Sunday, November 26, 2023

piccolo post melanconico-inutile [che scoperte della minchia] [anche se poi il post non è così piccolo]

ieri, dopo la manifestazione contro la violenza di genere, ho incrociato lo sguardo di una donna. era un volto che non mi era nuovo, e nel contempo come estraneo. un volto stranamente noto. sono ragionevolmente certo abbia avuto la stessa percezione anche lei. stessa modalità. ho impiegato qualche secondo per riconoscerla: la prima fanciulla con cui interloquii col feisbuchmiiiting. roba di un paio di anni fa, nel periodo in cui il grigio stava ammantando tutto, incrociandosi con gli ultimi sussulti di un'amicizia - diciamo - intima, che mostrava da tempo la corda: ma non ancora conclusa. non esattamente le condizioni al contorno migliori. ci si vide solo in foto, una serie interlocuzioni chattiche interessanti. qualcosa [pochissimo] di colorato in quel periodo è stata [tra il pochissimo] anche l'idea la cosa potesse evolvere, nella spaventevolezza che mi attanagliava [c'era il grigio attorno]. le dedicai un post, in coabitazione con un'altra cosa che stava accadendo. glielo feci leggere, non mi pare apprezzò granché. non mi tolgo dalla testa che da lì si fece più evanescente. il tutto si allentò, non sembrò sperticarsi nel voler accettare un invito per una birra, "masssì, prima o poi ce la prenderemo". una sera cancellai contatti e altro: la cosa non aveva più ragione d'essere.

sì. ieri era lei. vista in carne ed ossa, riccioli forastici e occhietti vispi compresi. era con un'amica, mi ha ignorato, non so quanto consapevolmente. non ci è voluto molto acciocché un velo di rassegnata melanconia mi travolgesse. nemmeno il tempo di vederla scendere le scale della metropolitana di cadorna m1-m2 [il macellaio cadorna]. peraltro ragionando sul fatto dei primi sei-sette secondi di percezione iniziale, che mi avrebbero - decisamente - sospinto in un'attrazione verso di lei.

lei, ovviamente, non ha nulla a che vedere con l'architrave su cui poggia la melanconia, con la rassegnazione che viene appresso.

che la melanconia ha a che vedere, altresì, con quell'eco che riverbera in un vuoto che non riesco a colmare, per millemila ragioni. che un po' è il caso, un po' come il caso lo si orienta, un po' son le titubanze e difficoltà che vivono, con la loro eco, anche le donne là fuori. la rassegnazione invece è causa e effetto del convincimento di non essere poi [più?] così buono ad essere capace di colmarlo, quel vuoto, e smorzare l'eco. e più il tempo passa e sclerotizza gli spazi di comfort, tossici o meno, più la cosa si fa definitivamente proibita.

ho la sensazione di star facendo sineddoche, dello sconforto di adesso, con quello che sarà per sempre. che non va bene. capisco razionalmente sia una fottutissima trappola che sto architettandomi. però non riesco a togliermici dalle grinfie.

è qualche tempo che torno a volo d'uccello all'ultima dozzina di anni. mi rendo conto che i ricordi lieti son quasi solo grazie al relazionarmi con alcune persone. con un cantuccio particolare di quelli vissuti con alcune fanciulle. sono state relazioni a modo loro, mai compiute, strutturate, che occupassero la vicinanza della continuità quotidiana. roba che puoi solo rispondere quasi e/o forse alla domanda: hai mai avuto una compagna?

con tutte le approssimazioni, arrotondamenti per difetto, sublimazioni dei casi, è da lì che sgorgano i momenti fottutamente lieti. e non è nemmeno una questione di sesso, o di fare allammmmmore, considerato anche quel relazionarsi - importantissimo - in cui non ci si è quasi sfiorati. poco importa non siano mancati anche i momenti di deciso incazzo, delusione, volontà di darmela a gambe levate, fine più o meno acclarata. quel relazionarmi particolare son stati elementi di campionamento importanti - molto importanti - nel cercare di mettere assieme la melodia, che potrebbe intitolarsi: sì, a tratti sono pure stato felice.

che scoperta geniale, neh? la felicità - a tratti - nell'aver a che fare con qualcuno di importante ed unico in quel mentre. conclusione davvero originale. mi faccio pat-pat sulle spalle.

