Saturday, December 31, 2022

è sempre il tempo della riconoscenza. e sono grato non mi sia così complicato riconoscere il rinoscerla

occhei. occhei. non c'è dubbio che gli inibitori dei ricaptatori serotoninergici abbiano fatto il loro. però pure io mi son messo di buon buzzo, e ne è venuto fuori un lavoro financo più che discreto. anzi no: più che buono. e il fato, il destino, le congiunzioni cosmiche, il caso che è un niente spostare due lettere che diventa caos, hanno fatto il resto. così, davvero, non posso che essere riconoscente a questo annettocosìpari ed evocativo di variegati centenari. non è che è solo una questione che quando le cose non vanno poi così male - anzi per nulla male - allora va bene. è che significa ridurre lo iato tra il vivere il momento e la contezza sarà un ricordo caro, quando non anche lieto. se riduci quella latenza si coglie quanto prima e quanto meglio tutto quello che capita per cui essere grati. è cogliere quell'attimo. è sfrondare da qualsiasi sovrastruttura, in qualsiasi modo si sostanzi. sfrondare, sfrondare, sfrondare: così trovi l'essenza. anche da cui ripartire, come il ciclo dell'azoto, la biomassa prodotta assorbendo luce e anidrite carbonica, assecondando il giro delle stagioni. tipo il kiwi, potato ad intuito, con attenzione e vivendo il paradosso che gli si toglie tantissimi rami, rimane spoglio. e poi lui ricomincia. le foglie, le gemme, i fiori, il frutto. per arrivare a donare che è un piacere.

forse è una specie di trasmigrazione del lavoro di patreme. nel senso che non è una questione di solo lavoro. è che si capisce comunque sempre troppo tardi.

i cattolici, la sera dell'ultimo dell'anno, intonano il te deum. mi innamorai del primo anelito [ora so: in modo nevrotico] mentre la sapevo due banchi dietro di me, in quella celebrazione particolare. io che vistosamente mi confrontavo con matreme sul significato di ogni verso di quel canto in latino, capire se capivo e traducevo. matreme un po' abbozzava, ma a me interessava che quella regazzina dietro di me capisse stessi cercando di capire e che intuissi financo il latino. pensa te come pensavo di far colpo. era il mio modo di immaginare qualcosa di benaugurale a me medesimo e la storia d'amore ne sarebbe nata [ovviamente avrebbe avuto senso spiegare, alla storia d'amore ne sarebbe nata, di nascere anche fuori dalla mia testa e immaginazione romanticadellaminchia]. il senso del te deum è altresì, appunto, ringraziare per l'anno appena trascorso. loro hanno il loro dio. io non ce l'ho, ma ne colgo il senso sempre più distintamente. ed anche questa cosa è affare che se ne starebbe ben benino nell'immanente di ogni creatura. poi ciascuno ringrazi come e chi vuole, nei modi che più si confanno. però aiuterebbe lo si facesse in quanti di più possibile: mica serve essere credenti.

che poi mica mi sfugge sia facile riconoscere riconoscenza quando ti gira - tutto sommato - bene. comodo far i gheicorculodeglialtri. ben più complesso per chi attraversa le peggiori nequizie, chi convive con guerre, miserie, povertà, dolori e patimenti che nessuno merita. e chi assieme a questo non intravvede lo spazio del possibile. mi è capitato, in milleventiquattresimi, di non vederlo più, e già non è per un cazzo una cosa da augurare. e che non confondo con le robe lontane e più vicine. drammi epocali e di popoli e dolori lancinanti di persone vicine. ci sono un sacco di lacrime, e molte non riescono ad essere asciugate. è il mimimo essere grati che ai nostri occhi non sia toccato versarne.

di nuovo. non è questione di sfighe mancate. è prendere atto che ogni giorno lieto è qualcosa da far fruttare al meglio, che un modo c'è comunque.

che poi io non sempre ci sia riuscito è un dato di fatto. ma ho smesso di sentirmi in colpa, che è un modo un po' peloso di giustificarsi. e poi son sempre meno convinto che una pedagogia di umiliazione sia così efficace. anzi: è decisamente una stronzata.

che è con il paradigma opposto che si innesta il circolo virtuoso.

nei post dei fine anni passati dividevo la pars destruens da quella construens. però, come già sproloquiato, anche basta con questo specifico latinismo, che l'imparai da anche basta costei. che lasciamo giù le cose tossiche. sfrondare, sfrondare, sfrondare. però, appunto, facciano che è solo un volo rapido di gratitudine, al limite temperata.

temperata, ad esempio, da quelle persone che sono un po' uscite di scena. o che non è più così immediato, ovvio, scontato, re-incrociare. che c'è un po' è del mio, ci sono ancora degli effetti dei due anni precedenti, con un po' di regressione sociale. sapere che ci sono 'sti effetti, è il primo passo per cominciare a ritornare dalla regressione. temperata dalla mia necessità di sbronzarmi di lavoro. che è un ottimo modo per non pensare troppo ad altro. che va bene la fatturazione, va bene dare una mano agli altri. ma è capitato fosse una specie di rifugio potenzialmente tossico. temperata dalla difficoltà di fare, che a rinviare, postporre, ragionarci sopra sono bravissimo. temperata dalle occasioni perse, che tanto ce ne sarà un'altra: che magari è vero, però quella l'hai persa, perché a volte si ha paura di prendersi le cose e viversele, come si avesse paura si esaurissero. temperata dalla paura di fallire, che così non ti butti abbastanza mai, e molto passa e se ne va e mica è detto che torni.

però poi c'è la gratitudine, a non so bene chi o cosa, forse al nulla. ma io che la sento sgorgare ci sono eccome.

la gratitudine per quella svolta che è stata solo sfiorata. con la malinconia intensa sia sfiorita così improvvisa. però ho imparato un sacco di cose, [ri]vissuto emozioni sopite, [ri]provato sensazioni che pensavo ormai essere oltre il mio orizzone degli eventi, per sempre. non ho fatto allllammmmore quest'anno. credo che alla fine sia uno spreco. però sono grato non lo viva più come una minorità e rejezione erotica-affettiva-sentimentale. e comunque certi baci sono state le cose più intense da quel punto di vista.

la gratitudine per le suggestioni delle persone che mi vogliono bene. con tutti i loro modi variegatissimi di comunicarlo. che so bene c'è. a volte non è così semplice prendersele serenamente, le suggesioni altrui. è cosa su cui devo lavorare ancora. ma non sarebbe corretto ignorare tutto il lavoro già fatto.

la gratitudine per aver condiviso l'emozione e quel momento dell'amichetta, che non pensavo di emozionarmi così. che l'amichetta è una delle declinazioni del fatto che nessun luogo è lontano. tipo quando ci siamo rivisti alla stagione di brignole e l'abbraccio ha raccontato tutto, ed i suoi occhiali appannati. che condividere con lei è stato un ripartire anche quello, che sapevo sarebbe successo anche quando non la vedevo così semplice, 'ché mi mancava appunto lo spazio del possibile. l'amichetta ha acceso un attimo la luce, ed ho visto quello che sarebbe successo qualche tempo dopo: questo grazie a lei. la gratitudine per le nuove conoscenze di quest'anno. che cito l'amica chiara, come epitome per dire di tutte. amica chiara che chissà se mai incrocerò dal vero. che sa riconoscere come ci sia da guardarsi e guardarsi. che è molto più profonda, più capace, più intelligente, più acuta che bella, oltre ad essere bellissima. che come mi disse: per gli occhietti cangianti - con una luce malinconica nel fondo - lei non ha fatto nulla. mentre io intuisco che invece, per diventare quel che è, ci ha messo tanto del suo, che è già tantissima roba.

la gratitudine per quelle cose in cui, tanto o poco, mi sono dato per qualcun altro. che poi quello che ti torna indietro è sempre di più. sentirsi d'aiuto per altri fa stare meglio. anche se l'ho fatto col culo comodo ed osservando il mare.

e poi ci sono i dettagli e le nuance del momento che fugge. il colore del cielo che dopo un attimo è già passato. i calici alzati. il camminare lento. le mostre ed il bello che è lì che aspetta solo lo si colga acciocché possa inondarti. le strade solcate senza fretta che il viaggio è parte della meta [e chissà se mai ci ritroveremo, con l'amico daniele]. alcune canzoni spuntate d'improvviso e che scopri di un bello che levati. il fiore al partigiano. "ohio", nel senso del romanzo, una roba corale che a tratti è disturabante, in altri commovente. financo il lavoro che, quando non tossico, non è che mi sia venuto a piacere, ma ha smesso di nausearmi: e soprattutto è grazie alla interlocuzione con alcune persone là dentro.

poi è vero. questo è l'anno delle destre al potere. e della guerra. che putroppo, è solo un'altra guerra [e mai come in questo caso "solo" suona perfido e lancinante]. un po' più vicino, roba che ci destabilizza tanto o poco. che serve, ce ne fosse bisogno, a ricordarci di quanto sia una devastante porcata. c'è sempre stata. e con noi ci sarà ancora. forse riusciranno chi verrà molto dopo di noi ad espuntarla dalla storia dell'umanità. ora è la riconoscenza di quanto sia fottutamente preziosa e forse caduca la pace, o qualcosa che le si avvicina di molto.

e poi c'è stato il momento di quel pomeriggio di fine febbraio. quando d'improvviso ho [ri]scoperto che io potevo acquistare un appartamento. perché no? una cosa possibile farsi e sapere potessi: come una specie di epifania. dopo mesi a sostenere, per raccontarla a me e agli altri che sì, il progetto casa nuova era in divenire. ma in fondo la percepivo come cosa ormai lontana da me. credo sia merito anche dell'amico ermanno, che tanto mi ruppe a sospingermi qualche giorno prima: ora tu devi comprare la casa, ed osa anche un po', non fermarti a quello che in battuta ti sembra abbastanza, poi sarai soddisfatto di averlo fatto. quell'attimo è stato un momento pazzesco, bellissimo, rigenerante. un altro spazio del possibile riconquistato.

la guerra e la mia casa nuova [che mica neppure ho re-iniziato a cercare, ma che so piglierò] sono tecnicamente scorrelate. però forse anche no, nel mio intimo. perché da lì, dalla casa nuova credo che si passerà, per un pezzo di altro progetto.

gratitudine ex-ante.

vorrei tanto che anche in questo che sta per arrivare, non mi sia così complicato riconoscere la riconoscenza: per qualcosa ci sarà comunque gratitudine.

siete in tre-quattro a passar per di quivi. e quindi anche per Voi, molta possibilità di riconoscenza. io ne sarò comunque garrulo.

