Sunday, September 19, 2021

faccio un altro post ombelicale. piuttosto di getto.

faccio un altro post ombelicale. è che di cose meno ombelicali me ne sono pure passate per la testa. solo che poi lascio andare. ho la sensazione pure questo sia un sintomo. ma resta valida la considerazione di quello precedente. ci vuole uno che ha studiato, che magari mi spiega che è un bias confermativo.

resta il fatto però che tutto mi scivoli via perché è roba che promana da me. quindi con poca.. ehm, usiamo quel termine? massì. mi si continua a parare in testa come la prima suggestione aggettivizzante. cerco il sinonimo, ma niente. si ripianta lì, come se uno provasse a mandarla indietro, e 'sta parola, 'sta suggestione aggettivizzante, 'sta autopercezione sgomitasse, per ritornare in cima alla fila. e quindi sia. è roba che promana da me. quindi con poca dignità di essere proposta.

quand'anche ritrovassi i semini che intuii avere meco, quelli che avrebbero germinato canzoni, o qualsiasi cosa lì nei dintorni che potesse emozionare, poi bisognerebbe avere il coraggio di proporli. e 'sto cosa si porta dietro - inevitabile - una qualche forma di autostima ed egotismo. non sei artista - qualsiasi cosa significhi tutto ciò - se non hai la convinzione che quello che hai creato abbia sempre e comunque una stilla di ragione per essere fruita. convizione piccola o grande che sia. che è legata al fatto che è roba tua, quindi merita di non rimanere misconosciuta.

anche oggi, mentre osservano la maratona di documentari al mudec, non sono riuscito ad evitare questo pensiero. tutte autrici, tranne quello della produzione più breve. tutte donne. roba fatta bene e roba fatta meno bene. ma roba di qualità. e autrici con la convinzione fosse giusto fossimo lì a fruirne [invero davvero pochissima gente, non vorrei esagerare ma, al netto di chi portava il proprio lavoro e gli organizzatori, credo non arrivassimo a cinque, tra gli spettatori propriamente detti. una potenza di fuoco organizzatrice per quasi nessuno]. 

[d'altro canto ci sono andato per occupare un pomeriggio. di un sabato ancora complicatino. e la settimana complicatina - nel senso lavorativa - non ha aiutato. un sabato che forse si è fatto un po' epifania. che probabile possa avere senso mettere la pietra sopra su alcune situazioni evanescenti. roba che pensavo potesse concretizzarsi, nei lunghi mesi di eremitaggio del lago. ed invece il pensiero o il desiderio sfuocato, abbozzato, si è rivelato essere più consistente. tanto per dar la tara l'evanescenza delle situazioni. anche questo è fare, no? provare a metterci una pietra sopra. ed evitare di attaccarci un pezzo di pensiero del tipo: vabbhé, magari poi cambia. sono piccole catene e autotrappole. bisogna adoperarvicisi. per questo è un fare. oltre che un salutare pigliare gli appunti di quello che si è imparato, sulle minchiate in coazioni a ripetere fatte anni e anni addietro. che si pensava di aver tutto 'sto tempo e tutto 'sto diritto che le cose poi curvassero da una parte ben desiderata. non c'è tutto 'sto tempo. e soprattutto non c'è nessun diritto. le cose vanno spesso per i cazzi loro. rimanere impigliati nel desiderata dei giorni andati è solo roba sprecata. oltre che stupida fascinazione per delle proiezioni, roba passata. oltretutto il mio inconscio falegname, con trenta eurI, me lo faceva venire meglio il sogno onirico [semicit.].

comunque uno dei documentari raccontava del fenomeno delle palestre [popolari] di boxe. e del grande insegnamento dell'apprendere la nobile arte della. per un attimo ho pensato che potrebbe essere un'alternativa. che se riuscissi a superare l'imbarazzo cameratesco da spogliatoio, magari fa lo stesso effetto della cura blanda [o blandissima]. solo che potrei continuare a donare [nel senso di sangue]. e questo la dice lunga sullo stato della mia rassegnata confusione. oltre al fatto che al massimo la mia autostima mi fa scrivere post ombelicali, in un blogghettino della minchia. isolato. al netto dell'affetto costante dei cinquesei. [che poi magari i cinquesei sono il filo sottile tipo le canzonicontrolapaura, o la mia rete sociale assottigliatissima, ma davvero tanto assottigliatissima, forse un po' troppo assottigliatissima. però è roba che tiene ancora su. e che non si rompa il filo sottile]].

[non rileggo nemmeno, come una volta. e pubblico. refusi compresi. in realtà la mattina dopo ho riletto, e tolto qualcuno dei refusi. che magari ne rimangono comunque altri].