ora di questo, cazzo, sento una lancinante mancanza. come non accadeva da tempo, peraltro. con consapevolezze che, probabile, eviteranno incasinamenti, situazioni improbabili, dare il la del gran ballo della compulsione. ho già dato, dovrei riuscire a non ripetere. così come non dovrei finirne soverchiato come millemila anni fa. perché, come allora, sento una mancanza simile. senza più ansie prestazionali sociali: non ho trovato moglie, non ho figliato, non ho costituito una famiglia tradizionale. 'stigrandissssimicazzi. che superpotere è essere vulnerabili [cit]. così come anche con la libertà di non dover più sperare che, a furia di desiderarlo un po' commovevole, poi accadrà. proprio per un cazzo. non c'è nessun nesso causale. nessuna grazia [prima fideistiche, poi laiche] mi sarà fatta.

che poi, a dirla tutta, non è che qualcosa non si sia tentato, neh? prodromi interessanti, sempre. poi cose che s'afflosciano improvvise, spoffffffffiu, tipo i soufflè. un attimo sembrano golosissimi, quello dopo 'sta roba sgonfia e tristina. e io c'entro il giusto. di nuovo: è che dall'altra parte si trovano anche narcisismi, tic giudicanti, lunaticità, salti quantici d'umore, entusiasmi da fuoco di paglia, difficoltà strutturate. insomma, non sono l'unico a non essere del tutto in bolla. ed ogni volta è una nuova tacca da aggiungere all'elenco di discrete, infelici, sfiducianti delusioni. non ci si abitua mai del tutto.

so solo che ora, quel che non c'è, mi manca. melanconicamente, con l'abbrivio della rassegnazione. in tutta la sua banale ovvietà. rimarcata nell'inutilità di un post. succedaneo sgarruppato con cui illudersi di ovviare l'incantevole inazione. giusto per mettere una bandierina del tipo: il giorno della manifestazione sulla violenza di genere - io che, da maschio, son comunque portatore di privilegi, anche se non goduti - ero a questo punto qui.

quello in cui sento una mancanza, anche piuttosto importante. ma almeno ho smesso di raccontarmela che così non è, o non mi riguardi. [tralasciando un attimo il fatto stia maramaldeggiando il principio di non contraddizione: sono pronto, ma non so se son poi così buono di.]

almeno, ma troppo pochissimo.

anzi, giriamola.

troppo pochissimo, ma almeno.

Saturday, November 25, 2023

ennnnniente, caro maschio: sei comunque coinvolto

confesso che sì, ho sperato fin all'ultimo l'avesse solo rapita. solo. un pensiero a tener lontano l'altro, che era quello che si sapeva come sarebbe finita. è una delle centoquattro, centocinque, centosei - ad oggi - di quest'anno. per tutta quel tirar di dadi del caso, questo assassinio di una donna ha colpito molto. mi ha colpito molto.

e provo non lasciarmi affatto indifferente proprio oggi. che sono quelle giornate che col loro simbolo vorrebbero, dovrebbero portarsi appresso il valore che quel simbolo rappresenta. specie per l'attenzione e la sensibilizzazione che vorrebbe, dovrebbe instillare, sui temi specifici. che poi sono le declinazioni nel darci una dritta  come collocarci all'interno del vivere sociale.

