Saturday, October 31, 2020

voglio un silos-si-lo-voglio-silos-si-lo-voglio

bisognerebbe chiederlo ai futuri inventori di un domani che più o meno verrà. qualche geniaccio che - grandeggggiove - dopo aver ripreso i suoi sensi dopo una botta sul bordo del suo lavandino, avesse una sua rivelazione di un'altra versione della visione del flusso canalizzatore. anche se quel flusso non è che debba necessariamente canalizzare. ma inventarsi un'altra roba.

un silos per conservare la sensazione che inanelli in taluni momenti. con lo stesso principio di sopravvivenza con cui hanno inventato altra roba. roba già nota. tipo le cantine dove conservare il cibo per l'inverno freddo e duraturo. i fienili dove ammassar nutrimento per il ristoro nei mesi di ricovero delle mandrie, delle greggi. le cambuse per affrontare le traversate lunghe e perigliose. hanno avuto l'inventiva una volta. ci si potrà pure ripetere in situazioni più sfumate, eteree, ma mica per questo da dimenticare nell'agenda delle invenzioni. certo. per le cose per non morire di fame han già dato. e per fortuna direi. ma la luce affievolita dentro fa molto complicazzo. certo che complicazza.

un silos per metterci dentro l'importanza di vivere il momento - bello - con la contezza stia avvenendo esattamente in quel momento. mica le cose eclatanti, quelli son buoni tutti. ed è facile in periodo di vacche grasse. no. il momento importante e fondante di una stilla. evanescente. e sapere che è quella, e sapere che si può cercarne altre. nell'essenzialità delle cose piccole, piccolissime, impalpabili, non materiche. ma che azzeccano le combinazioni giuste, e tutto va al suo posto. non è una questione di ordine o dis-ordine. è il fatto che quel momento va bene così. esattamente così. anche se si potrebbe fare meglio. fottesega. va bene così. esattamente così.

ecco. un silos per ammonticchiare 'stecosecosì. ma mica perché uno poi se le rimira lustrandosele, come egotonici a la carte

no. no.

bensì per usarle quando la luce dentro si affievolisce. sfarfalla. e la paura del buio che uno pensa è lì lì per arrivare non è così tanto piacevole. per riprenderne un po' dalle conserve, quel che serve, quando  sono alcuni spuntoni delle spezzate poligonali, che a volte è così che buttano le cose. e rintuzzare tutta la difficoltà, il dolore, lo sconforto, la paura, e quel miscuglio di disperante mancanza di senso che può uscirne.

sarà che ho camminato sopra le foglie caldarancio. sarà che mi son messo in modalità: addddapasssàanutttata, ma ho il culo al caldo, quindi stiamo acccccuorti e quieti, che non c'è altro che aspettare [quando il limite dell'esser per un cazzo pensieroazione vien quasi utile]. sarà che così sono già in attesa preliminare dell'elenco più o meno immaginifico di cui il post di prima. sarà che mi pare di aver per il ritmo ed il sincrono capire come distillare variegatissima acqua che disseta, da variegatissima singola goccia di rugiada: che basta davvero poco, se si è efficienti. in questo momento mi vengono in mente un certo numero di cose, che son cose piccolissime. prendo a caso: osservare il video di  canzoni. tipo gente che canta assieme con una gioia che ritma più apppppalla delle battute al minuto, oppure miti della musica a concerti che sembrano roba intima tra lui e chi ha avuto la fortuna d'esserci.

ecco. per questo vorrei metter dentro quel fieno in cascina che mi sembra di saper cogliere. copioso o meno non importa. è che il fieno spunta. e metterlo in questo silos. che insomma voglio un silos-si-lo-voglio. mettere via. e prenderne un po' per volta. dovesse servire. anzi, quando servirà.

perché ho la sensazione servirà. servirà variegatamente a ciascuno. perché variegatamente non saranno mesi semplici. e la primavera, ho la vaga idea, tarderà ad arrivare. perché adesso, in questo momento, va così. ma neppure troppi mesi fa non andava proprio per un cazzo così. non è che manchi il riferimento esperito.