Thursday, December 29, 2022

la pinuccia [la signorina pinuccia]

e quindi oggi si è salutata la pinuccia.

mi è tornato in mente il commiato di qualche mese fa, alla mia prof magistrini. la cosa interessante è che i due saluti non potevano essere più diversi e più simili. così come costoro hanno vissuto vite che più diverse non si poteva, ma per l'aura che hanno saputo generare così sorelle. oltre ad un'altra cosa, che può sembrare un dettaglio, il capriccio di una pura coincidenza nel gran danzare del caso. e invece mi piace pensare che molto, moltissimo, passi magnificamente per di lì. sono state due professoresse di letteratura, tanto innamorate del loro lavoro quanto colte e preparate. ma su questo sproloquierò tra un attimo.

la pinuccia era un fervidissima credente. oggi ho scoperto fosse anche un'oblata laica, della congregazione di suore di clausura dell'adorazione perpetua del santissimo sacramento. roba per spiriti forti, non c'è dubbio. non si era mai sposata né, si può supporre con una certa coerenza, immagino abbia mai conosciuto uomo. signorina pinuccia, come non le dispiaceva l'appellassero. era rigorosissima. si narra severissima presidente di seggio qualche decennio fa. in battuta sembrava altera, specie ad un intimidito regazzino come me. l'ho conosciuta durante i particolarissimi natale dell'ammalato, di fatto invenzione sua, quelli nella palestra delle scuole delle orsoline. arrivavano da mezza provincia. alla fine saliva sul palco babbo natale [mio padre] con noi dietro a suonare gildoilbello, come diceva l'angelo al clarino [stava per jingle bells] e le altre. la pinuccia era quell'evento: dirigeva, presentava, orchestrava, giostrava, teneva la fila di tutto. si radunavano molte persone, appunto ammalate, più o meno sofferenti e con problemi. c'era qualcosa in quel consesso di pesantissimo e di estremamente lieve. non era divertente esserci. ma ne percepivi l'importanza di quella condivisione. festeggiare il natale comunque. e lei, la pinuccia, altera, puntigliosa, decisa, ma mai maleducata, autoritaria, sgarbata. non ti veniva di andarle incontro ad abbracciarla. ma non si poteva non riconoscerle un'autorevolezza che non è mica di tutti, anzi.

quindi figurarsi quando quel pomeriggio di fine febbraio dell'ottantanove mi caricò in auto. facevo autostop, lei si fermò con la sua fiat seicento color panna, lucidata e pulitissima. al volante con i mezzi guanti per una migliore esperienza di guida, per quanto non toccò mai i sessantachilometriorari. si andava entrambi alla mia scuola superiore, che forse era più sua, considerato ci abbia insegnato ben più degli anni in cui ci studiai io. da una parte mi stupì: una come lei a caricare un regazzetto, dubitavo mi avesse riconosciuto come il figlio di babbo natale [per capirci, ovvio]. dall'altro mi immaginai mezz'ora di viaggio tra il noioso e l'imbarazzato. ed invece fu una piacevolissima scoperta. io continuavo a sentirmi un po' imbarazzato, in fondo era sempre la signorina pinuccia, le più tremende leggende la precedevano. però la pinuccia si rivelò essere una persona che si sarebbe potuta ascoltare per ore. era appena stata emessa la fatwa contro salman rushdie, da parte di quei amici dell'umanità degli ayatollah iraniani. era notizia che mi aveva colpito, ne venimmo a discutere. quindi lei d'un tratto mi disse: se ti giri, sul sedile posteriore dentro quella borsa c'è un libro nero, è un corano, prendilo, aprilo a quella pagina, e cerca la sura con quel numero, leggi ad alta voce. non si poteva dirle di no. e lo feci ben lieto di farlo. ricordo perfettamente dove eravamo, la luce del pomeriggio sul lago alla nostra sinistra, ed io che leggo quei versetti, con lei a spiegarmeli, e perché venisse considerata blasfema l'interpretazione di rushdie. ero una regàzzi complesso ma in certi ambiti molto semplice e banale: una che pensavo essere beghina, ipercattolica da  mammaliturchi, che commentava con quella delicatezza, rispetto, conoscenza alcune sure del corano. ovvio che fu una svolta. lo raccontai a casa. matreme non si convinse del tutto.

tanto che, qualche anno dopo, le proposero [a matreme] di partecipare ad pellegrinaggio in terrasanta [eh, la chiamano così, di santo non ha proprio un cazzo, ora come ora]. quando seppe che come guida avrebbero avuto la pinuccia, le venne quasi l'impeto di rinunciare. chissà che due palle, quanto beghinismo e pregare ci farà fare. infatti tornò trasformata, innamorata di quella terra, grata per l'esperienza che levati. e da lì in poi non toccatele la pinuccia: totalmente conquistata dalla sua capacità di raccontare e far vivere la potenza simbolica di quei luoghi [eh, loro che credono, ovvio possa esserci anche quel coinvolgimento]. bisogna far parlare le pietre, diceva la pinuccia, che sembrava conoscerle una per una. nessuna traccia di beghinismo e preghiere ad libitum. non era quello il suo compito. lei era lì per raccontare e trasmettere parte di quello che aveva studiato, capito, approfondito. la fascinazione di matreme fu per i luoghi, sicuramente, con l'effetto leva della maieutica della pinuccia. tanto per dare la tara di come avesse preso a volerle bene c'è l'episodio del giorno del funerale di patreme. quella mattina matreme collassò. e quindi se ne stette in camera mia, mentre una fottia di gente passava a salutare condoglianzemente. per tutti l'indicazione era: non si è sentita bene, meglio stia tranquilla in camera, riferirò siete passati. quella mattina matreme volle vedere solo due persone. una fu la pinuccia.[l'altra fu l'amica che quest'estate ha seppellito una sua creatura. non sono riuscito a non pensare anche a lei e al padre, in questo natale per cui mi son lamentato per bagatelle]

oggi hanno celebrato sei preti, le letture scelte appositamente da lei: aveva deciso come congedarsi [letture belle anche per un agnostico un po' incazzato come me]. c'era mezza oftal diocesana. ha voluto la vestissero nella bara con la divisa da dama di quell'opera - rigorosamente a manica lunga, che indossava anche d'estate. già l'oftal. la pinuccia si è spesa in maniera importante anche in quello. ed ho capito, dalle persone che l'hanno omaggiata, dalla commozione di coloro che portavano i confaloni, le dame e i barellieri con la divisa d'ordinanza e la medaglietta appuntata sul petto, quanto non sia stato un adoperarsi formale, di facciata. mi è tornata in mente la storia degli uomini di buona volontà. seppur da lontanissimo, eppure così intuibile la comunanza e vicinanza di darsi per l'altro [anche se la pinuccia lo ha fatto per una vita, io vagheggio di chissà se e quando sarà]. perché accompagnare in pellegrinaggio ammalati a lourdes, assisterli ed essere al loro servizio, non lo si fa tanto per farsi belli: ci son modi più comodi e prestigiosi. per quanto l'idea di un pellegrinaggio in quel posto, come prassi di mitigrazione per le sventure e le disgrazie che capitano, è cosa che percepisco come sesquipedalmente distante. però non posso far a meno di considerare che la pinuccia i malati se li è caricati - figurativamente - sulle spalle, decine e decine di volte. per far servizio a loro. e sticazzi se si trasformava durante l'adorazione alla grotta, si ricaricava e ripartiva di gran lena. ha declinato l'umanissima misericordia del paradosso che, se esistono patologie inguaribili, non esistono malati incurabili. e questo, vivaddddio, va benissimo anche a lourdes. è qualcosa che il cattolicesimo avoca a sé come carità cristiana, mentre tutte le persone illuminate [credenti o non] sanno che è sentirsi parte empatica dell'umanità.

la pinuccia lo sapeva, certo che lo sapeva. e quella fiammella era talmente autentica che la sua cattolicissima convinzione e coerenza - anche il fatto si sia ostinata signorina, mi picco di pensare - era qualcosa che creava condivisione, non metteva steccati. credo che fosse difficile non volerle bene, appena superata quella sua alterità, che se osservavi bene ti accorgevi venisse tradita con quel mezzo sorriso e l'occhietto vispo.

alterità che, altresì, non aveva la prof. magistrini. due donne che forse più distanti non sono state. ma accomunate dal segno che hanno lasciato. insegnavano letteratura nella stessa scuola. che per quanto eccellenza, con la fama in tre provincie era pur sempre un itis. che avrò pure superato in scioltezza alcuni esami universitari, sfruttando la scia di quello che avevo studiato lì. ma era pur sempre un itis, mica un liceo classico. ecco. vivo l'intuizione che quella scuola sia stato un grande itis anche perché vi hanno insegnato letteratura persone come la pinuccia e la magistrini. e sono pure convinto vi sia da qualche parte un mio omologo, che si è innamorato della letteratura ascoltando le lezioni della pinuccia. e che abbia colto la possibilità di vellicare il sublime che qualche genio, illuminato dal tocco divino o dal caso del talento assoluto, ha donato alla storia dell'umanità. qualcosa che sa trasformarti, entrare in condivisione con quella magnifica follia che è l'essere umano, la sua capacità di sintetizzare, lirizzare, raccontare la spiritualità che ci avvolge, ci costituisce, ci trascende, così come l'insonbabile profondo, anche quello più oscuro. voglio credere che due donne così diametralmente distanti, fossero così simili nell'essere riuscite a far loro abbastanza molto quel sublime, tirarselo dentro, nell'intimo che più non si può: per poi insegnarlo, come hanno avuto la capacità di fare. ma è roba che poi tracima nell'essere anche di tutti i giorni. che se hai possibilità di conoscere così bene quella roba lì della storia umana, poi a declinarlo e propagarlo, in modi alquanto variegatissimi, ti viene più semplice. non è mica scontato. ma quando funziona: cazzo, che fortuna averci a che fare.

le genti dei due funerali, diversissime fra loro, avranno in mente cose molto distanti di cui la pinuccia e la magistrini staranno discorrendo con gli angeli, o similaria. mentre io, se ci credessi, mi verrebbe da pensare che invece troveranno di sicuro il modo di raccontarsi del sublime che hanno conosciuto, di come abbia plasmato la loro esistenza, e del fatto l'abbiano insegnato, per illuminare - tanto o poco - frotte di studentesse e studenti. tanto zitte, se esistesse un paradiso, mica starebbero zitte nemmeno lì. figurarsi.

