Tuesday, August 31, 2021

sbronze. anzi no, dai. un bicchere di troppo [io, almeno, nel mio cantuccio].

incredibile. son quasi sul pezzo. stamani ascolto dell'uscita di questo fenomeno di assessore regionale alla sanità del lazio. che poi sarebbe pure del piddddddì. che poi dovrebbe essere un partito di centrosinistra, parlandone financo da lontano. i novacse si paghino le cure se si ammalano.

non erano ancora passati quindici minuti dalla sveglia. son cose complicate da elaborare per un serotino come me. però mi sono sgorgati un paio di pensieri contrapposti. anzi, uno è proprio scappato fuori, tipo che scivola il piede dalla frizione quand l'altro è ancora sull'acceleratre. poi si è fatto largo l'altro. ed ha rimesso a posto - fortunatamente - il primo. come lo sragionare ebbro, ed il decidere sobrio.

il piede che scivola dalla frizione è che sto sentendo aumentare, in maniera importante, l'idiosincrasia verso tutta la galassia distopica dei novacse, variegatamente detti. aumentare l'idiosincrasia è un eufemismo, per capirci. in questo momento di rinculo emotivo - questo periodo mi ha debosciato, no? - non mi risulta complicato pensare di farne un elemento dirimente. roba da dentro o fuori. condizione sufficiente per continuare piuttosto che chiudere relazioni o interlocuzioni. sta mettendo a dura prova - mia - un'amicizia quarantennale, giusto per dar la tara. capisco sia il vortice innescato dall'acutizzarsi di posizioni, con quell'effetto leva bastardo del bias cognitivo percepito. loro sono una minoranza in cui non voglio affatto stare. quelli più agitati sono percentualmente pochi. sproporzionatamente però hanno visibilità, riescono a prendersela, catturano - troppo - la mia. mi si magnetizza l'attenzione. come spesso accade per fenomeni che se ne stanno agli antipodi. la stesa perversa curiosità verso i fenomeni del putridume fognario neonazifascista.

insomma. i novacse non stanno esattamente in cima a coloro per cui provo stima, affetto, tenerezza. anzi. se non mi si ribaltasse addosso l'acredine potrebbero andaresene pernacchiosamente affffffareintooouuuuucuuulo. evito di dar sfogo a questa istanza mascellar-istintuale. perché è dannosa, in principio a tutto, a me. e fuggire la tentazione di scivolare nell'acredine rancorosa di cui sento ammantate le loro ragioni.

è anche per questo che non si augura nessun male a chiunque. novacse inclusi. che per correlazione potrebbe essere finire con un tubo in gola in un letto di terapia intensiva. ma sarebbe un letto in terapia intensiva di troppo. peraltro occupato. non a disposizione di un'altra creatura che, per altri millemila motivi, può aver la sfiga di finirci in terapia intensiva.

ma al netto di quel che provo a pensare - come da fondamento delle persone hombre vertical, della psicologia positiva - c'è qualcosa di molto più laico. di più sobrio. di più generale ed inclusivo. di universale.

che è quello che dice l'articolo 32 della Costituzione. quello della salute come fondamentale diritto delle persone. e le cure gratuite agli indigenti. che significa bisognosi [di cure]. non si fanno distinzioni. chiunque. è qualcosa che va oltre il giuramento di ippocrate che ogni medico fa quando si laurea. trascende tutti. è la Repubblica che tutela il diritto alla salute.

non importa quanto sui coglioni possano starmi i novacse. non importa quanto possa essere stato efferato un terrorista, uno stupratore, il più bastardo degli stronzi tra gli infami dell'umanità. io sono io con le mie piccolezze, e sto quaggiù. la Repubblica tutela tutti.

quella dell'assessore è tecnicamente una stronzata. Costituzionalmente una puttanata. se funzionasse secondo la sua logica cinica, perversa, miope, oggi sono i novacse. e domani a chi potrebbe toccare? a chi negare le cure garantite? se toccasse ai mancini, 'ché la sinistra è la mano del diavolo? e magari ai mancini laureati in ingegneria perché così si sporca di meno quando scrivi - da sinistra a destra - con il pennino a china? o magari i mancini laureati in ingegneria anosmici, che se va a fuoco qualcosa non sentono puzza di bruciato e rischiano di lasciar scatenare un incendio? non credo mi starebbe così bene. metti che poi mi deve pure difendere un novacse [sempre non scopra che in questo momento non stanno nella top ten delle mie hit preferite].