Saturday, September 11, 2021

blando [o blandissimo? se può far differenza]: appunti sparsi. post molto ombelicalmente intimo, forse sconfessabile [con la tastiera del portatile sostituito. ma non diminuiranno i refusi]

al sabato mattina è [quasi] sempre come se tutto si schiantasse. tipo il momento più complicato della settimana. si riversa - gluuggglugggluggg - la stanchezza dei giorni precedenti. la testa non si infila nella zona di conforto tossica, per pensare ai pattern che ormai domino. pattern che però la tengono impegnata. ed è più semplice lasciar fuori il resto. che poi sarebbe il quasi tutto. tipo sono quasi del tutto bloccato, immobile. quello che non fa, insomma. oppure si fa quello che è semplice, inevitabile. pigliarsi quello che viene incontro. sperando non sia della merda variegatameante montante.

stamani tutto questo è stato abbastanza lancinante. però non tipo quando sogno cose lancinanti, nel senso di percezioni desiderate. che si percepiscono solo nel sogno. bensì tipo quando sogno che la casa - a milano - è onusta di coinquilini, che però non incrocio mai. ci sono, ci sono i letti rifatti, gli spazi occupati. ed io so che non sono più solo in casa. ed è questo l'elemento lancinante. non vivo più solo, ma non l'ho mica scelto io. e c'è l'altro elemento lancinante che è il ricordo di quando ero solo. ed era una ficata, stare solo, senza coinquilini. c'è poco spazio, ci sono altri che limitano le possibilità del fare. solo che non li incrocio mai. da una parte è rassicurante - dovrei affrontarli ed interloquircivi. dall'altra è una situazione disassemblante che ti ritrovi addosso. senza che ne si abbia avuto contezza. gli incubi sono altri, occhei. anche i sogni lancintamente belli, però. ed ogni tanto il mio inconscio anarchico me ne apparecchia qualcuno, pensa te.

stamani ho avuto la sensazione che forse sì, forse ci sono dentro. magari anche solo ai margini. magari è solo un fatto che è roba che arriva alla caviglie. ma ci sono dentro. si può scrivere? beh, sì. scriviamolo. sindrome depressiva. o depressione. qualsiasi cosa significhi. qualsiasi siano le cause. qualsiasi i tentativi per rimettersi in bolla. qualunque espediente a far piccole cose mitiganti. è proprio perché le cose non vanno così male. è proprio perché non è tutto così oscuro. è proprio perché non c'è la disperazion cangiante e temporanea della buchetta. è proprio perché non mi ha impanicato percepirlo. ma forse proprio per questo mi pare di averla vista, per un attimo, percepita, 'sta cosa qui. qui accanto. esserci.

io ho studiato altro. e soprattutto guardo troppo l'ombelico mio. quindi potrebbe essere una percezione falsata, autoindotta. un normalissimo bias confermativo, come un novacse qualsiasi, che osserva l'eccezione per contestare la regola. quindi tecnicamente avrei bisogno di qualcuno che verificasse. clinicamente, dico. nell'evanescenza delle cose umane.

odg me ne ha accennato qualche mese fa. di un blandissimo antidepressivo [o blando? se può far differenza]. poi ha convenuto anche no. in questo momento non mi sembra un'ipotesi iperbolica. è un'altra percezione, occhei. ma prima mica ce l'avevo. ho pensato che sì, se così fosse, non potrei donare [il sangue] per un po'. mi ha fatto sorridere questo pensiero automatico. e che potrei arrivare a quarantanove, donazioni dico. che poi sarebbe un piccolo obiettivo non del tutto raggiunto. quasi in coerenza.

Tuesday, September 7, 2021

post domenicale. solo che è martedì sera. le tante sfaccettature dell'ermi [oltre le mie giaculatorie]

domenica sono salito all'alpe colle. ad un incontro in ricordo della mille sfaccettature dell'ermi. in realtà sono stato indeciso fino all'ultimo se andarci. un po' il giro emotivo. un po' il timore di incrociare elementi disturbanti. un po' la sensazione ne sarei uscito turbato.

in effetti è stato così. il turbamento, dico.

volevo arrivarci camminando. un po' in ricordo dell'ermi, un po' in onore suo, un po' in nevrosi mia.

pensavo di impiegarci poco più di due ore, pausa panino inclusa. ce ne ho messe tre. non fermandomi mai. l'ultima ora ed un pezzo con un filo di inquietudine. non ne vedevo la fine. i muscoli cominciavano a dire: aiò, rallenta. la testa a fare quella che girava. ho cancellato dalla minuta della memoria il post che pensavo di scrivere, fino a quel momento, sulla prima parte di quella camminata.

poi, appunto, sono arrivato.

ero in ritardo. avevano già iniziato. io, da par mio, sudato fin nell'intimo, madido ovunque, stonatino.

cazzo. era veramente tanta roba quell'orso. molto più avessi intuito in tutti questi anni in cui mi son detto: magari provo a [ri]farmelo amico. o quella cosa che mi avrebbe concesso, o avrei vinto la timidezza di provare a chiedergli. ed invece uno si propone cose. e poi le cose vanno come cazzo vogliono loro. potrebbe essere un monito. non è che che 'sta cosa mi sia del tutto [ormai] misconosciuta. è che non è che mi stia adperando poi tanto, non ostante lo stia capendo sempre di più, nell'intimo dico.