per questo, oltre alla contezza del momento, servirebbe quell'invenzione di un qualche inventore geniaccio più o meno del futuro.

anzi. servirebbe pure adesso. che addirittura - addirittura - sarei quasi quasi incuriosito di provare che effetto fa, quella cosa che ho colto ascoltando questa versione così avvolgente di when the saints. quando quei due condividono una strofa assieme davanti al microfono. dove la strofa è solo una scusa, una specie di eccipiente, armonizzato in quel modo un po' tra il gospel e il blues. perché quei due è come se per un attimo dimenticassero di essere davanti ad un microfono, e sublimassero cosa deve accadere nei momenti della loro intimità. ecco. se lo chiamano the boss, vorrà pur dire che personaggi come lui ce ne sono in giro decisamente pochi. però la curiosità di provare quel tipo di complice intimità, ecco sì. sarei proprio curioso di sapere che effetto fa. non so se potrà mai accadere. ma il fatto mi si incuriosisca così, in questo modo, è un qualcosa di vibrante stilla. da voler conservare.

dentro nel silos. cazzo bisognerebbe averlo già inventato. se non ci fosse.



Monday, October 26, 2020

[breve] post mementifero-desiderevole [con un paio di premesse]

le premesse, appunto.

la prima è che ho il culo al caldo. quindi non ho nulla di cui lamentarmi, nello specifico.

la seconda è che quest'infarto della storia [cit. luca bottura] ci rode il culo, a tutti. però noi nel nostro mondo ricco siamo dei novellini, in fatto di punti angolosi che s'addentrano da tergo - figurativamente. ci sono distese di pezzi di umanità per cui è un incidente in più, giusto più incidente degli altri, che a loro gli incidenti gli spuntano da abbastanza sempre qua e là, copiosi. quindi tutti noi, da quello specifico, non avremmo granché di cui lamentarci.

ma non saranno mesi facili. andrà tutto bene un cazzo. anche se ho il culo al caldo. anzi. proprio perché ho il culo al caldo non posso far il ghei con il culo non al caldo degli altri.

tenendo calettato nel civrieddu queste ovvie banalità, vorrei davvero tanto impararla un po' di più la lezione, dal mansueto e comodo starmene col culo al caldo. e nel mio piccolo ricordare di andare a cercarli, e viverli, i momenti di stille. quelli che saranno, perché è certo che saranno, basta saperli andare a cercare. e soprattutto scorgerli. diminuendo, come il tendere a zero del limite notevole sen(x)/x*, la distanza temporale tra l'attimo della stilla e l'attimo in cui ci accorgiamo ci sta irraggiando in mano nella sua bellezza, la stilla. autunno vuol dire che dopo c'è l'inverno. ma poi è primavera. un elenco qua e là sparso, più o meno immaginifico:

