corso di porta vittoria. avrei lasciato ventieurI di ingresso come donazione per entrare, oltre che mostrare il mio secondo griiiinpassse. ho dovuto scaricarlo di nuovo, 'ché il venticinque è scaduta la tessera sanitaria. lo stesso giorno del diciottesimo compleanno dell'unico nipote. quello stesso giorno, ma quello del suo undicesimo compleanno mi dissero avrei iniziato a laurà là dentro. il primo dicembre. che poi è come se si svoltasse ormai davvero in inverno, con il correre impetuoso verso il tramonto che la tradizione vuole il più anticipato, il tredici. e comunque, appunto, domani sono sette anni. che quindi ho la sensazione che qualcosa possa smuoversi. perché mi sono un po' costruito la trappola del sette, nel contesto lavorativo. che è roba del tipo che per sette anni ho cazzeggiato, invero con qualche spensierato divertimento. per altri sette ci ho provato a dare una svolta, ma furono magrissime vacche. e per altri sette mi sono fatto un culo che più culo non saprei, però il conto corrente è decisamente in sicurezza. peraltro con scarse capacità di gestirlo. che detta così sembra la tripletta [se, vebbhè, nemmeno ai tempi potenzialmente d'oro, avrei fatto tripletta. ossessionato per nove anni - non del tutto consecutivi per fortuna - con una che zero volte me la fece mai vedere, figurarsi annusare, figurarsi usare [so che questa trivialità che è antiottomarzo susciterà gli strali - sacrosanti - dell'amica roby]], dicevo la tripletta del numero biblico del sette può scorrer via distrattamente, ma fanno ventuno-cazzo-ventuno anni. [che un po' impressiona anche me. figurarsi che è percentuale importante della vita dell'amica roby][che poi è la seconda volta che la cito, a 'sto giro. tre con il post precedente. devo prendermi meno queste confidenze]. e comunque la storia del sette che si ripete e che poi cambia qualcosa è una trappola. ma non è nemmeno la prima, anche se non saprei enumerare quante altre mi sono costruito. una però è relativa al primo periodo di là dentro. che io devo analizzare delle segnlazioni. che non dico come le chiamiamo perché potrei essere licenziato. anche se tecnicamente sono stato assunto in vita mia per poco più di quindici mesi. quindi non mi possono licenziare. al limite stabilire come consulente non gradito. comunque. le segnalazioni che devo analizzare, dicevo. hanno un ovvio sistema di numerazione, identificativo. quando entrai là dentro erano arrivati al numero poco sopra l'ottantamila. non ricoro il numero della prima segnalazione che analizzai. però c'era di mezzo un'assicurazione vita, che è il prodotto con id milleecento [no, non è così confidenziale, posso scriverlo]. e comunque, la trappola mentale che mi costruii: mi ero messo in testa di andarmene da là prima che si arrivasse alla segnalazione CENTOMILA [TUTTOMAIUSCOLO. che così mi viene anche in mente l'amico emanuele. che fa gli anni il giorno ventidue. che poi è anche il giorno in cui se ne andò il mio nonnetto putativo, quando di anni ne aveva novantatre. e comunque tanta mestizia. in quei primi mesi di lavoro là dentro. mi viene in mente l'amico ema, che una volta mi disse che leggere i racconti che gli propinai gli faceva strano, che vedeva le lettere iniziali delle frasi in maiuscolo.][e comunque CENTOMILA TUTTOMAIUSCOLO è una citazione ed omaggio agli elii. che pubblicarono il primo album ufficiale quando io avevo ancora molti brufoli, cominciamo a subire l'idea castrante che farsi le pippe era peccato e soprattutto amavo angelicatamente la fanciulla che ora ha tre figlie ed abita a poche centinaia di metri da qui. o forse sono io abito a pochi centinia di metrei da loro. nel senso di famiglia a cinque unità][comunque, vediamo se qualcuno coglie l'omaggio agli elii con CENTOMILA. per quanto ve ne siano due versioni. ovvio che io preferisco non quella di radiodiiigei, e non solo perché sono un abbonato ritoccato [non nel senso del moltipipparolo] a radiopopolare, che trasmette sui centosettepuntosei. che se qualcuno volesse abbonarsi, non farebbe comunque una cattiva cosa.]. comunque la segnalazione CENTOMILA. mi ero messo in testa me ne sarei andato prima di quella segnalazione così tantosa. certo, certo, i mesi passavano. il numero identificativo aumentava, e ben oltre il novantamila mi dicevo: ma non sarò un po' pirla a mettermi questa fretta un po' ansiogena? e quindi un po' sì, cominciavo a pensare fosse un po' da minchioni. forse anche grazie alla presa di coscienza che - indubbiamente - mi ha aiutato a fare odg. che 'sticazzi se l'hanno definita una cura soluzione ottocentesca [dimentichi, peraltro, a voler epitomizzare che la psicanalisi è del primo novecento. però forse questo l'ho già scritto in un altro post.]