Monday, December 26, 2022

post di uno dei conquilini

Gentili tutte e tutti.

Questo post è una incursione ad insaputa di colui che Vi scrive qui, di solito.

Sono uno dei conquilini. Oggi si raccoglieva assieme la ultime foglie, quelle ormai bruciate anche dal freddo: i rami ormai spogli. Abbiamo ragionato assieme, e si è lasciato scappare la storia dei post che pubblica qui dentro. Non solo: anche come poterci scrivere. Così eccomi qui. Lui non lo sa. E Vi sarei grato notaste la differenza. Uso le lettere maiuscole dopo il punto. Non sono aduso utilizzare le parolacce. In maniera meno naif utilizzo l'abitudine di vergare le parole straniere come si scrivono, non come si pronunciano. Evito gli avverbi, riduco al minimo le subordinate. Se non fosse per questa presentazione riuscirei quasi nell'intento di utilizzare duemila battute, spazi inclusi, per condividerVi il ragionamento ordito con quello lì, in mezzo alle ultime foglie.

Io sono il coinquilino asettico e franco. Gli ho ricordato se e quando smetterà di prendersi in giro. Se creda davvero alla storia che racconta del cambio di vita. Quale senso abbia lo stordirsi di lavoro, per non pensare ad altro: ad esempio come prendere in mano davvero il suo divenire. Oppure per distrarsi dal prendere atto delle altre istanze che non riescono più così bene, per non dire quelle che non sono mai state il suo punto di forza. Che forse la ragazza che lo ha scaricato, turlupinandolo, aveva colto il senso inquietante del suo workaholic. Gli ha fatto entrare in testa quel termine, perché ha centrato il punto.

L'ho ripreso per bene. Mi spiace: al termine pareva soverchiato da un magone silenzioso. Non ho voluto essere duro. Però l'effetto è stato come una gragnuola di colpi. Credo sia una delle conseguenze di quanto accada quando si spegne il frullatore in cui ci si immerge: tutto smette di girare animato e si deposita sminuzzato sul fondo del contenitore. Il ragazzo si è rilassato, la stanchezza di questi mesi lo ha avuto. Troppo spossato anche per rilassarsi, niente più a volteggiare vorticoso attorno, l'orizzonte sconsolato di uno che rischia di interiorizzarsi troppo il fatto di essere un TF: tagliato fuori. Se non un consapevole caso umano.

Non ha nemmeno ribattuto con la smargiassata delle fatture paffute. Lo sappiamo tutti siano importanti, non fosse per il fatto siamo passati in mezzo a situazioni quasi opposte: tutto tranne che piacevole. E poi con me è argomento retorico che non funziona molto. Lo sa.

Forse tutto questo non ha senso. Questo adoperarsi inutilmente, depauperante.

Lo so che altri coinquilini hanno valide argomentazioni per confutarmi. A partire dal fatto abbia utilizzato comunque un avverbio. Il punto di vista complessivo di noi tutti è composito e variegato. Perché complesso e variegato è il principio di realtà, questo nuovo "amico". Le virgolette non sono messe per caso.

Però il colpo di mano sulle credenziali del blog stavola è riuscito a me. Gli altri, per questa sera, possono andarsene a quel paese.

Saturday, December 24, 2022

psicopippanataliziente [piccolina, suvvia]

[updt. a mo di postfazione. che però metto all'inizio. in perfetta coerenza con quello che è sproloquiato qui sotto, oggi venticinquedicembre ha vinto il fottuto natale stronzo, come ai bei tempi, quando mi menava sodo. e mi sono levato dal giro. un po' barzotto. con il piccolo timore non si ricordassero di me. così il telefono è rimasto spento. insomma, buon natale anche mica tantissimo. per quanto non è andata male. non sei abbastanza triste per stare di merda, non sei abbastanza garrulo per viverselo sereno. sì. oggi mi son sentito solo. anche se, alla fine di tutto, vale l'ineluttabile massima: comunque, anche quest'anno, il natale cielosemolevatodarcazzo. ora, nel caso, si può leggere in maniera anticausale il post].
 

ogni natale, ormai, non riesco a non pensare all'amico itsoh, alla sua fottuta intelligenza fuori dal comune, ed i suoi bias che un po' mi intimidiscono e che lo obnubilano. è sua l'osservazione, che ripropongo, della parte molto immanente, cattolica [nel senso di universale], costruttiva dell'annuncio dei [cosidetti] angeli ai pastori [molto impastati di terra ed irrilevanza nella scala sociale]. gloria a dio nell'alto dei cieli [evabbhé, chi ci crede], e pace in terra agli uomini di buona volontà. cioè, in potenza, molto coinvolta un sacchissimo di gente.

così come coinvolgente è il natale. anche per i laici, dubbiosi, scettici e tutto il cucuzzaro da tirar dentro la totalità dell'umana gente. perché c'è di mezzo una nascita. e la nascita non lascia mai indifferenti. abbiamo tutti un po' di ossitocina secreta [nel senso che una qualche ghiandola nel corpo la secerne]. che poi quella nascita sia da vergine, che quello sia il figlio di dio venuto ad emendarci dal peccato originale è un dettaglio. senza voler offendere - sperabilmente - la sensibilità di nessuno. ma è pur sempre una creatura che viene alla luce. e la cosa non ci lascia come se non ci fosse. financo, soprattutto, quelli che asseriscono di farsi scivolare addosso la cosa, o maramaldeggiano i festanti.

[i destrolegofascifratellastritalici vogliono imporci a festa parimenti importante l'annunciazione. che è per pochi, per chi ci crede e tutti gli altri si entusiasmino per. battaglia di retroguardia e per un cazzo cattolica [nel senso di universale]. la puntualizzazione l'ho letta in una amaca di michele serra. saccheggio suggestioni altrui].

mentre il natale occupa questo periodo, immarcescibile. e poi è nel pieno dei giorni meno luminosi. inizio inverno. un mood collettivo che coinvolge e/o travolge, che si autoalimenta con - spesso - lo sputacchiare di taluni che discettano: non mi avrete mai più. oppure chi è coinvolto di più come momento di passaggio importante. dove la solitudine sembra ancora più emarginante. la malinconia più lancinante. per non dire del dolore di figli senza più genitori [dovrebbero vietarlo il natale senza la mamma - mi buttò lì, una volta l'amica rospia], o peggio - se c'è una classifica di inspiegabilevolezze - di genitori senza più figli, come il più inaudito dei natali concepibili.

questa sorta di amplificatore, dilatatore, espanditore di sensazioni ed emozioni. specie quelle meno dolci. [chi aspetta una creatura, un gesùbambinopiccinopicciò, o chi vede l'entusiasmo delle creature vince facile, non conta in questo post [l'amica rospia è felicissimamente madre, intuisco una gioia importante far vivere [anche] un bellissimo natale alla sua creatura]]. il natale, insomma, ti fotte. molto più innocua la pasqua, per forza in primavera, paradossalmente molto meno cattolica [nel senso di universale], roba per quelli che ci credono davvero. oppure sentita e vissuta a nuotatori d'altura delle emozioni interiori belle pompate ammmmille. tipo me, e il coinvolgimento delle campane che si sciolgono a festa.

io me lo ricordo quando entrai in rotta di collisione importante con il natale. avevo sedici-diciassette anni. ero quasi alla fine dei giri parentali con matreme di là del lago, roba che mi aveva sempre profumato come tradizionalmente legato al fatto arrivasse qualcosa di regaloso. non coglievo ancora il disagio di matreme nel tornare a ridosso dei luoghi nativi, e tutto il portato dell'infanzia, adolescenza, gioventù e lutti successivi che ammantavano quei posti. più bigotti che ammantati di piccola borghesia, peraltro incazzosamente solo anelata. però quel pre-natale colsi la presenza di quei ragazzi di colore, a vendere paccottiglia fuori dai negozi, dove i bravi cattolici prealpini uscivano pieni di paccottaglia carica di lustrini. mi accorsi di colpo di costoro, che ancora non chiamavano immigrati, clandestini, irregolari o para-razzismi simili. mi accorsi di loro e pensai che cazzo di natale potevano viversi, più o meno solitari e lontani da casa, un po' rejetti, un po' chissà dove e come abitavano. mentre io sarei andato a gioire[?], per qualche fugace momento, dei doni da spacchettare arrivati a me.

e lì si impastò un bel mics. vuoi il travolgimento empatico [c'è sempre più o meno stato. non è che per questo sono più debosciato o migliore della media. c'è. e me lo tengo. al limite è da gestire per evitare mi soverchi in determinati combinarsi di condizioni]. vuoi l'entusiasmo giovanile e la sensazione tutto ti sia possibile e possa venirti. vuoi la necessità di alterità per strutturare la mia individualità [da qui la fascinazione per l'amico daniele, ancora più altero e fuori dal coro di me]. vuoi la morale cattolica in cui ero immerso a mia insaputa.

quindi venne questo improvvisa e lancinante malinconica contezza. provai una sensazione di profonda ingiustizia perpetrante, cui avrei voluto porre rimedio, perché in fondo mi sentivo un po' in colpa, quindi che cazzo di senso aveva il senso per forza felicitante del natale. era un bella spruzzata di incoerenza. ma tutto quello che riuscivo a fare era lasciarmi prendere da questo sconforto un po' [già] nevrotico, un po' sturmunddrang, un po' struggente. prime psicopippe e poco fare.

da allora non è che abbia smesso di fare a sportellate con il natale. uscendone, ovviamente, ogni volta piuttosto sconquassato, e vorrei anche vedere. i miei incasinamenti vaniloquianti con quella corazzata  solida e ben rodata. fortuna durava poco. poi il natale se ne andava, con tutta la sua retorica da semo tutti cccchiuùbbbuoni, le sue pubblicità sfavillanti, i suoi film che lì dentro al fin tutto si conclude bene dopo vari travagghi emozionali, i suoi riti ecclesiastici, la sua neve che col cazzo ormai nevica a natale da mo.

vi è da aggiungere che nel mentre io non mi aiutavo. la serenità che era ben lunga da venire. le relazioni che figurarsi andavano dove sognavo andassero [secondo paradigmi sociali e anche piccolo borghesi]. le realizzazioni che proprio non mi completavano per nulla. e poi sbattere, improvvisi e musata dolorosa, con il fatto che il natale può venire poco dopo un lutto, ed il primo natale è quello peggiore. anche scoprendo che fanculo tutto il litigarci prima, con il natale.

però rimaneva sempre quella sperequazione. che il mondo è un posto bell'onusto di storture, ed ingiustizie, dolori epocali e traumi personali. che a natale non è che siano più insopportabili. è che forse quella contraddizione è solo un po' più eclatante.

solo che ci sono arrivato un po' più tardi. anche grazie all'appunto dell'amico itsoh, e la declinazione immanente dell'annuncio dei [cosidetti] angeli. uomini di buona volontà [che poi c'è il gancio con l'ottimismo della, a contrapporsi al pessimismo della ragione [cit.]].