è questo il pensiero che ha ricacciato indietro l'altro. l'ha rimesso nell'alveo dei riflessi pavloviani di cui non andare così fieri. per quanto con la contezza alberghino meco.

ed è la prova provata che per fortuna esiste questa Costituzione. che la stiamo pezzottando. ma continua a rimanere lì, che fa da argine. che poi l'ha riassunta bene zagrebelsky. le si scrive da sobri, per usarla [e proteggersi] quando si è sbronzi. dalle minchiate sesquipedali da coma etilico di un assessore alla sanità, che qualche danno prammatico può ben farlo. al bicchiere di troppo che posso aver bevuto io, nel mio cantuccio, che faccio danni solo a me stesso a pensare con acredine.

io è cosa buona et giusta faccia un po' i conti con i miei pensieri piccoli ed asfittici. l'articolo 32, come tutti gli altri, sta su un altro piano. di sobrietà. nel senso più ampio del termine. e per fortuna. come una tutela che stamani mi ha un poco rasserenato. anche per il fatto sia principio ispiratore. principio, nel senso che sta all'inizio.

[e i novacse, ne usciranno assieme a tutti gli altri, prima o poi. ne usciranno sopratttutto grazie agli altri. ed una volta che ne saremo fuori, serenamente, pacatamente, delicatamente, misericordiosamente, benedicentemente potranno andarsene afffffffarenintoooooouuuuucuuuulo. senza rancore, ovvio].

Friday, August 20, 2021

volato in cielo

premessa 1. credo che l'effetto di questi diciottomesi sia una blandissima versione di uno stress post traumatico. non è che solo questione di debosciamento. riverbero [male] per minchiate decisamente sempre più minchiose.

premessa 2. le minchiate non sono nulla, in sé, tranne che nella mia testa. e soprattutto non sono nulla - nulla - rispetto a quello che può capitare ad altri, vicini, nel mondo ricco occidentale dell'hometown.

ho partecipato ad un funerale di un bambino di tre anni.

non è stato esattamente un funerale. ma un momento corale di saluto, credo molto intimorito. quanto meno ero intimorito io. ho cominciato a riverberare emotivamente qualche giorno prima [a 'sto povero bimbo han dovuto fare anche l'autopsia]. c'era la possibilità lo facessero lontano da qui. dove ora vivono i genitori, non nell'hometown della mamma. sarebbe stato più facile evitare di andarci. e invece campo dell'oratorio, quello che era stato il mio oratorio. troppa gente per la chiesa. un posto importante per i genitori. non ci entravo dal funerale dell'ermi. magari adesso anche basta.

mentre mi incamminavo sentivo il fiato farsi necessità di respiri lenti e profondi. per provare a tranquillizzarmi. sentendomi debosciato, ovvio. al pensiero di quel che stavano passando, via via a crescere, la spirale che porta alla cerchia più stretta di coloro investiti da 'sta cosa devastante. al padre. alla mamma. partire per la vacanza in quattro. e tornare in tre. con in mezzo giorni che, da un po' di febbre, hanno portato a spalancarsi quello che si è spalancato loro.

sono entrato da un cancello posteriore. provvidenzialmente aperto. mi sono infilato nel campo di basket, accanto a quello di calcio. quello pieno di gente, con gli spalti attorno ed il piazzale pieno anche quello. io me ne stavo defilato. solo.