. e comunque la segnalaizone CENTOMILA che vedevo da lontano avvicinarsi, ed io a chiedermi: me ne vado prima? e poi niente, cambiarono il sistema informativo delle segnalazioni. e partirono direttamente dal CENTOMILA, quasi dall'oggi al domani. ed io mi ritrovai un po' con il cerino in mano. e comunque, oggi che chiudo l'ottaquattresimo mese, ho gestito alle venti e rotte minuti di questa sera, la segnalazione numero centoventiquattromilaquattrocentosessantanove. non sono mica tutte mie, ovvio. e ci mancherebbe altro. sarei semplicemente già liquefatto. mentre, molto più prosaico, triste e poco assertivo, non me ne sono andato all'incontro di solidarietà a mimmo lucano, che appunto alle venti ed un pezzo ero ancora collegato. avendo così cubato in due giorni di questa settimana mezza giornata di straordinari. poi uno dice che immaginava qualcosa di più interessante, all'inizio della tripletta dei sette anni. non so quale numero ordinale di manifestazione delle mie nevrosi sia, questa cosa che invece di andare all'incontro, sono rimasto connesso col piccì ancora guindowsseven, dopo tutte quelle ore. forse volevo davvero salutare il fottutissimo mese di novembre anche così. anche se mi ero prefigurato una settimana di mitigrazione, post lavorativa. ieri andò così così, ma non per responsabilità mia. oggi lasciamo perdere. domani, che inizia dicembre, rivedo dopo millemilamesi la mia cummmmmmmà. e questo mi mette molto di buon umore, non ostante oggi abbia sbracato [la mia unica gioia è stata di accaparrarmi quattro panini schiocco alla lidol, che i bastoni alle olive erano finiti. oltre che fruire del venticinquepercento della razione giornaliera concessa alla casetta dell'acqua, che eroga al massimo sei litri per dì, presentando la tessera sanitaria. esattamente quella che mi è testé scaduta e per cui con quella nuova ho chiesto il secondo griiiiipasssse. che dovrei peraltro inaugurare proprio domani, alla cena con la cummmmmmmà, agile et scattante e con il suo marito, forse un po' meno agile et scattante, ma è l'altezza che lo frega. ovviamente il griiiiinpassse nuovo avrei potuto usarlo per la prima volta questa sera, se fossei andato all'incontro di solidarietà verso mimmo lucano [chissà se i passssssadran dell'antigriiinpasssse stigmatizzerebbero il fatto lo esibisca anche ad una manifestazione di solidarietà a mimmo lucano. la domanda intima è bizzarra, ma non del tutto campata in aria [e la risposta non è quarantadue]. 'ché nel diciassette ho quasi incrociato una, che all'inizio mi aveva molto colpito. poi si è rivelata essere un personaggio un po' spigolosetto. tanto che non prese in maniera proprio serena il fatto decisi che forse non era il caso. [di lei abbozzai ad una cena con gli amici - oltre la cummmmmmà - quando volli fare una foto con loro, per mandarla ad ella, prima di capire che forse non era il caso. ed a quella cena eravamo tutti i miki. oggi probabile ne mancherebbe uno.]. e comunque costei ora è una dileggiantissim novacsenogriiinpassssse e cose così. quindi forse del tutto sbagliato non ci vidi, allora. e comunque appunto ho letto qualche tempo fa un post, trasudante un livore agghiacciante, verso coloro che mostravano il griiiiinpasse per entrare al ristorante. invero, un post davvero scritto bene. sono le contraddizioni e la complessità dell'esistere]. e comunque poi vedrò anche l'amico ema. che magari a 'sto giro cambiamo birreria, e comunque questa volta sta a me. e poco prima rivedrò odg. dopo parecchi mesi. che ragionavo se abbia ancora senso la terapia. e probabile glielo chiederò. non solo per il fatto abbia rimandato per settimane, prima di contattarla, non ostante mi senta un po' sottosopra da tempo, oltre che con l'umore di moto browniano. poi ho anche pensato, però, che sono di fatto quasi ventiquattro mesi che non si fa un qualcosa che assomigli ad una terapia. ed è successo di tutto. a tutti, ovvio. non voglio mica arrogarmi la palma di una qualche originalità. però non sto benissimo nel modo che è solo mio. gli altri avranno il loro. [poi pochi ne hanno contezza, per non dire quelli che pensano di essere con le difese immunitarie altissime e protezionissime, ma è altro discorso.]. che in fondo domani inizia l'ottantacinquesimomese, là dentro. anche se là dentro non ci entro di fatto dal sessantatresimo. domani, peraltro, sarebbe andato in break-event-point l'abbondamento annuale ai mezzi. facendolo annuale dal primo di marzo, il primo di dicembre cominciavo a risparmiare [dai suoi trecentotrentaeurI], l'avessi fatto mensile tutti i mesi. in un altro mondo, prima di questi ventimesi, avrei fatto tutte queste considerazioni. e me ne sarei andato alla manifestazione di solidarietà a mimmo lucano [che questa sera c'è una manifestazione in solidarietà a mimmo lucano, l'ho già scritto?], con i mezzi, leggendo il libro che sempre è il piacere che mi accompagna quando salgo sui mezzi pubblici, che sono una cosa che a me piace molto pigliare e salirci sopra [è tipo una cosa del tipo il campanalismo proiettivo, di cui scrivevo nel post sul fontanile di disperato ottimismo, ed il suo tredicesimo anniverario di posa, quel giorno di novembrediciotto. un post [il quattrocentoundicesimo, di questo terzo bloggggghe] che secondo me funziona. e cui mi sento comunque legato. ma se l'è cacato quasi nessuno][ci sarei andato con i mezzi alla manifestazione di solidarietà a mimmo lucano, se non ci fossero stati questi ventimesi. 'ché immagino che sarebbe stato condannato a quell'abominio di pena anche senza questa merda di infarto della storia]. e invece poi le cose danno in numeri in tutt'altro modo. e siamo tutti stanchini [senza dimenticarci, invero, che stiamo nel punto più culoso del pianeta, con nemmeno tanto merito].