è che se non fai pace con più o meno te medesimo, poi ovvio continuerai a far più o meno a botte con il natale. rischiando di fare sempre la fine di quello che le prende di più. e disperdendo un sacco di energia con cui poi, magari, la metteresti pure in atto la buona volontà.

io non so se ci ho fatto pace abbastanza del tutto. almeno evito di caricare e mostrarmi con la faccia incazzosa, che poi al natale sai quanto possa fare un baffo. ci sono cose che mi pungolano ancora, ovvio. sento a tratti quella malinconia forse rassicurante. o di una felicità [o quella roba lì] che gira attorno, ma che non riesco esattamente ad afferrare. però almeno ho smesso di sentirmi in colpa. che non significa dimentichi le contraddizioni, tanto più ora con lo spirito del natale a volteggiarci sopra. ma so anche che smettere di litigarci con 'sto cazzo di natale aiuta a starsene sereni. che è un bel regalo a ricordarmi dei miei privilegi. che poi se gli altri [apparentemente] più privilegiati non se ne rendono appieno conto, non è un buon motivo per non vellicare i miei.

dismettendo il giudizio. che è una bella condizione necessaria per essere uomo di buona volontà.

le sperequazioni esistono. certo che esistono. e figurarsi che ci sarà pure qualcuno che, oltre a glorificar iddddio nell'alto dei cieli, non se ne dimentica. e si adopererà per far qualcosa ed essere pure lui un uomo di buon volontà. come provo ad esserlo io - faticosamente e sgarruppatamente, nella mia laicità agnostica ed una personalissima spiritualità, e sticazzi se moderatamente eterodossa.

tecnicmente è un bell'invito che più cattolico [nel senso di universale] non c'è. a farne ciascuno il suo pezzo, grande o piccolo che sia. qualcosa ne verrà fuori, piccolo o grande sarà. mica finisce con noi. c'è stata tutta una porzione di umanità di buona volontà. ce ne sarà ancora. è tutto un'evoluzione dell'intelligenza collettiva. neuroncini molto buonivolonterosi. che il natale può pure andarsene afffanculo. ma poi ride sotto i baffi, perché è quel vuole pure lui. visto che si fa annunciare da quell'esortazione dei [cosiddetti] angeli. che poi ci sia qualcuno a prendersi la glorificazione nell'alto dei cieli, al natale, gli importa fino ad un certo punto. guarda la declinazione immanente, che ci si adoperi per la pace in terra: che c'è un sacco di lavoro da fare ancora. minchia se ce n'è. talmente tanto che vien da scoraggiarsi. per questo la volontà deve essere buona.

intanto faccio sempre più pace con me medesimo. e mi metto di buona volontà. siamo tutto un divenire, tutti.


[e già che ci siamo, un presepIO, contro il patriarcato]


Monday, December 5, 2022

sertraline [o sertralina /2]

il giorno di un anno fa, come questo, me lo ricordo bene.

avevo scritto un paio di sere prima il post "sertralina". e le ricordo bene tutte le sensazioni che mi stavano traguardando. ero nel soppalchino. rifugio così tanto uterino come in poche altre situazioni, mi parve. avevo appena finito di leggere il bugiardino di quel inibitore dei ricaptatori serotoninergici. ed ero sottosopra più che in altri momenti. non [solo] per il bugiardino in sé, ma per la lunga cavalcata a scivolare, un tocco per volta, verso qualcosa che sembrava regalarmi [solo] giornate dove di colpo si spegneva la luce. poi si riappizzava. poi si spegneva. poi si riappizzava. cose così.

sulle cause - comunque ormai sticazzi - il combinato disposto dei ventunomesi precedenti, un'amicizia storico-importante forse chiusa per sempre, un sgarruppato aggrapparsi ad una svolta sentimentale che uno si era immaginato persone, poi le persone fanno un po' i cazzi loro. e poi la stanchezza. ero stanco. stanco a prescindere.

e quindi un anno fa, era domenica. la sera avrei scritto il racconto annuale per "la venticinquesima ora" [parentesi 1. probabilmente il secondo o terzo meglio riuscito, tra quelli che provai a buttar nel calderone. ovviamente mai nessuno mi cacò]. quel giorno l'amica anna compiva gli anni, e che anni, guarda caso come oggi. pensa un po' 'sta storia dei genetliaci che tornano ogni anno. [parentesi 2. allora l'amica anna mi cacava, per quanto non è che immaginassi potesse succedere chissà che. la prima conoscenza che si può considerar tale su quello sfighinz di feisbuch deiting. poi scrissi un post, scrivendo [anche] di lei. tra le altre cose celiai sul fatto avesse le tette piccole, come peraltro lei stessa si era celiata nelle interlocuzioni cazzare. ovviamente il post parlava di tutt'altro. però sembra che quella storia delle tette piccole fu la cosa che l'adontò parecchio. almeno, così mi fece intendere, quando lo scoprii settimane dopo, che in effetti si era fatta sempre meno viva: figurativamente ovvio, visto che dal vivo mai la vidi. è increbile l'effetto che fa a certe donne léggere qualcuno dei miei post sgarruppati [parentesi 2.1. volevo scrivere femmine in luogo di donne, ma c'è un limite alla poca creanza, anche qualora un filo di risentita delusione mi attraversi]. così da allora l'amica anna mi scacazza via piuttosto delicatamente, spero almeno abbia trovato qualcuno che, tra l'altro, non celii sulle sue tette piccole e che le apprezzi in momenti di intimità]. a pranzo, sempre quel giorno, festeggiammo il diciottesimo compleanno del nipote. in maniera nemmeno troppo misurata, in una osteria mica per gli sfighinz. ma per fortuna fratteme e la madre della creatura sono ben nelle condizioni di poterselo permettere, in tutti i sensi. io, di fatto, a quel pranzo con altre moltitudini famigliari, due-tre generazioni espanse, oltre che amicali di gente rispettabile, accompagnai matreme. da questa parte della famiglia lei ed io, feci molto buon viso, pur sentendomi del tutto estraniato a quel momento, a quel contesto gioioso, per quanto a tratti quel filo sovrastrutturato. in un luogo con la fatica di starci, per tutta una serie di cose. tra cui anche il fatto avessi cominciato ad assumere un inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

c'è una rappresentazione plastica di quella giornata: le foto. quelle che feci assieme al nipote, fiero, contento, neomaggiorenne, serenamente proiettato verso un futuro da predestinato. con la sua fascia da festeggiato se ne stava quasi statuario in posa, felice, come in fondo si merita, senza ostentazione di chissà cosa. è un bravocristo, davvero. ed io gli sono accanto, in un paio di scatti a ritrarre solo me e lui. da una parte: il suo portamento eretto, mento sorridente e volitivo, quindi ci sono io: quasi ripiegato su me medesimo, un po' ingobbito, incerto e abbastanza completamente spiazzato, col capello forastico a sembrare senza luogo dove stare pure lui.

è tutta lì, la fatica di quella giornata, in quel modo di porsi di fronte alla fotocamera di uno smartofono. io 'sta cosa la percepivo. cazzo, se la percepivo. felice, per quanto potessi captare il concetto di felicità in quelle settimane, per il nipote. a chiedermi: ma che cazzo ci faccio qua? per quel che riguardava me.

ad un certo punto il ciancischiare festoso della sala da pranzo aumentò di colpo. o forse così mi parve. e sentii rimbombarmi tutto dentro, tipo una specie di effetto larsen tra me e me. osservavo gli altri, tutti gli altri, e mi sembrava di guardarli tipo al cinematografo, però seduto sulle sediolacce di legno, dure e rigide. e lo spettacolo che sembrava non esssere fatto di immagini che scorrevano, ma roba del tipo che si sommavano frame dopo frame, uno sopra l'altro. pensai di essere a tanto così da sbroccare in maniera introspettiva. uscii, quasi fuggendo da quella situazione che si era fatta davvero complicata, dissimulando con matreme: bah, sto mangiando troppo, vado a prendere un po' d'aria.

fuori dal locale, in strada rifatai, un po' sembrò passare. e quindi notai la targa importante che troneggiava sopra l'ingresso della coorte. a ricordare fosse la casa dove nacque quel macellaio di luigi cadorna. che solo la visione miope-campanilistica fa apporre quelle cose lì, accanto al portone di un palazzo storico, senza che si prenda coscienza delle nequizie commesse, dell'onta che dovrebbe ricoprire la sua memoria. mausoleo a poche centinaia di metri un cazzo. pensai al mio nonnetto putativo. a come gli procurasse disgusto, quel generale e tutto il disdoro che aveva gettato sulla storia dello stato maggiore dell'esercito italiano.

rientrai, aggrappandomi al pensiero del nonnetto. che poche persone mi hanno voluto bene, come lui, in quel modo lì.

tornando a casa, quel tardo pomeriggio, rimanemmo incolonnati per un incidente. il lago sulla destra. spenta l'auto il freddo si abbarbicò velocemente nell'abitacolo. l'amica paola mi scrisse della nipote, e madre e sorelle coviddizzate. quando ancora un po' gettava timore 'sta cosa. io pensai al racconto che sarei andato a scrivere. al fatto che ormai avevo sdoganato l'inibitore dei ricaptatori serotoninergici.

ecco.