tipo sul femminicidio, sulla violenza di genere, sulle le discriminazioni. non voglio rimanere [più] indifferente. anche, soprattutto per il fatto potrei elencare lenzuolate di giustificativi e tirarmi fuori: io sto in universi diversi. sono l'antinomia del maschio alfa-dominante. non mi è mai lontanamente venuto in mente di alzare le mani su chicchessia, figurarsi una donna [odddddio, quasi. l'amico emanuele non so se ricorda l'episodio con la compagna di corso. mi provocò in maniera gratuita, strumentale e stronza, a due dita dal viso. fu l'unica volta che provai la fortissima tentazione. pensai: so che non è giusto, ma avrei gran voglia di tirarle una sberla. non lo feci. pochi minuti dopo lei affettuosa e giuliva, come se nulla fosse accaduto. io provato e riverberante per quell'emozione tossica. non eravamo soli, qualcuno che assistette alla scena poi mi disse: mi chiedo come hai fatto a non metterle le mani addosso]. io che ho talmente introiettato l'idea di essere rimbalzato da una donna, che trovo in potenza infastidente anche solo l'abbozzo di un interesse, quando non so di interessare. figurare lanciarsi in un approccio senza la certezza, da ratifica notarile, che lei non disdegnerà. ed è probabile che siano di più le cose che non sono accadute, piuttosto che quelle successe, proprio per l'attimo che non colsi. io che a volte evito financo l'interlocuzione con sconosciute, che mai vorrei sembrare inopportuno, baldanzoso brillantoso seduttore sgarruppato. quand'anche in una relazione sono serenamente, ragionevolmente certo non la intenderei mai - mai - come un qualcosa di diverso dal paritetico, reciproco, rispettoso. così come ho cercato di fare, e credo riuscito, nelle situazioni che le si sono approssimate. 

proprio per questo, e non ostante questo, il tema della violenza e discriminazione di genere mi riguarda.

perché io non sono colpevole se una ristretta quantità di maschi agisce con violenza bastarda. io non sono responsabile, se una miriade di maschi perpetrano sopraffazioni e molestie verso le donne, nella loro amplissima e variegatissima gradazione.

assolversi con un io non c'entro, io sono altro, io non lo farei mai è ignavia.

io sono comunque coinvolto. sono, infatti, un maschio.

la violenza di genere, il femminicidio sono la vetta estrema, penale e mortifera, che poggiano sul corpaccione, incistato nella società, che è il patriarcato. io sono un maschio, io sono consustanziato in quell'orizzonte di potere e disuguaglianze che permeano il vivere di tutte e tutti. non importa non lo agisca, nelle mie azioni più sottili e dettagliate. non importa non faccia capolino nel mio linguaggio della quotidianità. non importa non si infili nei miei pensieri più intimi. tutte cose, peraltro, su cui non credo di poter affermare: mai, comunque e per sempre.

io sono maschio e sono latore di privilegi per il solo fatto di essere maschio. non cambia, in principio, rispetto all'essere bianco in sudafrica fino a pochi anni fa [?], oppure negli stati del sud degli iuesssssei, sessant'anni fa come oggi, con le nuances in mezzo. non cambia se la discriminazione è formalizzata per legge o se deriva da un brodo culturale da abbattere, tocco a tocco. discriminazione è. effetto del patriarcato che permea la cultura del nostro esistere.

in questi giorno ho ascoltato molte considerazioni, pareri, suggestioni. spesso urticate: di donne che rivendicano incazzate. di maschi: scocciati, quando non offesi nella loro pretesa alterità, che poi è conformismo che salta fuori con imbarazzante facilità. ho provato in alcuni brevi tratti un fastidio. da quello ho capito debba lavorarci, che è l'epifenomeno di una consapevolezza che fa litigare pezzi dentro di me. riconoscerlo non è semplice, specie se si fa parte e si appartiene alla componente privilegiata, quella del maschio. è ben più complesso accorgersene perché l'elemento discriminatorio, anche se non agiamo, non lo subiamo. non è immediato catturi lo sguardo della nostra intimità emotiva, perché ci risulta coerente al contesto che abbiamo calettato dentro. osserviamo il sole sorgere e tramontare, è nella natura della percezione starsene in panciolle e paciosi a pensare: ehi, guarda come ci gira attorno.

ci vuole una rivoluzione copernicana del maschio. e nel contempo mi sa che ha ragione la sorellanza che grida: se non torno, bruciate tutto.

se c'è qualche maschio, dei due o tre che passano di qui, che si sente variegatamente infastidito è perché qualcosa pungola, qualcosa non torna. se ci si sente offesi tanto meglio: fraté, hai un cazzo di problema, che averci il cazzo tra le gambe si è parte del problema, per quanto inerti e dormienti. mi viene in mente almeno una persona che mi perculerebbe, in maniera maschia ovviamente: tipica reazione delle varianti fascio-maschiliste. in qualunque forma declini il nervoso, l'eventuale nervoso, occhio che forse non è l'effetto di un post sgangherato, ma parte della causa di un problema ben più ampio e pervasivo, lungo di secoli.