era veramente tanta roba. sì. a partire dalla scrittura creativa. che forse dovrei prendere e [ri]leggere. che magari c'è molto che non colsi. pochi avverbi. un'essenzialità che, a ripensarlo ora, è come se non potesse essere che quella, la cifra del suo stile. la fisiognomica della forma della sua prosa. non ho tutto 'sto gran problema ad ammettere che provo una soggezione ex-post. come se mi venisse da chiedermi: ma che cazzo continuo a provarci, seppur nel cantuccio isolato e protetto e uterino di un blogghettino della minchia. quando in fondo uno che non avrebbe sfigurato come intellettuale, a livello nazionale, ce l'avevo qui dietro casa, e non ho mai provato a confrontarmici. lui che è riuscito in quel mescolare piani, come magari avrei voluto fare io: roba intuita da poco più che bimbo, ed invece lo incrociai solo allora. mai senza essermi liberato da una sensazione che - sottilmente - gli stessi pure sui coglioni.

era un orso, schivo, di poche e misurate parole. questo l'hanno ribadito in tanti. e di 'sta cosa ne ho una contezza quasi istintuale. era generoso ed altruista. anche questo lo hanno sottolineato in parecchi. non ne ho avuto modo di percepirlo. non c'è ragione per non credere loro, figurarsi. anzi. era fottuto orso cui era difficile non provare a voler bene. sempre te ne desse lui la possibilità. non credo fosse una questione di alterigia. ma di un imbarazzo degli occhi sfuggenti. forse mi sono fissato io. ma è lo sguardo che si intravvede in un sacco di foto del faber. fose sono fissato, appunto. non foss'altro che è stato lui [l'ermi] a farmelo conoscere [il fabero], incuriosendomi. come si può far incuriosire un ragazzino.

ne sono uscito un po' turbato, sì. perché ho avuto contezza della mia sbruffonantissima pochezza. nel non riuscire in quel viver con le parole. uno dei desideri tanto più reconditi quanto irrealizzati. forse non sono all'altezza. punto. al netto abbia fatto altro, con qualche capacità magari pur oltre la media. al lordo mi sia riuscito poco.

in fondo dovevo esser un pre-regazzino piuttosto sveglio, ad intuire che avrei dovuto imparare molto di più da lui. che c'era uno scintillio, che erano possibilità maieutiche da cui sussumere quella roba che sentivo risuonare, anche se non capivo bene neach'io so come [cit.]. invece orso lui, imbarazzato io, e magari pure antipatichino ai suoi occhi. ed è andata com'è andata.

rimane un qualcosa di irrealizzato. figurarsi per chi lo frequentava in altro modo, quanto possa mancare.

io me resto qui. orso intimidito. che me ne sono stato fuori, per tutto quell'incontro, dal picolo cortiletto. un po' per necessità, un po' per timore, un po' per difesa. tagliato fuori. tieffe. come mi disse una volta non ricordo esattamente per quale motivo. ci intuii un po' si perculasse e mi perculasse. con un understatement un po' tirato. 'ché avevo la sensazione, invece, lui avesse ben contezza di quanto valesse e di quanto fosse riuscito a fare. che poi si faccia fatica ad ammetterlo, anche questo, lo capisco bene. ah, se lo capisco bene.

in trentaduesimi la stessa contezza che ho io di me medesimo, adeso, ora. solo con l'evidenza quasi smaccata abbia buttato un po' a minchia possibilità e capacità: piccole o grandi fossero. ma con la picola aggravante di non averci provato. oltre al fatto abbia rimandato, rimandato, rimandato. era qui dietro casa. magari mi avrebbe gentilmente congedato. ed io ci sarei rimasto male. ma almeno ci avrei provato. avrei provato a dare una possibilità alle cose.

dare possibilità alle cose. appunto. [è che non è che mi ci stia adperando poi tanto].

comunque sono contento di essere riuscito a salire all'alpe colle. ed essere presente a quel ricordo: sentito, ragionato, colto, affettuoso. anche se proprio proprio, forse, qualche passaggio un filo retorico mi è rimbalzato nella percezione sottile. per quanto sia saccente e fuori luogo, non sono così sicuro che l'ermi lo avrebbe apprezzato. saccente e fuori luogo perché in fondo lo conoscevo - ahime - poco. alla fine è stato importante esserci. anche se lo sapevo sarebbe stato complicato. però non si può mica sempre fuggire. e rimane la possibilità di poterlo leggere. che poi è un modo di rimanere qui. in questo merletto di relazioni che è il vivere. 'sti fottuti che vivono con le parole, poi se ne vanno molto più lentamente. chiamali scemi.