è passato un anno. dovrei aver incamerato, fino ad ora, circa sedici-diciassette grammi di sertralina. e sarebbe semplicemente idiota rigettare l'idea non abbiano contribuito a far cambiare la percezione dell'orizzonte che si staglia davanti. una cosa che è tipo dalla notte al giorno. non ostante mi facciano presente siano appena oltre la soglia quasi-omeopatica.

non hanno risolto tutto, e ci mancherebbe. certe cose groppose, intorcigliate, la chimica mica riesce a smontarle. però ti lascia un po' di spunto in più per provare a farlo. anche per il semplice fatto non sia impegnato a vaporizzare energia, due-tre volte al giorno, a ri-emergere alla sensazione che un qualche cosa possa financo far intuire la speranza, o quella cosa lì. roba che può spalancarsi là davanti, prima o poi.

e quindi ci si apre percezioni nuove, o forse nemmeno così nuove. solo che le si ri-scopre.

ho fatto pace con l'idea che sia possibile cambiare casa. traslocchismo, nun te temo cchiù.

ho preso contezza del fatto che da chiunque posso aspettarmi la qualunque, nel bene e nel male. specie nel male. quindi non mi aspetto più nulla da nessuno. tutto quello che arriva lo si apprezza ancora di più. si dà, senza attendersi nulla in cambio. che quello che non avresti mai pensato potesse capitarti con qualcuno, in realtà può non essere così vero non possa mai capitare. quanto meno in linea di principio. però meglio seguirlo quel principio. ho la vaga idea servirà, nel caso, a soffrirci di meno, nell'eventualità più o meno remota.

ha smesso pure di nausearmi il lavoro. al netto del fatto spesso mi ci ubriachi, per non pensare a molto altro, né tanto meno fare. [fare, cazzo, fare!]. che ho scoperto quando possa essere appagante dare una mano a qualcuno, più o meno scappato di casa professionalmente. e non è nemmeno il fatto che acclarino: cazzo, tecnicamente sei bravo, cosa che ormai mi importa fino ad un certo punto. è che possa far sì possano pensare: cazzo, mi ha dato una mano. e faccio pure a meno dei grazie. mi basta sapere che è entrata in circolo un po' di buona volontà e di etica. e che 'sta cosa venga riconosciuta. il resto son cagate. [parentesi 3. poi sarei disonesto se non ricordassi sia ben garrulo della fatturazione. e che aiuta alla serenità là dentro. minchia se aiuta. però quell'approccio cortese e disponibile con [quasi] chiunque, contribuisce a metter un po' in armonia il tutto. oltre che provare a diminuire la frustrazione, per tutti, che siamo lì a prostituire la nostra intelligenza, il nostro tempo, i nostri anni migliori].

se una donna mi duedipicca, occhei: un po' di malinconia. ma poi anche basta. io certo di meritarmele, le donne come le persone. ma pure loro e gli altri devono farlo. meritarmi: eccccheccazzo. se una persona si fa l'idea sia poco onesto intellettivamente, o cafone, o quisquilia varia, alla fine, stigrandissssssimicazzi. valgo mica di meno per 'sta roba qui o per un pensiero bislacco. e la cesura ai rapporti più o meno tossici aiuta a respirare a pieni polmoni.

forse sono anche meno alla ricerca di succedanei, più o meno immaginifici. perché in questo contesto di realtà si è smesso di sentirsi del tutto estranei. magari un po' alteri ancora sì. ma estranei molto meno.

insomma. non sarà tutto causa della serotonina che mi circola dentro un pochetto più abbondante. però aiuta.

e continua a girarmi in testa una dicotomia di chiavi di lettura del fenomeno. [parentesi 4. una volta avrei scritto la pars destruens e la pars construens. che all'inizio l'avrei fatto per citar[mi] la quasi ecs-socia. che forse è stata una delle scelte più sciagurate della mia esistenza. ma poi sticazzi anche a lei e la sciagura ammantata di brillantinamenti manipolatori che fu. davvero: sticazzi. però pars construens e destruens che vadano serenamente avavavavanguuuuulo. placidamente, ma afffancuuuulo]. dicevo: una dicotomia delle chiavi di lettura.

che una è: con 'sto cazzo di inibitore dei ricaptatori serotoniergici è come se avessi accettato una specie di onorevolissima sconfitta oppure, a vederla con l'entusiasmo che riesce: una patta. che comunque vince il princpio di realtà. che sia bastardissimo o meno. che ti stia sui coglioni o meno. che avresti avuto ben cazzo di altre idee, ma poi arriva quello stronzo di principio di realtà, che fa quel cazzo che sa lui. e tu hai ben poco da sbracciarti e fare ammuina. tanto avrà comunque ragione lui. ciccio, prima ti cheti e smetti di fare camurria, prima si smette di rompersi i coglioni. stattebbbbuono, che il terreno è sdrucciolévole, se ti agiti sprofondi un pochetto in più. e poi vedi che a prendere meno badilate in faccia, ci si gonfia meno il muso. appppostoacccusssì. a sertralì, ho capito. mi metto mansueto. che tanto a far diversamente ha poco senso.

oppure c'è l'altra. è che anche grazie a quel po' di serotonina in più si capisce che sconfitta e vittoria sono concetti molto relativi. e si vinca in sogni straordinari. e sticazzi se tu non ci azzecchi dentro lì del tutto. ci sarà qualcun altro che quel sogno lo porta avanti. è mica il tuo ombelico il centro dell'universo. non che tu ne sia avulso, neh? però è sempre una questione di prospettiva. tipo far le foto col teleobbiettivo o con il grandangolo. sarà mica un caso che le focali lunghe non ti attraggono più da mo? il principio di realtà è un po' stronzo? e tu non esserlo per forza per stargli appresso. che tanto i cazzi prima o poi arriveranno. però ci si penserà a quel momento. che il fondo è sdricciolévole, vero. come le pietraie che ci sono oltre il perruca vuillermoz, che in realtà sono pendii morenici. ed in effetti salirli deve essere un gran cazzo di fatica. per questo bisogna farlo con oculatezza. meglio adattare il passo, farlo leggero, mica roba affannata o incazzosa. così si sale, certo che si sale. si scavalla la sella. e vuoi mica vedere gli orizzonti che ci sono di lassù?

di nuovo. è una questione di prospettive. son ben sempre quello scapestrato che aveva le spalle ricurve, accanto al tornito e garrulo nipote. che a lui le cose scorrano meglio e con molti meno intoppi o incertezze. pian piano comunque cammino ben anch'io. e così le spalle si fanno ritte, senza che quasi te ne accorgi. ad un certo punto son lì, ritte.

capiremo se e come trattenere un po' di serotonina in più.

[parentesi 5. per il resto un certo contributo lo dà il praticare gentilezze a casaccio e atti di bellezza privi di senso. [parentesi 5.1. e comunque farsi una qualche chiavata in serenità darebbe quel tocco naif in più. figurarsi fare alllammmmmore. poi se non capita, andrà bene ugualmente]].

Sunday, November 27, 2022

paradigmi [o paradigmamenti immoti] [è quasi più lungo il post che la storia narrata]

il risotto pere e zola avanzato non l'ho buttato. e non solo perché era venuto davvero bene.

che cambino o non cambino i paradigmi ci son cose che non si fanno, tipo buttare il cibo. appunto.

a 'sto giro c'era davvero la sensazione qualcosa di nuovo e di bello si stesse approssimando. qualcuna per cui valesse la pena immaginare di cambiare il paradigma: si può anche smettere di essere single, cominciare a pensarsi in una relazione. lo sapevano solo l'amica paola ed odg, cui l'avevo buttata lì, quasi per caso: ah, dimenticavo, sto inziando a frequentare una personsa. ad altri, cui voglio bene, ho buttato lì mezze frasi quasi casuali, in modo più o meno mimetizzato: forse ci sono novità, sto cercando di vivere questi giorni con un rinnovato entusiasmo, sto davvero bene. cose così.

l'ho conosciuta col mezzo più sfighinz del deiting. quello del signor feisbuch. mi aveva colpito il riferimento a certi desideri, con valori, ideali, speranze simili a quello per cui credo valga la pena battersi. poi sì, ovvio, mi sembrava caruccia. son sempre un banale maschio.

mi ha risposto dopo un bel po' di tempo. tanto che quasi non ricordavo di averla contattata. ne abbiamo impiegato molto meno a decidere di incrociarci, peraltro proposta venuta da lei. doveva essere passeggiata al parco nel uichend. e invece le ho proposto anche un'occasione prima: un incontro alla radio con un partigiano. erano due anni e mezzo che non mettevo piedi nell'auditorium. guarda caso il giorno del compleanno di fratteme. genetliaco che peraltro è un po' di genetliaci suoi che mi scuote, come da post.

e quindi ci siamo conosciuti, senza scriverci eccessivamente prima. che è il modo più efficace che ho di autosabotarmi, scrivere intendo.

ero imbarazzatino, agitatino, ma nemmeno tantissimo. dopo l'evento alla radio abbiamo peregrinato un pochetto, cercando un posto per bere qualcosa. pioveva. lei molto più a suo agio di me. e quindi si è parlato da subito un sacco. tutto sembrava uscire con molta naturalezza, ascoltare e suggestionare. ci hanno praticamente cacciato dal locale, mentre noi due discorrevamo ed intorno ritiravano tavoli e sedie. tempo volato. pioveva ancora più forte e lei mi si è abbarbicata al braccio, come la cosa più ovvia, scontata. era bello sentirla così vicino. chi ci ha incrociato avrà sicuramente immaginato fosse un gesto consueto fra di noi.

quella con l'auto era lei. sotto casa le ho chiesto se potevo vellicare la sua mano, già sapeva non sentissi gli odori e memorizzassi col tatto.
- eh, ma indosso i mezzi guanti.
- ah, allora nulla.
- beh, li posso togliere.
- ah, occhei. 

gliele ho sfiorate velocemente, come spiazzato. quindi me ne sono sceso quasi fuggendo. ho avuto la sensazione - ma potrei benissimo sbagliarmi - di aver intravisto una piccola delusione per il fatto non l'abbia baciata. dai, ci vediamo nel uichend.

la mattina dopo le suggestioni sono arrivate subito da lei.
- ah, a proposito, mi sono abbonata alla radio.
- ah! non ho osato suggerirtelo. ma sono contento l'abbia fatto anche grazie a me.

lì, tra l'altro, ho capito che qualcosa poteva cambiare. perché il panico non mi ha avuto. non ho provato il desiderio di fuggire [figurativamente] altrove. non si è scatenata la coazione a ripetere del cercare pregi e soprattutto difetti della ragazza, valutando i pro e i contro, anticipando pensieri tossici di cosa avrei potuto non poter far più, delle piccole difficoltà ed imprevisti ad uscire dalla zona di comfort.

vediamo che ne vien fuori, mi son detto. nessun aspettativa di chissà cosa. nessuna pretesa di situazioni magnifiche ma molto immaginifiche. è una persona accogliente, intelligente, fuori da comune. e su molte cose è molto più capace ed abile di me. non può che farmi bene frequentarla. ne avrò sicuramente da imparare.

ero stranamente sereno. forse addirittura pronto. anche quando il giorno dopo mi ha invitato ad una cena improvvisata a casa sua, con degli amici. ma per quella sera c'era già da ascoltare mauro pagani. ho declinato. avremmo avuto altre occasioni.