vorrei si percepisse la sensazione urticante che a tratti mi pervade, a ripensarci ora. e sono certo non sia solo una versione particolarmente nevrotica dell'autocritica con cui mi piace baloccarmi. credo sia necessaria un grande lavoro di fregamento e abrasione dello status quo. come quando si prende un oggetto particolarmente incrostato di ruggine, articolazioni e snodi sclerotizzati da rimettere in movimento.

non importa se io non agirò mai in un certo modo. c'è l'ignavia a lasciar correre certi comportanti, digressioni, considerazioni in quel che ci capita di relazionarsi. c'è il tappeto multiforme dell'osservare, parlare, raccontare, pensare. che si può fare in un modo sottilmente prevaricante, oppure decidere in modo diametralmente opposto. è dai dettagli che si sostanzia un hombre vertical.

coraggio maschio. le consapevolezze delle donne, che si tramanda anche in quelle più giovani, capisco possa frastornare. mette in discussione un elemento fondante, per quanto noi maschi non ce ne siamo poi così accorti. e sarà mica anche che ci si senta un po' spiazzati, col pensiero giù in fondo, di chissà che ci capita se le donne prendono consapevolezza. e la spigolosità, la nettezza, e financo l'incazzo di molte di loro è la reazione di un discrimine collettivo subito. è la coscienza collettiva della sorellanza che alza la voce e infiamma i cuori. noi maschi ce lo siamo piuttosto meritato, collettivamente.

se ci pensi bene qualcosa di quel privilegio ci è scappato fuori e ne abbiamo più o meno goduto, più o meno in consapevolezza fosse un privilegio. coraggio maschio, non nasconderti dietro il dito delle manchevolezze di alcuni comportamenti di alcune donne, tanto o poche che siano: è un riflesso, un vellicare istanze patriarcali, forme meno nobili di difesa, che fanno peraltro leva su alcune coglionaggini mascule. il problema della violenza di genere e della discriminazione non sono loro. loro le subiscono.

coraggio, maschio. sono sicuro che puoi comunque migliorare. se riesci ad non fermarti ad un ovvio "occhei, tutto bellissimo, ma ora basta parlare di patriarcato e cose simili, avete rotto i coglioni" hai già fatto il primo, importantissimo passo. anche in nome, in memoria, in rispetto di tutte coloro che non ci sono più. tutte coloro che hanno subito violenza, discriminazioni, prevaricazioni, molestie di qualsiasi forma e declinazione.

coraggio maschio, ce la si può fare. non sarà per nulla semplice, ma è fottutamente necessario. che in un mondo di donne e di [compiutamente] uomini [e tutto quello che - vivaddddio - fluidifica in mezzo] abbiano un gran bel bisogno.

 



Thursday, November 23, 2023

quel buio ed il nulla consolatorio

ogni tanto il pensiero finisce lì. al momento in cui ci si stringe al collo il cappio, qualsiasi cosa sia, che poi ti porterà via di qui. a vent'anni.

la sensazione sulla pelle, starsene al limite, quindi l'attimo successivo che non sarà più. e tutti gli infiniti attimi, uguali fra loro, di coloro che restano. con tutto il devastante senso di colpa che li soverchierà a chiedersi: perché, dove, come, quando si è sbagliato. dove, quando si è mancato.

non riesco a cominciare ad intuire cosa devono provare. genitori che seppelliscono figli, che se ne vanno per decisione loro. un qualcosa che è il quadrato delle istanze contronatura.

e sono sopraffatto, in questa giornata così a zigzag, da una specie di affetto che non so. come voler stringerla in una specie di abbraccio che non è. un vacuissimo, sgangherato, improbabile tentativo di blaterare tra me e me un baluginio per lei. che invece è stato il buio. il buio che deve aver provato attorno a sé. credo, penso, mi immagino, il buio che solo il nulla è l'unica consolazione. andarsene.

mi scuso con lei.

che quel buio l'ho intuito da molto lontano. tanto lontano. e per manciate di settimane. ed anche da così lontano e per così poco, è qualcosa che non voglio augurare a nessuno. 

mi scuso con lei.

perché le sensazioni che mi son passate in mezzo non credo siano comparabili con quello che deve aver provato lei. cosa deve aver vissuto, quella sofferenza che è stata solo sua.

insopportabilmente.

che solo il nulla ne diventa conseguenza

dove non ci sono più abbracci. quando non si è più 

che in questo caso vorrei tanto riuscire a credere ci sia qualcosa oltre. davvero. solo per poter pensare che, dopo tutto il buio di qui, lì ci sia la luce. tutta e solo per lei.