direi che potrei chiudere qui, il fluso di minchiate di questo post. più o meno come finisce novembre. che al solito è una questione di convenzioni. ma in quelle più o meno camminiamo dentro. domani inizia dicembre. cambia poco. cambia quel che verrà. un po' sarò disperante, un po' sarò più garrulo. un po', cazzo, dai non è ancora finita. [non rileggo, non metto l'italico alle parole storpiatelle. non oso immaginare gli innumerevoli refusi. 'sticazzi].

Thursday, November 25, 2021

gNente specchio riflesso per i novacse.

l'amica roby mi chiede(1)  che genere di roba, nel caso, vorrei scrivere. tra le alternative propone il buongiorno di gramellini. immagino fosse la chiusa iperbolica, tra le alternative. in effetti credo che l'effetto iperbolico sarebbe stato meno riuscito se avesse proposto l'amaca di michele serra. forse perché la leggo abbastanza spesso. quella di oggi mi ha fatto pensare che, in maniera tangenziale, avevo scritto un post qualche settimana fa. uno sui novacse, intendo. tangenziale e con molte più parole di ciascuna amaca. quella di oggi inclusa.

mi ha colpito in un paio di punti "al bisogno di rimanere umani che può salvarci non tanto dai No Vax, quanto da noi stessi" e quindi "ma avrà capito? [...] sarà capace di fare due più due".

mi ha colpito perché c'è dentro la doppia speranza. che se la leggi da una parte è quella di provare a mitigare quel senso dicotomico di divisione e di frattura. che io comunque percepisco e continuo a non vivere bene. tanto più ora che me ne sto dalla parte numericamente importante. incredibile: nella maggioranza del paese. e mi viene, quasi riflesso pavloviano, di provare una specie di attenzione ripettosa per le minoranze. un po' per abitudine a sentirmici. anche se questa minoranza, pervicace, fa scelte sciargurate che credo fottutamente sbagliate, a danno di tutti. quindi provo a ricacciare indietro, se sento spuntare da lontano, quel senso di revanscismo. roba del tipo: e mo ve le cuccate tutte le limitazioni del supergriiiinnpasssedeluccse. revanscismo perché la speranza è che, come si chiede-auspica michelino, è che capiscano. che poi c'è dietro la speranza o la convinzione che noi si è capito qual è la cosa giusta. e si è agito di conseguenza, al netto di avercela del tutto la contezza quale sia la cosa giusta. che poi sarebbe come leggere dall'altra parte la doppia speranza.