[parentesi. anche in quel momento l'ombelico non ha fatto mancare il suo ricordo solipsitisco. di quando quel campo di basket venne inaugurato. trentanni fa. fanno sei lustri. sette olimpiadi e mezzo. venne il sacro chiodo vescono di novara di allora. stavo preparando analisi I. e mi è parso di rivedermi girarle nei pressi, lei seduta sul muretto basso della rete, senza il coraggio di avvicinarmi, come invece avrei fatto con naturalezza fino a poche settimane prima. allora non lo sapevo, ovvio. ma stavo dando il via alla ossessione-compulsione pseudoaffettiva più dura e dannosa abbia mai istanziato [grande collaborazione e contributo da parte di costei. ma era comprimaria. l'approccio ossessivo è sempre stato solo mio]. pealtro spacciandomela per purissimo innamoramento romantico, sturmundrang delimecoglioni. anni. roba da diserbare possibilità, opportunità, storie potenziali, alternative reali. per anni. e soprattutto quegli anni. vabbhé.]

però, appunto, quello che stava succedendo sul campo di calcio dell'oratorio.

non pensavo che vedere una bara bianca, così piccola, minuta, potesse farmi quell'effetto.

io non ci provo nemmeno ad immaginare cosa debba essere per quei due genitori. per la mamma. che uno pensa sia sempre piccola, per il fatto l'hai incrociata poco più che bambina negli anni oratoriani dell'impegno attivo e totalizzante. lì davanti a me, nel campo, ce n'erano alcuni di quelli con cui ho condiviso quegli anni. quasi tutti sposati. quasi tutti con almeno due creature. io da tutt'altra parte, e non solo perché me ne stavo solo nel campo di basket, a camminare ogni tanto per allentare la tensione. c'erano alcuni degli altri. tutti hanno passato i momenti in cui i loro figli hanno avuto tre anni. chi l'altro ieri. chi da più tempo. posso immaginare abbiano pensato che avrebbero potuto perdere il loro, a tre anni. e invece ha detto male a quei due, stretti in un abbraccio, appena dietro la bara bianca. posso provare ad intuire da lontano il brivido gelido che deve essere risalito lungo la schiena al pensiero. non sono un genitore. quella paura profonda, per la cosa più innaturale esista, non la conosco. però ho osservato i loro volti. e lo sgomento. non ci provo nemmeno ad immaginare cosa possa significare perdere un figlio, un bambino di quell'età.

hanno cantato molto [l'accordatura delle chitarre, magari un'altra volta, possibilmente non un funerale. non riesco a non sentirle così stridenti 'ste cose]. anche la celebrazione un po' diversa da un normale funerale. un saluto, doloro e commosso di tutti. i genitori - da che ne so - molto ancorati all'eco e al lascito di esperienze oratoriane.

ho ascoltato le parole dei celebranti. e come non mai mi sono sembrate sincere quanto discrasiche. effetto del mio agnosticismo, ovvio. ma davvero mi chiedo quale e quanto sollievo possano donare quelle sicumere metafisiche, rispetto al trauma e alla devastazione psichica, emotiva, del fottutissimo immamente. soprattutto chi da quel trauma dovrà provare a risollevarsi. con un peggio che - ahimé immagino - dovrà ancora venire. mi scuso, in anticipo, se urto qualche sensibilità tra i cinquesei. ma ho avuto la sensazione di pannicelli caldi a lenire una lacerazione profonda, esposta ed emorragica. poi mica mi dimentico il kernel del messaggio da cui diparte il tutto [posso usare teleologico?], specie nel momento del saluto, il commiato funebre. la sensazione poco piacevole possa consolare distratto solo chi, da quella lacezione profonda, se ne sta ben lontano. un amensiafattalatuavolontà sui traumi degli altri. anche l'eco di quelli che gli altri non hanno vissuto [per fortuna].

via via che la celebrazione avanzava il [mio debosciato] riverbero è scemato. non a tutti i compagni, di allora, lo sguardo è tornato più sereno. anche dopo la fine della messa. particolarmente 'sta volta non ho avuto quella gran gana di salutarli, scambiarci dei convevoli. pian piano il campo e l'oratorio si è svuotato. sono uscito dal campo di basket. e mi son seduto, solo, per qualche attimo all'ombra di un albero. guardavo altri cominciare a sbaraccare. i vari preti a salutare persone chei si avvicinavano a spizzichi. ho avuto la sensazione che tutti stessero tirando quel sospiro più lungo, che quel rito collettivo - complicato - ormai era alle spalle. quei pochi attimi, solo, all'ombra mi hanno regalato un po' di serenità. mi era chiaro stessi vivendo un momento particolare. per certi versi unico. roba che mi si sarebbe piantata nella memoria.