  • sedermi su di una poltrona di un teatro, il sabato sera. va benissimo da solo. distillarmi attimo dopo attimo tutta la tensione erotico-emozionale che l'attore emana. a prescindere. e poi tornarmene a casa e cucinarmi uno spaghetto medio grosso, rugoso. non necessariamente pasta rummo, ma la pasta rummo è un ottimo esempio; 
  • la prima vellicata di birra, con il pallido baffo della schiuma, che non vedi ma sai che c'è. possibilmente non da solo. ed ascoltare il travaso di pezzo di vita che si vuole raccontare, lì. piuttosto casino di sottofondo, ma che ovatta, canalizza, il dialogo che via via è meno incerto. e il pensiero che si fa meno timido, corroborato dagli effetti del malto, del luppolo;
  • il libro estratto dallo zainetto, una volta salito su di un tram carrelli. appoggiarsi al finestrino e scorrere, alternativamente, qualche pagina e quello che scorre accanto ai binari;
  • cazzo, no, vai fuori sul balcone a fumare. lascia aperta la finestra, non fa niente se entra il freddo, mica posso lasciarti fuori in solitudine, speta che ti piglio un posacenere, beh sì ovvio che non ne ho, mica fumo io. sì è un piattino della tazzina del caffè, cos'hai da rompere i coglioni se è un piattino del caffè? non preoccuparti poi lo lavo, tu pensa a fumare, peraltro potresti farmene uno tu di posacenere e regalarmelo. a proposito sto ancora aspettando il bicchiere contenitore per lo spazzolino e il dentifricio. vabbhé sono anni che dici che devi portarlo al forno per smaltarlo;
  • uscire dall'auto, sgranchendomi un po' le gambe, e fare pat-pat all'angolo, appena sopra lo stop, grazie macchinina di avermi portato fin qui. e poi aprire le due porticine posteriori, uscire il bagaglio, ti ho portato un paio di regali, la bottiglia ce l'apriamo guardando il tramonto, il libro, sono andato a sceglierlo alla mia libreria di fiducia, si chiama il domani, sta accanto alla stazione cadorna, avevo chiesto un consiglio, mi hanno suggerito un titolo, mi è venuto in mente quest'altro: come ho fatto a non pensarci prima;
  • la volta scorsa hai fatto tu. 'stavolta tocca a me. e ma tu sei venuto da me e non vicerversa. ma non fa nulla, dai faccio io. occhei, però la prossima volta sta a me, ricordiamocelo;
  • infilarmi in un corteo. non conoscendo nessuno. e guardarmi attorno. da solo ma in compagnia;
  • stringere una mano. abbracciare una persona. baciarla castamente. senza più la sensazione ci sia qualcosa di cui preoccuparsi;
  • massaggino ai piedi? o sì, che bel regalo che mi fai, è stata giornata un po' pesante**;
  • l'orsitudine non è più una virtù;
  • quella lama di luce al tramonto, che inonda la parte sinistra del tutto, un bel contrasto con la facciata del castello, la gente attorno che si fa i soavissimi, rilasatissimi, cazzi suoi la domenica pomeriggio. sulla panchina osservo tutto questo e azzardo qualche foto smartphonistica. a incrociare la combinazione giusta di nuvole bianche che constrastano e danno sostanza lieve, a far da contrappeso simbolico alle mura, alla gente lì intorno, tutti avvolti in quella lama di luce. potrebbe andar peggio. è sto pure fottendo il sunday blues. per quanto domani dovrò controllare come tutti i lunedì il carico aui***;
  • odg, che sollievo poter lasciare andare il ragionamento libero senza 'sta cazzo di mascherina. poter cogliere le sfumature del viso, il ritorno emotivo del mio proluvio****;
  • non ostante i giramenti di coglioni esperiti, andare addosso consapevolmente ad una scombinatissima istanza di inaffidabile pericolosità. come paradosso molto irrazionale, o la prova provata sia un romanticissimo coglione;
  • occupare il posto appena a sinistra, una volta in cima i gradini per accedere al piano superiore del vagone, dando le spalle alla direzione del viaggio. e quindi la foto dal ponte del traghetto, che verosimilmente avrà i due terzi di acqua, e un terzo di quello che sta fuori. speriamo di trovare un passaggio rapido, una volta dall'altra parte della riva, autostop come quando avevo sediciassottonoventiundue anni, che mi ero detto che tornato dal servizio civile avrei smesso, che ormai ero cresciuto. poi ho detto mastigrandisssssssimicazzi. continuo a farlo;
  • il concerto del deGre, al teatro dal verme, pieno in ogni ordine di posto. nessun distanziamento;
  • le presentazioni più affollate di bookcity;
  • lo sposalizio della vergine, con l'allestimento che ideò munari nel 1976;
  • vieni al corso di scrittura? no, bruna, non ci ho né tempo, né testa, e poi come mcEwan non scriverò mai, quindi cazzo ci vengo a fare al corso? però, ripensandoci, quando fa lezione robecchi posso venire ad ascoltarlo? certo che puoi. e non dimenticare che, nel caso, i racconti dovresti farli più stringati. i post? ma i post sono psicopippe, non contano e nemmeno mi metto gli occhiali per leggerli;
  • sedermi su di una poltrona di un cinema, qualunque sera. far due chiacchiere lievi. si spengono le luci, partono i promo degli altri film. e poi le prime scene di quello che abbiamo scelto con una certa dialettica argomentativa. gliela prendo la mano? me la prende la mano invece di cincischiarci attorno?