in maniera duale, la contezza di qual sia la cosa giusta, ce l'hanno pure i novacse. che verosimilmente declina in una miriade di motivazioni più articolate nei recessi della testa. è probabile per situazioni ben più convinte, rispetto a quello della maggioranza. in cui non è difficile confondere la netta convinzione con il fatto si stia dalla parte giusta e della verità. quindi non a caso un sacco di costoro ci chiama pecore di un gregge ammansito. starsene in una minoranza è fottutamente più complicato che starsene dove stanno quelli che sono di più. ci vuole appunto una certa motivazione e caparbietà. figurarsi se questo nasce da un disagio più o meno consapevole: ovvio che tutto questo debba essere puntellato per bene e con qualsiasi ellisse interiore [peraltro credo che, nella stragrande maggioranza di questa minoranza, il disagio sia del tutto inconsapevole. e se parlo di disagio, lo faccio sganciandolo del tutto a qualsiasi forma di giudizio. mica per altro. il primo a vivere un disagio sono io.]. ed uno dei puntelli che riescono meglio è quello del dileggio. è un buon modo per rafforzare il senso di appartenza, e per ribaltare quel senso di minoranza, che poi a passare in minorità è un attimo. sono di più, consoliamoci con il fatto siano dei coglioni. e se i coglioni sono loro, non possiamo essere noi, che incidentalmente siamo meno: situazione non proprio agevole.

ecco. io vorrei evitare un meccanismo simile. e non perché sono nella maggioranza.

specie ora che, mica non lo capisco, la stretta del supergriiiinnpasssedeluccse non potrà che portare ad un arroccamento. e questo acuirà la dicotomia e la divisione. provo, davvero, a mitigare quello che inevitabile si porta dietro. come eco che mi riverbera dentro, e di certo il disagio non diminuisce. anche se, davvero, io non sono loro. non solo nelle scelte molto pratiche. ma anche nello smontare il carico emotivo di separazione. visto che separati comunque lo siamo. e me ne sto dalla parte di quelli che sono di più, quindi di sicuro avvantaggiato. poi mi piacerebbe lo capissero. tipo la domanda di michelino: sarà capace di fare due più due? che la domanda è legittima. com'è legittimo augurarsi ci venga riconosciuta la giustezza delle nostre azioni. e se non riesce loro, pace. io comunque provo anche a rimanere umano. è un modo per dare ancora più valore alla scelta che ho fatto: quella più giusta.(2)


 

 

(1) La risposta è stata, ovviamente: eh, saperlo! [rifacendomi il verso]

(2) spero di riuscire a rimanere umano meglio di quello che mi riesce ad essere sintetico. che le amaca, così come il succedaneo buongiorno-che-ora-si-chiama-caffè, quanto meno godono del dono della sintesi. e quindi immagino ci voglia molto meno tempo a scriverlo, così come a leggerlo [e minimizza la probabilità di refusi, al netto uno abbia un correttore di bozze]. è questa una delle invidie [sane] più pungolanti. oltre che a dimostrare che non sarò mai editorialista, se ce ne fosse nel caso ancora bisogno.

 

Sunday, November 21, 2021

il sogno qui ed ora - loro - e gli incubi della quotidianità - miei

[nota. ho inziato a scriverlo di sabato sera tardi. indi mi si chiudevano gli occhi dal sonno. ed ho deciso di ri-leggerlo e pubblicarlo la domenica]

oggi alessandro metz mi ha regalato una chiave di lettura davvero illuminante. ovviamente a sua totale insaputa. è successo a questo evento di bookcity. che era il mio modo di cominciare a dominare il mese di novembre. è stato importante, oggi, ributtarmici: lo scorso anno lo avevo totalmente ignorato, con i suoi incontri tutti inevitabilmente in striiiiming.

provo a contestualizzare. non prima di aver fatto un paio di premesse.

prima premessa. bookcity è un evento potenzialmente bulimico. che manda a nozze la mia necessità di speculazione in una solitudine affollata. nel senso che vado agli incontro di presentazione di libri, che poi non acquisto, cercando di sussumere spunti psicopipponici. ci vado solo. e solo ed anomino sto in mezzo agli altri. non mi chiudo in casa, sono comunque orso, cerco spunti ispirazionali. è bulimico nel senso che ci sono gazziGlioni di presentazioni, in giro per la città. temi, fascinazioni mainstream, coinvolgimenti [miei] molto variegati. gli anni passati il giochetto era quello di farsi largo tra le proposte. pianificandole per zizzagare in maniera fattibile, ed essere nei posti all'ora giusta. spesso decidendo a quale incontro partecipare sacrificandone altri, quando contemporanei. la scelta spesso fatta in maniera rabdomantica: leggo la presentazione rapida e decido, ma delle volte è come se l'evento mi chiamasse, cose così. poi, vero, alcuni argomenti mi attirano più di altri. oggi ad esempio, litigando con il fatto che per alcuni non vi erano più posti disponibili, ho scelto quello che titolava: i corpi dei migranti. non credo sia stata una cosa del tutto casuale. anche alla luce della seconda premessa.