ho pensato a quei genitori che hanno accompagnato quella bara bianca minuta. che non ci provo nemmeno ad immaginare. ho pensato che quel bimbo se n'è andato lo stesso giorno che se ne andava gino strada. un cammino appena cominciato, interrotto, ed interrotto in quel modo. quelle parole metafisiche dentro la celebrazione un po' di saluto, un po' di rito, un po' pannicelli caldi. e quella montagna di vita vissuta, di eredità ed esempi che lascia. da ateo. nell'immanente. cose fatte. che tengono in piedi parole essenziali e non confutabili. ho pensato a queste due creature. così fottutamente diverse. che non so se siano volate da qualche parte. mi verrebbe da pensare di no. se non volate dentro nel ricordo dell'emozione di ciascuno che se le ricorderà. in maniera fottutamente diversa, ovvio.

pensavo questo, seduto da solo, sotto l'albero. mentre riuscivo a respirare più rasserenato. pensavo. poi ho pensato che potevo cominciare a raccogliere le sedie accanto a me. impilarle. dare una mano a chi sta riordinando quel posto. dove peraltro avevo fatto, tanto. finendo in buona fede su strade un po' cul de sac. ma avevo fatto.

posso fare.

anche, quando capiterà, portare il mio abbraccio a quei genitori. molto immanente, ovvio. oltre non riesco proprio più ad andare.

Saturday, August 14, 2021

ma chi l'ammazza a questo

tra le tante millemila storture et contraddizioni che mi contraddistinguono c'è anche questa. ho idealizzato [ammmminchia] un sacco di persone. ho sempre trovato fastidiosa l'agiografia et santificazione retorica delle persone.

stamani il braga, alla radio, ha dedicato due terzi della rassegna stampa al ricordo di ginostrada. per scelta non ha nemmeno citato lo strame giornalistico della destra. ma anche in quelli di qua, qualche sensazione non esattamente piacevole l'ho percepita. quindi. figurarsi se vorrei a scrivere qualcosa che possa sembrare una cosa che gli si avvicini a quella roba là. va benissimo anche no. ci provo, correndo il rischio.

la notizia, ieri, mi ha colpito come non credevo. come se uno non se l'immagina che possa capitare. tipo quando mi chiamarono per dirmi che era morto l'ermi.

e poi invece capita.

e mi è tornata subito in mente una cosa. che poi è quella che vorrei mettere in questo post. che non mi riuscirà come mi piacerebbe scriverlo. anche solo per spalmare sulla carta diggggitale postica quello che mi riverbera dentro. però 'stigrandissssssimicazzi se non verrà come mi piacerebbe scriverlo. in fondo è una cosa scritta. tecnicamente con elementi psicopipponici. e in fondo è in coerenza con la cosa che mi è tornata in mente.

io l'ho incrociato, con una certa prossimità, solo una volta. per caso. o meglio: quasi. ero alla sede di emergency. mezzo pomeriggio inaspettato di libertà di un inizio ottobre. giornata tersa, che mette di buon umore. ho del tempo libero, che faccio? mi torna alla mente che colà c'è un incontro sui migranti, i flussi migratori, con un taglio sociologico, specie in italia. mi ci dirigo. là dentro mi sento in una situazione che percepisco come essere a casa. anche le persone che assistono hanno visi che mi rasserenano. forse idealizzo, lo so. ma mi godo il momento. l'incontro, gli interventi sono molto interessanti. è quella roba psicopipponica dove provo a capire se, sull'onda dell'entusiasmo del momento, posso metter su un qualche addentellato con il poter fare qualcosa. anche per provare a dare quella svolta alla mia esistenza mica tanto realizata. fare. mica solo trastullarsi a immaginare di qualcosa che è solo in potenza. da vellicarsi per sentirsi meglio un pomeriggio. ad un certo punto noto qualcuno al mio lato. realizzo sia lui, nel senso di ginostrada. arrivato come un uditore qualsiasi. come se nulla fosse. quasi imbarazzato, credo ben lieto del fatto nulla abbia modificato nulla di quello che stava succedendo. si siede non molto distante da me, ascolta. è alto, decisamente più magro di quel che mi aspettassi. un po' la televisione ingrassa. non sembra esattamente il ritratto della salute. noto un paio di tic. credo di cogliere negli occi un qualcosa che mette insieme un fondo di tristezza, ma anche di serenità. sono percezioni, ovvio. [tu sei ingegnere, cazzo vuoi capirne di relazioni umane. ci pensiamo noi umanisti per primi.]