Friday, November 17, 2023

foglie et alter

in questi giorni raccolgo foglie. farlo regala sempre una sensazione ipnotica. o struggentemente malinconica. o non so bene neppure io come. c'è 'sta cosa del ritmo delle stagioni, la fine di quelle particole che hanno fotosintetizzato, l'albero che le restituisce ormai non più utili. il ciclo dell'azoto che andrebbe a compiersi lì, al pedice, se non le raccogliessi. qualcosa di caduco, leggero, che ha fatto il proprio tempo. peraltro facendolo come accade da milioni di anni.

quest'anno il folliage è in ritardo. quindi anche quelle che nel frattempo cadono, che quindi vado a raccogliere. sarà che ha fatto caldissimo fino all'altro ieri.

chissà che avrebbe pensato, o detto, mio padre, di 'sto caldo avanzatissimo. e chissà che avrebbe detto del raccogliere le foglie, quasi compulsivo. non lo sapeva, in quei giorni là, uscissi a raccoglierle per trovare una parentesi solo mia. che ad ogni sospiro lo osservavamo preoccupati, senza farsi scorgere. con l'apprensione capisse quel che gli stava capitando. il desiderio di regalargli una serenità di inconsapevolezza. qualcosa che è stato affettuosissimo, dolorosissimo, faticosissimo: tutto assieme. per mesi e mesi e mesi ho sognato di quel lasciarlo ignaro, che a volte nel sogno non riusciva. quelle giornate tutte uguali, anche il costante suo scivolare a peggiorare. che pare sian state tantissime, a contarle non furono che un paio di manciate. che sembra ieri, come se non fossero mai passate, ma son sempre più lontane. come l'eco che riverbera.

quest'anno il punto angoloso diventa maggiorenne. compie diciottanni anche il trucchetto per fuggire, futile, l'idea del fatto scocchi la ricorrenza di quel momento. era ancora la notte del mercoledì, ma si constatò la formalità dopo la mezzanotte del giovedì. quando, come ogni anno, arriva il sedici si pensa: vabbhè, la guardia medica scrisse diciassette. il diciassette si pensa: vabbhé, ma era ancora il sedici, quando matreme mi svegliò, da appisolato sulla poltrona che me ne stavo, che si era intuito che quella notte sarebbe stata lunghissima.

trucchetti.

raccolgo foglie, e sembrano tanti diciottanni, così come paiono susseguiti così rapidi. qualcosa passa e ritorna, come le foglie che ora raccolgo, che rispunteranno sugli alberi. respireranno assieme a loro giocando reazioni biochimiche, cui noi agiremo le nostre, respirando. fino a quello che ci rimarrà impigliato per sempre nei denti, quando ce ne andremo. stagioni che si compiono anche le nostre.

raccolgo foglie. che frusciano leggere, quasi croccanti, di colore così acceso, che però significa la loro caducità che si sostanzia. nei gesti ripetuti c'è anche quello di quasi abbracciarle, quando le sposto nei tini di plastica. e così penso a leo buscaglia, e quel libercolino che lessi durante il servizio civile. di come per buscaglia le foglie fossero importanti, come si collocavano nel suo agire terapeutico. e quello che sembrava avesse scritto esattamente a me: i tuoi genitori hanno fatto il meglio che potevano, per questo non bisognerebbe mai avercela con loro. si può far pace con tutte le recriminazioni che uno può portarsi appresso. è rasserenante, terapeutico.

e il senso delle foglie e di quelle parole solo pochissimi anni dopo. che sembra esserci un intervallo lunghissimo. ma a pensarci, ad esempio, ne è passato di più, di tempo, da che son là dentro: peddddddire.

un'esperienza molto emozionale della relatività del tempo. le stagioni che ci trascendono. il ricordo di un genitore, l'eco che risuona dentro, come tutto questo si è evoluto nel divenire del tempo. anche il suo non esserci più. la sua mancanza di allora e ora. e le domande, che non riuscirò mai a dominare: che figlio continuo ad essere, a che punto sono, che ci faccio qui, se sarà per forza sempre solo autunno, ormai, dentro.

e nel mentre raccolgo foglie. anche in questo di anno. le foglie, e la sensazione ipnotica che regalano. frusciano, crocchiano, con quel colore pare così vivo, mentre è la loro caducità che si sostanzia.