che poi sarebbe che il mio lavoro - esattamente - non mi entusiasmi e mi porti ad esclamare: che figata quel che sto facendo! uso un eufemismo, ovvio. fatturo discretamente, sì. questa è una pericolossima trappola. mi dà soddisfazioni quando la fattura la emetto, che significa una volta al mese. mi sta intossicando l'esistenza, piano piano, insufflazione ad insufflazione, in tutti gli altri momenti del mese. variegatemente, percependo intensità cangianti di nocumento. così quando mi chiedono: che lavoro vorresti fare, allora? io in realtà rispondo: eh, bella domanda, a saperlo. in realtà un paio di risposte io ce le avrei anche, ruzzolano nella testa. e risponderei: scrivere e/o tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi sui barconi che sappiamo. non mi sfugge il salto in avanti, decisamente eccessivo. che così la pragmatica va da tutt'altra parte. cosicché io rimanga a fare un lavoro che non mi piace. a sopravvivere con la scrittura bisognerebbe: 1) aver qualcosa da scrivere 2) la serena convinzione essere capaci di scriverla in maniera interessante 3) un discreto buco di culo o 4) un formidabile talento. in questo momento, ogni tanto, mi si abbozza in testa qualche embrione del solo punto 1). per dire, dico. in alternativa, tirar fuori dal mar mediterraneo quelli che rischiano di affondarvicisi, è un lavoro per pochi. perché bisogna essere tecnicamente preparati. con competenze specifiche, se non sei l'armatore o cose simili. anche solo a padroneggiare un paio di lingue. io son regredito in maniera importante nell'unica che conoscevo oltre l'italiano. e figurarsi se mi senta pronto anche solo per propormicisivisi - considerato il contesto della percezione del sé. è desiderio di quisquilie statistiche della popolazione. i posti sono comunque talmente pochi, che la quisquilia statistica ne ha d'avanzo. e sopravanzare la - relativa - massa bisogna davvero crederci ed essere capaci. e figurarsi me medesimo, per dire.

mi era però rimasto un dubbio curioso. perché quando leggo, osservo, ragiono sulle azioni di soccorso in mare, percepisco questa tensione quasi vocazionale? che non è la vocazione in sé. quanto la sensazione di poter annullare quel senso di frustrazione et inutilità in quel che faccio ogni mattina quando mi connetto al piccccì. invero fatturato discretamente. ma frustrazione et inutilità mi avviluppano. roba che si allarga a più o meno tutto il resto del mio esistere. mentre pensare a tirar fuori le persone dal mediterraneo è questa specie di raggio fotonico, che mette in cortocircuito tutto il bolo di roba che non mi soddisfa, non mi piace, non mi realizza. zzzzzzottt: sparirebbe. non mi sfugge che una cosa così avanti, quasi come estremale, è un bel modo di rimandare per sempre l'azione. se mi do alternative così difficilmente realizzabili, che poi proietto a roba del tipo: o quello o niente, ovvio che sarà il niente. ed io potrò continuare a rimanere nella mia zona di comfort tossica. se la metto solo come cosa dicotomica, si può evitare di pensare alle millemila posssiblità intermedie. più fattibili e raggiungibili. però dovrei muovere il culo e provare a fare. che non è qualcosa che mi riesca - pém-pém-pém-pém - immediata, con questa fludità  e reattività d'azione. [un sacco di eufemismi, in 'sto post]. con molte meno parole [ecco, se uno vuole scrivere, potrebbe cominciare ad usarne meno, di parole. anche evitare subordinate che spezzano la lettura, tipo questa parentesi quadra] non mi sfugge l'aspetto nevrotico-ossessivo. per quanto abbia studiato altro. per quanto, anche capendolo un po' meglio, non so quanto potrebbe servirmi per muovere il culo e fare.

ecco. dopo tutto questo pipponcino di premessa: qual è stato il dono involontario di alessandro metz? è il senso che lui prova quando tira fuori le persone dal mediterraneo, provando ad evitare ci si affondino: mediterranea save humans, appunto. è nella ragione sociale. e metz ha raccontato che, quando quei tocchi di umanità vengono soccorsi e portati a bordo, non si può non percepire che in quel momento, in quel preciso momento, è come se si magnificasse l'acme del loro sogno, speranza, progetto di un futuro e vita migliore. in quel momento sanno di avercela fatta. che non moriranno e che tutto quello che hanno passato - e oltre loro solo un concetto di idea di dio può sapere cosa possono aver passato - ha avuto senso perché è arrivato quel momento. quando li portano a bordo. è il punto più alto del loro sogno, del senso del loro nuovo progetto di vita.