cerco di non badare troppo alla sua presenza, mi rimetto ad ascoltare il relatore. però nel mentre mi sovviene nitida la convinzione: machillll'ammmmazzzzzzaaaqquesto? non sorriveda, come il guccio cantava di lemuele gulliver. però lo sguardo di chi non ha più paura del domani, quello sì.

machillll'ammmmazzzzzzaaaqquesto? che mica deve spiegare, predicare, raccontare, convincere, salmodiare, retorizzare, persuadere nulla e niuno. quello che doveva e voleva fare l'ha fatto. migliaia di volte. e avrebbe continuato a farlo. che poi sarebbe, né più né meno, il chirurgo di guerra. rimettere insieme i pezzi, guarire, intervenire su tutto un pezzo di umanità che non gode dei privilegi che ha invece un altro tocco - piccolo - di umanità, pochi altri in confronto. mi è sembrato tutto così essenziale, lineare: semplice, ma della semplicità che hanno le idee pietre miliari della storia dell'umanità. anzi, nemmeno idee. ma il fare che dà sostanza ad un'idea. e non un fare che giustifica sé medesimo. ma fare quello che ha fatto e che avrebbe continuato. ed in questo pur io, compulsivo nel ragionare, ci ho sempre trovato un qualcosa di incorruttibile. pazzescamente. specie nel suo essere scomodo, parlare scomodo, senza necessità di compromesso. financo nell'eloquio. immagino non gli sia mai fottuto 'sto granché risultare simpatico, coinvolgente, petaloso, maieutico. aveva in testa una sua visione del mondo. dove la guerra, sempre e comunque, è una cosa disumana. tanto radicale quanto semplice, quindi inevitabile. non doveva mica dibattere di 'sta roba. era così, nessuna possibilità di interloquirci sopra. per uno psicopipponico speculativo come me, figurarsi. avrebbe potuto essere qualcosa di arido, seppur istanza più che condivisibile. neppure un po' di filosofar sul perché? no. nessuna spiegazione. era roba assiomatica per lui. o dentro o fuori. anche perché aveva da operare qualcuno. salvare un altro pezzo di umanità. cazzo vuoi metterti a discutere sugli arabeschi di una cosa così essenziale e incontrovertibile, quando devi rimettere insieme i pezzi di un ferito, vittima di una guerra. c'è da perderci tempo con il piccolume umano e politico di chi gli dava contro? c'è da sprecare energie a convincere ad essere più coerenti chi, più o meno, sta dalla tua stessa parte, ma soprattutto sta dalla parte di chi la chiama misione umanitaria?

hai fatto. avresti continuato a fare. tanto da farti raggiungere una tale pienezza morale di cui puoi far finta di nulla. ti metti buono e silenzioso ad ascoltare, come uno chiunque. e poi forse quella pienezza manco ti interessa. sei già avanti, che tu ne abbia contezza o meno. e poi c'è da far qualcosa per emergency. ci sarebbe stato un qualche altro tocco di umanità da incrociare in una sala operatoria. per questo non era confutabile. per questo manco mi sembra verso se ne sia andato.

machillll'ammmmazzzzzzaaaqquesto!