 
* ris = 1.
** paraculissimo inizio di preliminari, come ben si sa.
*** attività ricorrente, settimanale, in ambito regulatory. pare che là dentro nessuno ne conosca i meandri tecnologici di processo, quanto lo scombinato scrivente di questo post. e tutto ciò fa anche abbastanza ridere.
**** non appartiene al registro del detto, ma quello del pensato.


Wednesday, October 14, 2020

cazzo. ci mancava pure se n'andasse l'Ermi

non che quest'anno non abbia già dimostrato di essere di merda, di suo. per quanto convenzionale sia un anno. per quanto io non abbia granché da lamentare. però. cazzo.

se n'è andato l'Ermi. di colpo. così. come mettere un piede nel posto sbagliato in montagna. in val grande, quello spazio incazzosamente vvvuaild, a due passi dall'hometown. dove accadde di tutto durante la Resistenza. dove l'Ermi c'è andato millemila volte, anche per scriverci di Resistenza. lui che si chiamava così per ricordare un partigiano, ucciso dai fascisti nell'hometown. davanti al monumento che li ricorda, i partigiani, ebbe appunto a dire: non è semplicissimo portare un nome così, qui, in questo posto.

cazzo. Ermi. ma porco di quel cazzo!

c'è stato un periodo delle mia adolescenza in cui l'Ermi fu un punto di riferimento, importante, fondamentale. un qualcuno cui ispirarsi, uno da cui un qualsiasi gesto di encomio era un regalo importantissimo. lascerei da parte, per il momento, il fatto abbia avuto [da coniungare al passato?] questa necessità: l'encomio di qualcuno che idealizzavo [idealizzavo, sì, questo al passato]. per un rimbalzo curioso degli eventi quel tipo di figura, forse addirittura la prima, è stata una persona tanto tendenzialmente orso quanto sfuggente, con bagni di undertatement sarcastico-ironici che allora non sempre capivo. e per cui a volte un po' rimanevo male. ovviamente non c'è il famoso doppio cieco, ma ho la sensazione che non sia del tutto scorrelato il fatto che, a mia volta, abbia cominciato a farli miei. quegli approcci dico. sicuramente ho ascoltato da lui gli incisi di alcune canzoni di guccini, de andrè, de gregori, che ricordo ancora adesso. sicuramente mi sono avvicinato alla fotografia incuriosito dal fatto lui fotografasse. sicuramente ho suonato il flicorno nella banda dell'hometown molto fiero di farlo accanto a lui.

non so se lui abbia mai avuto piena contezza di tutto ciò. di cosa abbia significato per me allora. non mi meraviglierebbe sapere lo sapesse. era una spigolosa intelligenza emotiva, ne sono certo. ogni tanto, negli anni, mi son chiesto se per caso 'sta cosa forse non l'imbarazzasse o non si sentisse adeguato, o qualcosa che se ne sta in quei dintorni.

a sedici anni ebbe a prendermi a male parole, davanti ad un po' di persone. tecnicamente per una minchiata, che però a lui sembrò offensiva e poco seria, per me l'occasione con cui cominciare a sentirmi adulto. fu a suo modo un piccolissimo punto angoloso, forse uno dei primi. un paio di giorni dopo mi chiese scusa, ma io ero ancora un po' frastornato. un paio di mesi dopo se ne andò dalla banda, io presi il suo posto, anche fisicamente sul palchetto dove si facevano le prove, oltre che a scrivere le presentazioni dei pezzi nei concerti, ovviamente con risultati piuttosto diversi. ci perdemmo piuttosto di vista.