"progetto di vita ed entusiarmo che io faccio fatica a ritrovare. sono troppo stanco e disilluso, e non riesco, nemmeno lontamente, a paragonare a quelli di costoro. io, se non avessi a che fare con quei sogni, ricadrei inevitabilmente negli incubi che la quotidianità, qui, non sa altro che regalarmi".

occhei. occhei. un filo retorico. e che perde un po' di vista la complessità - epocale, biblica - di tutto il fenomeno migratorio. ma la complessità che nessuno, nemmen metz, misconosce è altra roba. e tirar fuori una persona dal mediterraneo prima che affoghi, oltre che moralmente inevitabile, sta in un altro campionato, di un altro gioco, con altre squadre schierate. lui che gli capita di farlo.

ecco. per me è stata davvero illuminante. il sogno stortato della quotidianità - non userei propriamente il termine incubo. l'acme del sogno per ciascuno di costoro che nella metà dei miei anni hanno già vissuto ben oltre il doppio delle cose che verosimilmente vivrò io. non sono esattamente soddisfatto e realizzato. tirar fuori dal mare e salvaguardare i progetti loro è proiettivamente uno dei regali potrebbe capitarmi. mica non lo sappiamo che molti di quei progetti si schianteranno col principio di realtà di questo pezzo di mondo. così come si sono schiantati i miei, che hanno provato a farsi largo con fatiche e sacrifici nemmeno lontamente paragonabili ai loro, tanto hanno avuto la strada più spianata. che i progetti si schiantino, non è un motivo sufficiente per non sognarli e dar loro anche solo la probabilità necessaria: che sarebbe quella non affondino nel mare. la loro grida con una volontà che nemmeno riesco ad intuire. e deve essere talmente intensa che ho capito perché vorrei essere là a dargli una speranza. sì, certo, è un motivo a scrocco. ma deve valerne così tanto la pena, che non mi interessa nemmeno tanto.

alla fine dell'incontro gliel'ho buttata lì ad alessandro metz mi avesse illuminato. che avevo capito un paio di cose, importanti. [poi, al solito, il fatto le abbia capite non significa minimamente le farò. ma questo è altro discorso]. lui mi ha guardato con un mezzo ghigno. non ho capito se contento della suggestione o con l'idea fosse una cosa buttata lì per paraculismo inutile. non è 'sto gran problema. [al limite il fatto, tanto per cambiare, sia scappato via un po' imbarazzato, è uno degli epifenomeni del periodo. martellarmi i coglioni per questo non serve. e non lo faccio. prendo atto. nel frattempo che non si interrompano i sogni di questi pezzi di umanità. anche se ben non sarò io a contribuirne direttamente.]




Thursday, November 18, 2021

la fontana, ed il disperato ottimismo

il franco piazzò la fontana la sera di tredici anni fa. proprio come 'sta sera. alcune date si ricordano più di altre.

continuo a pensare sia una storia bellissima. il ritorno di quella fontana in quella piazzetta, intendo. gli portarono, al franco, un blocco di marmo rosa di candoglia. roba rara, quella cava è coltivata solo per la manutenzione del duomo, null'altro. tranne qualche magheggio del vescovo che l'hometown ha donato al mondo, o più semplicemente ad un tocco di chiesa locale. avuto il blocco, il franco, pensò di rifare la fontana. recupera foto di quella di prima, spesso sgranate, raffiguranti soprattutto altro, in bianco e nero. chiama qualcuno con la mano felice di scultore, o quasi. coinvolgi un po' della tua gente, delle tue maestranze. ed eccola lì, la fontana rifatta. pronta per essere ri-collocata. esattamente dove stava quella di prima. che sparì di notte, rubata. il giorno dopo nella piazzetta non c'era più: sottratta a tutti. il franco decise che di notte sarebbe ricomparsa: donata nuovamente a tutti. giusto per evitare di passare per fesso, il franco ci collocò due zanche importanti e robuste, sul retro. accanto alla scritta incisa per ricordare padre francesco nel decimo anniversario della morte, la moglie [del franco, non di padre francesco] e che quella fontana la fece [soprattutto] il franco. e con le zanche - non con la scritta - la ancorò al muro su cui poggia tutt'oggi. mi disse: così, se vogliono rubarla, dovranno romperla per bene, se la portano via sarà tutt'altro che intiera.

una notte sparì. una notte ricomparve.