[poi vabbhé. sarà venuto un po' retorico. ma strigrandisssssssimicazzi. sono una discretta pippa nel fare. e poi volevo mi ri-attraversassero le sensazioni di quel pomeriggio. e delle volte che l'ho ascoltato, inconfutabile. appunto].

[e poi, cazzzzous, come sarebbe bello arrivare in trenino nella stazione di milano gino strada [e teresa sarti]

[updt. e poi arriva il robecchi. e niente. gli bastano i pochi caratteri di un tuit.]

 


 

Monday, August 9, 2021

est et periit expectatio [beh sì, ho usato gugoltransleiiitor]

questo pomeriggio, camminando nel boschetto dopo il lavoro, mi son sovvenuti alcuni flash. di camminate simili nei mesi della fine dell'inverno et inizio primavera passata da poco. che invece sembrano millemiGlioni di mesi. flash che mi sembravano struggenti quanto dolci, o qualcosa di melassosamente approssimantisi. però era un colpo al diaframma. cose così. per capirci erano i mesi da piena terza ondata. dove si era tutti piuttsto in emergenza. sia che si percepisse o meno. che ci si comportasse di conseguenza, o meno. insomma, non una roba da perfetta letizia.

camminavo, per stemperare. camminavo e stavo meglio. camminavo e sudando secernevo dopamina copiosa, quanto il sudore. camminavo ed ogni tanto mi sgorgava l'idea di un post. camminavo sapendo che la cosa di quei mesi, prima o poi sarebbe finita. o qualcosa di fiduciosamente approssimantisi.

ed oggi mi son sovvenuti i flash. e flash di quel tipo.

al che ho pensato che è una storia un po' stucchevole la storia che, i giorni andati, sembrino tutti così bellissimi, lancinatamente dolci. che magari non sono tutti. però il sospetto che lo siano solo per aver quel piacere [un pochino masochistico?] di apprezzarli proprio perché ormai sono andati. e se sono andati non li puoi riavere indietro. e mannaggia se potessi ri-averli indietro. o magari serve solo per dar fiato alle proprie giaculatorie radicalscìc. ed aver qualcosa di cui lamentarsi in un post. che poi non è un post di idee oltre il mio ombelico. e continuo a meravigliarmi cosa possa interessare quei cinquesei là fuori. ma va bene ugualos.

anche perché, poi, ho pensato un'altra cosa. che in realtà sono lancinanti perché - come poche altre volte in passato - proprio in quei momenti, quelli recuperati per captazione risuonante, sono stati momenti vivi. dove sapevo di star vivendo in quel momento un momento che sarebbe diventato lancinante, domani. che poi sarebbe oggi pomeriggio, mentre camminavo nel boschetto dopo il lavoro. attimi in cui si è quasi sovrapposto la contezza di star per vivere l'attimo, e l'attimo che poi era il qui ed ora. oppure hic et nunc. in latino - senza aver bisogno di gugoltransleiiitor - come mi pungolava la viburna. che poi questo non è esattamente un passaggio per ricordare la viburna.

però poi ho anche pensato un'altra cosa. su quegli attimi molto hic et nunc, dico. che erano attimi pregni di un qualcosa che era a metà strada tra la speranza, l'attesa e forse financo la convinzione. che non era solo che quel delirio terminasse o ci desse una tregua importante. era che sarei ripartito con nuove consapevolezza che a me, questa situazione di singletudine, era cosa che avrebbe potuto finalmente finire. questa cosa da solitudine da irrealizzato, che mi ammanta di una specie di melanconia, che neanch'io so come. sì. ci speravo. ci credevo. e sentivo che qualcosa sarebbe successo. per il semplice fatto ero aperto alla possibilità. che forse sembra spocchioso. ma in fondo sono sempre - sempre - stato io a sabotarmi. anche correndo dietro compulsivamente ed ossessivamente al nulla più totale [oltre al fatto di essermi risparmiato chissà quali frustrazioni, rotture di cazzo e delusioni ex-post. allora, quando versai millemilabarili di lagrime amare non lo potevo sapere. ma ho evitato situazioni rompicoglionesche che levati. poi al limite, il biasimo, è per tutto quello che ho lasciato andare più o meno consapevolmente e in possibilità che si saranno magnificate in altri universi]. sì. nei mesi passati stavo aspettando. in attesa di. come se fosse un appiglio a cui lanciare una delle cime. per quanto non ci fosse nulla di tangibile, figurarsi di certo. però intuivo una ventaglio di possibilità in potenza. qualcosa che sarebbe successo. almeno che avrei potuto provarci. meno impiallicciato, forse addirittura capace. così mi sentivo. non credevo che oltre quei mesi ci fosse la donna della mia vita. figurarsi. ma che si potesse consustanziare un qualcosa da portarmi a sgonfiare quel senso di solitudine da irrealizzato. ecco, quello sì.