 



Saturday, November 4, 2023

di Cochi, passaggi, furori giovanili et alter [poi un po' sembra divaghi]

quell'anno non cadde esattamente di sabato, come oggi. fu però con la festa delle forze armate del quattronovembre che conobbi Cochi, il mio nonnetto putativo. sono venticinqueanni. cazzarola.

quei due-tre che passano di qui la storia forse se la ricordano. lo ascoltai alla orazione ufficiale di quella festa civile che sentivo lontanissima da me. avrei dovuto fare l'articolo sul giornaletto di cose così della mia hometown. avrebbe parlato un generale: non mi restava che attendere il suo argomentare, trovar facile quello da smontare, confutare con la mia cifra pugnace e puntuta. con la visione di uno che aveva appena finito il servizio civile, obiettore di coscienza convintissimo. solo che dal suo argomentare cose da smontare non ne saltavano fuori. com'è che un generale parlava così? quello che sosteneva lo avrei potuto [quasi] ribadire, punto a punto. pazzesco.

poi vero. ci conoscemmo compiutamente solo qualche mese dopo. il giorno del mio compleanno. la sera precedente avevo ascoltato il guccio: la prima volta. quando attaccò "canzone per un'amica" ebbi questa specie di sindrome di stendhal. un'emozione travolgente, intensissima. ebbi la sensazione, bellissima, di avere dentro un sacco di canzoni da tirar fuori. il fatto è che poi non le ho mai mica trovate, 'ste canzoni. meno bellissimo. vabbhé. divago.

dicevo. l'amicizia di Cochi fu un suo bellissimo regalo di compleanno. però ho ben in testa, e nel cuore, quella prima volta, quell'orazione ufficiale, il quattronovembre - anche se non era un quattro di novembre.

ci pensavo. ed ho pensato a cosa ne è, oggi, di allora. e mi sono sovvenute due cose, per cui il nonnetto ha agito con la sua bella azione dispositiva. due ambiti un po' diversi, ma è pur sempre roba che mi emoziona dentro.

la prima è piuttosto semplice da spiegare. lui è la sua Lola sono state tra le persone che più mi hanno voluto bene. un abbraccio, un calore, un affetto che arrivava dritto e pulito. roba tanto disinteressata quanto sincera. non si poteva non percepire. sensazione che mi sento addosso ancora ora, e che ogni tanto mi commuove: il groppo in gola arriva a volte inaspettato. e quando c'è te lo tieni.

non solo.

passano gli anni, una delle cose che capitano sono le sportellate in faccia, si ricevono da persone variegatamente importanti. a cui ho voluto o voglio variegatamente bene. spesso, spessissimo, mica è roba volontaria o puntiglio personale verso di me, neh? e chissà che ne ho pure provocate io, senza volerlo, neh? è la vita che capita, con le sportellate. però poi l'effetto della botta c'è. e al limite ce ne si sta in un cantuccio, a tamponare i lividi. ecco. con Cochi sono certo non sarebbe mai successo. è una specie di sicurezza ex-post. e che un po' aiuta.