me la fece vedere, qualche giorno prima, il figlio del franco. con la fontana quasi finita. un insieme di parti sparse, ma semplice da immaginarle insieme: sostanziarla. e mi raccontò l'idea del babbo. fu una specie di scossa di entusiasmo. un po' per il fatto fosse una fontana. un po' per il marmo del duomo. un po' per questo modo di andare a riparare un qualche torto verso la collettività [unpo'cit]. mi affascinò talmente tanto che decisi di tornare all'hometown apposta quella sera, toccata et fuga. per esserci anch'io, lieto di starci. e poter essere partecipe in piccolo, testimone di questa restituzione. a far qualche foto, tra l'altro. erano i tempi in cui viaggiavo ancora sulle ali dell'entusiasmo per la piccola azienda, destinata a luminosi futuri [invero, un paio di scricchiolii li avevo un po' sub-odorati. ma ovviamente non li riconobbi]. quindi tutto mi sembrava semplice, fattibilissimo. andare e ritornare in quella serata peraltro moderatamente frescazza.

ci scrissi un articoletto per l'allora giornalino dell'hometown. forse uno degli ultimi che ci misi sopra. lo intitolai: un fontanile di disperato ottimismo. il senso, con un proluvio di parole, era semplice e onusto di fiducia. sottrarre qualcosa al bene comune ci vuole poco, l'egoismo è rapido, insultante: e lascia una ferita. restituire qualcosa al bene comune costa tempo e fatica, l'altruismo è lento, metodico: ma sutura lo sbrego. quella fontana che ricompare in quel modo era un gesto di fottuto ottimismo, a prescindere da tutto, quasi come l'unica cosa da farsi per ovviare financo alla disperazione. 'ché passeremo tutti, rimarrà quel gesto, quella restituzione a beneficio di altri. poi sì, anche quel marmo diventerà polvere. però a lasciarlo andare da solo è decisamente più probabile lo farà dopo.

in fondo non è passato così tanto tempo da allora. il franco non è esattamente in formissima. il contesto in cui quell'idea maturò, da una parte non c'è più, dall'altra forse non è messo molto meglio del franco. al netto se ne colga contezza. ho qualche ragione di credere che un altro racconto del figlio del franco, qualsiasi sia, non mi entusiasmerà mai più così. per tuttuncomplessodicose. che poi una di queste è che ho qualche dubbio riuscirò ad entusiasmarmi a prescinedere. che dovrebbe chiamarsi disperanza. senza dimenticarmi che disperati, veri, ce ne sono fin troppi in grandissimi tocchi di umanità. mentre io, al momento, me ne sto in altri di tocchi.

eppure, questa sera, ricordando quell'altra di sera, mi emoziona ancora un po' quell'ottimismo ontologico del franco, e di quello più congiunturale mio. e colgo il senso di quel gesto. che non passa, nel suo essere ottimista, come la presa che garantiscono le zanche ancorate nel muro, vieppiù nella disperanza di oggi. la fontana è ancora lì. bene e cosa bella [a suo modo] per tutti. poi a me piace anche pensare sia di marmo rosa, ma è un campanilismo proiettivo. come un sacco di altre cose del resto. il proiettivo, intendo.

e comunque le foto, qui sotto, sono solo di un anno fa. esattamente di un anno fa. quando sentivo forse un ottimismo, anche sapendo fosse disperato. però con la fiducia di un futuro, che potesse spalancarsi ad ali che potevano riaprirsi.

nel borsino di questa sera, la stessa di quando il franco piazzò la fontana, l'ottimismo un po' scende. la disperanza sale. [per quanto, non è che sia esattamente la stessa sera. allora era allora. questa sera è qui ed adesso. è che sono fottutamente perculanti le date.]






Saturday, November 13, 2021

post complesso /1 [piuttosto editato, peraltro]

mi è sovvenuta questa psicopippa.

che è partita da un anniversario, un po' particolare: il decennale delle dimissioni di quello coi capelli di kevlar. lo ricordo perfettamente quel giorno. ed il senso di liberazione che provai, forse financo gioia. ero davvero convinto che il peggio era passato. non sarebbe più tornato, e che non potesse mettersi che in qualcosa di meglio per la travaggggghiata situazione italico-politico-peracottara. [poi vabbhé, per tuttuncomplessodicose quell'anno è stato permeato da una specie di ubriacatura fiduciante. come se il tutto fosse ammantato di un'aura di cose che era suggestivo accadessero. naturalmente c'era di mezzo una donna. forse l'ultima per cui ho perso davvero la testa. in qualche maniera ricambiato. per quanto nulla di pratico, o fattivo: non sarei stato in grado, non saremmo stati in grado. però quell'anno è del tutto appiccicato di quel ricordo diffuso. peraltro lei è appena diventata madre. il padre, lo stesso compagno di allora.]