poi sì. qualche pensiero di ubbia mi è venuto. e se poi avvampo come un fuoco di paglia? e se poi qualcosa non va? e se poi la deludo o mi delude? e se poi questa cosa si infrange addosso ad un'altra versione di fallimento? è una madre divorziata con creature che sta crescendo. non combinerò qualche casino? non è che rischi di pigliarla in giro?

per un attimo ho tergiversato. ma giusto un attimo. ci ha pensato poi lei, in una luuuuunga passeggiata al parco, con la cagnolina che scorrazzava qua e là, a fugare molti dei dubbi. mostrandosi ancora più interessante, strutturata, centrata: un occasione che il caso o il destino sembrava volermi regalare. con il sottotesto: sarai mica così pirla da lasciarla andare, vero? anche quando mi ha raccontato un'altra parte della sua storia. di come stia provando a fermare una sorta di tradizione complicata famigliare. di come stia affrontando situazioni complesse, che abbatterebbero la stragrande maggioranza delle persone. cose che hanno devastato, a loro modo, la mia famiglia materna, con tutti i riverberi che ormai ho capito esserci stati, fin giù ad incasinarmi un certo modo di strutturarmi, parecchi lustri fa. per lei è il quotidiano, gli affetti di oggi. lei raccontava. da una parte mi sentivo in soggezione per quella sua capacità di farsene carico, un po' avevo voglia di abbracciarla, per la sola ragione di abbracciarla.
- è tutto dentro un racconto che ho scritto.
- mandamelo, lo leggo volentieri.
- però ora sono andata anche un po' avanti rispetto a quello.
- bene. ragione di più per leggerlo.

racconto che poi ho letto. e quindi ho capito che era davvero incredibile. tutto stava capitando velocemente ed in maniera così improvvisa. che vai a pensare una cosa simile l'inizio di novembre. che son giorni pregni di ricordi, questi. ma poi è il caso. o il destino. che forse son la stessa cosa. vivere 'sto potenziale cambio di paradigma proprio adesso.

anche il fatto ci siamo baciati il giorno in cui se n'è andato patreme. un po' l'ho voluto, con un banalissima scusa, per incrociarla sotto casa durante la passeggiata serale con la cagnolina. non mi decidevo. mi sentivo tanto pirla quanto desideroso di. pensavo: adesso la bacio, ma più ci pensavo e più mi sentivo impacciato e ridicolo, con la paura sottile di non aver capito e/o di lasciarmi scappare quel momento architettato. così ci ha pensato lei. i quindici-venti minuti successivi ho la vaga sensazione faticherò a dimenticarli.

ci siamo dati due appuntamenti. 

ci saremmo visti il martedì dopo, a cucinare assieme risotto pere e zola. la prima persona ospitata nel nuovo appartamentino, che non era ancora del tutto sistemato. avrebbe fatto lei da catalizzatore per terminare le cose in sospeso.

quindi il uichend, successivo [questo] che lei avrebbe avuto libera. sarei dovuto tornare al lago, per il sabato, ma sarei potuto ripartire la sera stessa o la domenica mattina presto. il giorno del compleanno di patreme [oggi]. mi sembrava l'ennesima coincidenza che rimetteva in prospettiva il mese di novembre. un caso, ovvio. ma per fortuna che c'era.

così mi sono messo ad attendere il momento. godendomi alcuni eventi di bookcity. alcuni scelti pensando a lei. oppure quello sulla resistenza delle donne [grazie amica roby, che bellissima intuizione avesti], che mi sono gustato con l'emozione del momento che andava anche a lei, così attenta a certe istanze. mi è venuto naturale, dopo, fare una cosa che solitamente non faccio: il firmacopie, chiedendo a benedetta tobagi di dedicarlo a lei, glielo avrei dato con calma. tempo ne avremmo avuto.

ed è stato davvero un uichend strano. ad ascoltare gli autori a bookcity, le loro suggestioni stimolanti. oltre al fluire di pensieri, di considerazoni, di [nuove?] intuizioni, che sembravano sgorgare zampillanti e copiose, cui faticavo a star dietro. con l'idea di condiverderle [anche] con lei. mi è sembrato di essere un'altra persona. ho smesso di osservare le fanciulle con un piglio interessante, che son così frequenti a quegli eventi. ho scambiato battute con sconosciuti. come se qualcosa si fosse sbloccato, ed avesse [ri]cominciato a girare in un certo modo. mi sentivo meno incerto, come aver smesso i panni dell'impacciato che, con degli estranei, sembra aver paura della propria ombra.

tipo una cosa che si rimette in moto. e di colpo provare il desiderio di vivere assieme a qualcun altro alcune cose. va bene aver fatto pace con la solitudine in una moltitudine. ma farle in due diventato, d'improvviso, più interessante, più coinvolgente. roba che ha ancora più senso viverci dentro. mica non lo sapevo fosse [anche] un effetto della dopamina. ma sticazzi, che cazzo di bell'effetto.

erano anni che non provavo il desiderio di baciare una donna senza l'obiettivo precipuo, oltre qualche corollario para-edonistico, di trombarmela [che penso sia meno trivio di scopare, ma fare l'amore è un'altra cosa]. già fare l'amore. cosa peraltro suggestionata da lei, all'interno di un incontro un po' fantasticato, un po' comprensivo di altre intimità.

avrei voluto scrivergliela, 'sta cosa del bacio senza secondi fini diretti, intendo. me la dici a voce - mi ha risposto - lì è condivisione più piena.

poi è arrivato il martedì, e il risotto pere e zola da preparare. ero tanto desideroso, quanto sereno e contento.

già dalla telefonata in cui mi diceva stesse arrivando ho percepito una nota stonata, tanto breve quanto distinguibilissima. e la sensazione di rapidissimo brivido lungo la schiena.

salendo le scale è arrivata la cagnolina, che si è infilata in casa come sapesse esattamente dove andare. un attimo dopo lei, anche se mi è parso stesse arrivando un'altra persona. tipo una controfigura. un filo di trucco e molto impaccio. come si trovasse lì un po' a sua insaputa, o controvoglia. unico dettaglio coerente la bottiglia di barbera importante, di cui mi aveva detto. buona che lo capivo anch'io. al brindisi: a questa inaspettata svolta del 2022, gli occhietti hanno riluciuto in maniera diversa dalla volta precedente, tra un bacio e l'altro sotto casa sua.

il risotto è venuto bene. ma c'era qualcosa che non girava altrettanto. con quella naturalità serena, complicità crescente come le volte prima. i discorsi ad immergersi in un mood asettico, se non a tratti annoiosi, per poi ripigliarsi un poco, ma senza decollare davvero. il linguaggio del corpo ad allontanarsi. quando l'ho invitata ad abbracciarmi lo ha fatto con naturalezza, ma con trasporto etereo. mi ha chiesto di un dettaglio sul suo racconto, quel che le ho detto non l'ha soddisfatta, come fosse una considerazione non azzeccata. altra luce delusa negli occhietti.

niente coccole sul divano, ma una passeggiata con la cagnolina fino alla sua auto: non voglio correre, voglio conoscerti meglio, abbiamo tanto tempo davanti.

non doveva succedere nulla, per forza, quella sera. ma non immaginavo di sentirmi d'un tratto fuori sincrono, fuori percezione, fuori posto. come se avessi sbagliato non so bene cosa: detto/fatto/suggestionato quel dettaglio che decretasse, improvviso: pecccccccaaaatoo, risposta errata, sei fuori! così a dare quella svolta che non ti aspetti. come se tutto quello che ci aveva portato lì fosse una riuscitissima, didascalica, messa in scena. il plot un romanzo che è quasi banale possa proseguire in un certo modo. e tutto che si manifestava con il concentarsi di un freddo improvviso, a scorrermi lungo la schiena.

l'ho accompagnata all'auto con dentro tutto uno scoppiettio di dubbi, di titubanze, di perplessità. non avevo capito un cazzo? rischiavo di combinare qualche casino? sarebbe finita con una nuova versione di fallimento?

di nuovo mi ha baciato lei. ma con il coinvolgimento di una coppia che è lustri che vive assieme. l'ho abbracciata. già sapevo sarebbe stato l'ultimo, anche se non me ne ero ancora reso conto.
- ti do uno strappo fino a casa?
- no, grazie. che se salgo sull'auto poi sarebbe ancora più complicato scendere.

mentre mi passava accanto salutandomi ho provato, all'inzio, una specie di sollievo. quanto meno quella serata sbagliata era finita. avrei avuto il tempo di ri-organizzarmi le idee, di ragionarci. fatti pochi passi però ho capito: quello era stato un duedipicche. inaspettato. ma mica serve che uno se lo aspetti, acciocché sia un duedipicche in piena regola. e non capivo quanto fosse più delicato oppure quanto più perculante.

nei pochi attimi successivi nel rientrare in casa mi è salito un moderato incazzo, oltre la stanchezza che di colpo presentava il conto, con il rebound che mi sussurrava nell'orecchio: vedrai domattina quanto starai di merda.

già. il mattino dopo. mi sono visto girare nei primi momenti della nuova giornata, quelli difficili a prescindere, di nuovo immerso nel paradigma immoto, con i resti della cena, la cucina in disordine, abbastanza piena di roba che nemmeno era stata sfiorata. così ho deciso di sistemare e rassettare tutto subito, non ostante il sonno e la delusione. in maniera tale non rimanesse più nessuna traccia del passaggio, reliquio della sera precedente. ho sparecchiato, lavato, riordinato. via pure l'orma della sua scarpa, appena visibile accanto a dove era stata pervicacemente seduta: scopato per terra, nel senso di passare la scopa sul pavimento.

il risotto pere e zola avanzato non l'ho buttato. e non solo perché era venuto davvero bene.

che cambino o non cambino i paradigmi ci son cose che non si fanno, tipo buttare il cibo. appunto.

infine c'era la bottiglia di vino, davvero buono, ancora piena per un terzo.
- te la lascio, così la finisci e l'apprezzi tu. [mi aveva detto. uau: che gentile concessione, ho pensato].

è stato liberatorio svuotarla nel lavandino, quasi con veemenza, senza troppo titubare, quindi scendere le scale per buttarla nel contenitore del vetro.


tre considerazioni finali [tanto ormai, se avete letto fino a qui], oltre alla numero zero, che sarebbe che andrò a cancellare chat e contatti.