però è sempre stato l'Ermi. tanto più che cominciò a vivere di scrittura. cosa che intuii avrei potuto fare anch'io, tra le altre cose. anche per far sì potesse diventare un qualcoa in cui imitarlo [anche se sappiamo com'è andata a finire].

ho la più che convinta sensazione che se son venuto su così - per la pars construens - è anche perché ho cercato un qual mimetismo con lui. a prescindere dal risultato che continuerà a declinarsi.

forse gliel'avrei anche detto. era da qualche anno che pensavo mi sarebbe piaciuto farci una bella chiacchierata. chiedergli e spiegargli un po' di cose di quei tempi, di quando era un riferimento importante. e magari chissà, provare a farmi coinvolgere in un qualcosa avesse in mente di fare. probabilmente l'unico intellettuale di questa hometown così infighettatasi ed arricchita. sono quelle belle idee per cui uno pensa ci sarà sempre tempo per farlo. difatti. mi sarebbe piaciuto, ma ho anche idea mi sarei sentito molto imbarazzato. per tutta una serie di cose. e di come rotolano a partire da quando cominci a vedere alcuni adulti come coloro da cui prendere ispirazione.

fu una delle persone che più mi sembrò colpito quando se ne andò mio padre. per quanto non mi era mai parso di cogliere quel tipo di famigliarità e confidenza, che invece aveva con altri. mi fece molto specie. come se ci fosse un qualcosa che le apparenze sembravano celare, quanto meno quelle che potevo cogliere io. comunque sempre con l'eco di quello che lui era significato per me, un paio di decenni prima.

l'Ermi scriveva bene, cazzo se scriveva bene. ma la sua prosa non è semplicissima, anzi. come a volte accade per le cose raffinate. probabilmente era molto più abile come giornalista, storico, studioso che come narratore. la cifra stilistica non è piana e lineare, per quanto asciutta e rapida. però secondo me lui era proprio così, come quando una scrittura rappresenta esattamente una persona. invero da quel che riuscivo ad intuire, da quel che si lasciava intuire. forse era un modo per celarsi, non mostrare in maniera banale l'intelligenza, il mondo, la sensibilità, la profondità che era riuscito a conquistarsi dentro. ho perso sicuramente un'ottima occasione di provare a capirla, per quanto avrebbe voluta farmela - eventualmente - capire lui.

se n'è andato scivolando sul pizzo Marona. una cima epica per quello che è stata la Resistenza che lui ha studiato, ha raccontato, per poi allargare la sua curiosità al mondo di qui, negli anni di un pezzo di secolo scorso. se n'è andato camminando sui sentieri su cui si è scritto un pezzo di Storia. forse, nell'insensatezza di andarsene così, da questa cosa forse poco sensata che "è quel vizio che ti ucciderà e che ti porti, cioè vivere" [semicit.], c'è un che di coerentemente assurdo. che il luogo del suo destino sia stato proprio quello, come qualcosa che va a chiudersi in un posto a suo modo, intimamente, laicamente, sacro.

ciao Ermi. che l'andare pe' monti ti sia lieve. 

[updt: quando alla fine del saluto, in quel campo d'oratorio, in questa giornata così beffardamente cristallina e calda, prima che rinuonasse "bella ciao", il tazio s'è avviato verso il microfono, mi è sembrato di vederlo. per un attimo rapidissimo ho immaginato di sognare, anzi: che fosse un sogno tutto quello intorno. ed il tazio ha svelato una chiave di volta, che non potrò mai più usare [cazzo]. "l'Erminio in montagna si trasformava, era un'altra persona". ecco. cazzo. lì ho realizzato che quella è una cosa che non mi capitò mai di fare, per una serie di ragioni che adesso sarebbe lungo enucleare. forse lì sarebbe stato più semplice, anche per un intimidito come me. [e comunque, dopo anni, sono finalmente riuscita a cantarla di nuovo, "bella ciao". solitamente le parole mi si strozzano in gola. oggi no, vai a capire come girano certe cose.]]