dicevo. il decennale di quelle dimissioni, e le speranze che si aprirono. inutile ribadire l'ovvietà non sia andata esattamente così. poi sì, lui non è [ancora] tornato. anche se adesso, il fatto non ci si sganasci dalle risate, usando in una stessa frase il suo nome e PdR, è un'inquietante intorcigliamento della storia, come se qualcosa finisse per ribaltarsi addosso a sé medesima. però è stata molto interessante ascoltare alcune considerazioni nonché l'analisi fatta alla radio. foriera di altre considerazioni tra me e me. uno dei punti di sunto è che, semplifico, il berlusconismo ha prodotto come azione-reazione contraria un antiberlusconismo, che è stato un coacervo di cose e globalissima foglia di fico per gran parte della politica [in senso ampio: quand'anche il dibattito, i mass media, le visioni di un paradigma alternativo]. è stato un gran calderone. e in tanti [troppi?] avevano ben poche altre idee per realizzare davvero qualcos'altro. ci si è cullati di antiberlusconismo, e morta lì. qualche carriera gemmata sopra. e poco d'altro di costruttivo.

semplificando un po' meno, e riducendo alla personalissima esperienza del sentito, non è che dal mio punto di vista bastava essere antiberlusconiani. ma quella per che era il desiderata, l'ideale dal mio punto di vista, non poteva significare altro che essere antiberlusconiani. vi era un nesso cauale per una visione del tutto opposta al modello di costui. ma il tutto non nasceva e non si fermava ad essere solo anti lui. per quanto alcuni dei girotondi li ho pure fatti io. mi è capitato anche di essere popoloviola. ma era in di cui inevitabile.

però è anche vero che, nel nome dell'antiberlusconismo e basta, qualcosa di anomalo ha cominciato a manifestarsi pochi mesi dopo. quando ho ritrovato persone [figurativamente] con cui avevo fatto girotondo, gridarmi in faccia [figurativamente] tra il sardonico, il revanscista e con un certo astio gridoso: sietetuttimortiiiiii, andateveneafffffanculo. tutti quelli che non erano come loro.

ma come? abbiamo girotondato assieme, abbiamo partecipato alle iniziative contro quello che chiamavamo satrapo usurpatore. ed adesso mi dai del pidiota [votato raramente pealtro] e tutto il campionario di cose che non capisco del tutto. quel che capisco è che siamo stati sotto lo stesso ombrello. però forse non c'era del tutto questo mutuo riconoscimento. non da quegli altri, sicuramente. che stava succedendo? forse il tanaliberatutti di quelli che non volevano più quello con i capelli di kevlar, oltre a non essere sufficiente, si rivelava essere disorientante. col rischio di creare ancora più confusione. forse si è sostanziata una riduzione irrazionale di un'istanza delle complessità del pensiero e del fare politico. uso riduzione irrazionale non a caso. come se un tentativo di semplificazione di un'istanza complessa fosse una riduzione con elementi che non sono razionali, tipo risolvere una frazione con numeri diversi da quelli primi. e così non funziona. accorgersi della complessità è capire che non basta [non sarebbe bastato, per chi lo capì perfettamente già alllora] essere antiberlusconiani.

al netto del fatto si sia smontato tutta l'aura di quell'anno [a suo modo un altro elemento di complessità relazionale], la delusione tra quelle aspettative e quello che è accaduto è chiara. ovvio, non basta stessimo sotto lo stesso ombrello, pensando di essere sodali con tutti. mentre avevamo solo un avversario comune: con motivazioni, istanze, sistemi valoriali non sempre coincidenti. ed in molti vi si sono adagiati. e si è persa di vista la complessità. che proprio perché complessa non deve sbattersi più di quel tanto per rendere intricato quel che può uscirne. che infatti ne esce bello complesso. e non siamo del tutto pronti ad affrontarlo. perché non ne abbiamo contezza, la visione.

ovvio che la delusione è lì pronta ad attendere. e soprattutto la cosa non si fa, appunto, semplice. quando non altri riverberi sono, di fatto, grossi cazzi: per tutti.

[in realtà volevo scrivere anche di altro. la psicopippa è più ampia. magari continuo in altro post].

[updt, della sera successiva: in realtà ci ho messo un sacco di tempo a scriverlo. continuavo a ciondolare il capo, sonnissimo et stanchissimo. talmente sonno da essere costretto a provare a ricordarmi cosa avevo pensato all'inizio del periodo, per chiuderlo, il periodo. chiudevo gli occhi per concentrarmi. e mi appisolavo per un attimo. io lo so che non devo mettermi a scrivere in quelle condizioni. quanto meno da completamente sobrio [non troppo sobrio et assonnato è molto divertente scrivere]. era una strage di refusi. e qualcuno può essermi ovvio ancora sfuggito. e soprattutto non è venuto esattamente come l'avevo in testa. evabbhé].