  1. il libro con la dedica pensavo, almeno, di leggerlo. poi ho cambito idea. lo lascerò al bookcrossing sotto casa. che vagoli secondo la fantasia del caso. qualcuno ne sarà suggestionato, ne son certo. e tutto quello che di bello si propaga fa sempre bene al pensiero collettivo. che poi ci si sia una dedica, fatta pochi giorni prima, sarà la fantasia di chi la troverà a suggerire cosa c'è dietro: disfarsi di un libro pensato per qualcuno. forse immaginerà un'innamorata scaricata o un'amica delusa da chi lo ha donato. sono i romanzi più ovvi, quelli. che poi è più o meno ciò che mi è parso di vivere in queste tre settimane;
  2. sono abbastanza convinto di non aver fatto grandi minchiate a 'sto giro. autosabotatorie o meno. che sono più pronto di quel che pensassi, se ne val la pena. e so che può aver senso immaginare che il paradigma non sia per forza immutabile. anche se forse lo sarà, ugualmente. ma ha poco senso arrovellarvisici adesso;
  3. ora la sensazione è come pensare ad un banchetto pantagruelico, nel mentre di un bell'attacco di nausea: ma credo ci sarà un'altra persona, là davanti nel divenire. al netto di cosa ne sarà del paradigma. e può anche essere avrà pure le tette più grosse.


 
[img: guarda a volte le suggestioni iniziali...]


Sunday, November 20, 2022

post estemporaneo, anticausalità

ho provato ad officiare al meglio il rito di bookcity [ci arrivai per caso sei-sette anni fa, seguendo una suggestione di maurizio principato, un mostro di conoscenza musicale, andatosene troppo presto. raggiunsi il dal verme per ascoltarlo interloquire con un autore di un libro su un cantante che nemmeno ricordo troppo bene. e da lì cominciai a intercettare quanti più eventi possibili buucsittiani possibili]. i maschi alfa, quelli cinici ed anche un po' stronzi, collezionano seduzioni e scopamenti. ed ogni donna concupita è una tacca in più. io lo faccio con l'altro: tipo gli eventi dell'evento letterario condiviso e diffuso. i maligni dicono nacque per rompere i coglioni al salone del libro di torino. ed in parte ci è pure riuscito.

comunque.

stamani compulsavo il programma, spiluccando quel che avrei potuto seguire in giornata. con poco entusiasmo, però. più che altro sopraffatto da una stanchezza che non voleva lasciarmi. ed io a chiedermi: ma che cazzo me lo fa fare, sono stanco, ho freddo a prescindere, perché collezionare quante più figurine possibili? cresci, ed esci da queste ritualità.

per uscire sono uscito. però l'ho fatto per santificare la ritualità. per quanto stancamente ed in ritardo sul primo degli eventi che mi ero segnato.

sono arrivato alla casa della psicologia, accanto al castello, convinto di essere in ritardo. avevo già pronta la battuta per il volontario che mi avrebbe accolto con un "prego, di qua": siete Voi in anticipo, vero? in realtà mi ha guardato con un mezzo sorriso e mi ha risposto: no è in anticipo lei, mancano ancora dieci minuti. prego, di qua.

ah.

e insomma.

sono entrato in sala per la presentazione di questa cosa qui.

l'avevo scelto con l'idea di trovare - magari - indicazioni per una questione specifica, relativamente nuova per me. invece è stato abbastanza tutt'altro. il dispiegarsi di un proluvio di suggestioni che mi hanno portato ad essere turbato, coinvolto, titillato, rinfrancato, stimolato, affascinato, intimidito, grato, consapevolizzato. tutto assieme. in poco meno di un'ora. quando hanno chiesto se qualcuno avesse domande, si è percepito un momento di silenzio quasi ossequioso. per la serie: ma checccccazzzo possiamo chiederVi, dobbiamo ancora iniziare a capire da che parte cominciare e mettere in ordine tutto 'sto popò di roba. poi ne sono arrivate un paio: la prima di una che aveva capito una cosa per l'altra, la seconda di colei che ha voluto recitare la particina di una studiata, con tre citazioni, in altrettante subordinate di un unico periodo [tanto graziosa, caruccia ed imbellettata, quanto puntacazzista].

ad un certo punto, nel proluvio di considerazioni, stavo finendo di assimilare un concetto, così mi son perso la contestualizzazione di quello dopo. che provo a riassumere con le parole che ricordo distintamente. nel nostro stare al mondo, come essere interrelati, ci riconosciamo veramente solo nello sguardo degli altri, che precede il nostro giudizio su noi stessi, che a volte peraltro non siamo in grado di ammetterci.

e mi è sovvenuto cos'era la cosa che mi è capitata, sedici-diciotto ore prima, quasi lì accanto. passavo in bici, in maniera un po' improvvida per evitare la strada più trafficata, davanti all'ingresso della stazione di cadorna [gran figlio di puttana, il luigi, che dovrebbe essere l'onta dei verbanesi, altro che mausoleo sul lungolago]. un ragazzo di colore si sta rintuzzando nel suo sacco a pelo, accanto ad un muretto. avrebbe passato lì la notte, un cartone per materasso. il sacco a pelo azzurro. non è l'unico. qualcosa mi colpisce nel suo sguardo, che noto prima che lui noti me, mentre gli passo accanto pedalando. non riesco a smettere di osservarlo. anche quando si accorge di me e mi guarda. ed io sento un misto di cose. come un qualcosa che sta molto lontano dalla rassegnazione, unito a qualcosa di doloroso. come se coricarsi lì, in quel modo, gli costasse una fatica importante, che mette assieme il fatto sia una condizione, ed un gesto, che è costretto a fare e ma che lui non merita. percepisce la [contestuale] inevitabilità dell'ingiustizia che sta subendo, lì in quel momento. è uno sguardo duro. un orgoglio non [ancora?] domato.

ci ho pensato anche abbastanza turbato mentre pedalavo infreddolito. sapendo che da lì a breve sarei stato al caldo, con una cena frugale, ma fumante. e quindi un letto decisamente più comodo.

ecco. sì. in quel volto ho riconosciuto la mia dabbenaggine, per quando mi lamento [invero, sempre di meno]. oltre la mia incapacità [ancora] a non uscire da questo comfort un po' tossico.

io non posso salvare quel ragazzo lì. posto che magari nemmeno me lo chiederebbe. figurarsi se posso salvare tutti quelli che si coricano in quei contesti, con o senza quello sguardo.

però sì. il senso profondo di quella suggestione dell'evento di oggi pomeriggio è [anche] quello sguardo di quel ragazzo. non so che giudizio possa uscirne. e forse è anche una conquista non mi sia sentito del tutto una merda. però sì. siamo esseri interrelati.

spero di ricordarmelo, quello sguardo. e che qualcosa [mi] porti, prima o poi. ma ho la vaga sensazione che sì. qualcosa succederà.

o almeno lo spero.

Saturday, November 12, 2022

post genetliaco [in ritardo], seconda parte

il novenovembre di qualche anno fa scrissi un post più o meno omologo a questo.

ricordo perfettamente il punto in cui stava la 91, nel senso di circonvalla senso antiorario, quando mi sgorgò il magone ed un inusitato senso di colpa, spunto del post di allora. pensavo al compleanno di fratteme, che cadeva in quel giorno [come ogni anno, del resto]. e fui sopraffatto da un'onda emotiva, non esattamente rinfrancante. cose che succedono. tanto che ricordo dove fosse la 91. e se stavo sulla 91, a quell'ora di tardo pomeriggio, dev'essere stato il suo compleanno tra il 2015 ed il 2018. 2019 molto meno probabile.

in fondo mi venne una gran voglia di abbracciare fratteme, augurargli buon compleanno, e chiedergli scusa per tutto il bene che non ero riuscito a volergli. sentendomi anche un po' tiepidamente merdolinico, per essere stato non il migliore dei fratelli maggiori che un fratello minore potesse sperare di incrociare.

quel post colpì l'amico emanuele, che me lo commentò forse a voce, o via uotsapp, o sa il ciel come.

raccontai di quella sensazione, generatrice di post, ad Odg. che mi cazziò delicatamente, oltre la ferma cortesia che ha sempre mostrato. ma mi cazziò. iscrisse quel mio moto irrazionale all'interno di una ricerca un po' fuorviata, in cui mi facevo incantare dalle sirene del concetto di famiglia idealizzata, perfetta, volemosebene. ed io percepii distintamente non avesse capito quasi un beato cazzo. ma lasciai cadere la sua osservazione. lo ricordo bene, perché raramente è capitata una discrasia così. lei che mi offre una chiave di lettura, io che capisco in maniera pre-razionale sia una chiave piuttosto fuori strada. percepita come fosse roba davvero evanescente. o di pertinenza di altri.

mi è tornato in mente tutto ciò, questo novenovembre. di nuovo con una specie di onda emotiva. meno lancinante, e forse anche piuttosto illuminante. credo di aver capito il senso, anche di quella della volta scorsa, da cui quel di post. e perché Odg andò piuttosto fuori strada. come se si fossero uniti dei puntini, ed il disegno che ne esce è un po' più intelleggibile.

che poi è il motivo per cui scrivo questo di post. per quanto come introduzione e motivazione non è che si possa dire sia così sintetica et succinta. che poi potrebbe financo passare per il solito post psicopipponico ad analizzare compulsivamente le cose del passato. e invece - credo - sia un bel aprirsi alla consapevolezza dell'ora e qui, che poi servirà a cominciare dall'ora e qui che è già un passo verso il domani.

io al novenovembre ho associato il primissimo ricordo ricordi. mio padre che chiude la porta di casa, mattino relativamente presto, freddino, mentre andiamo a conoscere il fratellino all'ospedale dell'hometown. è un ricordo di un sottile disagio, lo associo al sonno che provavo quella mattina, al trambusto per questa novità che non avevo previsto e che mi fate fare 'ste cose che dormivo così bene. disagio: quella specie di ingrediente che, tanto o poco, si è infilato come spezia amaricante nel rapportarmi con quel fratello, che comparve quella mattina. questo per molti anni. è un dispiacere che colsi, tutto insieme, forse inaspettato, sulla 91 quel pomeriggio dell'altro novenovembre. è qualcosa che credo non riuscirà mai a passarmi. per il semplice fatto è stato. punto.

e poiché credo ci sarà per sempre, perché è stato, tocca farci pace.

sì. per anni sono stato geloso di mio fratello. matreme lo ha sempre ribadito come una specie di mantra caratterizzante. tipo lui avesse i capelli biondi, io castani. ma la gelosia era solo l'epifenomeno. il punto, al limite, era il perché, e cosa quella gelosia nascondesse. credo di averlo capito. e potrei giusto dedicarci un paio di periodi, 'ché sennò si rischia di tornare allo sguardo al passato. credo che quella gelosia fosse il segno più marcato della di ricerca di attenzione da parte di patreme e matreme, come se avessi - forse - davvero bisogno di conferme. qualsiasi cosa questo significhi. e lo sguardo al passato potrebbe anche chiudersi qui. 

poi c'è il resto, piuttosto inequivocabile. patreme e matreme hanno fatto del loro meglio. ne sono certo. hanno educato allo stesso modo, quanto meno ci hanno provato convintamente. poi uno è venuto su in una maniera, uno in un altra. vuoi perché le persone sono diverse, vivaddddio, vuoi perché la vita capita, e cose succedono. di certo: l'unico che proprio non ha avuto nessuna responsabilità è fratteme.