invece, quello che si è sgonfiato è il ventaglio. anzi. svaporato. in maniera equilateralmente variegata. senza che niente o nessuno avesse responsabilità. figurarsi colpe. spuiiffff. cedimenti strutturali della ipotesi in potenza. plomp. nessun atto. morta lì.

ho la vaga sensazione che la buchetta, da cui credo di essere rimerso da poco, abbia cominciato ad aprirmicivisi sotto i piedi quando, nel giro di pochissimi giorni, quel ventaglio molto in potenza ha fatto splomf. ssssciufff. tecnicamente è stato mettersi in attesa di cose troppo solo in potenza. o forse senza aver capito al meglio le criticità di certe situazioni in potenza.

l'attesa del piacere è esso stesso piacere, sembra. di certo la disillusione di quando il piacere non si realizza ti riverbera contro, come un padulo che rimbalza per terra, per poi dirigersi con ottimisssssssima mira nel più stretto dei tuoi orifizi. oppure è rebound. e se sei un po' ancora molle come il pongo assorbirai pur per bene i colpi. ma bozzi che rimangono conficcati dentro, levati.

al limite, per diventare un po' meno di pongo, bisognerebbe ricordarsi di un paio di cose. che tecnicamente non sono neppure stati dei due di picche. che prima bisogna metter giù situazioni, persone,  tentativi che, sboooiinoinoniing, finiscono fuorissimo bersaglio. sono cose che hanno cominciato a camminare in altro modo prima ancora decidessi quali scarpe indossare per il trail. e che sono andate altrove, nel loro essere solo in potenza. e che sarà pure 'sta menata della potenza che si può fare atto. però magari anche meno potere di incazzarmi la vita, a queste trappole che mi costruisco.

e per non essere - stupidamente et inutilmente - troppo severo, va bene tutto neh? però io ci ho 'sto gran ormone affettivo che mi picchia dentro. a far 'sì che le cose possano essere diverse. che sarà pure ormone, ma uso la testa. però è proprio ormone, quindi non castrarsi con la sola testa. lasciar[mi] andare. sentirmi un po' trascinare via [e scopare di conseguenza]. ne avrò un po' il ragionevole diritto a desiderarmelo?

e quindi - per ora - me la tengo. questa malinconia da solitudine irrealizzato. almeno ho messo un bello iato tra l'essere e l'azione mancata. vuoi mica vedere che ho smesso - davvero - di sentirmi un rejetto sfighinz. al limite uno che non agisce. che s'incasina via quando bisogna scegliere cosa fare. e quindi - sicome qualcosa alla fine la devi pur fare - subisce gli eventi.

ma non è più una questione di essere. è una questione di fare.

ecco.

ci ho messo millemilamesi per arrivare - parzialmente - fin qui. dovrei pensare di essere un po' più lesto per provare a far la parte che segue.

poi vabbhè. un'altra estate solinga ormai sarà andata. senza magari averci quel guizzo che dico: parto, da qualche parte, assieme a sconosciuti. e se non ci riesco stigrandissssssimi cazzi. non è che sono sfighinz intimidito. non ho fatto quella scelta.

intanto, provo a godermi il fatto che, grazie a situazioni di rete sociale ed affettiva, non sarà un pezzo di estate di solitudine. non è da poco. non è scontato. è cosa buona et giusta averne contezza.

hic et nunc.