la seconda è un po' più articolata. può sembrare divagherò. ma poi le cose tornano. si dipana da quello che ero quel quattronovembre. alla luce di quel punto di passaggio in cui mi trovavo in quel momento. l'apostasia da lì ad un po'. le amicizie di quell'esperienza che si sarebbero sfilacciate, una nuova solitudine. e l'inizio del lavoro. il tempo conculcato sistematicamente, il mercimonio [prostituzione?] dell'intelligenza. un po' per campà. un po' per trovare un posto nella società degli adulti. io che ci arrivavo coi miei ideali cristallini e poco negoziabili. un furore in purezza, una purezza furoreggiante, tipica dell'adolescenza. c'era il pacifismo, la non violenza, la giustizia sociale, uno spontaneo diffidare l'autorità costituita. avevo messo assieme 'ste cosette, un po' in maniera quasi istintiva. un po' per differenziarmi da mio padre, pensando di creare uno iato tra me e lui. [parentesi. ci ho messo un po' a comprendere che nel profondo non c'è 'sto gran iato. un bel po' di cose [belle] le ho prese da lui. e che non volevo lo iato, ma cercavo di distinguermi per cercare di farmi riconoscere da lui. cosa che per lui non era così necessaria. lo aveva comunque già fatto. non è riuscito a farmelo arrivare. non sono riuscito a capirlo].

insomma. 'ste cosette. anche per quelle andai ad ascoltare Cochi prevenuto. è stato grazie anche a lui che quelle cosette si sono evolute.

ad essere il pessimo nemico di me medesimo mi ricorderei così: che tenero coglioncello ero, a crederci in quel modo. cosa che spesso mi ripeto. poi uno dice dell'autostima a gruviera.

provo a cambiare la prospettiva. 'ste cosette, questi ideali sono roba preziosa. e per fortuna ci credevo. mi era [ancora] piuttosto ignota la complessità del principio di realtà. o forse era più eccitante lasciarlo a parte. erano così luccichevoli quelle cosette, belle appoggiate su di un piano. decisamente meno fascinevole osservarle in prospettiva, più faticoso valutarne la profondità. roba che ne sarebbero uscite meno in purezza. ecco. Cochi è stato una di quelle persone che mi ha aiutato a sollevare la cornice e osservarle oltre la superficie luccichevole. è come se mi avesse detto: coraggio, ragionale nel casino delle cose che vengono nel mondo, che sono spesso tremende e orribili. ma non si può prescinderne.

più di una volta mi ha detto di aver intravisto, in me, i suoi furori ideali di gioventù. poi un conto è farlo nel contesto in cui sono cresciuto io. un conto è farlo durante il fascismo e poi combattendo con gli alleati dopo l'ottosettembre. però lui ci vide comunanza.

però, oggi, proprio in questi tempi, mi rendo conto quanto sia importante tutto questo. averci creduto in quelle cosette, 'sticazzi il furore in purezza. come siano fondamentali nel turbinio delle cose, che sembrano precipitare, come se ci fossimo dimenticati di tutto quello che il passato avrebbe dovuto insegnarci. quello che ha accompagnato i passaggi cogenti della formazione di Cochi.

'ste cosette sono fondamento di prospettiva proprio in questi frangenti, complessi, dolorosi [per molti, noi comunque ancora culo al caldo]. indicano il modo di uscirne che salvaguardi l'umanità. considerare la complessità ispirati da quelle cosette. il fatto fossero furoreggianti in purezza è perché eravamo ragazzi. la portata dell'importanza è forse ben maggiore proprio oltre quel furore puro.

gira che ti rigira, sono ancora più convinto nella necessità dell'andare oltre i conflitti. nella non violenza a partire dai pensieri. e questo funziona se si tirano dentro le contraddizioni, la complessità delle cose: a partire dal considerare le istanze di cui ciascuno è latore. ovvio sia difficile e faticoso. ma se non si passa da lì si va verso la voragine.

questo oltre le mie piccole disperazioni, le mie fatiche, le mie irrealizzazioni. anzi. è un modo proprio per andare oltre sé ed il proprio ombelico. capire, ragionare, fuggire la banalizzazione delle contrapposizioni da tifosi sugli spalti. che quelli sotto nel frattempo muoiono: con sproporzioni, ingiustizie, che sono un'offesa alla pietà. ma la prima cosa a non essere violento, appunto, deve essere il pensiero. per quanto critico e spietatamente onesto sia.

sarebbe stato utile, importante, e rassicurante discuterne anche con Cochi, per me e per lui. visto che non c'è più provo a ragionare anche su come avremmo potuto farlo assieme. cosa mi avrebbe raccontato. cosa gli avrei condiviso.

è un modo per portarselo dentro. sono certo ne sarebbe stato lieto.