è vero che per me, quel giorno, fu l'inizio di qualche difficoltatina in più, sarebbe sciocco negarlo. è vero che l'effetto complessivo che ne è uscito fuori è stata un'auto-strutturazione un po' di pongo. ma, di nuovo, simbolicamente in quella foto io tengo in braccio lui - per quanto con l'attenzione di matreme. quindi lui, proprio è l'ultimissimo cui si potesse chiedere di farci o ovviare a qualcosa.

poi le cose sono rotolate in maniera molto variegata, decisamente variegata. talmente variegata che la crasi tra lui è me - anzi tra me e lui - in anni particolari ed importanti è stata mentre cercavo di strutturarmi in un certo modo radicalscìc, per tuttuncomplessodicose [già psicopipponeggiate qui dentro, peraltro]. e lui se n'è scelto un altro: molto meno radicalscìc, molto più efficacemente pragmatico. ognuno ha la sua maniera di essere. capire che la mia non era necessariamente il migliore della sua è stata una bella conquista, di nemmeno troppi anni fa. ma oramai era un po' tardino, almeno per rimediare ad alcune cosette. oltre al fatto che, secondo i paradigmi [piccolo]borghesi, non ci sarebbe partita: lui è quello riuscito. ma in fondo, stigrandissssssimicazzi anche ai paradigmi [piccolo]borghesi.

però, appunto, queste consapevolezze son arrivate. e non credo sia un caso che siano arrivate proprio mentre ho cominciato a far pace con me, per tutte le cose che non erano riuscite. più che osservare con stronza alterità [via via discendente, suvvia] quelle che sono riuscite a lui. anche se non so se e quanto riuscirò fare davvero mai pace con lui. non basta, ahimè, assenza di conflitti. io non mi sono goduto la fratellanza minore. lui non ha potuto sfruttare la fratellanza maggiore. anche se, forse, non mi stupirei più di tanto intuire che, in [anche?] questo contesto, sia stato più abile di me.

non credo di invidiargli nulla, se non il fatto ami il lavoro che fa - oltre a riuscirgli molto bene. il fatto abbia un figlio che è un predestinato è merito anche suo. merito di cui bisogna avere grande rispetto. e ne sono davvero contento per loro, a partire dalla creatura.

il resto è un percorso pieno di bozzi, che pure lui ha avuto i suoi. e siamo qui, in cui ormai dovrebbe valere uno stringrandisssssssimicazzi per quel che è successo. non che non sia stato importante. ma arrovellarvicisi, ora e qui, magari anche basta. ci si è trovati in due da quel giorno. poi è capitato quello che è capitato.

e non dispero del tutto che, qua e là, qualcosa di meglio possa ancora venir fuori: da qui in avanti. in qualunque modo potrà accadere. magari farci anche un po' più di pace, oltre che fargli un augurio di compleanno un po' meno imbarazzato.

magari financo fargli leggere questo post.

qualcosa sarà.

 



Saturday, November 5, 2022

faccio un altro post.faccio un post cazzaropolitico /post ultimo post- l'educazione sentimentale della fratella /2

sproloquiavo dell'educazione sentimentale della fratella qui. [peraltro, senza proprio citarla, l'educazione sentimentale].

la fratella proviene, politicamente, da un contesto molto particolare, dal bordo dell'arco costituzionale. e mica tanto imbarazzato a guardarci pure un poco oltre, l'arco. fa parte degli eredi di coloro sono stati dalla parte sbagliata delle storia. sono contesti di origine che danno un senso di identità che levati. per non dire dello spirito di appartenenza che cementa. quel sentirsi alteri alla massa, elitari nel difendere un punto di vista che ha perso. cazzo, se ti fa convinta e integerrima. a caricare a molla il revanscismo, che ti tengono ai margini, ma un giorno vedrete come sapremo rialzare la testa. e rimettere in prospettiva il punto di vista della storia, rielaborando il lutto della sconfitta dei loro ispiratori, rivisitando quello narrato fin lì. mi pare che, durante il dibattito della fiducia, uno dei suoi abbia evocato il ricordo dell'umido delle cantine da cui partirono, che erano sparuti, ora prendono il ventiseipercento e governano. anzi, no: vogliono ri-plasmare la nazione, ne hanno avuto mandato. non c'è nulla di più inarrestabile - in potenza - del desiderio di riscatto di un revanscista. lamentosità da chiagnaefotti compreso.

la fratella viene da quei luoghi. scomodiamo pure sigmund da chiacchiera davanti allo spritz: vuoi che la sua vicenda famigliare, il rancore verso il padre, non possa aver contribuito a farla partire proprio da lì? lei ed il suo incazzo e tutta la sua abilità di essere già a suo modo leader. che lei è sicuramente un talento in questo. fatico a pensare che il livello medio nei dintorni fosse così elevato - che spocchioso radicalscìc sono. e quindi la fratella se l'è pure meritato, nel senso profondo del concetto di merito.

e per certi versi, pazzesco, non siamo del tutto dissimili. perché una certa radicalità, alterità, in anni importanti pure io me la sono ricercata, provando ad onorarla. era un modo per definire una mia personale identità, che il conformismo, l'affollamento della pancia della gaussiana mi intristivano. o forse mi spaventavano, come mi sarei trovato lì in mezzo? come mi avrebbero notato, a me che mi cercavo ma mi sentivo un po' evanescente e poco strutturato? in questo un po' la sento sorella, la fratella. seppure da mondi, valori, ideali piuttosto lontanucci. lei scegliando l'eredità di quelli che erano dalla parte sbagliata della storia. io rimanendo affascinatamente scosso dalla dottrina sociale della chiesa: l'addentellato avessi a disposizione per essere di sinistra, lì, in quel momento. lei la saga tolkeniana, i mito degli sconfitti che rialzeranno la testa orgogliosi, mai vinti. io un francescanesimo duro et puro, ed una simpatia inconsapevole per la teologia della liberazione. una specie di cattocomunista desideroso pacifista [e sticazzi tutti i conflitti interiori che mi immalinconivano].

però io la so l'eco di quella cosa lì. di quello per cui hai riverberato durante l'adolescenza e la prima giovinezza. specie per quelle scelte, tanto più radicali quando fondative per la tua personalissima costituenda identità di donna e di uomo.

la fottuta importanza dell'educazione sentimentale.

sono cose che non scordi. che non sono spente e che conservi come qualcosa di importante e prezioso, cui quasi vuoi bene. perché sei venuto fuori così anche [soprattutto?] grazie/a causa di quello. e danno la sensazione di essere ancora vivo. e fottesega se si è capito abbastanza quasi tutto del perché le si è abbracciate. importa poco se l'atto pratico - oggi - non si intellegge, se il fare secondo quei sacri fuori è giusto un folatina di alito che scalda le mani intirizzite. sticazzi se i giri che ho fatto finora sono stati ampi, anche arabescati. quella è roba che non si scorda. e si agita dentro: una volta con la convinzione avresti ribaltato il mondo, oggi con l'illusione siano il tuo modo di stare al mondo. solo che la convinzione era illusione, e l'illusione il pat-pat sulle spalle al principio di realtà.

financo per uno irrisolto come me. 

figurarsi per la fratella. una ha impresso una svolta storica a questo paese. quale dev'essere l'impeto con cui - quanto meno - dichiara che farà. la spinta che vorrebbe essere travolgente per il sacro fuoco che costei, ne sono convinto, deve sentirsi ardere dentro. con tutta la brace revanscista, che un mantice granderrimo ci ha insufflato tanta di quell'aria, con quei risultati elettorali. coloro che erano ai margini, ora dettano il nuovo modo di intendere una nazione, il paese si adegui e venga dietro.

io mica lo so se ce la faranno. come tutte le questioni complesse è talmente ampio lo spettro di come si dipaneranno le cose che chiunque può dire la qualunque. qualcuno ci prenderà, ex-post. non mi sfugge che dovrà scendere ad una fottia di compromessi, per non direi svolte ad U rispetto alle postfsciocagate urlate [anche] per arrivare lì. che a sbraitare indignati dal cantuccio dell'opposizione so boni quasi tutti. non sono così difficili da sgamare le retoriche che anche meno. tipo sia stata un underdog, che è fuori dubbio. che non lo sia più da almeno vent'anni, è altrettanto certo. se l'è meritato, se l'è conquistato, nessuno lo nega. quando poi qualcuno ti scopre e ti lancia politicamente, in certi contesti, diventi altro. onestà imporrebbe di ricordaselo. senza che questo sminuisca quello che sei riuscita ad essere. anche se la mediocrità del contesto, a te che sei davvero la più brava, ti fa rilucere assaje.

ha dichiarato voglia continuare sovvertire i pronostici. non credo sia una boutade. è il patto, al momento vincente, con il portato di quella che fu la sua educazione sentimentale. per questo ho sentito i brividi lungo la schiena. non ostante l'assonanza, lontanissima, di come possa ancora cosa viva quel portato, financo in me. soprattutto per quell'assonanza lontanissima spero proprio non ci riesca.

e comunque se non succederà non sarà certo grazie all'opposizione [parlamentare e affine]. ma giusto per apoptosi fra di loro, nelle destre. che va bene il sacro fuoco di alcuni, ma poi si confida nella mediocrità, visione miope ed egoistica della quasi totalità.

e sempre non ci prenda gusto troppa pancia di troppi connazionali. che quello sarebbe sì un problema assai più serio. per non dire definitivo.

che tanto poi, se invece non finirà esattamente così, com'è sperabile, credo già come sarà un importante modo di porsi. ci sarà la lamentazione ed il recrimine tra lo sdegnato ed il frignoso. i revanscisti son maestri in questo. e se arrivasse in certi momenti e con certe modalità potrebbe financo essere molto utile, a loro.

speriamo non sia così.

non resta che vigilare, ed opporsi. lo devo alla mia educazione sentimentale.